Valori costitutivi e modifiche testuali
Le costituzioni rappresentano fenomeni che investono i valori della convivenza e non possono essere considerate come atti politici o normativi avulsi dai contesti umani cui fanno riferimento. La scienza del diritto costituzionale si presenta storicamente come libera riflessione sul mutare delle dinamiche costitutive dell’ordine giuridico, non come tecnica volta a dar forma alle decisioni costituzionali del potere politico nazionale, internazionale, economico e finanziario. Il ruolo dei giuristi nel dibattito sulle riforme non può ridursi a una consulenza sulla stipula di accordi politici o economici, ma rappresenta un momento significativo ai fini dell’interpretazione dei valori costitutivi della convivenza. Il rinvio dei più ardui problemi istituzionali alla prassi o a intese successive suscita interrogativi sulla rispondenza delle riforme alle reali esigenze di rinnovamento della società italiana.
Per parlare delle riforme istituzionali approvate dal Parlamento nel 2015 e dei possibili orientamenti dell’opinione pubblica e dei partiti politici non basta riflettere sulla scrittura originaria del testo costituzionale, né sul procedimento che ha condotto all’introduzione delle nuove disposizioni; occorrerebbe considerare le reali esigenze di rinnovamento del Paese, sia pure nel quadro delle dinamiche internazionali tenendo anche conto del fatto che i fattori di incertezza investono ormai il ruolo delle costituzioni nazionali, quello dei partiti politici, degli intellettuali, dei giuristi, considerando con attenzione gli sviluppi dell’economia e la crisi degli stessi valori della convivenza. Neppure la più elegante scrittura può assicurare l’immutabilità dei valori etici, politici e giuridici da cui muovono le formulazioni dei testi costituzionali, perché il loro rispetto non deriva dalla fedeltà alla volontà dei padri fondatori, ma dalla condivisione di essi da parte della collettività.
Le costituzioni rappresentano prima di tutto fenomeni storici, giuridici e sociali che trovano espressione in realtà umane e istituzionali, ed hanno radici in comuni credenze, convinzioni, aspettative, che possono essere considerate come storicamente fondative dell’identità nazionale, senza che questo precluda la partecipazione a una più ampia comunità politica e giuridica sovranazionale. La loro scrittura non ha lo scopo di potenziare l’imperatività di alcune solenni enunciazioni e la loro efficacia formale, ma quello, molto più sostanziale, di testimoniare il riconoscimento di alcuni valori storici costituivi della vita sociale1. In questo senso è corretto parlare di “principi” costituzionali, così come di “valori costitutivi”, quali momenti iniziali per la convivenza riconosciuti dalla collettività in ragione del loro contenuto storico, etico e politico. Occorre tornare perciò a parlare dei principi costituzionali, senza lasciarsi troppo condizionare dallo spettacolo offerto dai mezzi di comunicazione, che tendono piuttosto ad accreditare l’opinione che le riforme in corso investano problemi di pura organizzazione, con la conseguenza che la valutazione del loro contenuto sarebbe riservata a pochi tecnici, i soli in grado di calcolare l’entità delle spese connesse all’esercizio dei poteri pubblici e la velocità dei tempi minimi occorrenti per l’esercizio delle funzioni statali e regionali.
Si potrebbero nutrire dei dubbi sull’insistenza con cui si sollecita una gestione sempre più verticistica e accelerata delle procedure di decisione politica e un rafforzamento dei congegni per assicurare l’assoluta prevalenza delle scelte economiche e finanziarie delle autorità sovranazionali. L’occasione da non perdere in un dibattito sulle riforme istituzionali potrebbe essere quella di approfondire criticamente le ragioni della crisi dei valori storici del costituzionalismo e del prevalere di concezioni istituzionali sempre più verticistiche delle funzioni di governo o della governance economica2.
La Costituzione italiana è stata il risultato di un dibattito aperto tra i protagonisti della politica, della cultura e del mondo del diritto di tutto il Paese e la convocazione di un’Assemblea costituente in grado di discutere secondo tempi adeguati e senza eccessive limitazioni ideologiche ha rappresentato un esempio da non dimenticare. Al fondamento della nascita della Costituzione del 1947 si poneva l’esigenza di testimoniare l’adesione degli italiani ai nuovi principi di democrazia parlamentare, solidarietà sociale, pluralismo, Stato di diritto, dignità umana ed a quello del riconoscimento delle autonomie territoriali per molti aspetti profondamente innovativo3.
La vocazione teorica e pratica del diritto costituzionale colloca tale disciplina tra diritto e politica, tra interpretazione dei testi normativi e prassi, sulla base di una riflessione che non si limita a considerare soprattutto l’efficacia degli atti dei poteri pubblici, ma considera anche i contenuti valutativi degli orientamenti costituzionali secondo prospettive ampie e generali. I tentativi di trasformare il diritto costituzionale in una scienza imperativa, strettamente condizionata a una logica fondata solo su enunciazioni testuali e classificazioni dogmatiche, sono destinati a fallire, perché la prima esigenza dell’approfondimento scientifico è che si resti liberi da ogni tipo di condizionamento. Appare perciò fondamentale che il diritto costituzionale non si trasformi in una scienza specialistica e, meno che mai, in una ricerca di tipo esegetico e normativo, del tutto servente rispetto alla prassi politica e agli interessi economici prevalenti e si mantenga fedele a quella prospettiva critica che costituisce l’elemento fondante di ogni visione scientifica4. Il linguaggio del “costituzionalista”, anche se deve molto alla filosofia politica, alla storia del diritto e agli sviluppi della legislazione e della giurisprudenza, deve ricorrere a espressioni giuridiche rigorose, coerenti e aderenti ai fatti, guardandosi da ogni fattore che possa offuscare la vista dei valori costitutivi della convivenza sociale o limitare il discorso ai soli profili relativi all’efficacia degli atti dei poteri pubblici statali e sovranazionali.
Attilio Brunialti, uno dei classici del diritto costituzionale italiano, ha dedicato gran parte della sua opera di studioso a riflettere sui rapporti tra il diritto costituzionale e la politica, sottolineando l’esigenza di mantenere una stretta connessione tra le diverse prospettive teoriche e pratiche delle situazioni prese in considerazione, senza trascurare lo studio della storia, della tradizione giuridica e del diritto comparato. Egli ha sottolineato con energia l’esigenza di prestare attenzione al mutare dell’ordine politico, per giungere alla conclusione che «il diritto costituzionale e la politica dovranno procedere sempre come stretti da fraterna concordia»5.
A una prassi caratterizzata, all’inizio dell’esperienza repubblicana, da un rapporto di proficua collaborazione tra politica e diritto, sembra essersi oggi sostituita una crescente diffidenza nei reciproci linguaggi del diritto costituzionale e della politica6. Oggi il Parlamento è stato chiamato a decidere tenendo soprattutto conto dei problemi organizzativi, della riduzioone delle spese pubbliche e delle nomine alle cariche istituzionali.
2.1 Le procedure di revisione costituzionale
Nel quadro del diffuso formalismo giuridico, che ha finito per prevalere nella prassi costituzionale italiana, incontrando il favore dei partiti politici maggioritari, la procedura di revisione costituzionale è stata finora interpretata come strumento per proporre le più ampie riforme, che hanno poi incontrato difficoltà sia da parte delle opposizioni che nel referendum costituzionale del 2006. Le innovazioni che si intendono introdurre nel testo costituzionale modificano di fatto e di diritto il significato complessivo dell’ordinamento costituzionale italiano, facendo venir meno del tutto la funzione di garanzia che il Costituente riconosce espressamente all’istituto della revisione costituzionale. L’intero processo di riforma considerato nel suo insieme potrebbe ben rappresentare un’ipotesi di abuso della procedura di revisione costituzionale da parte di maggioranze parlamentari che abbiano perduto di vista la profonda differenza storica e giuridica tra la scrittura di una costituzione da parte di un’assemblea costituente eletta dal popolo e il successivo esercizio del potere di revisione costituzionale. La distinzione tra potere costituente e potere di revisione costituzionale non si regge nè su una pretesa volontà originaria dei padri costituenti, nè su astratte necessità di ordine sistematico, ma risponde a fondamentali esigenze storiche e politiche che presuppongono una consapevolezza dei valori costitutivi della convivenza sociale. Il significato della differenziazione tra la scrittura originaria della Costituzione e la parziale rielaborazione di singole parti del testo, apparentemente rigorosa nel quadro della fuorviante dottrina della gerarchia delle fonti, non tiene conto in realtà dell’esigenza di distinguere le categorie giuridiche sulla base delle loro ragioni storico politiche.
2.2 I contenuti della revisione
Le riforme costituzionali di cui si è discusso in Parlamento investono in effetti alcuni tra i punti più caratterizzanti l’assetto costituzionale predisposto dal Costituente, a cominciare dall’eliminazione del bicameralismo paritario, alla trasformazione del governo da organo collegiale di indirizzo politico, ad un organo verticistico, nel quale emerge la figura del Presidente del Consiglio, che dispone di un’ampia serie di poteri di direzione dei lavori parlamentari idonei ad assicurare l’approvazione dei testi governativi in aula o nelle commissioni. È appena il caso di accennare al fatto che alla nuova assemblea che mantiene il vecchio nome di “Senato della Repubblica”, è affidato l’esercizio della funzione legislativa nei soli casi indicati dalla Costituzione, e che a tale organo, che «rappresenta le istituzioni territoriali», è affidato anche il concorso «all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea»: Il Senato “concorre” inoltre alla valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni, nonché alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato, e può esprimere pareri sulle nomine di competenza del governo nei casi previsti dalla legge. Ricordo infine che a queste previsioni si accompagna l’eliminazione delle Province e di alcuni organi consultivi, come il Consiglio dell’economia e del lavoro, che già era stato messo nelle condizioni di non svolgere il proprio ruolo istituzionale. La soppressione infine delle competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni comporta un’espansione delle competenze legislative regionali, contemperata però dalla possibilità di attivare da parte del governo una clausola di supremazia che gli potrebbe consentire, in casi particolari e secondo procedure da predisporre, l’avocazione di materie di competenza legislativa regionale. Molte delle funzioni affidate ad organi o enti territoriali si chiariranno solo attraverso il processo di attuazione delle enunciazioni costituzionali, sul quale non sembra ora il caso di fare previsioni; si ha comunque l’impressione che si stia progressivamente affermando una nuova concezione della Costituzione, caratterizzata da un più largo rinvio alla prassi applicativa di quanto non fosse in passato, con la conseguenza di ampliare i poteri degli organi politici riducendo quelli degli organi di garanzia. Si potrebbe aggiungere che durante la vigenza della Costituzione flessibile o elastica, secondo le espressioni dei giuristi del tempo, almeno una parte autorevole della dottrina cercava di insistere sull’esigenza di mantenere fermi i valori costitutivi dell’ordine giuridico (Saredo, Arcoleo, Miceli, Orlando, Santi Romano), in modo da poter considerare cedevoli soprattutto le enunciazioni di dettaglio, la cui più puntuale determinazione poteva ben essere lasciata alla prassi. Oggi l’eccessiva attenzione della scienza del diritto costituzionale alla dogmatica della rigidità delle fonti del diritto, ha finito per incontrare ostacoli sempre più compatti all’approfondimento del significato storico dei valori costitutivi della convivenza, nel cui quadro dovrebbero continuare ad essere interpretati i principi e le regole enunciati dalla Costituzione. Si potrebbe forse perfino auspicare che il risultato finale, sicuramente non voluto, di un lavoro di scrittura di nuove disposizioni costituzionali, tutt’altro che apprezzabile dal punto di vista della redazione dei testi, possa essere quello di restituire tutta l’importanza a quei valori che attualmente finiscono per essere collocati in secondo piano rispetto ai problemi della contabilità pubblica e della organizzazione istituzionale.
La lettura del progetto di riforma costituzionale suscita interrogativi che non riguardano solo i problemi affrontati nelle enunciazioni testuali, ma investono anche contraddizioni storiche e giuridiche che hanno radici nelle trasformazioni delle società contemporanee e, in particolare, in quelle della società italiana.
Appare anzitutto inadeguato affrontare i problemi dell’innovazione costituzionale in un singolo Paese, membro di una più vasta Unione di Stati, sulla base di un dibattito parlamentare che si svolge in tono minore, senza riuscire a coinvolgere l’opinione pubblica e nel corso del quale si evita di affrontare tanto i contrasti che hanno radici nelle contraddizioni della storia nazionale, quanto i problemi che nascono dallo stato attuale dell’Unione europea e dalla partecipazione italiana alle istituzioni comunitarie. La scrittura delle costituzioni e quella delle leggi di revisione costituzionale dovrebbero rappresentare occasioni importanti per suscitare interesse da parte dell’opinione pubblica sulle reali esigenze di rinnovamento del Paese. Come era già accaduto quando si è proceduto alla revisione dell’art. 81 Cost., riguardante il principio del pareggio del bilancio, il testo della Costituzione torna ad essere oggetto di una profonda modifica dei suoi principi costitutivi, cercando di tenere celato all’opinione pubblica il vero significato delle riforme7. Sarebbe auspicabile che la situazione mutasse durante l’inevitabile consultazione referendaria e che si riuscisse a suscitare almeno interesse per i valori costitutivi della Repubblica e per i contenuti delle riforme istituzionali.
3.1 I rapporti tra Costituzione e ceto politico
Per comprendere il modo in cui il ceto politico e l’opinione pubblica guardano alle costituzioni, occorre rifarsi alla storia del singolo Paese e, se si adotta questo punto di vista, non è difficile giungere alla conclusione che le costituzioni, in quanto fenomeni storici e giuridici, assumono significato esclusivamente sulla base dei dati reali e della loro effettiva capacità di suscitare mutamenti sociali, culturali e politici. Ciò conferma la convinzione che il diritto costituzionale non è una scienza dogmatica – non già nel senso che allo studioso di questa disciplina siano precluse considerazioni di tipo sistematico che spesso aiutano a rendere più chiare le profonde connessioni giuridiche – ma nel senso, molto più intenso, che l’idea stessa di Costituzione e di disposizioni costituzionali sono un portato della storia e dello sviluppo della prassi8. Arturo Carlo Jemolo scriveva nel 1981: «le costituzioni rigide non hanno potuto mai fermare la storia; la coscienza popolare le ha sempre scavalcate», concludendo molto lucidamente che «occorre contare solo sugli uomini, che possono operare bene con leggi cattive, e male con le costituzioni più perfette»9. Gustavo Zagrebelsky, commentando il pensiero di Jemolo, ha espresso l’opinione che «forse sarebbe giusto indicare» le cause che hanno finito per rendere talora incerta l’interpretazione della Costituzione italiana, aggiungendo che tali cause andrebbero cercate «più che nelle norme costituzionali, nelle grandi trasformazioni avvenute nella struttura sociale»10 e molto opportunamente ha osservato che «la democrazia … è destinata a una metamorfosi degenerativa se non può contare su ‘buoni cittadini, buoni amministratori, una classe politica degna’»11. Vorrei ancora citare, a proposito della scrittura delle costituzioni, le parole di Riccardo Orestano, che nello scritto sull’Assemblea costituente francese del 1871, commentando «l’opera di compromesso da cui scaturisce la Costituzione del 1875», osserva «la mancanza di principi assoluti e rigidi e la sommarietà delle norme ne rese possibile l’adattamento a situazioni del tutto diverse da quelle previste. Opera della storia, la storia stessa l’ha continuamente sottoposta alla propria revisione, contro ogni regola e contro ogni aspettativa»12.
3.2 La comunicazione sociale
Sarebbe importante che il dibattito sulle riforme uscisse dai recinti parlamentari e dalle riunioni dei partiti o movimenti politici per coinvolgere l’opinione pubblica, rappresentata da chi vive le esperienze delle comunità territoriali, dei rapporti con lo Stato e con i poteri pubblici, fuori dei circuiti informatici e delle organizzazioni partitiche. Tale situazione potrebbe avere l’effetto di consentire a tutti i cittadini di ritrovare unità e fiducia nella propria identità costituzionale, con la conseguenza che sarebbe forse possibile evitare che continuino ad occuparsi dei problemi costituzionali del nostro Paese “esperti” di altri Paesi europei economicamente più forti o “comparatisti” italiani che abbiano acquistato credito, presso i partiti di maggioranza, per la loro capacità di fare riferimento a modelli organizzativi dei Paesi in grado di esercitare un’egemonia istituzionale in Europa.
La Costituzione italiana, nel caso in cui non sia stata raggiunta un’alta maggioranza di consensi, nell’approvazione delle riforme da parte del Parlamento, riserva al popolo la decisione finale sulle leggi di revisione costituzionale; la migliore dottrina (basti citare C. Mortati) ritiene che tale previsione rappresenti un momento fondamentale di garanzia nel procedimento di revisione della Costituzione, anche perché è una delle poche occasioni per ampliare la partecipazione dell’opinione pubblica al di là delle ristrette cerchie dei politici di professione e degli specialisti di diritto costituzionale. Non è facile fare delle previsioni sugli esiti di una pronuncia popolare, tanto più di fronte a riforme costituzionali parziali che pretendono di presentarsi nelle vesti di ritocchi solo tecnici della parte organizzativa della Costituzione, al fine di accelerare il funzionamento dei raccordi tra le istituzioni nazionali e quelle dell’Unione europea. Dipenderà dagli stessi partiti, dalla partecipazione degli intellettuali e degli stessi giuristi, se l’occasione offerta all’opinione pubblica sarà utilizzata per approfondire il significato storico e politico delle riforme proposte e se si potrà riuscire a ridare vita e speranze alle aspettative di miglioramento delle nostre istituzioni.
1 Capograssi, G., Frammento sulle costituzioni e sulle procedure, in Scritti postumi e inediti, pag. 389; nonché le considerazioni di diversi Autori in “Diritto romano attuale”, Napoli, 1999, nel fascicolo intitolato “Le costituzioni e la storia” che espressamente si ispirano alla tesi secondo cui “La costituzione è un punto di partenza”; Zagrebelsky, G., Contro la dittatura del presente. Perché è necessario un discorso sui fini, Bari-Roma, 2015, 32 ss.
2 Cfr. Amirante, C., L’Unione europea, figlia del diritto transnazionale, ha sovvertito il primato del diritto costituzionale, in Becchi, P. Bianchi, A., Oltre l’Euro, Cesena, 2015, p. 172 ss.; Id., Dalla forma Stato alla forma mercato, Torino, 2008, passim; Id. Dal governo rappresentativo alla governance, in corso di stampa; Amirante, C.Pascali, M., Alien. Immigrazione clandestina e diritti umani, Napoli, 2015, p. 1 ss.; Borelli, F., La governance europea contrasta con i valori democratici dei singoli Stati, in Becchi, P.Bianchi, A., Oltre l’Euro, cit., p. 211 ss.
3 Come lucidamente affermato, ad esempio, in Crisafulli, V., Lo spirito della Costituzione, in Il Messaggero, 2.1.1958, ripubblicato in AA.VV., Discorsi e scritti sulla Costituzione, Milano, 1958, p. 99 ss.
4 Si vedano in proposito le considerazioni di Betti, E., Teoria generale dell’interpretazione, ed a cura di G. Crifò, Milano, 1990, p. 147 ss., p. 205 ss.; Giuliani, A., Droit, mouvement, reminiscence, in Archive de philosphie du droit, 1984, tome XXIX, 111 ss.
5 Brunialti, A., Il diritto costituzionale e la politica nella scienza e nelle istituzioni, in Biblioteca di scienze politiche ed amministrative, Seconda serie, vol. VII, parte I, p. 48 ss., Torino, 1895.
6 Si vedano tra i significativi interventi dei costituzionalisti italiani a proposito delle riforme costituzionali gli scritti di Cerrone, F., Memoria per la Commissione Affari costituzionali del Senato, luglio 2015; Ridola, P., Audizione dinanzi alla Commissione del Senato, 2015; Niccolai, S., Memoria per l’audizione davanti alla Prima commissione del Senato sul progetto di revisione costituzionale, 28.7.2015; Ainis, M., Le sette bugie da smascherare, in Corriere della Sera, 18.9.2015; Ridola, P., Audizione dinanzi alla I Commissione del Senato, luglio 2015; Pinelli, C., Senato, Quante tesi bizzarre, in l’Unità, 3.9.2015; Zagrebelsky, G., Non umiliate il Parlamento, Il Fatto Quotidiano, 8.9.2015 e i rinvii contenuti negli scritti di questi Autori alla letteratura giuridica sull’argomento.
7 Cfr. Guarino, G., Cittadini europei e crisi dell’Euro, Napoli, 2014; Id. Saggio di verità n. 3 sull’Europa e sull’ Euro: La Grecia, in AA.VV., Oltre l’Euro, cit., p. 153 ss.; Guarino, G. Amirante, C., Dalla forma Stato alla forma mercato? Prove di dialogo tra economisti, giuristi e storici, in Amirante, C. Gambino, S., Weimar e la Crisi europea, Cosenza, 2013, p. 237 ss.; Stammati, S., Dalla comparazione fra leggi alla comparazione fra ordinamenti, giugno 2015, in Scritti Cerri, in corso di stampa; Cervati, A.A., A proposito dei valori costitutivi del processo di integrazione europea, in AA.VV., Scritti in memoria di Albino Saccomanno, a cura di P. Stancati, Roma, 2013, p. 165 ss; Id., Riforme costituzionali e principi in tema di sfera pubblica e interessi privati, in Aperta contrada, 2012.
8 Sulla storia dell’idea di Costituzione si veda il bel libro di Bastid, P., L’idée de constitution , Paris, 1963, p. 3 ss e passim.
9 Jemolo, A. C., Un bilancio: trent’anni di Repubblica, in Id., Questa Repubblica. Dal ’68 alla crisi morale, Firenze, 1981, p. 280.
10 Zagrebelsky, G., Introduzione a A.C. Jemolo, Che cos’è la Costituzione, Roma, 2008, p. 17, il quale aggiunge che, quando scriveva Jemolo, «non appariva ancora la trama della corruzione pubblica e privata … né l’intreccio profondo tra la criminalità comune e la politica ufficiale» (Id., op. loc. cit., p. 22).
11 Zagrebelsky, G., Introduzione ad A. C. Jemolo, cit., p. 20 ss.
12 Orestano, R., L’Assemblea nazionale francese del 1871, Roma, 1948, pp. 151-155.