Vedi APULI, Vasi dell'anno: 1958 - 1994
ÀPULI, Vasi
Sotto questa denominazione è compresa la produzione di ceramica dipinta di tradizione tecnica e stilistica greca, soprattutto attica, che ebbe luogo dall'ultimo quarto del V sec. a. C. fino a non molto tempo dopo il termine del IV sec., in centri dell'Apulia, che restano, tranne Taranto, non identificati. Non si comprendono sotto questa denominazione i prodotti delle fabbriche ceramiche indigene, pur esse geograficamente àpule, che sono rappresentati dai gruppi daunio, iapigio e messapico: questi vasi presentano forme e decorazioni (soprattutto di tipo geometrico) locali, di rado e assai debolmente influenzati dal repertorio ellenico; essi sono inoltre lavorati con procedimento tecnico diverso da quello usato per la ceramografia greca classica. Anche la cronologia di questi prodotti in gran parte è diversa da quella valida per i vasi àpuli.
La tecnica di fabbricazione e di decorazione pittorica dei vasi a. è la stessa che era usata nelle officine ceramiche attiche. Indubbiamente i primi fabbricanti, se non erano attici, ebbero almeno il loro originario magistero in Atene. Accanto ai dati tecnologici, portano alla stessa conclusione il repertorio figurativo ed ornamentale e lo stile della decorazione (v. Tavole a colori).
Naturalmente col procedere della produzione, col suo ampliarsi e col suo probabile diffondersi in più centri è maggiormente avvertibile, tanto dal lato tecnico quanto da quello estetico, una differenziazione dalla produzione attica che cessa di essere modello: la produzione a., dopo un periodo iniziale, si svolge indipendentemente da quella attica, seguendo un proprio sviluppo. E se si vogliono vedere reciproci contatti con altre produzioni ceramografiche, queste sono quelle che si svolgevano contemporaneamente in altre regioni italiote oppure - ma meno sensibilmente - riflettono rapporti con l'Etruria e il Lazio. La prima officina in Apulia iniziò la sua produzione poco tempo dopo l'impianto della fabbrica guidata dai cosiddetti Pittore di Pisticci e Pittore di Amykos, in cui si ravvisa l'origine della classe dei vasi lucani (v. Lucani, vasi); press'a poco, perciò, verso il 425 a. C. È assai probabile che il centro di questa produzione protoapula sia stata Taranto. La prima fase vascolare a. fa parte della cosiddetta ceramografia "protoitaliota", che in un primo momento non fu studiata differenziatamente nei suoi due rami: l'a. e il lucano, limitandosi gli studiosi a distinguere un gruppo A (che è risultato poi essere protolucano) e un gruppo B (il protoapulo). Le prime personalità artistiche che si incontrano nella fase antica della ceramografia a. sono: il Pittore della Danzatrice e il Pittore di Sisifo (425-400 circa a. C.). Quest'ultimo è un pittore della massima importanza, ed in lui si può vedere l'iniziatore della ceramografia a. in entrambe le correnti stilistiche in cui la si può dividere. A lui sono attribuiti tanto vasi "monumentali", quanto una produzione più semplice, più generica e con vasi di dimensioni più normali. Del gruppo attorno al Pittore della Danzatrice e al Pittore di Sisifo si sono riconosciuti il Pittore del Parasole e quello di Hearst, mentre in un gruppo a parte, detto gruppo "mitologico", vengono classificati altri maestri che mostrano un'accentuata predilezione per scene mitologiche (da ciò appunto deriva la denominazione): il Pittore di Arianna, il Pittore di Ruvo 1091, il Pittore della Statua (maestri, questi, di stile assai simile), il Pittore di Bendis, il Pittore di Perseo, il Pittore delle Prove teatrali (= Rehearsal P.) con i suoi imitatori (come il Pittore di B. M. F 181-2 oppure di Londra F 181-2) e seguaci (il Pittore del Giudizio e quello di Amymone). Le due tendenze che vediamo coesistenti nell'opera del Pittore di Sisifo si svilupparono indipendentemente nell'attività dei suoi immediati seguaci e da esse si suol far derivare le due correnti nelle quali si divide la vastissima produzione a. del pieno IV secolo. Abbiamo dei pittori autori di vasi di grandi dimensioni, con decorazione sovrabbondante, spesso con scene mitologiche complesse e ricche di personaggi. Essi si riattaccano alla produzione "monumentale" del Pittore di Sisifo e attraverso loro si giunge al gruppo dei grandi crateri a volute dell'ultimo terzo del IV secolo, fra i cui maestri per ora si è riconosciuta la personalità artistica più interessante e significativa, il Pittore di Dario o dei Persiani. I pittori che rappresentano gli anelli che collegano questo aspetto "monumentale" del Pittore di Sisifo alla tarda produzione a. di vasi di grandi dimensioni e di complessa decorazione sono stati in gran parte studiati e le loro opere raggruppate sotto i nomi convenzionali di Pittore di Sarpedon, Pittore Dionisiaco o della Nascita di Dioniso, Pittore della Iliupersis, Pittore di Licurgo (v.). Essi costituiscono personalità di notevole importanza, attraverso le cui opere si può seguire l'evoluzione per cui dalla pittura di ispirazione scultorea della fase protoapula si arriva al pittoricismo e alla policromia della fase matura e seriore. I vasi della corrente monumentale nel IV sec. avanzato di regola hanno il collo decorato con una testa o un busto femminile, alle volte alato, entro girali vegetali e stilizzati. Ampia è la decorazione accessoria sotto le anse. Le scene sono assai spesso episodi mitologici derivati soprattutto dai temi della tragedia greca. Assai frequenti sono sulle facce secondarie o sui vasi di minori pretese le composizioni di vari personaggi attorno ad un heròon o naìskos reso con il color bianco aggiunto. Nell'edicola appare talvolta anche il simulacro del defunto. Molti vasi di questo genere provengono da Canosa e si suppone che fossero di fabbricazione locale, opere di una sorta di filiale della bottega maggiore. Anche di questa produzione il centro principale fu indubbiamente Taranto. Un certo numero di vasi è dipinto in uno stile più rozzo e provinciale: e ciò fa supporre che si tratti di imitazioni locali dei prodotti più raffinati dei centri maggiori. Con il Pittore di Dario, che può esser considerato l'ultimo dei grandi decoratori a. di vasi, abbiamo un certo numero di prodotti, soprattutto oinochòai a collo lungo, con pitture molto frettolose e con abbondanti aggiunte di colore sovrapposto.
L'altra delle due correnti nelle quali si suol distinguere la ceramografia a. trae origine, essa pure, dal Pittore di Sisifo, da quella parte della sua produzione caratterizzata da vasi di dimensioni normali, decorati semplicemente con figure generiche accostate senza speciale significato. In questa corrente il gruppo più vasto discende dal Pittore di Tarporley, artigiano di ampia produzione della fine del V e del primo ventennio dei IV sec., in tutta una schiera di maestri e di gruppi, spesso di scarso interesse estetico e di difficile classificazione stilistica, che solo recentemente ed in modo ancor parziale sono stati riconosciuti e denominati per opera del Trendall e del Cambitoglou. Essi sono: il Pittore di Lecce 686, il Pittore di Bologna 497, il Gruppo Copenaghen-Cork, il Pittore di Karlsruhe 39, il Gruppo di Madrid 11085, il Pittore dell'Anatra grassa, il Pittore di Eton-Nika, il Pittore di York, il Pittore di Bologna 428, il Pittore delle Lunghe falde, il Pittore di Bari 1364, il Pittore di Atene 1714, il Pittore di Atene 1680, il Pittore di Bologna 571, il Pittore di Filadelfia, il Pittore di Bologna 589, il Pittore di Copenaghen 335, il Pittore di Vaticano V5, il Pittore del Museo Rodin ed il Pittore di Skiron. Un altro gruppo di vasi inizialmente connessi con la maniera del Pittore di Tarporley è classificato dai due studiosi sopra citati sotto la denominazione di Gruppo di Hoppin-Lecce e comprende il Pittore di Hoppin (380-370 circa a. C.), il Pittore delle Eumenidi, il Pittore di Marburg e il Pittore di La Valletta (questi due maestri sono di stile vicino e nel gruppo che da loro prende il nome sono inseriti altri vasi stilisticamente assai simili ai loro prodotti), tutta una schiera di gruppi e di maestri che discendono dal Pittore di Hoppin (Gruppo del Bucranio, Pittore di Monaco 3269, Pittore di Sydney 46, 48, Pittore di Sydney 64). Questo ramo della ceramografia apula comprende poi il Gruppo di Lecce (il Pittore omonimo ed un insieme di prodotti connessi stilisticamente oppure opera di imitatori o seguaci del maestro) e il Gruppo di Truro che deriva lo stile dal Pittore di Truro. Isolati sembrano, nel vasto raggruppamento Hoppin-Lecce, il Pittore del Tirso, il Pittore di Berkeley e il Pittore della Lampas. Resta tuttavia una larga produzione, opera di maestri non ancora individuati, soprattutto della seconda metà del IV sec., autori di sfilate di crateri a campana, crateri a colonnette, hydrìai, pelìkai, oinochòai, vera produzione di massa, decorati con figure di giovani e donne, eroti o teste femminili. Per i vasi decorati con questo ultimo motivo, il Cambitoglou (Journ. Hell. Stud., lxxiv, 1954, p. 111 ss.) ha distinto, seppure in maniera ancor rudimentale, alcuni gruppi, suscettibili di ampliamento e forse di collegamento. Essi sono: il Gruppo di Stoke-on-Trent, il Gruppo di Londra F 339, il Gruppo del Kàntharos, col quale sono connessi il Gruppo di Bologna 1366, il Gruppo di Brunswick e quello di Reading 51.7.13, poi il Gruppo di Toronto, quello di Taranto 2996, il Gruppo delle Amphorae, il Gruppo di Copenaghen e il Gruppo di Lecce 866. Nella monotona uniformità stilistica e di soggetti di questa produzione fa eccezione il Pittore della Lampas, che, pur collegato al Gruppo di Hoppin-Lecce, dimostra stile e gusto caratteristici. In questa produzione in serie i non molti motivi si ripetono con esasperante frequenza. Anche la decorazione accessoria sotto le anse, sul collo o sulle spalle, relativamente ampia, è monotona, nonostante lievi varianti; palmette e girali, riccioli e volute, serie di rosette e di borchie, tralci d'edera (questi ultimi sul collo dei crateri a colonnette resi con tecnica a figure nere), riempitivi vegetali sono sempre fondamentalmente simili. I vasi di media grandezza, come i crateri, le anfore, le pelìkai sono decorati di norma con due figure per faccia. Quasi sempre su quella secondaria sono dipinti due giovani ammantati affrontati con lievissime ed insignificanti varianti, relative alla presenza o alla collocazione del bastone o ai riempitivi nel fondo (dittici, haltères, corone, phiàlai ecc.). La faccia principale presenta un repertorio un po' più vario: giovani o guerrieri in costume locale, satiri, Eros, Dioniso, fanciulle o menadi o donne iniziate al culto dionisiaco. Si ritiene che queste scene abbiano un generico significato funerario. I personaggi generici e gli oggetti che recano sono gli stessi che tornano in scene di offerta o di culto al sepolcro. Per i vasi decorati con heròa più o meno elaborati si è supposto che essi costituissero un surrogato molto più economico del naìskos vero e proprio, tanto abbondantemente testimoniato dai frammenti lapidei di Taranto. Ad un certo momento ebbe anche successo la decorazione con pesci ed altri animali della fauna marina: in genere essi sono disposti in zone.
Per ciò che riguarda la forma dei vasi a., essi dichiarano in maggioranza la derivazione dalla ceramica attica. Di questa, nella ceramografia a. e in quella italiota in generale, mancano la kỳlix e la lèkythos cilindrica del tipo funerario: rari sono, in un primo momento, i rhytà configurati che nella fase più tarda, invece - forse sotto l'influsso della toreutica - diventano abbondanti. Anche l'anfora assume in generale l'aspetto del tipo panatenaico con esile piede. Di derivazione locale è la nestorìs, modificazione della cosiddetta "trozzella": è però rara nella ceramica a., che la produsse per l'esportazione in Lucania, nella cui produzione ceramica appunto tale vaso è abbastanza comune.
Naturalmente, col tempo anche i tipi vascolari di derivazione attica ebbero una loro evoluzione. Da un lato si tende al grandioso con le grandi anfore a volute della corrente "monumentale": nelle forme meno grandi c'è invece un assottigliarsi, uno sveltirsi delle sagome che risultano disarmoniche e meschine. Spesso la disposizione della decorazione pittorica e di quella plastica appesantiscono eccessivamente l'esile fusto del vaso. Dal punto di vista tecnico è da sottolineare prima di tutto il passaggio da un disegno risultante dal semplice contrasto della vernice e della creta (in principio piuttosto pallida, mentre più tardi è intensamente bruna), ad una policromia vivace, anche se si giova dell'aggiunta di tre soli colori: il bianco, il rossobruno e il giallo in varie sfumature, che è caratteristica della ceramografia a. del IV sec. avanzato. Quest'evoluzione avviene nei prodotti degli immediati successori del Pittore di Sisifo. Di fronte alla ceramica attica, quella a. si distingue abbastanza facilmente anche per l'aspetto della creta meno raffinata e della vernice spesso opaca o meno lucente. Nella grande massa della produzione, poi, si hanno anche prodotti mal riusciti, soprattutto nella cottura, nei quali la vernice è di colore bruno. Abbastanza resistenti in generale sono i colori aggiunti. Per i dati tecnologici i vasi a. si possono distinguere con relativa facilità da quelli di altre produzioni italiote.
Si è già detto del contenuto probabilmente funerario della gran massa delle figurazioni del vasellame a.: in questo senso il valore documentario di esso non è scarso. I vasi con figurazioni di scene narrative o mitologiche sono di altissimo interesse anche per la storia letteraria; nella redazione dei singoli episodi è presente in molti casi, fuori di ogni dubbio, l'influsso della tragedia, soprattutto attica e particolarmente euripidea (l'argomento è stato particolarmente studiato da T. B. L. Webster). Anche le non molte scene "fliaciche" sono interessanti per gli indizi che possono dare su questa forma di teatro comico popolare, che certo ebbe vita anche prima di trovare una consacrazione letteraria.
Dal lato estetico si sono trascurati i vasi della corrente più generica: essi non possono offrire molti dati in questo senso. Tuttavia, benché l'area di espansione commerciale di essi non sia stata vasta, è pensabile che abbiano avuto un certo influsso nel mondo figurativo italico del IV secolo. I rapporti con la ceramografia campana del Gruppo A. P. Z. (v.) sono dimostrati, e forse anche altrove si possono trovare relazioni. Meglio studiata è l'arte della prima fase: i maestri più antichi mostrano di aver subito l'influenza della scuola ceramografica polignotea e pare che siano rimasti per un certo periodo in contatto stretto con la produzione attica. Però questa sola spiegazione non è sufficiente a dar ragione della monumentalità di certe composizioni che si vuol attribuire all'influenza della scultura. I confronti con le contemporanee tavolette fittili tarantine sono validi e giusta è pure l'osservazione che nelle figure e nei gruppi dei vasi del Pittore di Sisifo si sente il riflesso dell'arte del fregio di Figalia. Accanto alle sedimentazioni della tradizione ceramografica attica dev'essere presente anche l'influsso dell'arte viva in quel periodo a Taranto.
Vasi di Gnathia. - In termini geografici appartengono alla ceramografia a. anche i vasi detti di Gnathia, vasi coperti di vernice nera decorati con figure o, più spesso, ornati vari in colori bianco, giallo o rosso aggiunti. In Apulia fu il centro principale di produzione, probabilmente a Taranto. Essi si datano da poco prima la metà del IV sec. e continuano anche nel III. All'ultimo periodo si attribuiscono i vasi decorati con colori più opachi.
A questa categoria, almeno tecnologicamente, si possono avvicinare i pochi pezzi con pittura policroma sovraddipinta alla vernice (il frammento con attore di Würzburg e il cratere delle Eumenidi di Leningrado, per esempio). (Su ciò v.: H. Bulle, in Festschrift J. Loeb, 1930, p. 5 ss.). Assai affine è un'altra classe: quella parte della produzione, localizzabile in Apulia, di vasi con decorazione in colori sovrapposta, simile tecnologicamente a quella di "Gnathia" e tipologicamente a sè stante. Di essa fanno parte il Gruppo Xenon (v.) e quello del Cigno Rosso (v.). Il kàntharos e le coppe apode sono i tipi preferiti di questa classe che, con la diffusione dello stile di "Gnathia", andò presto in disuso.
Per la forma, sono in complesso estranei alla ceramografia a. i grandi vasi, soprattutto askòi, con barocca decorazione plastica, dipinti con varia policromia su un fondo per lo più di colore rosa. Lo stile delle pitture di questi rari vasi, senza dubbio di destinazione funeraria, concorda con quello dei disegni della tarda produzione tradizionale a. di cui, per dati di trovamento, si debbono ritenere contemporanei. Sono da considerarsi una particolarità locale. Si pensa che il centro di produzione di essi sia stato Canosa.
Bibl: G. Patroni, La ceramica antica nell'Italia meridionale, in Memorie della R. Acc. di Napoli, XIX, 1897-98; C. Watzinger, De vasculis pictis Tarentinis: Diss., Darmstadt 1899; F. Vanacore, in Atti Acc. di Arch. di Napoli, XXIV, 1905, p. 175 ss.; P. Ducati, in Oesterr. Jahresh., X, 1907, p. 251 ss.; M. Jatta, in Mon. nt. Lincei, XVI, 1907, c. 493 ss.; V. Macchioro, in Röm. Mitt., XXVI, 1911, p. 187 ss., XXVII, 1913, p. 21 ss. e p. 163 ss.; G. Patroni, in Rend. Lincei, XXI, 1912, p. 549 ss.; V. Macchioro, in Neapolis, I, 1923, p. 30 ss.; G. Bendinelli, in Ausonia, IX, 1914, p. 195 ss.; C. Albizzati, in Atti Pont. Acc. Rom. di Archeol., 1920, p. 149 ss.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, p. 507 ss. e p. 718; E. W. Tillyard, The Hope Vases, Cambridge 1923, p. 8 ss.; N. R. Moon, in Papers of the British School at Rome, XI, 1929, p. 30 ss.; A. D. Trendall, in Journ. Hell. Stud., LIV, 1934, p. 175 ss.; idem, Frühitaliotische Vasen, Lipsia 1938; A. Rumpt, Malerei und Zeichnung (Handb. d. Archäol., VI), Monaco 1953, pp. 110, 119 s., 137 ss.; A. D. Trendall, Vasi Antichi dipinti del Vaticano, Vasi italioti ed etruschi a figure rosse, i, Città del Vaticano 1953, p. i ss., p. 69 ss.; A. Rocco, in Archeol. Class., V, 1953, p. 170 ss.; A. Cambitoglou, in Journ. Hell. Stud., LXXIV, 1954, p. 111 ss.; A. D. Trendall: Vasi dipinti del Vaticano: Vasi italioti ed etruschi a figure rosse, II, Città del Vaticano 1955, p. 101 ss.
Sulla ceramica di "Gnathia" e su quella con colori aggiunti: R. Pagenstecher, in Arch. Anz., 1900, c. i ss.; H. Bulle, in Festschrift für Loeb, Monaco 1930, p. 5 ss.; C. W. Lunsingh-Scheurleer, in Arch. Anz., 1936, c. 285 ss.; A. Rocco, in Mem. Acc. Arch. di Napoli, VI, 1942, p. 233 ss.; J. D. Beazley, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947, pp. 218 ss., 223 ss.; J. D. Beazley, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947, pp. 218 ss., 223 ss.; T. B. L. Webster, in Journ. Hell. Stud., LXXI, 1951, p. 222 ss.; A. Rumpf, op. cit., p. 155; A. D. Trendall, Vasi antichi dipinti del Vaticano: Vasi italioti ed etruschi a figure rosse, II, Città del Vaticano 1955, p. 212 ss.
Sulla ceramica policroma canosina: H. B. Walters, Catalogue of the Terracottas. Brit. Mus., Londra 1903, p. 327 ss.; M. Jatta, in Röm. Mitt., XXIX, 1914, p. 90 ss.; C. V. A., Great Britain, 10-Brit. Museum, 7, IV, D a, Tav. 468 ss.