variante combinatoria
L’espressione variante combinatoria indica, fra le possibili realizzazioni di un fonema (➔ allofoni), quelle determinate dal contesto, che cioè dipendono dall’intorno fonetico in cui compaiono e sono quindi prevedibili. Una variante combinatoria (il termine e la nozione si devono a Trubeckoj 1939) si sottrae alla scelta del parlante, perché, data la natura articolatoria e acustica dei suoni che lo precedono e lo seguono, quel fonema può essere realizzato solo in quel modo (➔ fonetica).
Le parole sdentato e stentato, per es., costituiscono una ➔ coppia minima perché si differenziano per un solo fonema, rispettivamente /d/ e /t/. In realtà, dal punto di vista strettamente fonetico anche la fricativa /s/ iniziale si realizza in modo differente in virtù del fonema seguente, e sarà sonora [z] quando è seguita da [d] ([zdenˈtato]), e sorda [s], quando è seguita da [t] ([stenˈtato]). Questa differenza però non è in grado da sola di determinare due significati distinti e di produrre opposizioni funzionali. Il tratto sonoro-sordo, così produttivo e con alto rendimento nell’italiano (si vedano, per es., le coppie /p/ ~ /b/ in patto ~ batto, /t/ ~ /d/ in dado ~ dato, /k/ ~ /g/ in gara ~ cara, /f/ ~ /v/ in faro ~ varo, ecc.), è invece in molti casi inattivo o neutralizzato per la coppia [s] ~ [z] ([ˈkasa ~ ˈkaza] non è una coppia di parole diverse).
La diversa realizzazione di un fonema in italiano è determinata sincronicamente dal segmento successivo (è il fenomeno dell’➔assimilazione anticipatoria). Questo condizionamento però, non deve essere inteso come universale: in inglese, per es., dove non è attivo il fenomeno di assimilazione anticipatoria, la pronuncia della consonante iniziale di slide «scivolamento; diapositiva» o di smell «odorare» sarà sempre sorda [s]. Nello stesso contesto, invece, in italiano avremmo [z]lancio o [z]milzo. In inglese però c’è il fenomeno di assimilazione posticipatoria, come in cat[s] «gatti» ~ dog[z] «cani». Con una regola fonologica, possiamo dire che in italiano il fonema /s/ si realizza nella sua variante combinatoria [z] quando è seguito da un suono non vocalico sonoro, mentre in inglese si realizza nella sua variante combinatoria [z] quando è preceduto da un suono non vocalico sonoro.
Se per il fonema /s/, in italiano, il tratto variabile è quello sonoro-sordo, per il fonema nasale alveolare /n/, invece, il tratto interessato dalla variazione è il luogo di articolazione. Avremo infatti in ➔ italiano standard un suono nasale velare [ŋ] prima delle occlusive velari /k/ e /g/, come in [iŋˈkawto] incauto e [iŋˈgrato] ingrato; un suono nasale labiodentale [ɱ] prima delle fricative labiodentali /f/ e /v/, come in [iɱˈvero] invero e [iɱˈfat:i] infatti; un suono nasale bilabiale [m] prima delle occlusive bilabiali /p/ e /b/, come in [umˈbaʧo] un bacio e [nomˈposːo] non posso.
La catena fonica del parlato non è costituita da una somma di fonemi, bensì da una sequenza di aggiustamenti, di suoni coarticolati e sovrapposti: è in altri termini una sequenza di allofoni combinatori, frutto di vari processi fonetici e fonologici (cancellazioni, assimilazioni, inserzioni, riduzioni, rafforzamenti, ecc.; ➔ fonetica). Solo studiando i suoni nel loro insieme si capisce che [m] di un bacio [umˈbaʧo] è una variante del fonema nasale alveolare /n/, mentre [m] di mano [ˈmaːno] è variante del fonema nasale bilabiale /m/. Chi vuole imparare l’italiano con pronuncia da nativo deve tenere conto non solo dell’inventario fonemico ma anche delle varianti combinatorie.
Le varianti combinatorie, vincolate al contesto fonetico, devono essere distinte dalle varianti libere (non determinate dal contesto), condizionate invece da disturbi o malformazioni articolatorie. Tali sono, per es., la cosiddetta lisca, difetto di pronuncia che consiste nel realizzare la consonante fricativa alveolare sorda /s/ come [ɬ] (laterale fricativa alveolare sorda) e la fricativa alveolare sonora /z/ come [ɮ] (laterale fricativa alveolare sonora); o ancora la produzione della vibrante /r/ con un’articolazione uvulare [ʀ] o [ʁ], o anche con articolazione approssimante labiodentale [ʋ] (forme diverse della cosiddetta erre moscia).
Queste ultime pronunce possono anche costituire varianti definite stilistiche: può essere il caso, per es., della /r/ prodotta come velare o uvulare [ʀ], considerata caratteristica dell’alta borghesia, dell’aristocrazia o comunque di una certa élite economico-intellettuale.
Anche le varianti geografiche sono libere, ma delimitate geograficamente. Così è possibile riscontrare: la variante palatale preconsonantica di /s/ che si avverte in occasionali pronunce enfatiche nell’italiano regionale campano [ˈʃtupido] ∼ [ˈstupido] (Camilli 19653: 88; ➔ Napoli, italiano di); la nasale velare [ŋ] in finale di sillaba anche davanti a consonanti non velari ([ˈmaŋdo] mando, [ˈteŋpo], tempo, ecc.), tipico tratto regionale settentrionale; la /r/ uvulare [ʀ] tipica della Valle d’Aosta e dell’Alto Adige e presente con una certa frequenza in Piemonte e in alcuni centri dell’Emilia Romagna (come Parma), ecc.; la produzione del nesso tr- con pronuncia retroflessa in gran parte della Sicilia, della Calabria meridionale e dell’Umbria: [ʈɽ]e, tre (cfr. Canepari 19863; ➔ Palermo, italiano di).
Le varianti libere, geografiche e stilistiche, così come quelle combinatorie, possono avere un’importante funzione sociolinguistica. Fu Labov (1971: 432-437) il primo a sottolineare il significato sociologico di questo fenomeno. Lo stesso parlante può utilizzare diverse varianti in differenti situazioni contestuali; d’altra parte alcune varianti dovute a mutamenti o semplificazioni fonetiche non si diffondono uniformemente nella comunità linguistica di riferimento. Un gruppo che gode di più alto prestigio può acquisire una variante diversa rispetto a un gruppo di prestigio più basso anche se appartenenti entrambi alla stessa comunità linguistica (➔ sociolinguistica). Quando parlanti appartenenti a gruppi differenti vengono in contatto, il risultato sarà spesso o una mescolanza di varietà o la convergenza verso la varietà ritenuta più prestigiosa (➔ contatto linguistico). In questo caso le varianti devono essere considerate condizionate dal ➔ registro, dal contesto extralinguistico, dall’appartenenza a una precisa classe sociale.
Spesso le varianti regionali di pronuncia (➔ italiano regionale), soprattutto quelle meridionali o quelle che non hanno conosciuto una forma scritta e letteraria come è successo per il fiorentino, il veneziano, il napoletano o il romano, hanno una connotazione negativa o comica. È ricco, infatti, di varianti geografiche regionali il repertorio dell’avanspettacolo e del cabaret italiano.
Camilli, Amerindo (19653), Pronuncia e grafia dell’italiano, a cura di P. Fiorelli, Firenze, Sansoni (1a ed. 1941).
Canepari, Luciano (19863), Italiano standard e pronunce regionali, Padova, CLEUP (1a ed. 1980).
Labov, William (1971), Methodology, in A survey of linguistic science, edited by W.O. Dingwall, College Park, Maryland University Press, pp. 412-497.
Trubeckoj, Nikolaj S. (1939), Grundzüge der Phonologie, «Travaux du Cercle linguistique de Prague» 7 (trad. it. Fondamenti di fonologia, Torino, Einaudi, 1971).