vandali
Nome che indicò dapprima un vasto gruppo di popoli germanici orient. di cui facevano parte, fra gli altri, i burgundi e i goti, ma che si restrinse successivamente a una singola gente, cui Tacito attribuisce il nome di lugii. Stanziati all’inizio sulle coste del Baltico e sulla Vistola, furono costretti dall’arrivo di altre popolazioni germaniche (longobardi, rugi, burgundi) a spostarsi verso nuove sedi nell’Europa centrale (Slesia, Polonia merid.), dove furono tuttavia raggiunti dai silingi, ai quali, insieme agli asdingi, restò il nome di vandali. La migrazione dei goti, dalla Vistola inferiore in direzione S-E, nel corso del 2° sec., spinse anche i v. a un nuovo trasferimento, sembra ai confini della Dacia e sul Tibisco superiore. Nello stesso tempo sostennero lunghe lotte, protrattesi fino al 4° sec., con i goti medesimi, subendo nel 335 una sconfitta decisiva che costò anche la vita al loro re Visimero. Determinante per il loro futuro si dimostrò però, come per tutti gli altri germani, l’invasione degli unni. Sospinti da costoro e costretti anche dall’insufficienza economica delle sedi che occupavano, essi penetrarono nel Norico e nella Rezia e accettarono l’offerta di Stilicone di porsi al servizio dell’impero come federati. La religione, probabilmente, già dagli ultimi decenni del 4° sec., era l’ariana, che poté essere diffusa fra i v. dai goti loro vicini dopo la predicazione di Ulfila. La tregua fra l’impero e i v. durò tuttavia ben poco, perché cinque anni dopo, nel 406, essi, insieme agli alani e agli svevi, ripresero il cammino verso occidente. Attestatisi sul Reno, ne forzarono il passaggio all’altezza di Magonza, dove i franchi, federati dell’impero, opposero loro una disperata resistenza. Infranta quest’ultima il 31 dic. 406, essi dilagarono per la Gallia. Per due anni razziarono così le regioni galliche, radendo al suolo molte città, finché nel 409, superati i passi dei Pirenei rimasti sguarniti di ogni difesa, penetrarono nella Penisola Iberica, dove si fissarono con una certa stabilità dopo la conclusione di un trattato che assegnava agli asdingi e agli svevi la Galizia, ai silingi la Betica, agli alani la Lusitania e i dintorni di Cartagena. Alcuni anni dopo, Vallia, re dei visigoti, giunse in Spagna per ordine dell’imperatore con l’incarico di debellare gli usurpatori: i silingi e gli alani furono annientati e i pochi di essi che si salvarono trovarono rifugio presso gli asdingi e gli svevi, che riuscirono a evitare la medesima sorte solo perché Vallia fu richiamato in Gallia (418) dal comandante Flavio Costanzo (il futuro imperatore Costanzo III). Di tali circostanze approfittarono gli asdingi, il cui re, Gunderico, raccolti sotto la propria protezione i resti degli alani e dei silingi, e costretti gli svevi alla sottomissione, assunse il titolo di rex Vandalorum et Alanorum, estendendo la propria sovranità su tutte le genti che insieme ai v. erano giunte nella Penisola Iberica. Successore di Gunderico (m. 428) fu il fratellastro Genserico, che fu il vero fondatore del regno dei vandali. Chiamato dal comandante romano Bonifazio, che intendeva servirsi dei v. per contrapporli alle truppe del patrizio Felice, Genserico, passato nel maggio 429 lo Stretto di Gibilterra, irruppe nell’Africa settentr. con tutto il suo popolo e avanzò saccheggiando e distruggendo: conquistò (431) Ippona e ottenne (435) di abitare i territori occupati pagando tributi quale federato; ma poco dopo prese anche Cartagine (439) e si fece riconoscere dall’imperatore Valentiniano III la piena sovranità sulla Mauretania, la Tingitana, la Zeugitana, la Bizacena e la Numidia proconsolare. Allestita una potente flotta, i v. si diedero alla pirateria e alle incursioni, finché (455) Genserico, traendo pretesto dall’assassinio dell’imperatore Valentiniano III (la cui figlia Eudocia, promessa in sposa al proprio figlio Unnerico, era stata invece obbligata alle nozze con Palladio, figlio dell’usurpatore Petronio Massimo), dalle coste africane raggiunse la foce del Tevere e per due settimane Roma fu messa a sacco, nel corso del quale furono fatti numerosi prigionieri (fra cui Eudocia, che fu costretta a mantenere fede alla promessa di matrimonio con Unnerico). Se Genserico fu abile guerriero, non altrettanto felice fu la sua politica all’interno del suo regno. Invece di promuovere misure capaci di garantire una pacifica convivenza tra v. e romani, egli acuì i dissensi con le feroci persecuzioni religiose verso i non ariani. Alla sua morte (477) la situazione divenne ancora più tesa; sotto i suoi successori Unnerico (477-484), Guntamundo (484-496), Trasamondo (496-523), Ilderico (523-530), periodi di fanatismo ariano e di persecuzione dei cattolici e in genere dei romani si alternarono a pause di tregua e anche, da parte di qualche sovrano, di sincera volontà di conciliazione e di tolleranza. Su questa linea politica s’incamminò risolutamente Ilderico, figlio di Unnerico ed Eudocia, ma la sua sensibilità politica, intesa alla ricerca effettiva di un equilibrio tra cattolici e ariani, tra romani e v., incontrò l’ostilità della parte del popolo vandalo contrario alla romanità e al cattolicesimo. A capo di questa si pose Gelimero, un pronipote di Genserico, che, deposto nel 530 Ilderico, cinse la corona reale. Ma a difesa del sovrano spodestato intervenne Giustiniano con una flotta al comando di Belisario. Gelimero fu sconfitto (apr. 533); i v. prigionieri furono in parte incorporati nella cavalleria imperiale, in parte mandati ai confini dell’impero o venduti come schiavi; dopo un’ultima sommossa (536) i v. scomparvero dalla storia.