VANGELI
Nell'ambito della tradizione manoscritta dei v., le fasi iniziali della costituzione di un apparato illustrativo a corredo della narrazione degli episodi della vita e dell'insegnamento di Gesù sono piuttosto oscure.
Papiri e codici disadorni, saltuariamente abbelliti nel testo da semplici decorazioni calligrafiche, costituiscono tutto ciò che rimane della produzione primitiva dei v. tra i secc. 2° e 5° (Metzger, 19923). Tracce dell'esistenza di una tradizione illustrativa libraria dei v. in questo periodo sopravvivono tuttavia in due tetravangeli bizantini della seconda metà del sec. 11° o della prima metà del successivo (Parigi, BN, gr. 74; Firenze, Laur., Plut. 6.23), che rimandano a modelli paleocristiani sia nelle scelte iconografiche sia nell'organizzazione dell'apparato illustrativo in cicli narrativi eccezionalmente estesi e densi, con miniature distribuite nelle colonne del testo, in modo analogo ai codici della Bibbia (v.) dei secc. 5°-6° (Millet, 1916; Weitzmann, 1950; 1977; Wessel, 1971; Tsuji, 1975; 1995).I più antichi manoscritti illustrati dei v. pervenuti risalgono solo al sec. 6° o agli inizi del successivo. I v. greci di Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286) e di Rossano (Mus. Diocesano), quelli siriaci di Rabbula (Firenze, Laur., Plut. 1.56; v. Rabbula, Vangelo di) e Parigi (BN, syr. 33) e quelli latini di S. Agostino (Cambridge, C.C.C., 286), come anche quattro miniature a piena pagina provenienti da un codice armeno degli inizi del sec. 7°, inserite a chiusura dei più tardi v. di Ejmiacin, del 989 (Erevan, Matenadaran 2374, cc. 228r-229v; Macler, 1920; Der Nersessian, 1933; 1964; Treasures in Heaven, 1994), riflettono una fase già avanzata sia nel processo di costituzione di una specifica tradizione manoscritta di illustrazione del racconto della vita di Cristo sia nell'elaborazione della struttura decorativa complessiva dei codici dei v., nella quale già appaiono elementi costitutivi quali le tavole dei canoni (v. di Rossano, v. di Rabbula, v. di Parigi) e i ritratti degli evangelisti (v. Canoni, Tavole dei; Evangelisti). L'abbandono del sistema illustrativo di tipo continuo, originato nell'ambito della decorazione dei rotuli, attraverso lo spostamento delle scene al di fuori dello specchio scrittorio si traduce nell'elaborazione di una gamma di soluzioni in seguito largamente sfruttate nell'illustrazione medievale dei v.: le immagini vengono dislocate lungo i margini del testo nei v. di Sinope, all'inizio dei singoli v. nel codice di S. Agostino o a introduzione dell'intero manoscritto nelle miniature di Erevan e nei v. di Rossano, di Rabbula e di Parigi. Nei v. di Rabbula e di Rossano la presenza di un ciclo unico in apertura di codice - composto da scene ricavate dal confronto dei testi dei singoli evangelisti disposte in sequenza cronologica ai lati delle tavole dei canoni (v. di Rabbula) o nelle carte immediatamente seguenti (v. di Rossano) - risponde al problema pratico della ripetizione delle illustrazioni degli stessi episodi nei quattro v., fornendo al tempo stesso un corrispettivo visivo delle elaborazioni dottrinali relative al concetto dell'armonia e dell'unitarietà della narrazione evangelica sostenuto da Taziano (sec. 2°), rielaborato da Eusebio di Cesarea (ca. 265-339/340) e riproposto nelle pericopi dell'anno liturgico (Loerke, 1987).
Benché lo stato frammentario in cui alcuni di questi cicli illustrativi sono pervenuti non permetta di coglierne esattamente l'estensione originaria, le scelte iconografiche appaiono evidentemente incentrate sul racconto della vita pubblica e dell'insegnamento di Cristo, con particolare enfasi nella rappresentazione dei miracoli e delle parabole, mentre il racconto degli episodi relativi al concepimento e all'infanzia del Salvatore, che nelle arti monumentali aveva già dato vita a cicli di ampio respiro, come quello dell'arco trionfale della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (432-440), viene limitato a una selezione di poche scene, scelte tra l'Annuncio a Zaccaria, l'Annunciazione della Vergine, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Strage degli innocenti, Cristo fra i dottori e il Battesimo di Cristo. Il più ampio di questi complessi illustrativi, quello dei v. di Rabbula, viene a configurare un ciclo narrativo pressoché completo, che va dall'Annunciazione (c. 4r) alla Pentecoste (c. 14v), all'inizio della storia della Chiesa con l'Elezione di Matteo (c. 1r).Destinata a un largo seguito nel Medioevo è inoltre l'introduzione nell'illustrazione di elementi non narrativi, quali le figure di profeti dell'Antico Testamento, a fornire un corrispettivo tipologico delle scene evangeliche (v. di Sinope, v. di Rossano, v. di Rabbula), o la creazione ex novo di scene di carattere simbolico-dottrinale prive di un preciso riscontro testuale nei v., come la Comunione degli apostoli nei v. di Rabbula (c. 11v) e di Rossano (cc. 3v-4r). Le radici delle formulazioni iconografiche e compositive di queste immagini sono da individuare nell'influenza delle pratiche liturgiche contemporanee, come anche nella circolazione di modelli compositivi e iconografici derivati dai cicli pittorici monumentali dei loca sancta (Gerusalemme in particolare), riconoscibili anche in molte delle miniature a piena pagina dei v. di Rossano (Giudizio di Pilato, cc. 8r-8v) e di Rabbula (Ascensione, c. 13v; Pentecoste, c. 14v).
Le immagini delle teofanie cristologiche che decoravano i luoghi santi palestinesi dovettero dare origine, sempre nel sec. 6°, a un ciclo di illustrazione dei v. tematicamente incentrato sulla Passione, come sembra suggerire l'analisi di un gruppo di codici dei v. prodotti in Abissinia nel sec. 14° - tra cui quello di Parigi (BN, éthiop. 32) e quello del monastero di Dabra Macar, nel Tigrè - i cui frontespizi, ornati da una sequenza di scene rappresentanti la Crocifissione con l'Agnus Dei, le Pie donne al sepolcro e l'Ascensione, secondo iconografie assimilabili a quelle delle ampolle della Terra Santa, rimandano a un prototipo miniato greco-palestinese entrato in Etiopia con tutta probabilità nel sec. 6° durante l'ondata di migrazione dei monofisiti provenienti dalla Siria (Heldman, 1979; Lepage, 1987; African Zion, 1993, nrr. 54-56).A differenza di quanto avveniva nel mondo latino, nell'Oriente cristiano le testimonianze della produzione di copie illustrate dei v. si interrompono dopo gli inizi del sec. 7°, in concomitanza con le guerre di conquista degli Arabi e l'affermarsi dell'iconoclastia, per poi riprendere a Costantinopoli verso la fine del sec. 8°-inizi 9°, in Armenia e in Egitto nel sec. 10° e in Siria nell'11° secolo. Caratteristica saliente dei v. sia bizantini sia occidentali fino alla fine del sec. 9° è la scomparsa di cicli narrativi dagli apparati illustrativi, che, ridotti alle tavole dei canoni e ai ritratti degli evangelisti, vennero tuttavia arricchiti attraverso l'inserimento nei frontespizi di immagini introduttive di carattere simbolico-dottrinale. Nei codici altomedievali latini dei v., alla modesta presenza delle figurazioni di soggetto mariano, per es. il Libro di Kells (Dublino, Trinity College, 58, c. 7v), fa riscontro l'introduzione, già nel frontespizio dei v. del celebre Codex Amiatinus (690-716; Firenze, Laur., Amiat. 1, c. 796v), della Maiestas Domini (v. Cristo), la cui iconografia, perfezionata nell'ambito della miniatura carolingia, incontrò grande diffusione.Prima del sec. 11°, invece, i manoscritti bizantini dei v. ospitano di rado figurazioni a contenuto dottrinale. Tra i pochi esempi, un manoscritto della seconda metà del sec. 9° di probabile origine costantinopolitana (Princeton, Univ. Lib., Garrett 6; Illuminated Greek Manuscripts, 1973, nr. 1) presenta a introduzione dei ritratti degli evangelisti le immagini stanti, entro edicole, di Cristo e della Vergine orante (cc. 10v-11r). Quest'associazione, insolita nei v. bizantini e già sperimentata nei v. di Rabbula, dove le figure della Vergine con il Bambino (c. 1v) e di Cristo in trono (c. 14r) rispettivamente aprono e chiudono la sequenza di illustrazioni della Vita di Cristo, trova una certa diffusione in Armenia nel sec. 10°: il ciclo introduttivo dei citati v. di Ejmiacin, aperto dall'immagine di Cristo in trono (c. 6r), è chiuso, come nei v. di Gerusalemme (Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2555, c. 8v), da due pannelli raffiguranti la Vergine orante con il Bambino e il Sacrifico di Isacco (Erevan, Matenadaran 2374, cc. 7v-8r), posti a marcare il momento iniziale e finale della storia della Salvezza, dall'Incarnazione alla Crocifissione, di cui il Sacrificio di Isacco è, in una prospettiva tipologica, la prefigurazione.Nella miniatura occidentale dei secc. 8°-9°, come anche in quella bizantina dei secc. 9°-10°, la rappresentazione degli episodi della vita di Cristo venne affrontata generalmente nelle illustrazioni marginali o nelle iniziali dei testi liturgici, principalmente salteri, lezionari e sacramentari, dove fu spesso associata e anzi giustificata dal parallelo con l'Antico Testamento. In Occidente, tuttavia, tracce del persistere di un intento illustrativo nella tradizione manoscritta dei v. sopravvivono, benché isolate, anche nell'8° e 9° secolo. Nella miniatura insulare le immagini dell'Arresto e della Tentazione di Cristo, come nel Libro di Kells (cc. 114r, 202v), della Crocifissione, come nei v. di Durham (Dean and Chapter Lib., A.II.17, c. 38v) e di San Gallo (Stiftsbibl., 51, p. 266), e l'immagine del Giudizio finale, come nei v. di San Gallo (p. 267) e di Torino (Bibl. Naz., O.IV.20, c. 2r), disposte in monumentali tavole a piena pagina inserite accanto ai passi corrispondenti dei v., forniscono una reinterpretazione in chiave simbolica di temi narrativi ispirata alle esigenze liturgiche delle comunità monastiche locali, attivamente coinvolte nell'addestramento del clero e in compiti pastorali (Farr, 1997).Benché forse collegabili alle polemiche sulla natura dell'arte religiosa echeggiate nei Libri Carolini (v.), rimangono ancora piuttosto oscure le ragioni del carattere del tutto occasionale dell'illustrazione narrativa della vita di Cristo nei manoscritti carolingi dei v., in stridente contrasto con l'abbondanza delle raffigurazioni di scene cristologiche negli avori e nei codici liturgici e con la documentata presenza di cicli pittorici monumentali dei v. nelle chiese dell'impero. Le poche scene cristologiche inserite nelle tavole dei canoni e in alcune delle iniziali di due manoscritti della scuola di Ada, i v. di Saint-Médard di Soissons (Parigi, BN, lat. 8850) e di Harley (Londra, BL, Harley 2788), rappresentano un'eccezione nel panorama della pur vasta produzione carolingia di v. miniati; l'esistenza nell'arte libraria d'età carolingia di cicli illustrativi completi dei v., ipotizzata sulla scorta di un frammento con l'Annuncio a Zaccaria, ora inserito in un manoscritto conservato a Londra (BL, Cott. Claud. B.V., c. 132v), ma originariamente proveniente da un evangelistario realizzato sempre nella scuola di Ada, è stata recentemente messa in dubbio (Mayr-Harting, 1992).Fra l'ultimo trentennio del sec. 9° e gli inizi del successivo, alcuni codici provenienti dalle regioni nordorientali dell'impero e dalla Spagna segnalano l'avvio del processo di recupero di una dimensione illustrativa nella tradizione manoscritta occidentale dei v., che sarebbe giunto a compimento solo in età ottoniana. Si tratta per lo più di immagini isolate, non ancora organizzate in sequenze narrative coerenti: tra gli esempi più antichi, la Crocifissione nei v. di Francesco II (Parigi, BN, lat. 257, c. 12v), eseguiti a Saint-Amand intorno all'870, e la breve serie narrativa del Liber evangeliorum di Otfrid von Weissenburg (863-871; Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2687; Evangelienharmonie, 1972), contenente l'Ingresso a Gerusalemme (c. 112r), l'Ultima Cena (c. 112v) e la Crocifissione (c. 153v). Le scene della Chiamata di Matteo e dell'Ultima Cena compaiono accanto ai ritratti rispettivamente degli evangelisti Matteo e Giovanni in un manoscritto di scuola franco-insulare dell'ultimo quarto del sec. 9° (Praga, Kapitulní Knihovna, Cim. 2, cc. 24r, 185v; Kunst und Kultur, 1966, nr. 155; Mütherich, Gaehde, 1977, pp. 27, 110-113), decorato con un ciclo contenente le immagini della chiamata di ciascun evangelista a scrivere il proprio v.; manoscritti degli inizi del sec. 10° provenienti dal bacino della Loira e dalla Bretagna presentano invece scene quali la Danza di Salomè, la Decapitazione di Giovanni Battista, la Presentazione della testa a Erodiade e i Funerali di Giovanni Battista, come nei v. di Chartres (Parigi, BN, lat. 9386, cc. 146v-147r), la Cattura di Cristo e la Crocifissione, come nei v. della Coll. H. L. Bradfer-Lawrence (Cambridge, Fitzwilliam Mus., in deposito, cc. 83v, 125r; Wormald, 1976). L'Annunciazione, la Guarigione del cieco nato e la Samaritana al pozzo compaiono, insieme all'immagine di Cristo e Maria in trono, a illustrazione del v. di Matteo nella prima Bibbia di León (920 ca.; León Arch. della cattedrale, 6, c. 202v; Imaging, 1999, pp. 182-185). Nell'elaborazione iconografica di questi soggetti sembra probabile il ricorso a modelli tardoantichi mediati attraverso codici e oggetti d'arte suntuaria, come gli avori; resta comunque da valutare l'impatto della produzione artistica romana del sec. 8°, suggerito dalla presenza nei v. di Angers (Bibl. Mun., 24) - copiati in uno scriptorium della Francia settentrionale da un manoscritto della libreria di Gaudiosus, stabilita a Roma presso la chiesa di S. Pietro in Vincoli (Hubert, Porcher, Volbach, 1968, p. 187) - di una scena della Crocifissione (c. 7v), iconograficamente assimilabile a quella di S. Maria Antiqua a Roma.
La disponibilità negli scriptoria dell'impero di codici tardoantichi contenenti estesi cicli narrativi di soggetto evangelico, già ipotizzabile in età carolingia per quanto riguarda le illustrazioni cristologiche di opere quali il Salterio di Stoccarda (Württembergische Landesbibl., Bibl.fol.23) o il citato frammento londinese con l'Annuncio a Zaccaria, giocò un ruolo decisivo nella rinascita dell'illustrazione ciclica dei v. in età ottoniana; in particolare, la presenza nell'ambito dello scriptorium della Reichenau di un libro di pericopi (o lezionario) tardoantico riccamente illustrato sembra aver ispirato le scelte iconografiche come anche l'organizzazione intratestuale dell'apparato illustrativo del codice di Egberto (v.; Treviri, Stadtbibl., 24; Weis, 1974), contenente il più antico e, insieme al più tardo Codex Aureus Epternacensis (1030 ca.; Norimberga, Germanisches Nationalmus., 156142), il più esteso ciclo narrativo di età ottoniana; non è da escludere una derivazione di motivi paleocristiani attraverso perduti manoscritti bizantini dei v. di età posticonoclastica (Buchthal, 1966).Lo sviluppo di un nuovo interesse per il racconto per immagini della vita di Cristo nella miniatura ottoniana trovò nel tentativo di rivalutazione del concetto dell'umanità di Cristo avanzato nell'ambito della riforma monastica di Gorze (iniziata intorno al 930) e promosso negli scritti e nelle committenze artistiche di intellettuali quali i vescovi Abramo di Frisinga (957-994) e Bernoardo di Hildesheim (993-1022) i presupposti teologici; quelli ideologici possono essere riconosciuti nel passaggio dall'ideale carolingio di sovranità basato sul modello dei re dell'Antico Testamento alla nuova concezione del potere elaborata dagli imperatori sassoni del sec. 10°, esemplata sulla nozione della sovranità di Cristo (Kantorowicz, 1957). Indicativa in questo senso è la frequente assimilazione delle figure dell'imperatore e di Cristo, apertamente dichiarata nei v. di Aquisgrana (Domschatzkammer) del 996 - dove Ottone III viene rappresentato seduto in trono entro una mandorla (c. 16r), secondo l'iconografia della Maiestas Domini -, evocata allusivamente nella Crocifissione dell'Evangelistario della badessa Uta di Niedermünster (1020; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13601, c. 3v) - in cui l'insolita figura barbuta e coronata di Cristo in abiti sacerdotali va interpretata come probabile ritratto di Enrico II - e generalmente espressa nei cicli narrativi ottoniani nella predilezione per le scene dei miracoli, manifestazione per eccellenza dell'onnipotenza divina, e nella ricorrente caratterizzazione della figura di Cristo come governante e giudice, modello esemplare di fortitudo e di clementia.Nell'arte bizantina il recupero di una dimensione narrativa nell'illustrazione dei v. sembra essere avvenuto più lentamente che in Occidente, e con un notevole ritardo rispetto ai testi liturgici, dove scene della vita di Cristo compaiono già sul finire dell'età iconoclastica, come nel Salterio Chludov, del 843-847 (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129). Benché la presenza all'interno di un manoscritto bilingue greco-latino dei v., della prima metà del sec. 9° (San Gallo, Stiftsbibl. 48, c. 129r; Berger, 1891; Berschin, 1988), di un progetto per una serie di illustrazioni con didascalie in greco e istruzioni per il miniatore in latino lasci un certo margine all'ipotesi che copie dei v. con figurazioni narrative continuassero a essere realizzate a Costantinopoli anche durante l'iconoclastia, i v. bizantini ripresero a ospitare cicli della vita di Cristo solo nel 10° secolo. L'esempio più antico è costituito da un manoscritto di Parigi (BN, gr. 115; Byzance et la France, 1958, nr. 15), decorato lungo i margini dei v. di Matteo e Giovanni da una serie di quarantadue scene, il cui carattere 'abbreviato' tradisce probabilmente la rielaborazione di un modello di origine paleocristiana fornito di un ben più esteso corredo illustrativo contenente immagini inserite nelle colonne del testo (Weitzmann, 1970, p. 115ss.).Come nel mondo latino, anche in Oriente la circolazione di codici illustrati dei v. di età preiconoclastica, cui forse allude già all'inizio del sec. 9° il patriarca di Costantinopoli Niceforo nella sua difesa delle immagini (Antirrheticus, III, 3; PG, C, coll. 61-62, 380-381; Millet, 1916, pp. 1-4), aprì ai miniatori un patrimonio di figurazioni narrative di soggetto evangelico estremamente ampio e dettagliato. Fra i secc. 11° e 14° una serie di manoscritti di diversa provenienza geografica testimonia, nelle scelte iconografiche e nella disposizione intratestuale delle immagini, il ricorso a cicli narrativi di origine paleocristiana (Wessel, 1971). Tra i cicli più antichi, oltre a quelli dei citati tetravangeli bizantini di Parigi (Omont, 1908) e di Firenze (Velmans, 1971) - ricavati tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 12° probabilmente da un modello di poco precedente dal quale sarebbero derivate le copie slave trecentesche, i v. in cirillico commissionati nel 1355 dallo zar di Bulgaria Ivan Alessandro (Londra, BL, Curzon 153; Der Nersessian, 1926-1927; Dimitrova, 1994) e i più tardi v. di Elisavetgrad (Kirovgrad, tesoro della chiesa Pocrofvsky Sobor) -, figura quello dei v. commissionati intorno al 1050 da GagikAbas (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2556; Treasures in Heaven, 1994, pp. 60-62), sovrano del regno armeno di Kars e fervente ammiratore della letteratura greca classica: le oltre duecentoventi miniature sparse nelle colonne del testo fanno di questo ambizioso codice, decorato da artisti di estrazione costantinopolitana, il parallelo armeno del pressoché contemporaneo tetravangelo di Parigi, da cui si distacca tuttavia per il formato grande delle immagini e per l'insolito trattamento iconografico delle scene.Al di fuori dell'impero bizantino, una notevole libertà di interpretazione dei modelli tardoantichi caratterizza i cicli di illustrazioni dei v. provenienti da aree più o meno direttamente sottoposte alla dominazione araba: i v. copti di Parigi (BN, copte 13), eseguiti a Damietta nel 1179-1180 (Leroy, 1974, pp. 113-148, 218-227), quelli siriaci di Londra (BL, Add. Ms. 7170), realizzati intorno al 1216-1220 nel monastero giacobita di Mar Matthei vicino a Ninive (Buchthal, 1939), e i v. apocrifi dell'infanzia in un manoscritto arabo decorato con disegni a penna a Mardin, nella Turchia sudorientale, nel 1299 (Firenze, Laur., Or. 387; Baumstark, 1911; Millet, 1916; Arnold, 1932, p. 13), riflettono, nella caratterizzazione in senso islamico degli scenari, delle fisionomie, dei costumi e della mimica dei personaggi, una curiosa rielaborazione dei modelli antichi ispirata alla realtà quotidiana.A partire dal sec. 11°, specialmente in area bizantina, la produzione di v. miniati venne fortemente caratterizzata dal ricorso alle illustrazioni del lezionario (v. Libri liturgici), riconoscibile nell'introduzione, accanto o più spesso in sostituzione delle immagini di carattere narrativo, di scene generalmente a piena pagina rappresentanti le Feste liturgiche. Una precoce testimonianza è costituita dalle quattro miniature con la Natività, il Battesimo, l'Annunciazione e l'Anastasi (Kölliken, Coll. Amberg-Herzog), staccate da un manoscritto bizantino dei v. degli inizi del sec. 10° (Baltimora, Walters Art Gall., Walters 524; Illuminated Greek Manuscripts, 1973, nr. 5; Weitzmann, 1974) originariamente contenente un più ampio ciclo di Feste, dislocate, come in un lezionario, a introduzione dei passi dei singoli v. letti durante le celebrazioni liturgiche corrispondenti. La fusione di immagini derivate da testi liturgici nei cicli narrativi dei v. si impose stabilmente nella miniatura bizantina a partire dal sec. 11°, influenzando anche prodotti di inequivocabile ispirazione paleocristiana, come il citato tetravangelo di Parigi, nel quale il riordinamento di alcune scene secondo una sequenza liturgica piuttosto che narrativa, la rielaborazione in senso monumentale e simmetrico di alcune immagini narrative e l'introduzione dell'Anastasi tra le scene della Passione di Cristo (Parigi, BN, gr. 74, cc. 60v, 100v, 208v) segnano un tentativo di aggiornamento del ciclo evangelico secondo le tendenze contemporanee assente nel più conservatore tetravangelo fiorentino.Tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 12° i v. bizantini cominciarono a ospitare nei frontespizi figurazioni di carattere dottrinale e/o liturgico. L'immagine del Pantocratore, solo o accompagnato dall'Antico dei Giorni e dal Cristo Emanuele, appare già in due manoscritti del sec. 11° (Atene, Nat. Lib., gr. 2645; Parigi, BN, gr. 74; Tsuji, 1975; Galavaris, 1979), mentre l'iconografia, poco frequente nella miniatura bizantina, della Maiestas Domini, ricorre già in due v. della seconda metà del sec. 11° (Parigi, BN, gr. 81, c. 7v; Parma, Bibl. Palatina, gr. 5, c. 5r; Galavaris, 1979; Nelson, 1980). Caratteristico dell'influenza della decorazione dei testi liturgici è invece il diffondersi di miniature a piena pagina a introduzione dei singoli v.; in queste miniature, il ritratto dell'evangelista è associato a scene di Feste liturgiche, come nei lezionari, per es. nei v. di Giovanni II (Roma, BAV, Urb. gr. 2) e nel Codex Ebnerianus (Oxford, Bodl. Lib., Auct.T.inf.1.10; Meredith, 1966).
Nel citato manoscritto di Parma, la concentrazione di un ciclo di Dodici feste nelle tre carte che separano il v. di Matteo da quello di Marco (cc. 89v-90v) riflette l'allargamento delle fonti delle figurazioni liturgiche alla pittura delle icone - dove le immagini delle Feste liturgiche erano spesso raggruppate in un'unica tavola o in dittici -, al quale forse non fu estranea la contemporanea attività di alcuni miniatori in questi due settori (Deshman, 1973). Uno schema analogo venne in seguito utilizzato per un ciclo narrativo in un manoscritto copto del 1249-1250 (Parigi, Inst. Catholique, Copte-Arabe 1; Hunt, 1985), le cui illustrazioni, organizzate in dieci tavole a piena pagina divise in griglie di sei riquadri ciascuna e distribuite lungo tutto il codice, riflettono dal punto di vista iconografico una combinazione delle fonti del manoscritto di Parigi (BN, copte 13) con cicli mediobizantini della seconda metà del sec. 12° e del 13°, per es. quelli dei v. di Chicago (Rockefeller McKormick Coll., 2400; Goodspeed, Riddle, Willoughby, 1932; Willoughby, 1933).Tra i sec. 12° e 13° l'affermarsi nel mondo bizantino di nuove pratiche devozionali sollecitò un generale aggiornamento delle illustrazioni dei vangeli. Nella seconda metà del sec. 12°, nei frontespizi fecero la loro apparizione la Déesis (Istanbul, Lib. of the Ecumenical Patriarchate, 3, c. 2v; Galavaris 1979; Nelson 1980) e la Vergine con il Bambino, sovente accompagnata dal donatore (Athos, Grande Lavra, A9, c. 1v; Carr, 1982), come anche un tipo particolare di Maiestas Domini con il Cristo giovane (Emanuele), talvolta affiancato a immagini mariane (Kiev, AN Ukrainskoi SSR, A 25, cc. 1v-2r; Carr, 1982). La diffusione di nuove tematiche devozionali giocò un ruolo importante anche nell'introduzione di scelte formali e compositive tipiche della pittura delle icone nell'illustrazione narrativa dei v., con risultati talora stravaganti, come nei v. di Karahissar (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, gr. 105; Colwell, Willoughby, 1936), provenienti, insieme ai citati v. di Chicago, dallo scriptorium imperiale costantinopolitano di Michele VIII Paleologo (1259-1282). Nel codice riflettono una notevole consuetudine con la pittura delle icone l'insolita condensazione e abbreviazione delle scene narrative, ottenuta attraverso la sostituzione di figure intere con figure a mezzo busto (Presentazione al tempio, c. 114r; Benedizione degli apostoli, cc. 129v, 172r), la drastica riduzione del numero dei personaggi (Trasfigurazione, cc. 40r, 67r, 131v; Orazione nell'orto, cc. 61r, 163v; entrambe senza gli apostoli) e la sostituzione della Crocifissione - per es. nei v. di Matteo (c. 65v) e di Luca (c. 167v) - con la rappresentazione devozionale del Vir dolorum.In Occidente, a partire dal sec. 11°, il grande sviluppo dell'illustrazione narrativa, avviato nell'ambito della miniatura di testi sacri specialmente dalle bibbie e dalle raccolte agiografiche, trovò naturale espressione nel racconto per immagini degli episodi della vita di Cristo, che venne a essere organizzato all'interno dei codici dei v. e della Bibbia secondo una notevole varietà di soluzioni. Assai frequente fu, per es., la collocazione di scene cristologiche nelle iniziali istoriate: tra gli esempi più antichi, l'iniziale I del v. di Giovanni nei v. di Odeberto di Saint-Bertin (990-1007; New York, Pierp. Morgan Lib., M.333, c. 85r; Swarzenski, 1967, tav. 69), ornata dalla Crocifissione con Maria, Giovanni e le figure allegoriche di Chiesa e Sinagoga e inserita entro un riquadro circondato da una fascia con le Marie al sepolcro, l'Anastasi e l'Ascensione, a definire un complesso decorativo tematicamente incentrato sulla Risurrezione.
Nei secc. 12° e 13° intere sequenze narrative appaiono ospitate nelle iniziali dei v., talvolta con intenti dottrinali assai complessi, come nei v. eseguiti intorno al 1240 da un atelier sassone per l'abbazia di Neuwark a Goslar (Stadtarchiv., B 4387; Goldschmidt, 1910; Das Goslarer Evangeliar, 1991), nei quali un'insolita selezione di scene evangeliche e veterotestamentarie e di figure allegoriche, ripartite fra monumentali iniziali istoriate e tavole a piena pagina dalla struttura elaborata, definisce, attraverso rimandi teologici che spaziano da Agostino ad autori contemporanei quali Alberto Magno, un programma illustrativo antigiudaico e antieretico interpretabile alla luce della condanna per eresia del prevosto di Neuwark, Heinrich Minneke, negli anni venti del 13° secolo.Scene cristologiche trovarono collocazioni talvolta inconsuete nel contesto della decorazione dei manoscritti. Nell'ambito della notevole serie di v. prodotti da o per Odeberto di Saint-Bertin, spicca, per l'originalità dell'impaginazione delle illustrazioni, il codice conservato a Boulogne-sur-Mer (Bibl. Mun., 11; Temple, 1976, nr. 44), miniato da un artista inglese con la collaborazione dello stesso Odeberto: la tavola contenente l'incipit del v. di Matteo (c. 12r), introdotta da una rappresentazione degli Antenati di Cristo entro registri sovrapposti di arcate (c. 11r), viene suddivisa verticalmente in due riquadri di colori contrastanti, contenenti a destra l'iniziale L(iber generationis) e a sinistra la Natività e l'Annunciazione ai pastori, fuse in un'unica originale scena ricavata dal confronto di iconografie e motivi desunti dalla miniatura anglosassone e ottoniana. Un'impaginazione insolita si ritrova anche in alcuni codici di ambito borgognone della seconda metà del sec. 12°, tra cui il terzo volume della Bibbia di Manerius (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 10), nei quali una sequenza di episodi della vita di Gesù e di Maria tratti dai v. canonici e da quelli apocrifi viene ospitata, insieme ai corrispettivi veterotestamentari, nelle lunette delle tavole dei canoni.Uno degli elementi più caratteristici dell'illustrazione dei v. in Occidente dopo l'età ottoniana è l'affermarsi di interi cicli basati sul parallelo tipologico tra Antico e Nuovo Testamento, di cui si ha una testimonianza abbastanza precoce intorno al 1085 in area boema nei v. di Vyšehrad (Praga, Státni Knihovna, XIV A 13), che propongono una piccola serie di scene veterotestamentarie incentrate sul tema della redenzione ad accompagnare la sequenza cronologica di scene della Vita di Cristo sparse in tavole a piena pagina lungo il codice (Codex Vysehradensis, 1970; Mazal, 1978, p. 237). Nella tradizione manoscritta dei v., la seconda metà del sec. 12° registrò un momento di forte sviluppo dell'illustrazione tipologica, con cicli di notevole complessità dottrinale, come nei v. di Averbode (Liegi, Bibl. Univ., 363 C) e nel secondo volume della Bibbia di Floreffe (Londra, BL, Add. Ms. 17738), prodotti in area mosana (v. Liegi), e nei v. di Enrico il Leone (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 105 Noviss. 2°; The Gospels of Henry the Lion, 1983; Neidhart Steigerwald, 1985), decorati a Helmarshausen intorno al 1173-1175.Accanto a questi tipi particolari di illustrazione del racconto evangelico, cicli di carattere più spiccatamente narrativo continuarono a godere di notevole fortuna nella produzione manoscritta dei v. fino a tutto il sec. 12°, talvolta in associazione a cicli della vita di Maria, come già nei v. di Gniezno (Arch. Archidiecezjalne, 1a), un manoscritto della fine del sec. 11° di probabile origine boema collegato ai v. di Vyšehrad, o nelle sequenze evangeliche delle bibbie borgognone raggruppabili intorno alla Bibbia di Manerius. Frequente nei codici dei v. dei secc. 11° e 12° è la concentrazione di cicli particolarmente estesi in tavole a piena pagina divise in fasce sovrapposte contenenti spesso scene multiple, un sistema illustrativo già applicato nei codici ottoniani dei v. e prima ancora nelle bibbie carolinge, ma che trova stringenti paralleli nella decorazione plastica dei portali e delle facciate delle chiese romaniche. Le ricche sequenze narrative della Bibbia di Santa Maria di Ripoll (1050 ca.; Roma, BAV, Vat. lat. 5729) - che ispirarono, per quanto riguarda la parte veterotestamentaria, il ciclo scultoreo del portale della chiesa dello stesso monastero (1150-1160) - testimoniano, per quanto riguarda la parte neotestamentaria, la conoscenza in ambito catalano di fonti assai prossime a quelle dei grandi cicli di derivazione paleocristiana di manoscritti bizantini e copti (Parigi, BN, gr. 74; copte 13; Neuss, 1922).
Nell'ampio ciclo dei v. della contessa Matilde di Toscana, prodotti nell'ambito dello scriptorium di S. Benedetto al Polirone verso il 1090 (New York, Pierp. Morgan Lib., M.492), le scelte iconografiche vennero organizzate secondo nuclei tematici specifici di ciascun v.: le scene, cadenzate secondo l'ordine liturgico piuttosto che cronologico, sottolineano la rivelazione del volere divino all'uomo attraverso un nunzio soprannaturale (v. di Matteo), la tentazione, il peccato e il riscatto (v. di Marco), l'infanzia di Cristo (v. di Luca), il sacrificio di Cristo e la purificazione della Chiesa (v. di Giovanni). L'attribuzione ai protagonisti delle singole scene di cartigli e libri contenenti le parole dei passi corrispondenti dei v. - un sistema adottato anche da Wiligelmo nei rilievi delle Storie della Genesi nel duomo di Modena - riflette un precoce esempio dell'influenza esercitata sull'illustrazione dei v. dalle rappresentazioni sceniche dei drammi liturgici medievali, come appare evidente anche in esempi più tardi soprattutto di area tedesca, quali i v. di Enrico il Leone e di Goslar, nei quali i cartigli registrano le battute del dialogo fra i protagonisti, ispirate, nel caso dei v. di Enrico il Leone, ai drammi liturgici normanno-siciliani (The Gospels of Henry the Lion, 1983, p. 20).A un livello meno colto, le vivaci ed espressionistiche sequenze narrative cristologiche della Bibbia di Ávila (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 15-1), incentrate sul racconto della Vita pubblica e della Passione di Cristo, svelano, nell'enfatizzazione della gestualità dei personaggi come anche nelle numerose e dettagliate legende esplicative che accompagnano le scene, un intento più apertamente didattico di istruzione del lettore.Tranne che in ambito tedesco, dove, sulla scia dell'esempio ottoniano, la produzione di v. illustrati continuò copiosa fino al sec. 14°, a partire dalla seconda metà del 12° i codici dei v. cominciarono a ospitare sempre più saltuariamente cicli della vita di Cristo, sebbene scene evangeliche continuassero a essere incluse, in modo poco sistematico, nei manoscritti della Bibbia, come quella francese di Niccolò III d'Este miniata da Belbello da Pavia prima del 1434 (Roma, BAV, Barb. lat. 613), e nelle raccolte neotestamentarie, come in un manoscritto miniato a Verona intorno al 1228 (Roma, BAV, Vat. lat. 39; Liturgie und Andacht, 1992, nr. 41). La rappresentazione degli episodi dei v. si concentrò dunque specialmente nei codici liturgici, quali sacramentari, messali e salteri - dove la tradizione di includere scene cristologiche nei corredi illustrativi si era già saldamente radicata nell'Alto Medioevo - o, soprattutto dal sec. 13° in poi, in testi devozionali come libri d'ore e breviari o anche in opere enciclopediche, raccolte di sermoni - per es. il manoscritto del Sermone di Pietro da Barsegapé (Milano, Bibl. Naz. Braidense, AD.XIII.48; Miniature a Brera, 1997, pp. 130-145), opera di miniatore lombardo del 1300 ca. -, bibbie moralizzate (v.), bibbie dei poveri (v.), antifonari e, nei secc. 14° e 15°, nei volgarizzamenti dei vangeli. Ciò rende spesso difficile individuare esattamente la destinazione originaria di sequenze narrative dei v. pervenute in carte sciolte o cucite in manoscritti più tardi, come nel caso di due interessanti ed eccezionalmente vasti cicli inglesi degli anni 1130-1140, che testimoniano la circolazione nell'Inghilterra del sec. 12° di codici ottoniani dei v. della scuola di Echternach, come anche, probabilmente, di manoscritti tardoantichi illustrati in modo analogo ai v. di S. Agostino (Kaufmann, 1975, nrr. 35, 66): le trentanove scene del Ministero e della Passione di Gesù in dodici tavole a più registri sovrapposti provenienti da Bury St Edmunds, poi inserite nei v. di Cambridge (Pembroke College, 120), e le circa centocinquanta scene dall'Annunciazione alla Pentecoste (precedute da ca. venti scene veterotestamentarie), in otto tavole a griglia, eseguite a Canterbury (New York, Pierp. Morgan Lib., M.724; M.521; Londra, BL, Add. Ms. 37472; Londra, Vict. and Alb. Mus., 661).
Benché l'uso, assai frequente nella miniatura inglese del sec. 12°, di disporre ampie sequenze narrative dei v. a introduzione dell'illustrazione dei salteri renda plausibile una collocazione di questi cicli in un salterio o forse - nel caso del ciclo di Cambridge, privo di sequenze veterotestamentarie - in un codice dei v., rimane da verificare l'interessante ipotesi (Dodwell, 1993, p. 336) che questi cicli fossero stati concepiti come opera autonoma, ovvero che nell'Inghilterra del sec. 12° l'illustrazione del testo dei v. e dell'Antico Testamento potesse essere condotta come impresa indipendente dall'illustrazione di un manoscritto specifico.In tal senso, queste opere preannuncerebbero gli esiti più originali dell'illustrazione dei v. tra i secc. 14° e 15°, quando il racconto figurativo degli episodi della vita di Cristo, sovente accompagnato da quello della vita di Maria, sarebbe stato concepito anche come una vera e propria storia per immagini corredata da didascalie o da brevi testi esplicativi, con una o più illustrazioni per pagina poste a occupare fino a tre quarti o anche tutto lo specchio scrittorio, come nel più antico dei manoscritti illustrati delle Meditationes vitae Christi (Parigi, BN, ital. 115; Ragusa, Green, 1961) o in un codice lombardo trecentesco della Evangelica Historia corredato da disegni a penna (Milano, Bibl. Ambrosiana, L.58. sup.; Degenhart, Schmitt, Paredi, 1978); o come in un manoscritto alsaziano del 1410-1420 (Friburgo in Brisgovia, Universitätsbibl., 334; New York, Pierp. Morgan Lib., M.719-720; Beckmann, Schroth, 1960) concepito come un vero e proprio Bilderbuch evangelico con scene dall'Annunciazione ad Anna alla Pentecoste accompagnate da didascalie in tedesco.
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