VALVISCIOLO
L'abitato e la necropoli situati presso l'odierna Abbazia di V., alle pendici meridionali dei Monti Lepini (provincia di Latina) sono cronologicamente inquadrabili dalla fase II B della civiltà laziale alla fine del VI sec. a.C. Non è precisabile il nome antico del sito: sono di estrema labilità le identificazioni proposte con Sulmo (Savignoni, Mengarelli) o con Pometia (Ogilvie).
La necropoli, in località Caracupa, scavata all'inizio di questo secolo, consta di c.a cento tombe, riferibili ai periodi II B-IV B della civiltà laziale. A parte quattro tombe a incinerazione, il rito è quello dell'inumazione, in fosse, spesso con casse lignee e corredi che documentano la piena partecipazione del sito alla civiltà laziale. Alla IV fase sono riferibili deposizioni con carro.
L'abitato occupa la dorsale di Monte Carbolino, subito a monte dell'Abbazia di V., ove si conserva un complesso sistema di muri in opera poligonale, che scandiscono quelle pendici. Contemporaneamente allo scavo della necropoli, all'inizio di questo secolo, tali strutture furono oggetto di accurate campagne di scavo, volte a definirne funzione e datazione. Presso il muraglione più a valle, furono poste in luce tombe dei periodi II Β e III della civiltà laziale; presso l'estremità settentrionale si rinvenne una stipe votiva con materiali che dalla prima Età del Ferro scendono fino all'inizio del VI sec. a.C.; nella colmatura dei terrapieni venne recuperato materiale ceramico della prima Età del Ferro, presumibilmente pertinente alle fasi dell'abitato anteriori alla costruzione dei muraglioni. In base a tali dati venne allora avanzata una datazione per la costruzione dei muri in opera poligonale all'inizio del VII sec. a.C.: non sono state condotte da allora altre indagini di scavo, a verifica di tale proposta, per la quale non vi sono tuttavia elementi a sfavore.
La definizione funzionale delle strutture ha suscitato già dal tempo degli scavi forti perplessità: in mancanza di una precisa planimetria dell'intero complesso, la serie di muri è stata interpretata come una fortificazione sui generis, come terrazzamenti agricoli, come piani terrazzati a uso di un abitato.
Il recente rilevamento sistematico delle strutture, con la realizzazione della loro planimetria, ha chiarito come queste vengano a costituire un vero e proprio complesso unitario di abitato, in sé concluso e ordinato in un potente sistema di terrazzi, che costituiscono insieme la sua pianificazione e difesa. Seguendo la costolatura del monte, le mura si dispongono con andamento grosso modo a V, l'una sull'altra, con otto e nove linee di fronte sui lati, sviluppandosi dal vertice fino ai limiti laterali della costa montana. Il muro inferiore, che è anche il più lungo, forma un perimetro unitario, di c.a 450 m di lunghezza: partendo dal vertice inferiore della spina montana, la aggira da Ν per risalire con andamento spezzato la conca fino al limite sulla slavina settentrionale. Le altre fronti terrazzate gli si rilevano l'una sull'altra, raccordandosi ciascuna alla spina dirupata della crosta calcarea, che viene a costituire la cerniera del sistema. Nella pianificazione così costituita, ogni terrazzo si presenta in modo da dominare e controllare quello sottostante: si determina in tal modo un concatenamento interno che si scagliona in profondità, per cui, procedendo da valle a monte, ogni ripiano poteva essere attrezzato per mantenere la propria autonomia tattica. Ciò è evidenziato anche dalle porte che si aprono sulle rispettive fronti murarie, che non sono semplici varchi, ma vere porte di difesa, legate in genere a principi di tipo «sceo».
Tutti i muri sono costruiti con scaglioni di monte, estratti sul posto stesso e rozzamente sgrossati con colpi di mazza, montati allettando con cura massi maggiori e minori con la piena connessione di ogni interstizio nella faccia vista; hanno spessore in media di m 2,20 e si alzano fino a 5-8 m di altezza.
L'impianto, in base alle caratteristiche descritte, costituisce un esempio del tutto particolare di urbanistica in età arcaica nel Lazio e si segnala per la precoce utilizzazione dell'opera poligonale in un impianto di fortificazione.
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(S Quilici Gigli)