VASCULARIUS
V. era chiamato in Roma l'artigiano dei vasa e vascula, scyphi, cioè vasi, coppe e tazze soprattutto d'argento, ma anche d'oro o con ornamenti d'oro, che facevano parte della suppellettile pregiata, dell'instrumentum e dell'ornamentum aedium.
La parola, già usata da Cicerone, ove dice di Verre, che artifices omnes, caelatores ac vascularios convocari iubet (Verr., ii, iv, 24), è anche nel Digesto (xix, 5, 20; 2; xliv, 7, 61) con significato di argentiere (v. argentarius). Anche le iscrizioni ricordano argentarii vascularii (C.I.L., vi, 9958; v, 3428; ii, 3749); aerarii vascularii (C.I.L., vi, 9138), quindi piuttosto un fonditore di vasi di bronzo (v. aerarius); uno scalptor v(as)c(u)larius (C.I.L., vi, 9824), che forse fu un artigiano di vasi di pietra (Blümner); numerosi vascularii nella città di Roma per lo più liberti, (G.I.L., vi, 1818, 3592, 9952-9957, 33918, 33919, 33919 a), lavoravano anche singolarmente come si arguisce dall'iscrizione di un v. con bottega sulla via sacra (C.I.L., vi, 37824), ove avevano bottega anche altri artigiani di oggetti preziosi; negotiantes vascularii del III sec. d. C., probabilmente formanti una corporazione, hanno lasciato una dedica all'imperatore Caracalla (C.I.L., vi, 1065); su un cippo frammentario, pure attribuito alla città di Roma, è menzionata una basilica vascularia (C.I.L., xi, 3821, v. Gummerus, art. cit. in bibl., i, p. 177, fig. 125). Altre iscrizioni di vascularii sono state trovate nel Lazio (C.I.L., xiv, 467, 2887; Eph. Epigr., vii, 1246, p. 375; Gummerus, art. cit., i, n. 136, p. 179), nella Campania (C.I.L., ix, 1720; Eph. Epigr., viii, 487, p. 126), in Sardegna (C.I.L., x, 7611), a Narbona (G.I.L., xii, 4519); un negotiator argentarius vascularius è ricordato a Lione (C.I.L., xiii, 1948). Talora firmavano le loro opere (v. per esempio C.I.L., xi, 6711, 5); notevole è il caso del v. Flavius Nicanus, di cui si sono trovati nella Mesia Inferiore (Bulgaria) due piatti d'argento per decennalia dell'imperatore Licinio, firmati (Année Ep., 1957, n. 100), e nella Mesia Superiore (Iugoslavia) il marchio d'officina impresso su due lastre d'argento non lavorato (C.I.L., iii, 6331 a, b).
Bibl.: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, Lipsia II, 1879, p. 176, n. 3; IV, 1887, p. 235, n. 2, p. 306; H. Gummerus, Die Römische INdustrie. Das Goldschmied- und Juweliergewerbe, in Klio, IV, 1914, p. 129 ss.; XV, 1918, p. 256 ss.