valore
È uno dei termini-chiave della poetica di D. e fin dagli esordi si pone al centro del suo lessico. A contraddire questo giudizio non vale la limitatezza delle sue attestazioni: poco più di 70, di cui appena otto in prosa. Lo giustificano invece due ordini di considerazioni: la sua stretta connessione con la tradizione aulica della lirica cortese, da cui D. lo desunse, sia pure attraverso la transvalutazione che del suo significato concettuale avevano dato il Guinizzelli e il Cavalcanti; la possibilità che esso offre, allorquando lo si studi seguendo, sia pur approssimativamente, una trafila cronologica, di cogliere nelle sue linee generali l'evoluzione della personalità umana e poetica di D., del suo atteggiarsi di fronte alla società del tempo e dell'arricchimento e approfondimento progressivo della sua tematica.
La latitudine dello spettro semantico del vocabolo è assai ampia, come D. stesso rileva nel definire una delle accezioni che esso assume quando è riferito a persona: avvegna che ‛ valore ' intendere si possa per più modi, qui si prende ‛ valore ' quasi potenza di natura, o vero bontade da quella data (Cv IV II 11).
V. indica dunque innanzi tutto il possesso di alte doti intellettuali e morali, ma quest'accezione si concreta in contenuti concettuali diversi a seconda dei tempi e delle opere.
In un sonetto di dubbia attribuzione, ma da ritenersi comunque alquanto antico per la presenza di un frasario di stampo guittoniano (Rime dubbie XXIV), l'autore si rivolge al destinatario Puccio Bellondi chiamandolo nobile e saggio (v. 1) prima, d'ogni virtù sire (v. 9) e di gran valore (v. 12) poi. La correlazione fra le tre locuzioni è evidente, e permette d'inserire il riconoscimento del v. di Puccio, cioè della sua ‛ saviezza ' intellettuale, nei comuni schemi di cortesia convenzionale propri a questo tipo di corrispondenze poetiche. Analogamente, in VII 11, il valore di Iacopo è il " merito ", il " pregio " di lui, per il quale la donna vuole allontanarsi dalla sua famiglia.
In Vn XXIII 20 26 dicevan sovente: / " Che vedestù, che non hai valore? ", il vocabolo indica " il vigore fisico e psichico ", " la capacità di sostenersi " venuti meno in D. malato, drammaticamente sconvolto dalla visione angosciosa di Beatrice morta.
Nella Vita Nuova e nelle Rime, però, in prevalenza v. ricorre in più stretta connessione con la tematica dell'esperienza d'amore.
Tema ricorrente è quello del v., cioè delle " forze fisiche e morali " che l'uomo sente venire meno in sé per il turbamento provocato in lui dalla signoria d'Amore o dalla vicinanza della donna amata: [Amore] mi tolle sì 'l valore, / che li spiriti par che fuggan via (Vn XXVII 4 5); così smorto, d'onne valor voto, / vegno a vedervi, credendo guerire (XVI 9 10); e così in Rime L 7, LVII 13, LIX 11, LXVI 6, Rime dubbie XI 10.
Persino quando è riferito alla forza della facoltà della vista, il vocabolo compare sempre in rapporto a un'esperienza d'amore: Vn XXXIX 8 3 Lasso! per forza di molti sospiri... / li occhi son vinti, e non hanno valore / di riguardar persona che li miri; Rime LXV 11 (dove il gran valore è la potenza dello sguardo di madonna), Rime dubbie XIII 8.
In un altro gruppo di esempi v. è l'insieme delle virtù amorose e cortesi che rendono meritevole di pregio la donna (e si confronti in proposito G. Guinizzelli Tegno de folle 'mpres' 28 " tutto valor in lei par che si metta "; G. Cavalcanti Perch'io no spero 46 " Anima, e tu l'adora / sempre, nel su' valore "). Quest'accezione è attestata in Vn XIX 5 5 Io dico che pensando il suo valore, / Amor sì dolce mi si fa sentire; altro esempio al § 16; Rime LXXXIV 12 Quando trovate donna di valore, / gittatelevi a' piedi umilemente; XLIX 5, XL 6, LX 8, LXXX 4, Rime dubbie XII 4, XVI 28.
Una singolare variazione di questo motivo è offerta dal sonetto a due cominciamenti Era venuta ne la mente mia (Vn XXXIV). Nella prima redazione il valore della gentil donna (7 2) è dato dalla sua virtù, dai suoi meriti; nella seconda redazione invece (Era venuta ne la mente mia / quella donna gentil cui piange Amore, / entro 'n quel punto che lo suo valore / vi trasse a riguardar quel ch'eo facia, 8 3), l'espressione lo suo valore, pur potendo essere interpretata " per virtù d'Amore ", più probabilmente indica " la potenza misteriosamente operante di Beatrice " (Sapegno) che aveva indotto un gruppo di persone a visitare D. mentre egli disegnava un angelo pensando a Beatrice morta.
V. è infine la " potenza " di Amore, la " signoria " che egli esercita sull'animo dell'uomo innamorato: Vn XIII 8 4 Tutti li miei penser parlan d'amore; / e hanno in lor sì gran varietate, / ch'altro mi fa voler sua potestate, / altro folle ragiona suo valore (e si noti che nella razo in prosa [§§ 2 e 3] a valore corrisponde signoria d'Amore); e così in XXXVIII 10 12, Rime LXXXVIII 10, XC 39, XCI 4, Rime dubbie XIV 7.
Questa singolare costanza tematica non impedisce naturalmente che nelle Rime compaiano motivi e accezioni che trovano più ampio accoglimento in altre opere. In LXXXVI 3 è detto che la Virtù ha in sé cortesia e valore; qui il vocabolo è da intendere " pregio " in generale: ma la dittologia sarà ripresa nella Commedia (v. oltre) in connessione con uno dei temi più frequenti nel poema. In LXXXIII 11 il concetto di valore è identificato con quello di leggiadria, e poiché in quest'ultimo è implicito anche quello di amore, inteso come ammirazione verso la bellezza-bontà, il motivo poetico si collega a quelli già illustrati; ma la leggiadria è anche una virtù cortese, e in questo senso è possibile intuire qui in valore un'ampiezza semantica diversa da quella propria della lirica d'amore.
Ancor più significativo appare l'esempio di Rime XC 3 Amor, che movi tua vertù dal cielo / come 'l sol lo splendore, / che là s'apprende più lo suo valore / dove più nobiltà suo raggio trova. Lo spunto è chiaramente di derivazione guinizzelliana (cfr. Al cor gentil 34 " lui [cioè l'" uomo alter "] semblo al fango, al sol gentil valore ") e in ciò che è detto del sole è implicita l'analogia con amore: cioè come avviene del valor del sole, così la vertù d'amore più opera dove più trova nobiltà. Ma intanto, valore indica " la potenza " del sole, l'influenza che esso esercita, come tutti gli astri, sugli uomini, e questo motivo avrà poi larga trattazione. Inoltre, compare qui quella tematica della nobiltà che occupa tanto spazio nel IV trattato del Convivio.
Per motivi analoghi a quelli esposti, in quest'ultima opera il lessico della lirica d'amore è trasposto a celebrare la bellezza e la virtù di cui è dotata la Donna gentile: l'alto valor ch'ella possiede / è oltre quel che si conviene a nui (III Amor che ne la mente 43, ripreso in IV 13); e così in II 9. In II Voi che 'ntendendo 4, ripreso in VI 5, il vocabolo è rivolto a significare la " potenza e influsso " esercitato dai Troni, la loro operazione: El ciel che segue lo vostro valore...; o anche l'influsso del cielo di Venere (VI 6 la mia intenzione... è di dire... lo valore de la loro stella). L'accezione più aderente alla tematica più innovatrice del trattato si ha però quando il vocabolo è collegato al tema della nobiltà: IV Le dolci rime 12 dirò del valore, / per lo qual veramente omo è gentile; e così in II 11 (prima occorrenza). E vada qui anche I IV 2 la presenza fa la persona di meno valore ch'ella non è, dove per altro il vocabolo sembra usato in senso pregnante, tanto da richiedere d'interpretare " rende la persona meno stimata di quanto non valga ".
In due casi è usato con l'accezione di " fondatezza " o di " efficacia ": Cv IV XV 17 dico essere manifesto l'oppinione de la gente, che detto è, esser vana, cioè sanza valore (" priva di fondamento razionale ": cfr. § 10 detti… vani, cioè sanza midolla di veritade); III Amor che ne la mente 17 'l parlar nostro... non ha valore / di ritrar tutto ciò che dice Amore (ripreso in IV 13), da interpretarsi " è incapace di " (ma è implicita nell'uso l'accezione di " significato ", " capacità espressiva " che talvolta il vocabolo assume). E vada qui anche Rime XLVII 7, dove v. ha chiaramente il significato di " efficacia ".
Nell'Inferno ricorre solo tre volte: gli spiriti magni del Limbo sono gente di molto valore (IV 44), supremamente eccellenti nei vari campi dell'attività spirituale e del sapere, nei quali l'uomo realizza la sua maggior perfezione umana. Anche Ulisse ‛ sentì ' l'ardore / .., a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore (XXVI 99): dei costumi e qualità, cattive (vizi) e buone (valore) degli uomini. L'uso del vocabolo nella cantica sembra così incentrarsi nell'esaltazione di una disposizione naturale a realizzare ciò che è più altamente conforme alla natura e alla dignità umane. Quando i sodomiti fiorentini chiedono a D. cortesia e valor dì se dimora / ne la nostra città sì come suole (If XVI 67), i due termini non indicheranno perciò le " virtù civili e militari ", come spiega il Casini (v. per " coraggio in combattimento " compare solo in Fiore CXXVIII 2 s'armar con molto gran valore), ma l'ambito di tutte le virtù confacenti all'animo nobile, che rendono bella e lieta la convivenza civile e ne garantiscono il retto governo.
Compare così il motivo della degradazione del costume cavalleresco, un motivo nutrito di accorata nobiltà di spirito e di sdegnosa magnanimità, al quale è affidata tanta parte della poesia del Purgatorio. Ché in questa cantica si celebra sì il valore del roman principato (X 74), e cioè " l'eccellenza e nobiltà morale " di Traiano, o quello di Pietro III d'Aragona (VII 114); ma più frequentemente si deplora, per bocca di Sordello (VII 117), di Guido del Duca (XIV 90) e di Marco Lombardo (XVI 47 e 116) che quel v. non si sia trasmesso di padre in figlio e che, anzi, ormai sia del tutto spento.
Alcune fra le accezioni già illustrate compaiono anche nel Paradiso. Si hanno così accenni a una nobiltà morale non posseduta nella sdegnosa allusione a Venceslao IV di Boemia che mai valor non conobbe né volle (XIX 126) o, viceversa, al possesso della virtù poetica nell'invocazione ad Apollo: O buono Appollo, a l'ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come dimandi a dar l'amato alloro (I 14). Il vocabolo è volto a indicare la potenza della vista (V 3) e il provvidenziale potere degl'influssi celesti (X 29, XXI 15); è usato a proposito de l'alto valor del voto (V 26), cioè della sua " importanza " eccezionale, in quanto con il voto l'uomo spontaneamente offre a Dio il suo libero arbitrio (e si veda anche al v. 62).
Ma la tematica cui più frequentemente l'uso di v. dà vita nel Paradiso è quella dell'onnipotenza di Dio, della sua sovrana perfezione, della sua attività creatrice. Dio è l'etterno valore (Pg XV 72, Pd I 107, XXIX 143), è valore infinito (XXXIII 81), è il valor ch'ordinò e provide (IX 105); Dio dice a Moïsè, di sé parlando: / ‛ Io ti farò vedere ogne valore ' (XXVI 42), gli promette cioè di rivelargli il bene assoluto e la pienezza della sua gloria (questa interpretazione è spiegata dal testo biblico cui D. attinge: Ex. 33, 18-19 " Qui [Mosè] ait: Ostende mihi gloriam tuam. Respondit: Ego ostendam omne bonum tibi ").
D'altra parte, secondo l'insegnamento scolastico, la " potenza " creatrice è attributo della divinità considerata nella sua natura propria, ma si predica più ‛ propriamente ' del Padre (cfr. Tomm. Sum. theol. I 45 6 ad 2 " virtus creandi, licet sit communis tribus personis, ordine tamen quodam eis convenit... Unde creatorem esse attribuitur Patri, ut ei qui non habet virtutem creandi ab alio. De Filio autem dicitur per quem omnia fatta sunt, inquantum habet eandem virtutem, sed ab alio... Sed Spiritui sancto, qui habet eandem virtutem ab utroque, attribuitur quod dominando gubernet, et vivificet quae sunt creata a Patre per Filium. Potest etiam huius attributionis communis ratio accipi ex appropriatione essentialium attributorum. Nam... Patri appropriatur potentia, quae maxime manifestatur in creatione, et ideo attribuitur Patri creatorem esse "). V. è perciò, in particolare, riferito al Padre allorquando il contesto insiste sull'attività creatrice di Dio, come in XIII 45, XIX 43, o le tre persone della Trinità sono ricordate separatamente l'una dall'altra: Guardando nel suo Figlio con l'Amore / che l'uno e l'altro etternalmente spira, / lo primo e ineffabile Valore... (X 3); e così, almeno secondo alcuni commentatori, nella parafrasi del Pater noster (Pg XI 4).
Il significato della parola è discusso nel passo in cui è affrontato il tema del fondamento della felicità celeste: La sua chiarezza[cioè lo splendore dei beati] séguita l'ardore; / l'ardor la visïone, e quella è tanta, / quant'ha di grazia sovra suo valore (Pd XIV 42). Alcuni interpreti spiegano nel senso che la visione beatifica di Dio è comparata alla grazia divina e al " merito " (valore) dei beati; altri, in considerazione del fatto che la grazia è tale solo se di sovrana concessione, danno a valore il significato di " capacità naturali " e spiegano: la visione di Dio ha il suo limite in quanto la grazia concede alle anime in aggiunta (sovra) alle loro capacità naturali.
Il termine compare con l'accezione di " significato " in Rime dubbie XXIX 4 Molti volendo dir che fosse Amore / ... non potero / ... diffinir qual fosse il suo valore.