VALOIS
Dinastia francese che occupò il trono di Francia dal 1328 al 1589.La dinastia ebbe origine da Carlo di V. (m. nel 1325), terzogenito di Filippo III re di Francia, che nel 1285 aveva per primo avuto in appannaggio la contea del Valois, formata da quattro castellanie. I V. salirono al trono di Francia quando si estinsero i Capetingi, con la morte, nel 1328, di Carlo IV il Bello, figlio di Filippo IV il Bello (m. nel 1314) e nipote di Carlo di Valois. Il primo V. re di Francia fu dunque Filippo VI (1328-1350), figlio di Carlo di V., che diede origine al ramo diretto della dinastia con sette re dal 1328 al 1498: Giovanni II il Buono (v.); Carlo V il Saggio (v.); Carlo VI il Folle (1380-1422); Carlo VII (1422-1461); Luigi XI (1461-1483) e Carlo VIII (1483-1498).Da un figlio di Carlo V il Saggio, Luigi duca d'Orléans (m. nel 1407), ebbe origine il ramo dei V.-Orléans, con un solo re, Luigi XII (1498-1515), salito al trono in successione a Carlo VIII, morto senza figli. Alla morte di Luigi XII si successero al trono francese ancora cinque re del ramo dei V.Angoulême, dal 1515 al 1589: Francesco I (1515-1547), Enrico II (1547-1559), Francesco II (1559-1560), Carlo IX (1560-1574) ed Enrico III (1574-1589). Con Enrico III, assassinato nel 1589, si estinse la dinastia dei Valois.La successione di Filippo VI al trono di Francia fu uno dei motivi dell'inizio della guerra dei Cento anni, il conflitto franco-inglese per il diritto alla Corona di Francia. I V. godettero dell'appoggio della nobiltà francese, che non approvò, da un punto di vista giuridico, il diritto di trasmissione del regno per via femminile. Alla morte di Carlo IV il Bello (1328), infatti, costui era senza eredi e una figlia femmina nacque postuma. Se fosse stato accettato il diritto di trasmissione del regno per via femminile, avrebbe potuto rivendicare il diritto al trono anche Edoardo III d'Inghilterra (m. nel 1377), nipote per via materna di Filippo IV il Bello, che si vide, di fatto, escluso dalla scelta della nobiltà francese di appoggiare la linea maschile dei Valois.Il regno di Filippo VI fu segnato dai primi tragici avvenimenti della guerra dei Cento anni: lo scoppio del conflitto nel 1337, le due tremende sconfitte all'Ecluse nel 1340 e a Crécy nel 1346 e soprattutto la peste nera del 1347-1348. Nonostante la drammaticità degli avvenimenti che fecero da sfondo al suo regno, non mancano testimonianze artistiche che mostrano già i V. e le loro consorti quali straordinari committenti di opere d'arte. Alla prima consorte di Filippo, Giovanna di Borgogna (m. nel 1348), infatti, si deve il più bell'esemplare miniato dei Miracles de Notre Dame, opera composta agli inizi del Trecento da Gautier de Coincy, consistente in una raccolta di cinquantotto miracoli compiuti dalla Vergine per altrettanti suoi devoti. Il manoscritto (Parigi, BN, nouv.acq.fr. 24541) venne miniato da Jean Pucelle (v.), che mostra in quest'opera le influenze della cultura senese di Duccio di Buoninsegna (v.). La regina Giovanna è raffigurata più volte nelle iniziali istoriate delle preghiere della parte finale, e il re Filippo VI suo marito è ritratto nella c. 234. I tratti fisionomici di Filippo VI nella miniatura coincidono con quelli del giacente della sua tomba, ora in Saint-Denis, e con quelli di una statuetta (New York, Metropolitan Mus. of Art) che mostra il re inginocchiato in preghiera insieme ad altre due figure reali: il principe Giovanni, futuro Giovanni II il Buono, e la regina Giovanna, oppure Bianca di Navarra, seconda moglie del re (Les fastes du Gothique, 1981, nr. 46). Le statuette in questione facevano parte di un dossale e provenivano dall'abbazia di Jumièges oppure da Rouen, dopo il 1332, data del dono del ducato di Normandia a Giovanni.Identico nelle fattezze è pure un altro ritratto del re nel dossale rappresentante il Calvario, già nella cappella di Saint-Michel nel Palais de la Cité a Parigi, oggi perduto, ma noto grazie a una copia eseguita nel sec. 17° (Sterling, 1987-1990, I, pp. 167-168; Parigi, BN, Cab. Estampes, Coll. Gaignières, Oa 11, c. 89r): il re Filippo VI prega inginocchiato davanti al Calvario e dietro di lui, presentato da s. Luigi, è il delfino Carlo; dall'altro lato la regina Bianca di Navarra, presentata da s. Dionigi. Secondo Sterling (1987-1990, I, p. 167), questa è la corretta interpretazione dei personaggi poiché soltanto in tal modo emergerebbe il valore politico dell'opera, che celebra l'unione delle casate discordi V. e Navarra-Evreux e, soprattutto la riunione del delfinato alla Francia. Nel pannello, anch'esso perduto, già nella cappella dedicata a s. Ippolito a Saint-Denis - il mausoleo di famiglia fatto erigere da Bianca di Navarra, e oggi scomparso - Sterling (1987-1990, I, pp. 203-208) propone invece di vedere piuttosto Carlo V e non Filippo VI, mentre Doublet (1625), descrivendo la cappella, riconosceva nel pannello di sinistra proprio Filippo VI (i pannelli dipinti erano due, l'uno pendant dell'altro).
Ancora un'effigie del re si trova nel manoscritto contenente gli atti del processo a Roberto d'Artois, che suscitò molto scalpore nei contemporanei (Parigi, BN, fr. 18437, c. 2r; Sterling, 1987-1990, I, nr. 18, fig. 69). Sempre legato alla committenza di Filippo VI è lo splendido piéfort decorato con smalti traslucidi, unico nel suo genere, che riproduce la moneta del leon d'oro di Filippo VI, emessa tra il novembre 1338 e il giugno 1339 (Londra, British Mus.; Les fastes du Gothique, 1981, nr. 189).Durante il regno di Giovanni II il Buono la nazione francese, già prostrata dalle sconfitte inflitte dall'Inghilterra, fu ancora pesantemente provata dalla disfatta di Poitiers nel 1356, quando lo stesso Giovanni II fu fatto prigioniero. In questo frangente emersero le qualità politico-diplomatiche del reggente, il futuro re Carlo V il Saggio. Sebbene disastroso da un punto di vista politico, Giovanni II fu un fine mecenate e, durante gli anni del suo regno, proprio grazie a lui si affermò a Parigi il nuovo stile realistico che troppo spesso viene fatto iniziare nel regno di suo figlio Carlo V. In realtà la complessa e contraddittoria personalità di Giovanni II è stata giustamente rivalutata da Avril (1982), che ha ben messo in luce come proprio in quel momento venne abbandonato lo stile sinuoso di Jean Pucelle per far posto a novatori, quali per es. il Maestro del Remède de Fortune che miniò il manoscritto delle opere di Guillaume de Machaut (Parigi. BN, fr. 1586). Questo artista fu particolarmente attento al naturalismo d'influenza avignonese, che probabilmente conosceva di persona, forse al seguito del futuro Giovanni II nei suoi due soggiorni avignonesi, nel 1342 e nel 1344. Certo è che a Giovanni II si deve, primo dei V., lo scambio fruttuoso tra la corte francese e quella papale, in questo caso del papa Clemente VI, ed è probabile che il Maestro del Remède de Fortune, come pure gli altri miniatori così amati da Giovanni II, risentissero ormai dello stile di Matteo Giovannetti. Lo stesso Giovanni II, stimatissimo da Francesco Petrarca, fu il primo re V. a possedere una vera e propria collezione di libri dai quali non si separava mai, iniziando la ben nota tradizione dei V. quali fini collezionisti e raffinati committenti di manoscritti: egli trasmise infatti questo amore per i libri ai figli, Carlo V ma soprattutto Jean de V. duca di Berry (v.).
Dopo la decadenza politica del regno di Giovanni II il Buono, fu spettacolare la ripresa durante il regno del figlio Carlo V il Saggio. Questo re, nel decisivo sforzo di ridare valore e dignità a una nazione prostrata, operò, dalla sua salita al trono nel 1364, una vera e propria rottura delle forme architettoniche. Carlo V decise di voler far rivivere i tempi di Luigi IX il Santo e Parigi ritrovò il suo ruolo di capitale europea. "Vicaire de Dieu au governement de la France": così venne definito il sovrano nel celebre Songe du Vergier (1378; Erlande-Brandenburg, 1988, p. 38), e dovunque, scolpita, dipinta o disegnata, l'immagine del re si impose, senza che la creazione artistica fosse mai dissociata dal suo fine politico.Carlo V intervenne sempre personalmente in tutti i suoi progetti architettonici e collaborò strettamente con il suo architetto Raymond du Temple. Egli finanziò imprese grandiose a Parigi e nelle immediate vicinanze. Solo nella capitale fece edificare una nuova cinta di mura e finanziò la ricostruzione della residenza del Louvre e la costruzione dell'Hôtel Saint-Paul; delle numerosissime edificazioni in provincia non resta che il castello di Vincennes, costruito certamente da Raymond du Temple. La cinta muraria di Parigi, di dimensioni grandiose, aveva una duplice funzione difensiva, verso l'interno e verso l'esterno, e la sua difesa principale era la roccaforte Saint-Antoine, la Bastiglia, dalla pianta poligonale a sei lati ineguali con torri rotonde della stessa altezza delle cortine murarie, così da assicurare un camminamento di ronda continuo. Questa era una novità nell'ambito difensivo, che avrebbe fatto scuola, così come molte altre innovazioni. Il progetto più importante del re riguardò soprattutto Vincennes, che, da semplice padiglione di caccia, divenuto poi fortezza all'epoca di Filippo II Augusto (m. nel 1223) e in seguito trasformato in residenza reale, secondo il nuovo programma di Carlo V doveva diventare una città modello, o forse proprio la nuova capitale del regno, con le abitazioni della famiglia reale, dei nobili e del governo. Raymond du Temple progettò di inglobare la residenza in un'enorme cinta rettangolare rinforzata da nove torri con doppia funzione difensiva e residenziale. Il suo capolavoro resta il progetto della SainteChapelle di Vincennes.Per la facciata egli si ispirò quasi certamente al portale dei Libraires della cattedrale di Rouen, ma straordinario è il gioco di curve e controcurve inquadrate da due torrette di facciata. Iniziata all'epoca di Carlo V il Saggio, ma terminata soltanto nel sec. 16°, la Sainte-Chapelle di Vincennes è un'eccezionale testimonianza dello stile architettonico del decennio 1370, poiché in sostanza il progetto originale venne rispettato (Erlande-Brandenburg, 1988, p. 388, fig. 462). Lo stile flamboyant conobbe a Vincennes una nuova austerità, che scaturiva dal confronto voluto dal re con la Sainte-Chapelle di Parigi, nella precisa volontà di superare, senza dimenticare, il modello.Anche nel campo delle residenze reali Carlo V il Saggio, con la novità delle scelte architettoniche, volle affermare l'assoluta legittimità e la grandezza dei Valois. Il Louvre e l'Hôtel Saint-Paul offrivano due soluzioni diverse per differenti finalità. Da fortezza il Louvre venne trasformato nella più fastosa residenza dell'epoca, con una nuova ala a N, destinata a ospitare gli appartamenti reali, collegati dalla celeberrima Grande vis, la scala elicoidale disegnata da Raymond du Temple, divenuta presto famosa e copiata per la novità architettonica e le sculture che la decoravano. Se il Louvre era l'espressione della maestà reale, l'Hôtel Saint-Paul doveva invece essere una residenza più intima. Dalle descrizioni antiche sappiamo infatti che tutto all'interno era curatissimo per favorire il massimo comfort, forse anche a causa della salute cagionevole del sovrano.Carlo V il Saggio fu uno straordinario novatore anche nel campo dei libri e delle sculture: egli può essere definito il primo sovrano che fece di una biblioteca un'istituzione, non soltanto facendosi costruire una biblioteca all'angolo nord-ovest del Louvre, ma anche collezionando un gran numero di codici. A lui si deve anche la committenza di manoscritti nuovi, traduzioni francesi fino ad allora mai illustrate, e questo contribuì alla creazione dello 'stile nuovo', fortemente realistico, non più legato alla tradizione di Jean Pucelle. Carlo V anche in scultura rinunciò a un ritratto ufficiale a favore del pieno realismo. I suoi tratti fisionomici sono così riconoscibili sia nella statua giacente eseguita da André Beauneveu nel 1364 a Saint-Denis sia nelle miniature, come quella eseguita da Jean de Bondol nella Bible historiale, offerta da Jean de Vaudetar (Aia, Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 10 B 23, c. 2r), firmata e datata 1371.
Al re Carlo V il Saggio, spentosi nel 1380, successe il giovane Carlo VI, allora dodicenne, che fu fino al 1388 sotto la tutela degli zii, i duchi di Borgogna, di Berry e d'Angiò. Sposatosi con Isabella di Baviera (m. nel 1435), nel 1392 impazzì, mentre la Francia conosceva un nuovo periodo di sanguinose lotte contro l'Inghilterra e al suo interno vedeva contrapporsi i partiti degli armagnacchi e dei borgognoni. La Francia subì una nuova disastrosa sconfitta da parte degli Inglesi ad Azincourt, nel 1415, e Carlo VI, sotto l'influsso di Isabella di Baviera e di Filippo il Buono (m. nel 1467), successore dello zio Filippo l'Ardito duca di Borgogna (m. nel 1404), firmò nel 1420 il trattato di Troyes, sfavorevole alla Francia, di fatto diseredando il proprio figlio e riconoscendo suo erede e successore il re d'Inghilterra Enrico V (m. nel 1422). Quando però, alla morte di Carlo VI fu proclamato re di Francia il figlio del re d'Inghilterra, il delfino si fece incoronare re col nome di Carlo VII.Ai quarant'anni di regno di Carlo VI, detto il Folle, in Francia corrispose un periodo dell'arte europea che viene convenzionalmente chiamato Gotico internazionale (Châtelet, Recht, 1988, p. 188), caratterizzante tutta l'arte dell'Europa settentrionale con una singolare unità stilistica. Il Gotico internazionale è un linguaggio di corte che ha come caratteristica essenziale la preziosità e che, dopo essere stato elaborato negli ateliers dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo (m. nel 1378) a Praga e di Carlo V il Saggio a Parigi, trovò la sua massima espressione intorno al 1375-1380. La Francia di Carlo VI è stata definita anche la Francia dei duchi, perché dominata dalle personalità degli zii del re, Luigi I d'Angiò (m. nel 1384), Filippo l'Ardito, Jean de V., duca di Berry, potenti mecenati degni della tradizione Valois.Ma non meno importanti furono le figure del fratello del giovane re, Luigi duca d'Orléans, e dei suoi cugini Luigi II d'Angiò re di Sicilia (m. nel 1417) e Giovanni Senza Paura duca di Borgogna (m. nel 1419). Fino alla disfatta di Azincourt, la guerra contro l'Inghilterra lasciò ancora spazio per alcuni anni di relativa pace e l'arte conobbe un periodo di straordinario fasto. È in questo clima che si svilupparono il gusto per l'arazzo e la serie dell'Apocalisse di Angers (Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse), voluta da Luigi I d'Angiò; ma più ancora l'arte di corte di Carlo VI il Folle sembra essere rappresentata dall'oreficeria, e sicuramente il Goldenes Rössl (Altötting, Wallfahrtskapelle und Schatzkammer) ne costituisce l'esempio più alto. Dono della regina Isabella di Baviera al marito per il compleanno del 1404, questo gioiello è un'eccelsa prova di virtuosismo orafo; esso mostra il pieno raggiungimento di un nuovo naturalismo che costituisce "la cifra più alta del gotico internazionale" (Châtelet, Recht, 1988, trad. it. p. 188): il re e il suo scudiero sono inginocchiati ai piedi del trono della Vergine, tempestato di perle e pietre preziose, sormontato da angeli in veste di chierichetti. Nel registro sottostante il palafreniere del re tiene per le briglie il cavallo, ai piedi dell'edicola sulla quale è posto il trono della Vergine. Perfino un piccolo cane, alla sinistra di Carlo VI, arricchisce il naturalismo di questo straordinario gioiello. È quasi scontato dire che quello di Carlo VI è un vero e proprio ritratto.Gli stessi tratti fisionomici si ritrovano in un'altra immagine del re in una scultura d'alabastro che mostra Carlo VI, inginocchiato, presentato da s. Giacomo il Minore: queste statue sono legate a un altro gruppo scultoreo raffigurante la Presentazione al Tempio (Avignone, Mus. du Petit Palais; Les fastes du Gothique, 1981, pp. 149-152, nrr. 100a, 100b). Entrambi i gruppi facevano parte della tomba del cardinale Jean de Lagrange, nella chiesa di Saint-Martial ad Avignone.Il cardinale, gran consigliere di Carlo V il Saggio, divenuto presto uno dei più grandi fautori dello scisma, fu anch'egli committente d'arte: nel 1375 aveva fatto eseguire per il Beau Pilier d'Amiens, contrafforte nord-ovest della cattedrale, nove statue, attribuite, sembra senza ragione, ad André Beauneveu, vero e proprio manifesto delle sue idee politiche, e, nello stesso edificio, una sua tomba di cui non resta che il giacente mutilato. Giunto poi ad Avignone, il cardinale aveva commissionato il monumento funebre, dal quale provengono i due gruppi scultorei, che doveva essere la più grande tomba del Medioevo (alta più di m 15) e adorna di rilievi e numerosissime statue di personaggi contemporanei, alternando inoltre la pietra a materiali preziosi come l'alabastro. Il monumento, distrutto durante la Rivoluzione francese, è oggi noto solo grazie a un disegno policromo del sec. 17° (Roma, BAV, Barb. lat. 4426, c. 25r). La complessità del panneggio di Carlo VI inginocchiato ha fatto pensare a un autore che risente dello stile elaborato a Champmol da Claus Sluter, senza escludere tuttavia l'influenza dell'ignoto autore dell'Incoronazione della Vergine del castello di La Ferté-Milon.Ancora una celeberrima oreficeria di questo periodo è la coppa di S. Agnese, dono di Jean de V. a Carlo VI il Folle (Londra, British Mus.; Les fastes du Gothique, 1981, pp. 263-265, nr. 213), uno splendido calice con coperchio in oro, smalti traslucidi e opachi, perle. Sul piede sono raffigurati i simboli degli evangelisti e all'interno della coppa figura Cristo benedicente, mentre tutte le altre scene rappresentano la Vita e i Miracoli di s. Agnese, alla quale era particolarmente devoto Carlo V il Saggio (nato il 21 gennaio), ma anche altri componenti della famiglia Valois.
La miniatura nel regno di Carlo VI il Folle conobbe una fioritura ancora maggiore rispetto al regno di Carlo V. Aumentò a Parigi il numero dei pittori provenienti dal Nord della Francia (Artois, Hainaut) e dai Paesi Bassi (Gheldria); s'intensificarono i contatti con l'Italia anche per l'arrivo a Parigi di maestri provenienti da Bologna, come il Maestro delle Ore di Carlo il Nobile, o dalla Lombardia, come il Maestro dell'Epître d'Othéa. L'arte di quest'ultimo, particolarmente originale, trova analogie soltanto nella libertà di disegno di Giovannino de Grassi.Di committenza della regina Isabella di Baviera è un manoscritto miniato a Parigi intorno al 1400-1415, contenente le opere di Christine de Pisan (Londra, BL, Harley 4431). In questo codice compare una splendida miniatura raffigurante l'autrice che offre alla regina il suo libro (c. 3r): l'interno della camera della regina mostra un arredo che testimonia il lusso della corte di Carlo VI il Folle.Il re in persona sembra essere stato il committente del piccolo dipinto su tavola (coll. privata) raffigurante la Vergine e il Bambino, s. Giovannino e un angelo, scoperto negli anni 1971-1972 (Sterling, 1987-1990, I, nr. 47, fig. 217), opera presunta del più grande pittore attivo alla corte di Carlo VI, Colart de Laon, contenente diverse allusioni simboliche al regno del sovrano, tra le quali, forse, l'assassinio del fratello, il duca Luigi d'Orléans, per mano di Giovanni Senza Paura. Un altro straordinario pittore e miniatore attivo alla corte di Carlo VI è l'artista, forse da identificare con Jacques Coene, noto convenzionalmente come Maestro delle Ore del maresciallo Boucicaut (v.). Costui era l'illustratore dei codici, contenenti rispettivamente la prima e la seconda versione di una raccolta di scritti di Pierre le Fruiter, detto Salmon, dedicati a Carlo VI: Réponses à Charles VI et Lamentation, del 1409 (Parigi, BN, fr. 23279) e Demandes faites par le Roi Charles VI, del 1412 (Ginevra, Bibl. publique et Univ., fr. 165). Questo miniatore diede prova di un ineguagliabile virtuosismo tecnico soprattutto nella miniatura dell'esemplare di Ginevra che mostra il re assiso sul letto in una stanza completamente dominata da una preziosa stoffa blu, ricamata con gigli d'oro (c. 4r; Sterling, 1987-1990, I, fig. 255). La profondità spaziale, il perfetto realismo dei personaggi raffigurati hanno portato Panofsky (1953, I) a esaltare questa scena preannunciante l'illusionismo eyckiano (Sterling, 1987-1990, I, p. 366).Alla mano dello stesso maestro si devono le miniature di altre celeberrime opere legate alla corte di Carlo VI il Folle: il Breviario di Châteauroux (Bibl. Mun., 2), un Livre de Merveilles (Parigi, BN, fr. 2810), eseguito per Giovanni Senza Paura, le Ore Boucicaut (Parigi, Mus. Jacquemart-André, 2). Dedicato invece al fratello di Carlo VI, Luigi d'Orléans, è l'esemplare dell'Epître d'Othéa (Parigi, BN, fr. 606), miniato dall'omonimo maestro.Luigi d'Orléans, nominato conte di Valois nel 1375, nel 1392 divenne duca d'Orléans. La salute incerta del fratello, il re Carlo VI, lo indusse a occuparsi sempre più di politica, scontrandosi subito con lo zio Filippo l'Ardito, duca di Borgogna, il quale per i suoi commerci non poteva certo fare a meno degli Inglesi. Dal 1400 in poi Luigi d'Orléans combatté apertamente contro il ducato di Borgogna, fino al suo assassinio nel 1407.All'interno del ducato anche Luigi d'Orléans, che aveva sposato Valentina Visconti, diede prova di sfarzo e mecenatismo rivaleggiando con le splendide residenze fatte costruire dagli zii. Nella contea del Valois fece restaurare numerose fortezze, mentre soltanto due castelli furono interamente edificati nel 1392, Pierrefonds e La Ferté-Milon, rimasti incompiuti alla morte del duca. È stato provato che i due nuovi castelli voluti da Luigi d'Orléans non sono la chiave di un sistema difensivo autonomo del Valois, ma si situano piuttosto in una fase dell'architettura difensiva, chiamata della fortification dissuasive (Mesqui, 1977, p. 132). Pierrefonds ha una pianta rettangolare con otto torri circolari; di La Ferté-Milon, incompiuto, è rimasta la facciata fiancheggiata da quattro torri con il portale inquadrato da due torri a sperone. Il camminamento di ronda continuo, doppio, è l'unico sistema di difesa, segnando il passaggio da una difesa passiva a una dissuasiva e riprendendo il sistema inaugurato dalla roccaforte Saint-Antoine di Carlo V il Saggio. Non si tratta più di fortezze, dunque, ma di residenze fastose di enormi dimensioni, con grandi finestre al posto delle strette feritoie, architetture non più militari ma politiche. A La Ferté-Milon, su ciascuna delle torri che inquadrano il portale sono le statue dei Preuses e al centro l'Incoronazione della Vergine, uno dei capolavori della scultura monumentale dei primi anni del Quattrocento. Rispetto alle residenze di Luigi I d'Angiò a Saumur, di Jean de V. a Mehun-sur-Yèvre o a Nonette o Poitiers, certamente La Ferté-Milon appare il progetto più fastoso, addirittura chimerico (Erlande-Brandenburg, 1988, p. 392): oggi resta l'immensa fronte teatrale (lunga più di m 104, alta più di m 26).
Nell'architettura dei castelli, dunque, la funzione residenziale si impose sempre più su quella militare e divenne di primaria importanza la ricerca del comfort e della bellezza. Spettacolare si presenta la Sala des Pas perdus nel palazzo dei Conti (od. Palais de Justice) a Poitiers, voluta da Jean de V., col suo enorme camino e grandi finestre a nervatura flamboyantes, ornate da statue della coppia reale e della coppia ducale. A Saumur Luigi I d'Angiò si ispirò alla Grande vis del Louvre, e la scala monumentale assunse sempre maggiore importanza nell'architettura delle residenze dei Valois.Alla morte di Carlo VI il Folle, nel 1422, il duca di Bedford si insediò a Parigi quale reggente in nome del re d'Inghilterra Enrico VI (m. nel 1471), minorenne, erede al trono in virtù del trattato di Troyes. Il delfino Carlo, poi Carlo VII, che risiedeva a Bourges, in un primo momento indolente e debole, lasciò che gli Inglesi estendessero il loro dominio in Francia. Fu con l'azione di Giovanna d'Arco (m. nel 1431) che iniziò la riscossa francese: il re, rientrato a Parigi nel 1437, solo dopo il 1440, per l'influsso forse di Agnès Sorel (m. nel 1450), sua favorita, chiuse vittoriosamente la guerra contro gli Inglesi. Durante il suo regno egli promosse il completamento della chiesa parigina di Notre-Dame-de-l'Epine, iniziata nel 1410, in piena guerra dei Cento anni.
Bibl.:
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