vano (agg. e sost.)
Il significato fondamentale dell'aggettivo è quello di " vuoto "; da questo derivano gli altri valori, tra i quali, prevalente, quello di " inutile " (con riferimento all'inefficacia, inanità, vacuità). La prima accezione è chiaramente documentata in due dei luoghi in cui v. ricorre come sostantivo: quando Gerione si accosta all'orlo del burrato che divide il settimo dall'ottavo cerchio, arrivò la testa e 'l busto, / ma 'n su la riva non trasse la coda (If XVIII 8-9), sicché essa nel vano tutta... guizzava (v. 25); e così nella descrizione della prima cornice del Purgatorio, costituita da un ripiano chiuso tra la sponda, ove confina il vano, cioè l'orlo esterno, e il piè de l'alta ripa che pur sale (Pg X 22). Per il terzo esempio di uso sostantivato (Pd VI 12), che ha diverso valore, v. oltre.
Come aggettivo, soltanto nel passo di If XX 87 v. è in senso proprio, usato a proposito di Manto, che nella terra dove si era rifugiata visse, e... lasciò suo corpo vano, " vuoto, privo dell'anima " (come chiosano, fra gli altri, Scartazzini-Vandelli, con opportuno rinvio a Pg V 102 caddi, e rimase la mia carne sola).
In tutti gli altri passi l'uso è figurato: si veda per es. Rime LXI 6 libero core e van d'intendimenti, " vuoto di amori " (Contini), o Fiore CCXIII 12 gli altri, ch'eran tutti lassi e vani, " stanchi e privi ormai di ogni forza. Vano in questo senso manca ai vocabolari, e si può solo pensare ad ún passo del Segneri che scrive: ‛ vano è l'uomo vuoto di sapere, di senno, d'ogni altro bene ' " (Petronio).
Il Tommaseo (Dizionario) estende quest'accezione figurata di " vuoto " anche ad altri luoghi, nei quali tuttavia il contesto suggerisce definizioni più precise. Dice per es. che è " vuoto di bene " il chiostro di cui parla s. Pier Damiano (Render solea quel chiostro a questi cieli / fertilemente; e ora è fatto vano, Pd XXI 119), che già Benvenuto aveva definito " vacuus talibus bonis viris contemplativis " (ed è interpretazione condivisa anche da altri, tra cui Scartazzini-Vandelli e Mattalia); ma certo coglie più nel segno chi giunge al valore di " sterile ", in opposizione a fertile-mente (Casini-Barbi, Porena, Chimenz), anche alla luce dell'analoga contrapposizione di Cv III XII 10 non sarebbe da laudare La Natura se, sappiendo prima che li fiori d'un'arbore in certa parte perdere si dovessero, non producesse in quella fiori, e per li vani abbandonasse la produzione de li fruttiferi. Così, ancora secondo il Tommaseo, è " vuota di pregio " - cioè, in sostanza, " sciocca ", " fatua " (Chimenz) - la gente... sanse (If XXIX 122, e cfr. Pg XIII 151; anche Fiore XL 4, detto della Natura); " vuote ", ma più precisamente " inconsistenti " sono le ombre che di corpo hanno soltanto l'aspetto (Pg II 79: cfr. If VI 35-36 ponavam le piante / sovra lor vanità che par persona; la chiosa dell'Anonimo sembra caricare l'aggettivo di un valore peggiorativo: " L'anime qui pigliano corpi fantastichi, cioè, che si vestono d'ombre che paion corpi e non sono "); e analogamente può dirsi del vanto " senza durevole fondamento " - in quanto basato su un bene non orientato a un fine valido - che gli uomini menano delle loro povere posse: è veramente vana, come afferma Oderisi, la gloria de l'umane posse, che subito perde vigore se non sopravvengono a breve distanza le etati grosse (Pg XI 91; v. VANAGLORIA).
La stessa accezione di " senza fondamento " e quindi, contestualmente, " fallace ", si ha quando v. è riferito alla speranza (Cv II VIII 11; anche Pg VI 32 sarebbe dunque loro speme vana...?, dove si allude alla speranza delle anime dell'Antipurgatorio, che le preghiere dei viventi abbrevino loro l'attesa) o alla preveggenza che è prerogativa dei dannati: se l'antiveder qui non è vano, / [i due miglior da Fano] gittati saran fuor di lor vasello (If XXVIII 78: cfr. Aen. I 392 " Ni frustra augurium vani docuere parentes "): qui il valore di " fallace " è confermato dal verso, identico nella struttura, di Pg XXIII 109 se l'antiveder qui non m'inganna. Ma questa preveggenza ha un limite, chiaramente affermato da Farinata: Noi veggiam... / le cose... che ne son lontano / ... Quando s'appressano o son, tutto è vano / nostro intelletto (If X 103), " zoè insciente ", come dice il Lana; e di conseguenza " non ci giova averle sapute [le cose], perché cessiamo di vederle, le dimentichiamo " (Rossi-Frascino). Siamo dunque al significato di " inefficace " e quindi " inutile " (cfr. Fallani): tali sono anche i pianti dei barattieri (If XXI 5), vani in quanto " non uditi, perché i peccatori erano tutti sotto la pegola, sicché non si poteano udire... o vogliamo dire che tutti i pianti dell'inferno sieno vani, che non fanno alcuno utile come fanno quelli del mondo " (Buti); tale il desiderio di D., che vorrebbe riconoscere alcuni (VII 50) tra gli avari e prodighi del quarto cerchio, ma la speranza è delusa dalla risposta di Virgilio: Vano [" cioè superfluo ", Boccaccio] pensiero aduni: / la sconoscente vita che i fé sozzi, / ad ogne conoscenza or li fa bruni (v. 52: " idest frustra cogitas dare famam istis ", Benvenuto. Tra i moderni soltanto il Torraca si sofferma sull'espressione, commentando " t'inganni a partito "); tale sarebbe ancora la canzone Donne ch'avete, cui il poeta raccomanda di non restare ove sia gente villana, se non vuole andar sì come vana (Vn XIX 14 64), cioè " vanamente, senza alcun frutto " (Barbi-Maggini, i quali riportano anche l'interpretazione del Melodia che " pose virgola dopo andar e intese: ‛ Se non vuoi andare, almeno non fermarti tra gente villana, nel qual caso diventeresti inutile ' ").
Qui vanno considerati altri due luoghi del Purgatorio. Per indicare la confluenza dell'Archiano nell'Arno, D. dice che in quel punto 'l vocabol suo [cioè il suo nome, Archiano] diventa vano (V 97). La grande maggioranza dei commentatori, antichi e moderni, ripete il " quia ibi perdit nomen suum " di Benvenuto, che però non specifica il senso esatto dell'aggettivo; più puntuale la chiosa di Rossi-Frascino: " il suo nome diventa inutile, perché l'Archiano cessa di essere, sboccando nell'Arno " (" vien meno il nome ", Scartazzini-Vandelli; Casini-Barbi). Valore analogo nel sintagma render vano, detto dell'udire (VIII 7), cioè " non ascoltare più ". Si consideri qui anche l'unica occorrenza latina del termine: Mn II I 3 cum videam populos vana meditantes, " vedendo altri popoli vaneggiare " (Vinay), in quanto, rifiutandosi di ammettere la supremazia del popolo romano, concepiscono idee destinate a non realizzarsi, quindi " inutili ".
Per la locuzione in vano, cioè " inutilmente " (If XIII 132, Pg I 120 e IX 84, Pd X 17) il Petrocchi adotta in tutti i casi la grafia disunita, mentre nella '21 si legge sempre invano, con l'unica eccezione di Pd X 17 (se la strada lor [dei pianeti] non fosse torta, / molta virtù nel ciel sarebbe in vano, " sarebbe vana " [Porena, che accoglie la stessa eccezione; Scartazzini-Vandelli leggono invano pure in Pg IX 84]). Si veda anche Fiore IX 8 I' credo che tu ha' troppo pensato / a que' che ti farà gittar in vano, " probabilmente: seminare in vano, e quindi: faticare inutilmente " (Petronio).
L'esegesi antica e moderna è concorde nell'interpretare come " inutile " oppure (Del Lungo, Sapegno) " contraddittorio " il vano (sostantivato) di Pd VI 12 son lustinïano, / che... / d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano, magari identificandolo con " quelle collorationi che per li rethorici li erano messe " (Lana). A conferma di tale interpretazione il Torraca cita un passo di B. Latini (Tesoro I II 80): " Questo Giustiniano... abbreviò le leggi del Codice e del Digesto (fece compendiare), che prima erano in tanta confusione che nessuno ne poteva venire a capo " (per altre testimonianze, cfr. la nota ad l.); Scartazzini-Vandelli, e poi altri commentatori, vedono nell'espressione dantesca " una reminiscenza delle parole ‛ omni supervacua similitudine et iniquissima discordia absolutae ', dette delle leggi nel § I del primo decreto di Giustiniano " (cfr. anche G. Salvemini, in " Bull. " IX [1901-02] 121-122). Il Favati, invece, spiega il verso con " togliendone il superfluo e colmandone le lacune ", e nota: " gli interpreti intendono vano come equivalente a ‛ superfluo ', quindi a troppo, quasi si trattasse di un'iterazione sinonimica. Non si sono accorti, a quel che sembra, che Dante, una volta di più, compie una citazione testuale: qui, per bocca dell'imperatore stesso, cita le Novellae Constitutiones post Codicem, ove in VII Praep. si legge che è stata volontà del legislatore una complecti lege quae priores omnes et renovet et emendet et quod deest adiciat et quod superfluum est abscindat: ove appare chiaro che a superfluum corrisponde troppo, mentre vano corrisponde a quod deest. Del resto, per vano = ‛ vuoto ' cfr. Inf., XX, 87 e Purg., V, 97; X, 22, ecc. " (Sordello, in " Cultura e Scuola " 13-14 [1965] 552 e n. 1). Un'anticipazione in questo senso può forse scorgersi nel Tommaseo, che se nel commento interpreta " disutile ", nel Dizionario registra il passo sotto la rubrica La parte inutile e difettosa di checchessia (sempre che difettosa possa valere " mancante ").
L'aggettivo può essere ricondotto ancora all'accezione di " vuoto " (nel caso specifico, " vuoto di significato ", quindi " insensato ") anche nelle occorrenze di quel capitolo della Vita Nuova in cui D. parla della malattia che lo fa travagliare sì come farnetica persona (XXIII 4), inducendolo a pronunciare parole vane (§ 17 5) e facendolo ‛ entrare ' in un vano immaginare (§ 23 44; anche al § 29 e XXIV 1), presentandogli cioè la visione di Beatrice morta.
Il concetto di privazione è affermato dallo stesso D. quando commenta Cv IV Le dolci rime 75 è manifesto i lor diri esser vani. Spiega infatti: i detti di costoro [quelli che sostengono l'ereditarietà della gentilezza] sono vani, cioè sanza midolla di veritade (XV 10, dove il verso è ripetuto; cfr. anche il § 18); quindi, contestualmente, " menzogneri ". E ancora (§ 17); dico... I'oppinione de la gente... essere vana, cioè sanza valore.
Ma l'aggettivo può anche suggerire considerazioni di carattere morale, collegandosi quindi al concetto di ‛ vanità ': così avviene nella Vita Nuova dove D., rimproverandosi di essersi lasciato attrarre dalla vista della Donna gentile, dice che gli occhi gli si erano arrossati per il pianto continuo: Onde appare che de la loro vanitade furono degnamente guiderdonati [XXXIX 5] ... Onde io, volendo che cotale desiderio malvagio e vana tentazione paresse distrutto... (§ 6): si tratta dunque di una ‛ leggerezza ' che il complesso delle circostanze rende riprovevole, per cui la vana tentazione finisce con l'essere una tentazione " colpevole ". Su questa linea, ma certo con minor pregnanza di significato, si pongono i pensier vani (cioè " la vanità delle cose a cui pensavi ", Scartazzini-Vandelli) che, quasi incrostando come fossero acqua d'Elsa la mente del poeta, ne hanno ottenebrato le facoltà intellettive (Pg XXXIII 68; il Tommaseo, che nel Dizionario indica per questa occorrenza il senso di " senza sostanza, e quindi inutile ", nel commento rimanda a Ps. 93, 11 " cogitationes hominum... vanae sunt ". Il Porena interpreta " folli ", il Sapegno " mondani ").
Nel girone dei golosi D. vede le anime alzar le mani verso un albero carico di frutti e gridar non so che verso le fronde, / quasi bramosi fantolini e vani / che pregano, e 'l pregato non risponde (Pg XXIV 108). Già il Cesari notava l'ambivalenza del termine, osservando che " comprende gran sentimento questa parola, come a dire: ‛ che invano levan le braccia e piangono a qualcheduno che mostra loro la cosa desiderata '; ovvero, ‛ delusi, o vaneggianti ' "; e infatti alcuni dei critici più recenti pongono l'accento sulla scarsa accortezza e sull'ingenuità di quei bimbi: così Sapegno, Rossi-Frascino; Del Lungo, che intende " invogliati e semplici " (cfr. l'anima semplicetta che sa nulla, XVI 88); Porena, ripreso dal Chimenz, che spiega " scioccherelli ". Altri commentatori invece (Casini-Barbi, Momigliano) mettono in luce l'inanità degli sforzi, dovuta per alcuni alla tenera età di quei fantolini, " piccoli fanciulli bramosi di avere, ma inetti ad afferrare cosa che vedono " (Scartazzini-Vandelli; cfr. anche Torraca).
Vani in quanto " caduchi " (Tommaseo, Dizionario), " fallaci ", " privi di consistenza " come tutto ciò che è legato alla terra sono i ‛ beni ' mondani che la Fortuna ha il compito di ‛ permutare ' (If VII 79; " I beni del mondo non sono altro che vista ", dice fra Giordano [Prediche dell'Avvento XIII], citato dal Torraca).
Rimane isolato il riferimento alla ‛ vanità ', nel senso di " vanitosa ostentazione " (Pazzaglia), in Rime CVI 119, dove si parla di chi con vana vista / ... volge il donare in vender tanto caro / quanto sa sol chi tal compera paga. Anche Barbi-Pernicone e Contini (" con la vanità che si dipinge nel suo aspetto ") condividono tale interpretazione.