vasculopatie cerebrali
Nei Paesi industrializzati le vasculopatie cerebrali costituiscono la terza causa di morte – dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie – ma sono la prima causa di disabilità cronica, con un enorme impatto psicologico, sociale ed economico su pazienti, nuclei familiari e servizi sanitari. Nella categoria nosologica delle vasculopatie cerebrali rientrano sia quadri acuti, quali l’ictus cerebrale e l’emorragia subaracnoidea, sia una molteplicità di condizioni cliniche subacute o croniche, come le patologie della sostanza bianca sottocorticale, i disturbi della sfera cognitiva e comportamentale a eziologia vascolare, l’epilessia vascolare, le vasculopatie a base genetica, le malformazioni arterovenose, le alterazioni della parete arteriosa del circolo carotideo e vertebrobasilare e, infine, le fasi di recupero e riabilitazione poststroke. Solo per l’ictus acuto, si tratta, in Italia, di circa 200.000 eventi all’anno, di cui almeno l’80% è costituito da primi eventi, con una mortalità a un anno pari al 30% nelle forme ischemiche, al 50% nelle forme emorragiche. Le vasculopatie cerebrali acute causano più morti (1,45 volte) dell’infarto del miocardio. Le giornate di degenza per vasculopatia cerebrale acuta sono più di due milioni all’anno. Le ricadute sociosanitarie sono evidenti. [➔ emianopsia; emorragia cerebrale; infarto cere- 726 brale; ischemia cerebrale; negligenza spaziale unilaterale; somatoagnosia] Le v. c., o malattie cerebrovascolari, costituiscono un gruppo estremamente eterogeneo di condizioni patologiche, che riconoscono come base comune un’alterazione del circolo cerebrale.
L’esordio clinico acuto di una v. c. viene definito in base sia a un criterio temporale sia a un criterio eziopatogenetico, e questa doppia definizione ha immediate ricadute terapeutiche. Un esordio acuto definisce un ictus (➔ infarto cerebrale), e la natura ischemica (➔ ischemia cerebrale) o emorragica (➔ emorragia cerebrale) indirizza la terapia verso una strada medica o verso una strada chirurgica, entrambe di assoluta urgenza. L’ictus cerebrale (o stroke) è quindi una sindrome clinica caratterizzata dall’insorgenza improvvisa di sintomi o segni neurologici, focali o diffusi, di durata superiore a 24 ore o a esito infausto, determinata da una vasculopatia cerebrale. Nel caso di un’ostruzione all’apporto ematico, si avrà l’ictus ischemico (responsabile ca. dell’80% dei casi di stroke). Nel caso di una rottura di un’arteria cerebrale si avrà una emorragia cerebrale (10÷15% dei casi) o un’emorragia subaracnoidea, due situazioni che non si riesce a differenziare solo in base alla clinica, ma che necessitano dell’impiego di metodiche d’immagine quali TC e RM cerebrale. Quando il deficit neurologico regredisce completamente entro 24 ore (in genere entro 60÷90 minuti), si parla di attacco ischemico transitorio o TIA (➔), se le neuroimmagini risultano negative, o di infarto con recupero completo, quando mostrano una lesione vascolare congrua con l’obiettività clinica.
Il cervello, nonostante costituisca solo il 2% ca. della massa corporea, riceve il 15% della portata cardiaca e consuma in modo costante e continuativo il 20% del glucosio e dell’ossigeno disponibili per l’intero organismo. L’apporto di tali nutrienti è essenziale in quanto il parenchima cerebrale, a differenza di altri organi e tessuti come il fegato o il muscolo, non ha riserve energetiche. La circolazione cerebrale, mediante sistemi di autoregolazione dovuti a modificazioni delle resistenze arteriolari, è in grado di mantenere un flusso ematico relativamente costante, che soddisfa le richieste energetiche e metaboliche neuronali, anche in condizioni di variabilità della pressione arteriosa sistemica. Quando si verifica l’occlusione di un vaso arterioso, nella zona centrale (core) del territorio di irrorazione il flusso ematico è quasi totalmente interrotto e si ha morte neuronale; nella zona adiacente (penombra ischemica) l’apporto ematico è in parte supportato dal circolo collaterale e pertanto le cellule nervose rimangono vitali anche se danneggiate e funzionalmente compromesse. Il danno neuronale è sostenuto sia dalla cessazione dei processi metabolici, sia da complessi processi fisiopatologici quali il rilascio di neurotrasmettitori eccitatori con fenomeni di eccitotossicità, alterazioni elettrofisiologiche, produzione di radicali liberi, che possono determinare una trasformazione della penombra ischemica reversisibile in un irreversibile infarto. Oltre a tre meccanismi tipici – ossia l’ictus aterotrombotico, l’ictus cardioembolico, l’ictus lacunare, o malattia dei piccoli vasi – l’infarto può essere determinato da cause rare, quali patologie non aterosclerotiche dei vasi cerebrali (dissecazioni arteriose, malattie del collagene, vasculiti, displasia fibromuscolare, sindrome Moya-Moya), malattie metaboliche (omocistinuria, malattia di Fabry, MELAS, ossia Mitochondrial myopathy, Encephalopathy, Lactic Acidosis and Stroke-like episodes), ematologiche (deficit di fattori della coagulazione, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, anemia falciforme, trombocitemia essenziale), abuso di sostanze. In taluni casi non si hanno cause dimostrabili (ictus criptogenetico).
L’esordio improvviso di un deficit neurologico a focolaio rappresenta la caratteristica clinica principale dell’evento cerebrovascolare acuto (TIA, ictus). Il quadro clinico varia a seconda dei distretti vascolari interessati. In quest’ottica, la classificazione dell’Oxfordshire community stroke project (OCSP) rappresenta un utile strumento per l’inquadramento del paziente con malattia cerebrovascolare acuta. In accordo con tale classificazione è possibile distinguere diversi quadri patologici dipendenti da vari distretti.
TACI (Total Anterior Circulation Ischemia). Ischemia da occlusioni dell’arteria carotide interna. In relazione alle modalità temporali con cui si sviluppa l’ostruzione e alla validità dei circoli di compenso, il quadro clinico può risultare estremamente sfumato o essere caratterizzato da grave deficit motorio e sensitivo a carico dell’intero emisoma controlaterale, disturbi del campo visivo (➔ emianopsia), compromissione di funzioni simboliche con afasia o aprassia, deviazione forzata di capo e occhi, deficit monoculare del visus (amaurosi) per occlusione dell’arteria oftalmica. In un discreto numero di casi, l’occlusione della carotide interna si combina con quella dell’arteria cerebrale media (ACM) ma il quadro clinico finale è sovrapponibile a quello di un infarto completo di ACM.
PACI (Partial Anterior Circulation Ischemia). Queste patologie possono essere distinte in sindromi dell’arteria cerebrale anteriore (ACA) e media (ACM). Le occlusioni dell’ACA si manifestano con disturbi motori interessanti generalmente solo un segmento dell’emisoma controlaterale (più frequentemente, una monoparesi a livello della gamba), afasia motoria transcorticale, modificazioni del tono dell’umore in senso depressivo, apatico, abulico, incontinenza urinaria, aprassia unilaterale sinistra, riflessi di liberazione frontale (che, normalmente presenti nel bambino piccolo, scompaiono nell’adulto e ricompaiono in patologie vascolari o degenerative: sono la chiusura a pugno della mano dopo la stimolazione tattile del palmo, o il riflesso palmomentoniero, che si evoca percuotendo l’eminenza tenar e ottenendo contrazione del muscolo mentoniero e orbicolare della bocca). Si può verificare anche l’insorgenza, in una minore percentuale di casi, di emiplegia, disturbi sensitivi, eminegligenza. Le sindromi dell’ACM invece si presentano clinicamente, in rapporto all’estensione e alla localizzazione dell’ischemia, con emiparesi/emiplegia controlaterali, interessanti almeno due segmenti tra volto, arto superiore e inferiore, deviazione forzata di capo e occhi verso il lato della lesione, disturbi delle funzioni corticali superiori variabili a seconda dell’emisfero interessato. Le lesioni dell’emisfero dominante coinvolgono principalmente il linguaggio (afasia motoria, sensitiva, mista, globale, ecc.) e le prassie (aprassia ideomotoria, costruttiva). Nelle ischemie a carico dell’emisfero non dominante compaiono invece disturbi dello schema corporeo e dell’esplorazione spaziale quali somatoagnosia (➔) di una metà del corpo e negligenza spaziale unilaterale (➔). Frequenti sono inoltre i disturbi affettivo- comportamentali.
POCI (POsterior Circulation Ischemia). Le ischemie del circolo posteriore si manifestano con segni e sintomi neurologici relativi all’interessamento di: lobi occipitali (disturbi del campo visivo dello stesso lato della lesione, alterazioni nella visione dei colori, agnosia visiva, deficit cognitivi); regioni parietali posteroinferiori (emisindrome sensitiva controlaterale) e temporali inferiori (afasia di denominazione, o di Wernicke); talamo (emisindrome sensitiva, dolore talamico, deficit delle funzioni esecutive e della memoria verbale e visiva, atassia, lieve emiparesi, movimenti involontari distonici); cervelletto (atassia degli arti e del tronco, vertigini, nistagmo, disartria); tronco encefalico (deficit di nervi cranici omolateralmente alla lesione con segni di vie lunghe controlaterali, disturbi di coscienza, paralisi dello sguardo).
Sindromi lacunari. Sono dovute all’occlusione di piccole arterie cerebrali, in genere di tipo penetrante o perforante, e la lesione tissutale – la lacuna – ha dimensioni inferiori ai 15 mm. L’emiparesi motoria pura è la sindrome lacunare più frequente e si manifesta con un deficit motorio interessante l’intero emisoma controlaterale, non associato a disturbi sensitivi, o del linguaggio, o simbolici; la lacuna è localizzata alla base del ponte o nel braccio posteriore della capsula interna. L’emisindrome sensitiva pura è invece provocata da ischemie lacunari in sede talamica. Più raramente, in caso di ischemie talamiche o capsulari, si può realizzare un quadro di sindrome sensorimotoria. L’emiparesi atassica è caratterizzata da una lieve paresi motoria, prevalente all’arto inferiore, associata a un’atassia segmentale, soprattutto dell’arto superiore; può essere causata da lacune interessanti braccio posteriore della capsula interna, talamo, tegmento pontino. La sindrome disartria-mano goffa, infine, si manifesta con un lieve impaccio nei movimenti della mano accompagnato da disartria, ed è dovuta a lesione lacunare a livello pontino o talamico.
Il paziente con deficit neurologico focale a esordio acuto, quindi di sospetta origine cerebrovascolare, deve essere condotto nel minor tempo possibile presso un centro specialistico in grado di mettere in atto una serie di procedure cliniche e strumentali finalizzate: a effettuare una diagnosi differenziale tra vasculopatia e altre condizioni neurologiche e internistiche; a chiarire la natura ischemica o emorragica dell’evento ictale; a instaurare, in casi selezionati di ischemia e secondo un rigido protocollo di cui il principale aspetto è quello temporale (la ‘finestra terapeutica’), un trattamento trombolitico; a indirizzare i casi di emorragia cerebrale, e in partic. le emorragie subaracnoidee, verso il trattamento neurochirurgico o endovascolare. La TC cerebrale, senza mezzo di contrasto, rappresenta il primo accertamento diagnostico da eseguire, in quanto consente di evidenziare, già in fasi acutissime, la presenza di sanguinamenti intracranici e di individuare segni diretti e indiretti di ischemia cerebrale, quali l’ipodensità dei nuclei della base, l’obliterazione focale dei solchi e delle cisterne cerebrali, l’iperdensità dell’arteria cerebrale media. La risonanza magnetica (RM), eseguita con sequenze pesate in diffusione e perfusione, è estremamente utile per valutare l’estensione dell’area infartuata e del tessuto cerebrale a rischio, anche in caso di piccoli infarti a livello del tronco dell’encefalo. Dopo aver confermato, mediante l’impiego delle neuroimmagini, la natura cerebrovascolare ischemica del deficit neurologico, il paziente dovrebbe essere sottoposto ad alcune valutazioni strumentali che consentono di comprendere i meccanismi eziopatogenetici dell’evento ischemico, e conseguentemente di orientare le successive scelte terapeutiche. L’ecocolordoppler dei vasi epiaortici permette di evidenziare la presenza, stimare il grado e l’impatto emodinamico di eventuali stenosi vasali, nonché di caratterizzare l’ateroma. Il doppler transcranico consente di studiare il flusso nei principali vasi intracranici fornendo indicazioni circa la presenza di stenosi, vasospasmo e circoli collaterali. Tutti i pazienti devono essere sottoposti a ECG per individuare eventuali cardiopatie emboligene (fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica, ecc.). La valutazione cardiologica può essere completata o con una ecocardiografia transtoracica, che può identificare alterazioni della morfologia e della cinesi cardiaca, anomalie valvolari, o – soprattutto nei giovani – con un’ecocardiografia transesofagea, che permette una migliore visualizzazione dell’atrio e dell’auricola, del setto interatriale e dell’arco aortico e che quindi risulta più sensibile nell’identificare fonti emboligene o la presenza di shunt fra le parti destre e sinistre del cuore. Lo studio angiografico, finalizzato a documentare l’esistenza di stenosi od occlusioni dei principali vasi intra- ed extracranici, può essere eseguito mediante angio-TC, angio- RM, o con angiografia tradizionale (soprattutto in previsione di un trattamento trombolitico intrarterioso o di un’angioplastica con posizionamento di stent). È essenziale, infine, valutare, mediante l’esecuzione di esami ematochimici, la presenza di fattori di rischio cardiovascolare, nonché di stati protrombotici o trombofilici.
La gestione terapeutica dell’ictus ischemico riconosce tre momenti fondamentali: la terapia in acuto (➔ infarto cerebrale), il trattamento delle condizioni generali che influenzano l’outcome a breve e lungo termine e la gestione delle complicanze sia internistiche sia neurologiche, la prevenzione secondaria (delle recidive).
Trattamento delle condizioni generali e delle complicanze. Questo approccio è finalizzato alla gestione di problematiche sistemiche concomitanti che possono incidere negativamente sul decorso clinico, e dunque sulla prognosi. I pazienti con stroke devono essere sottoposti a monitoraggio cardiaco per la frequente comparsa, in seguito a un episodio cerebrovascolare, di aritmie, insufficienza cardiaca, coronaropatie. Deve essere instaurato uno stretto controllo del bilancio idroelettrolitico, della glicemia, della temperatura corporea, e attuata una prevenzione delle tromboembolie venose e delle eventuali crisi epilettiche. Fondamentale è la gestione della pressione arteriosa in quanto valori pressori troppo alti o troppo bassi nelle prime ore dall’evento si associano a un precoce declino delle funzioni neurologiche e a una prognosi sfavorevole. La terapia antipertensiva (con labetalolo, urapidil, nitroprussiato, clonidina, per via endovenosa) dovrebbe pertanto essere instaurata qualora la pressione sistolica superi i 220 mmHg e la diastolica i 120 mmHg, e deve mirare a una riduzione molto graduale dei valori pressori. I farmaci diuretici osmotici (mannitolo) sono comunemente impiegati nel trattamento dell’edema cerebrale (principale causa di morte precoce), mentre lo studio della deglutizione e il posizionamento di sondino nasogastrico facilitano la prevenzione di polmoniti ab ingestis. Lo status neurologico deve essere sempre strettamente monitorato mediante scale di valutazione validate quali la NIH stroke scale e la Scandinavian stroke scale.
Prevenzione secondaria. Si basa sul controllo dei fattori di rischio cardiovascolari (fumo, ipertensione arteriosa, dislipidemie, diabete mellito) e sull’as sunzione delle terapie antitrombotiche già instaurate in fase acuta. I pazienti con ictus non cardioembolico dovrebbero ricevere terapia antiag - gregante con acido acetilsalicilico (ASA) a bassi dosaggi (75÷150 mg/die) oppure con ticlopidina (500 mg/die) o clopidogrel (75 mg/die), quando l’ASA è controindicato o inefficace. In caso di stroke cardioembolico è indicata un’anticoagulazione orale con mantenimento dei valori nel range terapeutico. I pazienti con stenosi sintomatica della carotide interna, maggiore o uguale al 70%, o con placche complicate ad alto rischio, possono essere sottoposti a endoarteriectomia (decostruzione chirurgica di un’arteria mediante asportazione della parte interna) per via tradizionale o a procedure di dilatazione endovascolare, da eseguire presso centri di elevata e comprovata esperienza. Gian Luigi Lenzi