Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La riflessione teorica intorno all’arte, nata già nel Trecento, matura nel Cinquecento una sorta di processo di autocoscienza intorno al "fare arte" che oggi possiamo chiamare storiografia: cronaca di un secolo di riflessioni teoriche da Leonardo a Raffaello Borghini, passando per le Vite di Giorgio Vasari, tra campanilismo e intellettualismo.
Premessa
L’esigenza di comprendere lo sviluppo dell’arte, intesa come forma di testimonianza storica, nasce nel Cinquecento. In precedenza non mancano esempi concreti in questo senso (i Commentari di Lorenzo Ghiberti su tutti), solo che ci si occupava di ambiti particolari, spesso tecnici, considerando i fenomeni artistici come eventi isolati, senza cercare una definizione storico-teorica in grado di comprendere i fenomeni dell’arte nelle loro relazioni di causa-effetto.
Tra Rinascimento e Maniera
Oltre all’esperienza davvero unica e irripetibile dell’incompiuto Trattato della pittura di Leonardo, per comprendere il sempre più stretto legame tra pittura e letteratura, e tra pittori e letterati, è necessario guardare alla Roma papale prima del Sacco del 1527.
Determinante è il ruolo di personaggi come Baldassare Castiglione e Pietro Aretino: punto di riferimento culturale per gli artisti del tempo, i due si inseriscono spesso nel dibattito sulla nascente storiografia artistica.
Pietro Aretino, il "divino", accompagna i celebri Modi di Giulio Romano, incisi da Marcantonio Raimondi, con i Sonetti lussuriosi, vero spaccato della vita dissoluta nella corte papale del tempo. Ma più che con interventi pubblici, il ruolo di Pietro Aretino è misurabile tramite i suoi intensi scambi epistolari con gli artisti del tempo (specie Giulio Romano e Giorgio Vasari).
Il ruolo di Baldassare Castiglione è invece meno pressante, ma ugualmente influente. Il suo Libro del cortegiano (1528) diventa un modello esemplare per la civiltà della Maniera.
A Baldassare Castiglione, amico di Raffaello, si è spesso attribuita la celebre Lettera sull’architettura (1514-1515), in cui Raffaello espone a papa Leone X il suo piano archeologico per Roma, segno di una nuova concezione storica, cosciente del passato.
Poco prima della pubblicazione delle Vite di Giorgio Vasari nell’Italia centro-settentrionale si registrano diverse esperienze, tese a strutturare storicamente le esperienze artistiche recenti.
Nel 1546 il prelato di Como Paolo Giovio pubblica la descrizione della sua collezione di ritratti (Descriptio musaei), mentre già nel 1524 compone il De viris illustribus (pubblicato solo due secoli dopo), dove – da contemporaneo – elogia Raffaello, Michelangelo e Leonardo, fautori di una nuova era, e non manca di informarci della presenza di altri artisti, come Tiziano e Sebastiano del Piombo.
Nel 1548 esce a Venezia il Dialogo di pittura del pittore Paolo Pino; nel contrasto tra i protagonisti – un veneziano e un fiorentino – già si delinea il contrasto tra colore veneto e disegno toscano. Al di là delle definizioni teoriche (la pittura come disegno, invenzione e colorito), l’autore appare perfettamente calato nel suo tempo, allorché consiglia al pittore di inserire almeno una figura "tutta sforciata, misteriosa e difficile": la figura serpentinata come espressione artistica "retorica" nasce dunque qui, trovando notevole fortuna. L’anno seguente, sempre a Venezia, viene pubblicato anche il Dialogo del disegno di Anton Francesco Doni, rilevante per la questione – allora di moda – del paragone tra pittura e scultura.
Giorgio Vasari e le Vite
L’evento più rilevante di questo processo, che tende a strutturare storicamente le esperienze artistiche, è senz’altro la pubblicazione a Firenze delle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, dato alle stampe da Giorgio Vasari nel 1550, dopo circa dieci anni di lavorazione. Preceduto dal dibattito sul paragone delle arti (al quale Vasari partecipa attivamente) e da frammentari tentativi analoghi (il cosiddetto Libro di Antonio Billi), il testo vasariano rappresenta una pietra miliare della nascente storiografia artistica.
Vi sono raccolte, precedute da Proemi introduttivi, le biografie degli artefici da Cimabue sino a Michelangelo. L’architettura generale del testo si basa su una visione storica verticistica che parte dai tempi di Giotto e, passando per Masaccio, giunge a Michelangelo. Alla prima età o Maniera – quella di Giotto e dell’allievo Tommaso Stefano detto il Giottino) – Vasari attribuisce il merito di essersi affrancata dalla tradizione "greca" (cioè bizantina) che aveva rifiutato gli ideali di armonia classici, in luogo di un’arte fredda, rigida e lontana dalla natura.
Se la seconda maniera (comprendente l’arte di Masaccio, Beato Angelico e degli altri artisti dell’umanesimo) porta avanti tale riscoperta con "unità di colori" e con la conquista dello spazio sancita dalla prospettiva, è con la terza maniera, e con l’opera di Leonardo, che si può parlare della vera e propria "rinascenza". L’arte gareggia ora con la natura e con l’antico, grazie alla nuova capacità di mimesi e a una straordinaria forza inventiva. In quest’ottica, il ruolo di Michelangelo – unico vivente di cui Vasari scrive nella prima edizione delle Vite – assume un ruolo propulsivo agli occhi dell’autore. Michelangelo rappresenta infatti il prototipo dell’artista moderno: versato come pochi nelle tre arti, sublime disegnatore, dotato di facilità e velocità esecutiva (doti fondamentali per il manierista Vasari).
Nell’estetica vasariana "disegno" e "invenzione" sono parametri di giudizio fondamentali: l’artista deve essere dotato di entrambe in misura adeguata e, per perseguire questo fine, le vie da seguire sono quelle della natura e dell’antico, veri modelli di riferimento per l’artefice cinquecentesco. Proprio in tale binomio risiede inoltre l’originalità della visione vasariana: l’equilibrio tra natura e antico sta nella singola capacità dell’artista di trovare una formula personale – la propria Maniera – mediante lo studio assiduo dei modelli e l’esempio dei grandi artisti.
La seconda edizione delle Vite, uscita nel 1568 con il titolo di Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, presenta notevoli novità. Le biografie crescono di numero, nella parte finale si parla dei pittori ancora in vita (quasi presentandoli come una "quarta maniera") e Vasari stesso parla in prima persona delle sue opere. Nonostante le sostanziali aperture verso l’arte veneta, non muta però la solida impostazione filotoscana.
Il sistema delle biografie concepite come sviluppo storico trovano una sostanziale fortuna anche fuori d’Italia – si pensi all’artista olandese Karel van Mander) –, mentre in Italia solo dal Seicento ci saranno tentativi di risposta "municipalistica" organizzati.
Tendenze moralistiche nella cultura artistica del Cinquecento
Mentre il successo dell’opera vasariana e della civiltà della Maniera cresce progressivamente, iniziano ad alzarsi le prime voci di dissenso. Nel 1557 a Venezia il letterato Ludovico Dolce pubblica il Dialogo della pittura intitolato l’Aretino. L’omaggio allo scrittore toscano, trapiantato a Venezia da tempo, è sintomatico del mutamento dei tempi: dopo aver frequentato la Roma corrotta degli anni Venti, Pietro Aretino diventa un austero censore di tutte le manifestazioni contrarie all’ortodossia cattolica. Nel libro di Dolce egli compare, contrapposto al toscano Fabbrini, per evidenziare il dissenso nei confronti dell’esaltazione michelangiolesca di Vasari: vi è contrapposto anche il Tiziano dell’ Assunta dei Frari, presentata come modello d’arte slegata dall’antichità. Gli altri artisti settentrionali – Correggio, Parmigianino, Pordenone) – vengono esaltati per le qualità cromatiche della loro pittura, mentre Raffaello diventa il prototipo dell’artista dotato di disegno e colorito ma anche di decorum. La nozione di "decoro" è intesa qui non solo nella connotazione classica, ma anche – ed è una delle prime volte – nel senso controriformistico di armonia e compostezza: anche qui echeggia la condanna del Giudizio universale michelangiolesco, già sancita dagli epistolari di Pietro Aretino.
Il tema di un’arte che sia in linea con i dettami della Controriforma è al centro dei Dialoghi (1564) di Giovanni Andrea Gilio, il primo trattato che a un anno dalla chiusura del concilio di Trento affronta il problema dell’arte sacra. Obiettivo dello scritto è confutare gli "errori et abusi dei pittori nei quadri storici" che Gilio imputa in massima parte all’ignoranza dei pittori. Richiamandosi alla via maestra della tradizione e a alla verità delle Sacre Scritture, la verosimiglianza (ad esempio la crudeltà visiva nelle scene di martirio) assume per Gilio un valore prioritario, anche se il vero bersaglio è ancora una volta il Giudizio michelangiolesco, visto come somma di abusi in materia di iconografia sacra (dall’impostazione generale agli angeli senza ali).
La preoccupazione per il valore didattico dell’arte porta presto a esposizioni sempre più complesse. Tali tematiche sembrano esclusivo appannaggio di ecclesiastici se, dopo Gilio, nel 1582 il vescovo di Bologna Gabriele Paleotti – memore dell’esempio di Carlo Borromeo – pubblica il Discorso intorno alle immagini sacre et profane. L’elogio del verosimile come familiare per le masse è il tema cardine dell’intero scritto, insieme alle consuete condanne degli abusi iconografici eterodossi.
Echi di simili condanne moralistiche (specie del nudo) si ritrovano persino nella Lettera scritta agli accademici del disegno l’anno 1582 dall’anziano architetto e scultore Bartolomeo Ammannati: quasi un ripudio delle giovanili esasperazioni formali manieristiche in luogo di una morigeratezza assolutamente vicina alla Controriforma.
Teoria e pratica
Le tendenze controriformiste non esauriscono la complessità culturale del Cinquecento italiano. È infatti possibile misurare un sostanziale interesse per le problematiche più propriamente tecniche attraverso testi come Il primo libro delle perfette proporzioni (1567) di Vincenzo Danti e il De’ veri precetti della pittura (1587) di Giovan Battista Armenini. Un interesse più teorico e intellettualistico è sostenuto dall’attività di Giampaolo Lomazzo che nel 1584 stampa il Trattato della pittura, monumentale teoria generale dell’arte divisa in sette libri, secondo una simbologia numerica mistica. Nelle pagine del trattato si scorge però anche uno spaccato dell’ambiente milanese precedente, come dimostrano le notizie sugli scritti di Leonardo.
Le idee generali di Lomazzo sono riassunte in un testo più breve e organico del 1590, l’Idea del tempio della pittura, che presenta maggiori connotati simbolici: ermetismo, allegoria e misticismo convivono qui nel tentativo di una definizione storico-teorica degli sviluppi dell’arte dall’antichità. I sette pilastri di questo tempio ideale vengono individuati in Michelangelo, Gaudenzio Ferrari, Polidoro da Caravaggio, Leonardo, Raffaello, Mantegna e Tiziano; essi reggono i principi (identificati come le virtù classiche) dell’arte della pittura, ma nel testo non mancano informazioni su pittori contemporanei, quali Barocci e soprattutto Arcimboldi, o su collezionisti di prestigio come l’imperatore Massimiliano II.
Su queste linee di definizioni teoriche si situa, poco dopo, uno degli artisti più versatili del secolo, Federico Zuccari. Nell’Idea de’ scultori, pittori e architetti, pubblicato a Torino nel 1607, Zuccari costruisce una definizione generale dell’arte basata sulla distinzione tra disegno interno (idea) e disegno esterno (forma) che rappresenta quasi un preludio ai dibattiti classicisti del nuovo secolo.Infine, quasi un inventario di quello che è stato definito "autunno del Rinascimento" è Il riposo in cui della pittura e della scultura si favella, pubblicato a Firenze nel 1584 da Raffaello Borghini. Ambientato nella villa di un nobile fiorentino, lo scritto ha solo in parte un orientamento storico, mentre risulta particolarmente ricco di notizie sul gusto contemporaneo, non solo nella capitale medicea.
Il fenomeno del collezionismo tardo-cinquecentesco trova qui un ricco compendio, mentre imprescindibili sono le notizie sugli artisti coevi, quasi una prosecuzione delle biografie vasariane.