VALUTA
Disciplina valutaria in Italia. - Nel linguaggio corrente, come in quello economico, il termine valuta è normalmente considerato sinonimo di moneta (v. XXIII, p. 632); nel linguaggio giuridico il termine non ha, invece, un significato univoco, essendo utilizzato con riguardo a una pluralità di ipotesi, che si riferiscono a fatti e/o atti fra di loro diversi, assoggettati − in linea di principio − a un'autonoma e specifica disciplina giuridica. In via generale il termine v. può comunque essere assunto in un duplice senso: quello di (necessario) strumento di regolamentazione delle relazioni economiche e finanziarie sia fra soggetti residenti nello stesso stato sia fra costoro e soggetti residenti all'estero; quello di un bene particolare, che può essere di per sé oggetto di specifici negozi giuridici. Nel primo caso la disciplina della v. si risolve nelle regole proprie dell'ordinamento valutario, e in particolare nelle norme relative a rapporti giuridici che comportano movimento di capitali (fra residenti nello stato e non residenti) nonché all'organizzazione creata dallo stato per garantire il corretto funzionamento del sistema valutario; nel secondo caso la v. (moneta) è oggetto stesso delle negoziazioni, ovvero individua la natura della prestazione dovuta da un soggetto a un altro.
Con riguardo a tale distinzione, si può osservare come negli ordinamenti moderni, e in particolare in quello italiano, la disciplina valutaria sia correttamente ritenuta una forma d'intervento dello stato nell'economia, specificamente diretta a regolare i movimenti di capitale fra soggetti residenti nello stato e soggetti a qualsiasi titolo non residenti. Tale circostanza spiega altresì come il contenuto della disciplina abbia portata relativa, potendo variare nel tempo in relazione alle esigenze di salvaguardia dell'economia e della finanza pubblica che s'intendono di volta in volta tutelare. In tal senso l'evoluzione della legislazione valutaria, nel nostro paese, appare il diretto riflesso di una politica di progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali, suggerita da un complesso di ragioni di carattere tecnico e giuridico nonché dalla sempre più penetrante integrazione − ancor prima sul piano economico che su quello politico − delle economie dei diversi paesi e dei mercati finanziari (a livello sia europeo che extraeuropeo).
In questa prospettiva è agevole intendere come l'adesione dell'Italia al trattato istitutivo della CEE abbia avuto una decisiva influenza sull'attuale stato della legislazione. Il trattato contempla infatti la soppressione, da un lato, delle restrizioni alla circolazione dei capitali fra i soggetti residenti nei paesi membri nonché delle discriminazioni di trattamento e, dall'altro, impone che i pagamenti relativi allo scambio di merci, servizi e capitali come anche i trasferimenti di capitali e di salari, siano effettuati nella v. dello stato membro in cui risiede il creditore o il beneficiario. I principi enunciati nel trattato hanno avuto rapida attuazione alla fine degli anni Ottanta, a seguito dell'emanazione di un'espressa direttiva comunitaria e, soprattutto, dell'intervenuta firma del trattato di Maastricht sull'Unione Europea del 7 febbraio 1992, la cui attuazione è destinata a eliminare nei paesi aderenti ogni restrizione in campo valutario, essendo previste la sostituzione della moneta dei singoli stati con la moneta unica europea (ECU) e la costituzione di un'unica Banca Centrale Europea (BCE).
La vigente legislazione valutaria dunque è frutto dell'adeguamento (anche se parziale) dell'ordinamento interno alle esigenze di liberalizzazione dei mercati imposta soprattutto dal Trattato di Roma. Con il d.P.R. 31 marzo 1988 n. 148, portante il Testo Unico delle norme di legge in materia valutaria (e con le sue successive modificazioni e integrazioni), si è innanzi tutto superato il restrittivo principio dell'autorizzazione, per il quale ogni operazione con l'estero era vietata in assenza di autorizzazione espressa. Il divieto trovava un suo naturale completamento nel regime di monopolio dei cambi, consistente nell'obbligo "per gli operatori economici di negoziare valuta in contropartita con un unico soggetto abilitato" per legge (e il divieto era esteso anche agli atti di disposizione di crediti, titoli emessi o pagabili all'estero e quote di partecipazione in società aventi la sede all'estero). Inoltre le violazioni delle norme valutarie erano, in linea di principio, soggette a sanzioni penali. Con la l. 21 ottobre 1988 n. 455 si è provveduto a depenalizzare tali violazioni, che risultano così riqualificate come illeciti amministrativi e come tali sanzionate.
In coerenza con i suddetti indirizzi, l'art. 5 del d.P.R. n. 148 cit. dispone che le relazioni economiche e finanziarie con l'estero siano libere, con la conseguenza che i residenti possono "obbligarsi, in conformità alle leggi civili, con i non residenti; ricevere direttamente da non residenti, in Italia ed all'estero, biglietti di banca e di stato esteri e titoli di credito che servono per effettuare pagamenti, estinguibili in valuta o in lire di stato estero; compiere fra di loro atti di disposizione contro lire relativamente ad attività o passività sull'estero, eccettuate le valute estere". Analogamente i non residenti possono, fra l'altro, effettuare in Italia pagamenti per l'acquisto di merci e servizi nonché investimenti mediante impiego di v. estera; trasferire all'estero i redditi dei loro investimenti e i capitali dagli stessi derivanti; convertire in una qualsiasi v. estera le lire possedute; riesportare la v. estera o nazionale importata; offrire prodotti e servizi finanziari. L'enunciazione di libertà nelle relazioni economiche e finanziarie di cui all'art. 5 non deve essere letta, peraltro, in termini assoluti. A conferma, infatti, della stretta correlazione fra la disciplina valutaria e le esigenze di governo dell'economia, in presenza di tensioni valutarie e di eccessivo afflusso di capitali, la legge consente che siano adottati misure restrittive e vincoli temporanei a carico degli operatori economici al fine di assicurare la stabilità della lira sul mercato dei cambi o per contrastare effetti dannosi all'equilibrio della bilancia dei pagamenti (art. 13 del d.P.R. 31 marzo 1988 n. 148). È invece rimasto fermo il principio del monopolio dei cambi, imperniato sull'obbligo − per i residenti − di versare o cedere le v. estere nonché di depositare i titoli e gli altri valori mobiliari esteri nei termini e secondo le modalità fissate dalle competenti autorità ministeriali. Sempre come effetto del monopolio e della gestione dei cambi da parte dello stato, è tuttora previsto per i residenti il divieto di costituire depositi, esportare o detenere all'estero disponibilità in v. o in lire, aprire linee di credito in v. o in lire in favore dell'estero, di effettuare con contropartite estere operazioni a termine o con opzione. Trattasi, peraltro, di obblighi e divieti derogabili mediante autorizzazione del ministro competente (attualmente i divieti di cui all'art. 6 del d.P.R. 31 marzo 1988 n. 148 sono derogati dal D.M. 27 aprile 1990).
Il sintetico quadro sin qui tracciato consente di sottolineare come i presupposti per l'applicabilità della disciplina valutaria vigente siano sostanzialmente costituiti dalla definizione di v. e di residenza valutaria. Per quanto concerne la nozione di v. estera, la stessa va desunta dall'espressa elencazione contenuta nell'art. 2 del d.P.R. n. 148 citato. In forza di tale disposizione deve intendersi per v. estera non soltanto la moneta in senso tecnico (biglietti di banca e di stato esteri aventi corso legale), ma anche i titoli di credito che servono per effettuare pagamenti estinguibili in monete aventi corso legale all'estero o in ECU, i titoli di credito di natura obbligazionaria in scadenza entro un termine non superiore a sei mesi, estingubili all'estero e denominati in monete aventi corso legale all'estero o in ECU e, infine, i crediti liquidi ed esigibili derivanti da conti aperti presso le banche o altri intermediari finanziari estinguibili in monete aventi corso legale all'estero o in ECU.
Più articolata risulta la nozione di ''residenza valutaria'' in quanto la stessa è ancorata non già a condizioni suscettibili di oggettiva certificazione (come si verifica per es. per la residenza anagrafica), ma "consiste in una mera qualificazione, attribuibile in presenza di determinate condizioni di fatto". Per la legge sono pertanto considerati residenti tanto i cittadini italiani con dimora abituale in Italia ovvero quelli con dimora abituale all'estero − limitatamente alle attività di lavoro subordinato svolte in Italia ovvero alle attività di lavoro autonomo o d'impresa svolte non occasionalmente in Italia − quanto le persone fisiche, con dimora abituale in Italia e no, provviste di cittadinanza italiana, per le attività di lavoro subordinate o di lavoro autonomo e d'impresa non occasionali svolte in Italia. Analogamente, sono considerate residenti le persone giuridiche, le associazioni e le organizzazioni senza personalità giuridica con sede effettiva in Italia ovvero quelle che hanno sede all'estero e sede secondaria in Italia, limitatamente alle attività esercitate in Italia con stabile organizzazione. Tutti gli altri soggetti, ancorché cittadini italiani, che non si trovino nelle condizioni anzidette non sono ''residenti'' e quindi assoggettati alla disciplina valutaria (anche se questo requisito ha visto diminuire la rilevanza originariamente ascrittagli a seguito dell'attuazione della direttiva comunitaria 24 giugno 1988 n. 88/361 e del D.M. 27 aprile 1990; un trattamento particolare è riservato ai soggetti, persone fisiche e non, con dimora abituale e iscritti all'anagrafe del comune di Campione di Italia ovvero aventi in tale comune la sede effettiva).
Un ultimo aspetto della questione concerne l'organizzazione, complessa e articolata, della pubblica amministrazione preposta all'attuazione e all'applicazione della disciplina valutaria.
Al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICRI) è per legge devoluta l'alta vigilanza in materia di risparmio, di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria. Le competenze del Comitato concorrono e s'integrano con le competenze successivamente attribuite al Comitato Interministeriale per la Politica Economica Estera (CIPES) e al Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS). Competenze particolari sono attribuite al ministero del Commercio estero, al ministero del Tesoro e al ministero delle Finanze. In via generale può condividersi l'opinione di chi ritiene che ai ministeri ora ricordati competono essenzialmente responsabilità operative. Ciò nondimeno un ruolo di particolare rilevanza spetta al ministero del Commercio estero che, in conformità ai compiti istituzionali, fin dall'origine "esercita tutte le attribuzioni inerenti ai rapporti commerciali con l'estero, sia rispetto ai privati che alle pubbliche amministrazioni". Tale attribuzione spiega altresì perché a questo ministero sia assegnato, talvolta di concerto con il ministero del Tesoro, anche il compito di dare attuazione alla disciplina valutaria disegnata nella riforma di cui al d.P.R. n. 148 del 1988. Anche al ministero del Tesoro spettano competenze significative in materia sia di vigilanza sull'Ufficio italiano cambi e gli investimenti esteri, sia di adozione di provvedimenti straordinari per la salvaguardia del mercato finanziario. Spetta inoltre al ministro del Tesoro di determinare le sanzioni amministrative pecuniarie relative alle violazioni valutarie. Ormai marginali sono invece le competenze in materia del ministero delle Finanze.
Un ruolo essenziale nella disciplina vigente è svolto dall'Ufficio Italiano dei Cambi (UIC), un istituto di diritto pubblico, con personalità giuridica e gestione autonoma sottoposta a vigilanza del ministero del Tesoro. Compito fondamentale dell'UIC è "acquistare e vendere a pronti o a termine oro, divise estere, biglietti di stato e di banca esteri, titoli esteri ed italiani emessi all'estero, titoli italiani emessi in valuta estera" e di eseguire in genere tutte le connesse operazioni. In attuazione del monopolio dei cambi, fatto salvo dalla riforma della disciplina valutaria, l'UIC è − unitamente alla Banca d'Italia −istituzionalmente abilitato a operare in cambi in contropartita con residenti o non residenti (art. 4 del d.P.R. 148 cit.); ha inoltre competenze ''normative'' che esercita tramite l'emanazione di circolari, e di vigilanza valutaria tramite l'apposito Ufficio ispezione. La recente riforma ha peraltro ampliato i compiti dell'UIC, il quale − nella sua attività di vigilanza sull'osservanza delle norme valutarie − al fine di prevenire e accertare violazioni provvede a effettuare ogni controllo, verifica e ispezione (anche presso gli istituti creditizi) ritenuti necessari (art. 25 del d.P.R. n. 148 cit.). Per quanto riguarda il ruolo e le competenze della Banca d'Italia in materia valutaria, si ricorda che la riforma le consente di avvalersi, nell'esercizio delle proprie competenze in materia, delle banche agenti, che operano peraltro in nome e per conto proprio. Un ruolo minore è infine svolto anche dalla Sezione speciale dell'INA per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione (SACE).
Si è accennato all'inizio che il termine v. può essere utilizzato, nel linguaggio giuridico, con una pluralità di significati. Ci si può riferire infatti alla v. per individuare − nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie − la disciplina applicabile all'estinzione dei debiti pecuniari (come usa farsi con riguardo alla distinzione fra debito di valuta, che si estingue con moneta avente corso legale nello stato e per il suo valore nominale, e debito di valore, suscettibile di rivalutazione); nell'ambito della disciplina cambiaria il rapporto di v. obbliga il sottoscrittore del titolo nei confronti del prenditore, così come il riferimento alla v. in talune clausole apponibili alla girata del titolo (v. per l'incasso, v. in garanzia richiamate agli artt. 22 e 23 della legge cambiaria) ne limita la circolazione.
Bibl.: Il sistema valutario italiano, a cura di F. Capriglione e V. Mezzacapo, Milano 1981; G. Visentini, A. Di Amato, La valuta, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, a cura di F. Galgano, Padova 1983; C. Franceschini, La disciplina giuridica del commercio con l'estero, ivi 1987; B. Santamaria, La nuova disciplina valutaria, Milano 1987; M. Nardo, Diritto valutario, Torino 1988; M. Delfino, Valuta, in Enc. del diritto, vol. 46, Milano 1993, pp. 214-36; A. Mengali, Sistema valutario italiano, in Enciclopedia Giuridica, vol. 29, Roma 1994; M.P. Chiti, Valuta e Cambi, ibid., vol. 32, ivi 1994.