VARAKHŠA
La città di V. si trova circa 50 km a NO di Bukhara (Uzbekistan) sulla riva destra dell'antico letto del fiume Zerafšan. In quella distesa di dune che è oggi il deserto di Kïzïl Kum, si era formata, in antico, una fiorente oasi. Quando, nel 1937, l'archeologo sovietico V. A. Šiškin vi giunse per la prima volta, si trovò di fronte un cospicuo numero di tepe, cioè di monticoli originati da depositi archeologici, attestanti la presenza di castelli, fortezze o villaggi di epoca antica. Vi erano inoltre evidenti tracce di una fitta rete di canalizzazioni. La scelta di Šiškin cadde ovviamente sul più imponente di quei tepe, dell'altezza di c.a 20 m: si trattava appunto della città di V. che copriva una superficie di c.a 9 ha e dimostrava di essere vissuta a lungo, probabilmente dal V al X-XI sec. d.C. Ma gli scavi di profondità rivelarono livelli ancora più antichi, mentre le monete ne testimoniarono la sopravvivenza fino al XII secolo.
V. è citata anche dalle fonti letterarie. Naršakī, nella sua Storia di Bukhara, la descrive come uno dei grandi insediamenti della regione, residenza dei sovrani, provvista di possenti fortificazioni, alte mura e venti canali di irrigazione. Lo storico arabo illustra la vita e i costumi degli abitanti della città, informandoci che quivi si tenevano mercati e fiere, una delle quali durava cinquanta giorni ed era chiamata «la fiera del Nuovo Anno». Una festa dunque collegata al rinascere della natura, cui si aggiungeva quella celebrata dai Magi immediatamente dopo. Queste poche notizie sono sufficienti a situare la città in un preciso contesto: politico (il regno di Bukhara); economico (una società di agricoltori e commercianti); religioso (la presenza dei Magi). Altri autori arabi si interessano a V., ma la loro testimonianza si arresta al XII sec., a conferma del fatto che la località aveva in seguito perso di importanza.
La città presenta una pianta quasi rettangolare, circondata da mura che mostrano i segni di quattro diverse ricostruzioni e dominata dal palazzo. Quest'ultimo era stato fatto erigere dai sovrani di Bukhara, i Bukhar Khudati, e si trovava al centro di una cittadella fortificata. Era costruito su un alto stilobate a tronco di piramide dal quale partivano le mura, articolate all'esterno da semicolonne in mattoni, molto ravvicinate e unite in alto da piccoli archi; al di sopra, correvano un fregio e una merlatura. Data la non-funzionalità delle colonne e degli archi, si è pensato che la loro presenza fosse puramente decorativa e costituisse un'ulteriore testimonianza di questo artificio architettonico, peculiare del resto all'area centroasiatica, e che ricorre di frequente anche in Chorasmia. Certamente il suo impiego dava all'edificio un'eleganza che la mole dell'insieme non avrebbe suggerito.
Al palazzo si accedeva da un iwān, cioè un cortile delimitato da tre pareti con terminazione merlata, una delle quali scandita da tre archi su colonne. Vicino all iwān’sono stati rinvenuti grandi ambienti, dove si conservano consistenti resti di pitture murali. Il primo di essi (n. 11) è la c.d. Sala Rossa, a pianta rettangolare (12 X 7,85 m), lungo le cui pareti corre un bancone di argilla, al di sopra del quale la decorazione pittorica raggiunge un'altezza di quasi 2 m. Su un fondo rosso, vi è rappresentata una sequenza di scene di caccia il cui soggetto - ripetuto, con qualche variante, su tutte e quattro le pareti - è l'assalto di bestie feroci a un personaggio in groppa a un elefante. Le fiere assalitrici sono una volta leoni, l'altra leopardi o tigri e perfino animali fantastici con ali e corte corna, mentre la slanciata figura del cacciatore (a torso nudo, con gioielli che gli ornano il petto, le braccia, il capo e una sciarpa svolazzante dietro le spalle), nonché quella del guidatore seduto sulla testa dell'elefante, rimangono come elementi costanti. Del registro superiore si intravedono soltanto la parte inferiore delle zampe di una fila di animali in corteo. In basso corre un fregio con elementi vegetali.
Sia le figure umane sia quelle animali sono eseguite con estrema eleganza, finezza di tratto e una cura del particolare che si esplica soprattutto negli ornamenti dei personaggi e della bardatura dell'elefante. Il quale, tuttavia, non sembra essere stato ritratto «dal vero», se si considera la sproporzione delle varie parti del suo corpo. V. A. Šiškin propone di interpretare il soggetto di queste pitture come la rappresentazione simbolica della lotta tra il Bene (il cacciatore) e il Male (le belve). M. A. Belenickij, al contrario, è più propenso a vedervi una mera figurazione decorativa, per allietare gli ospiti del sovrano.
La seconda sala (n. 6), di solito indicata come «Sala Orientale», è di maggior ampiezza (17 x 11,5 m) e decorata ugualmente con pitture. La loro conservazione è però peggiore di quella dell'ambiente precedente, per cui solo due delle pareti - la meridionale e l'occidentale - permettono una lettura dei soggetti rappresentati. Sulla parete O si possono vedere scorci di cavalli e di cavalieri, con corazze ed elmo a punta; se ne deduce che vi fosse dipinta una scena di battaglia. Il fondo questa volta è azzurro, e i colori che predominano sono il giallo delle vesti e il rosso dei cavalli. La parete S presenta una composizione più complessa. A sinistra sono rappresentati in sequenza quattro personaggi inginocchiati (tra cui una donna) con caftani e mantelli in tessuti pregiati e capo aureolato. La figura femminile regge nella mano una coppa, quella maschile sembra alimentare il fuoco di un incensiere metallico posto accanto al gruppo. Tra i due, in alto, un cavallo alato. L'incensiere è di grandi dimensioni e ha una base tronco-conica, decorata con una figura femminile seduta su un cammello sotto un arco. Alla sinistra dell'incensiere è un altro personaggio maschile inginocchiato, con veste decorata e pugnale alla cintura, ma senza aureola e di minori dimensioni. Sulla destra della stessa parete l'immagine centrale è andata quasi totalmente perduta: se ne conservano solo i piedi, parte dei pantaloni e di una spada. Il personaggio era seduto su un trono sostenuto ai lati da figure di cammelli alati. Sul fondo, un tessuto, su cui compaiono cerchi perlati all'interno dei quali è un uccello con in bocca un nastro o con le ali spiegate. Tra i cerchi si intravede una decorazione di tipo vegetale. Al di sopra del trono, la parte inferiore di una figura inginocchiata, vestita di bianco e simile a quella posta accanto all'incensiere. Più a destra si riconosce un profilo umano, di cui restano solo alcuni tratti del viso.
La frammentarietà dei reperti e, soprattutto, la perdita della figura seduta in trono che - vuoi per la sua posizione, vuoi per le sue monumentali dimensioni - era il «personaggio chiave» della scena, non ha permesso una sicura interpretazione del soggetto. A suo tempo Šiškin, e dopo di lui Belenickij, avevano pensato dovesse trattarsi del sovrano, e dunque che la sala fosse in realtà una sala del trono, usata per le udienze ufficiali. Recentemente però lo stesso Belenickij e B. I. Maršak (v. sogdiana, arte) hanno sostenuto che la figura mancante doveva essere una divinità, in ragione della presenza della donna sull'incensiere e di quella del cammello associato al trono: un animale, quest'ultimo, che è un «attributo» frequentemente presente nell'iconografia religiosa della Sogdiana. Tale ipotesi troverebbe conferma anche nella scena, a carattere decisamente rituale, che si svolge a sinistra del trono stesso.
Resti di pitture sono stati trovati sparsi sui pavimenti di molte sale: tuttavia, alcuni sono troppo poco conservati per una possibile ricostruzione, altri sono di epoca più tarda (X-XI sec.), come nel caso dei cavalieri che tirano d'arco negli ambienti 7-10, sul lato E del palazzo.
Di grande interesse sono anche i rilievi decorativi in stucco, di cui sono stati rinvenuti numerosi frammenti - non in situ - raffiguranti elementi vegetali, personaggi e animali. Di essi colpisce la varietà dei soggetti e la qualità dell'esecuzione che, definita dallo stesso Šiškin come «non rifinita», mostra tuttavia una grande vivacità espressiva.
Bibl.: V. A. Šiškin, Varakhša, Mosca 1963; A. M. Belenickij, Asia Centrale, Ginevra 1975; G. Azarpay e altri, Sogdian Painting, Berkeley-Los Angeles- Londra 1981; Tesori d'Europa (cat.), Milano 1987; AA.VV., Kul'tura i iskus- stvo drevnego Uzbekistana - Culture and Art of Ancient Uzbekistan, 2 voll., Mosca 1991, passim.