VARI
Villaggio dell'Attica, situato alle estreme pendici meridionali dell'Imetto, a breve distanza da una baia sul Golfo Saronico. Nell'antichità la zona appartenne al demo di Anagirunte (᾿Αναγυροῦς) della tribù Eretteide, menzionato da Strabone (ix, 1, 21). Pausania (i, 31, 1) ricorda un santuario dedicato alla Dea Madre; iscrizioni attestano culti di Atena, di Efesto e dei Dioscuri (Ànakes).
Ricca di resti archeologici, la zona non è stata mai esplorata sistematicamente. Lungo la strada verso Vula, la collina di Larethusa mostra tracce di un insediamento risalente forse fino al periodo geometrico; nel circondano vi sono numerose tombe con alte terrazze in opera poligonale, sormontate da stele, secondo il tipo noto al Ceramico (VI-IV sec. a. C.). Altre necropoli sono individuabili anche a N del villaggio; ne proviene una statua funeraria arcaica assai mutila, rappresentante un cavaliere.
V. è oggi nota soprattutto per i trovamenti di ceramiche arcaiche nella necropoli orientale, sulla via per Koropi. Scavi clandestini portarono al rinvenimento, nel 1934-35, di tre splendidi crateri su alto piede e di molti altri vasi tardo protoattici e dei primi tempi delle figure nere, che vennero assicurati al Museo Nazionale per interessamento di privati; anche alcuni frammenti finiti all'estero furono recuperati. L'Oikonomos e lo Stavropoulos dal 1936 intrapresero scavi regolari, tuttora inediti se si eccettuano brevi e non sempre chiare relazioni preliminari. Le tombe si raggruppavano attorno a tre grandi tumuli (thỳmboi) di pietrame, circondati da un peribolo in rozza muratura poligonale, scavato parzialmente. Nell'interno del peribolo, presso i thỳmboi I e II sono state messe in luce tombe di incinerati e cremati, alcune con zoccolo in pietra e soprastruttura in mattoni crudi, le più povere a semplice fossa scavata nel terreno. La tomba più grande possedeva due fosse da offerte del tipo noto al Dipylon che contenevano, oltre alle ceramiche accennate, statuette fittili di animali e la nota raffigurazione, pure in terracotta, di un carro funebre tirato da cavalli, con il defunto adagiato nel sarcofago circondato da prefiche piangenti (fine VII sec.).
Un più numeroso gruppo di tombe, racchiuse da un proprio peribolo quadrangolare, fu messo in luce immediatamente a N-O del thỳmbos I: conteneva materiali databili tra la fine del VII e la metà del V secolo. Altri sepolcreti, sempre di età arcaica, sono stati individuati nella zona, donde provengono anche frammenti di stele e un torso di sfinge in pòros.
Nel territorio di V., circa 3 km a N del villaggio sulle pendici dell'Imetto, è incavata una grotta naturale, divisa in due ambienti, con una polla d'acqua sorgiva. Resa accessibile mediante una scala artificiale, la grotta era consacrata alle Ninfe, a Pan, alle Canti; il suggestivo santuario mostra ancora edicole intagliate nella roccia, un altare dedicato ad Apollo Hèrsos e sculture rupestri, particolarmente una grande statua femminile in trono (V sec.?) rappresentante forse Cibele. Rilievi e iscrizioni attestano l'attività di un Archedemos di Thera che si dice posseduto dalle Ninfe (νυμϕόληπτος) per le quali scolpì l'antro (τ᾿ ἄντρον ἐξηργάτο) e piantò un giardino (κᾶπον Νύμϕαις ἐϕύτευσεν). Dai più Archedemos è ritenuto un personaggio reale, vissuto forse intorno al 400 a. C.; il Comparetti lo considerò una figura leggendaria.
Della grotta non sembra si abbiano testimonianze nelle fonti: è incerto infatti che ad essa si riferisca un passo che narra un episodio miracoloso dell'infanzia di Platone (Olympiod., Vita Plat., 1; Aelian., Var. Hist., x, 21). Gli scavi americani del 1903 portarono alla luce alcuni rilievi marmorei del IV-III sec., con le consuete figurazioni delle ninfe condotte da Hermes e, attraverso ceramiche e monete, stabilirono che il periodo di frequentazione della grotta va dal VI al II sec. a. C. Abbandonata in età romana, la grotta divenuta sede di un culto cristiano fu di nuovo intensamente frequentata tra Costantino e Arcadio.
Bibl.: Generale: W. M. Leake, Die Demen von Attika, Braunschweig 1840, p. 49 ss.; A. Milchhöfer, Karten von Attika, Text, heft III-VI, Berlino 1889, p. 14 ss.; id., in Ath. Mitt., XIII, 1889, p. 360 ss.; id., in Pauly-Wissowa, I, 2, 1894, c. 2028, s. v. Anagyrous; W. Kolbe, ibid., IX, I, 1914, c. 139, s. v. Hymettos; G. K. Gardikas, Βάρη ᾿Ανάγυρους, in Praktikà, 3a serie, 1920, p. 38 ss.; A. Philippson, Die Griechischen Landschaften, I, 3, Francoforte s. M. 1952, p. 811; E. Meyer, in Pauly-Wissowa, VIII A, I, 1955, c. 380, s. v.; E. Kirsten-W. Kraiker, Griechenlandkunde, Heidelberg 1962, pp. 146; 160. Tombe sulla via di Voula: W. Wrede, Attische Mauer, Atene 1933, p. 36; id., Attika, Atene 1934, p. 14, tavv. 10, 17. Statua di cavaliere: G. Loeschke, in Ath. Mitt., IV, 1879, p. 302 ss., tav. III. Scavi del 1935 ss.: G. Karo, in Arch. Anz., 1935, col. 172 ss.; id., ibid., 1936, col. 123 ss.; H. Riemann, ibid., 1937, col. 122 ss.; A. Gebauer, ibid., 1939, col. 224; O. Walter, ibid., 1940, col. 126 ss. e 175 ss.; P. Lemerle, in Bull. Corr. Hell., LXI, 1937, p. 451; LXII, 1938, p. 443; LXIII, 1939, p. 287; E. Pierce Blegen, in Am. Journ. Arch., XLI, 1937, p. 144; Ch. Picard, in Rev. Arch., VI s., XVII, 1941, p. 89 ss. Parte dei vasi del thymbos I (i tre crateri e le lekanìdes dei Pittori di Nesso e delle Pantere) sono ora pubblicati da S. Papaspiridi Karousou, ᾿Αγγεία τοῦ ᾿Αναγύροντος, I, Atene 1963. Iscrizioni in I. G., i2, 778-800, II-III2, 4650-4655, v. anche A. Milchhöfer, in Ath. Mitt., XIII, 1888, p. 360 ss.; W. Peek, Attische Inschriften, ibid., LXVII, 1942, p. 39, n. 37, pp. 53-54, nn. 83-84. Grotta delle Ninfe: Ch. H. Weller e altri, The Cave at Vari, in Am. Journ. Arch., VII, 1903, p. 263 ss.; H. Herter, in Pauly-Wissowa, XVIII, 2, 1937, col. 1560, s. v. Nymphen-Kultstätten, con elenco dei rilievi e bibl. preced. Su Archedemos di Thera: K. Zerion, ᾿Αρχέδημος ὁ νυμϕόληπτος, in ᾿Εβδομάς, IV, 10, 1887, p. i ss.; D. Comparetti, Iscriz. dell'antro delle Ninfe, in An. Sc. It. Atene, IV-V, 1921-22, p. 153 ss.