Vedi CABIRICI, Vasi dell'anno: 1959 - 1994
CABIRICI, Vasi (v. vol. II, p. 239)
I vasi a figure nere, in argilla locale, di colore che va dal giallo chiaro fino al marrone chiaro con una vernice lucida nera o marrone scura, erano consacrati al culto di Cabiro e del suo pàis nel santuario posto c.a 6 km a O di Tebe in Beozia. Col tempo la vernice venne applicata più diluita, tanto da far trasparire la tonalità di base, non solo per trascuratezza, ma anche perché veniva così raggiunto un ductus più rapido, più scorrevole e più pittorico per la figurazione.
Sono recipienti a forma di calice, con due anse ad anello disposte verticalmente, provviste inizialmente di due apici, più tardi solo di uno oppure addirittura prive di essi. Per la posizione verticale dei manici, questi vasi possono rientrare nel genere dei kàntharoi e, in particolare, nel gruppo della Ceramica delle Pendici Occidentali dell'Acropoli di Atene. I kàntharoi c. appartengono al vasellame specifico del culto del santuario che, evidentemente, dopo il simposio cultuale, veniva frantumato o lasciato nelle tombe dei Misti (iniziati ai misteri), quale dono alla divinità per la celebrazione del culto nell'aldilà. Accanto ai kàntharoi c. venne trovato nel santuario, in quantità minore, anche altro vasellame di culto decorato a figure nere: vasi figurati a forma di testa, rhytà, uno stamnospyxis, un lèbes gamikòs, coperchi di pisside e di thymiatè rion, karchèsia, kèrnoi, trottole, lèkythoi, kotylai in miniatura, kàntharoi, lekànes, così come altra ceramica d'uso comune pubblicata da U. Heimberg (1982).
La tipologia dei kàntharoi c. a figure nere è inserita nella tradizione della pittura vascolare a figure nere della Beozia tardo-subarcaica, pittura che, come hanno mostrato J. J. Maffre e A. Waiblinger, si mantiene in forme fortemente diradate fino al terzo venticinquennio del V sec. a.C. In quest'epoca cade, secondo A. Mallwitz, il secondo periodo della prima fase del santuario, analizzato da A. Schachter; questo periodo, compreso tra l'ultimo quarto del VI sec. e il 450-425 a.C. circa, vede la costruzione delle rotonde mediana e inferiore. Alcuni resti indicano tre ulteriori rotonde che certamente servivano tutte da sale per i simposi cultuali. Il cambiamento nel culto, evidenziato da tali modifiche, è collegato evidentemente alla nascita dei kàntharoi c. quali recipienti di culto speciali per i simposi, kàntharoi che nella tecnica e nelle forme pittoriche si radicano in questa importante fase del santuario. Questo genere, all'inizio prevalentemente a figure nere, più tardi, soprattutto negli ultimi due decenni del IV sec. a.C., decorato soltanto con motivi fitomorfi, perdura nel santuario fino al secondo venticinquennio del III sec. a.C. Nel corso di questo periodo vi sono certamente variazioni nello stile, nei temi delle rappresentazioni, nelle forme decorative, ma anche nei profili dei vasi.
I primi scavi effettuati nel Kabìrion da Paul Wolters nel 1887-88, così come quelli successivi del 1956-64 eseguiti da Gerda Bruns, hanno portato alla luce prevalentemente frammenti di kàntharoi c.; nel corso di questi scavi fu notato che due terzi di tutta la ceramica erano decorati a motivi fitomorfi. Vasi interi provengono principalmente da tombe nei dintorni di Tebe. Sono importanti i ritrovamenti di tre kàntharoi c. provenienti dal Polyàndrion di Tespie, cioè il monumento sepolcrale di stato per i Tespiesi caduti presso Delion, datato intorno al 424 a.C. Questi tre vasi sono stati determinanti per l'alta datazione dell'intera tipologia al periodo 440-420 a.C. (K. Braun, Th. Haevernick, 1981, nn. 413-415). Essi presentano un piede sottile, una parete che si slancia verso l'alto, all'inizio in modo convesso e poi verticale. Le anse a nastro, con uno o due apici, sono circolari e applicate alla parete in modo disorganico. Gli animali sul calice con scene di caccia (ibid., n. 413), orientati verso sinistra e rappresentanti la caccia alla lepre e alla volpe, sono resi nei soli contorni, senza un disegno interno articolato. Da anteporre cronologicamente a questa data resta soltanto il calice della Collezione Kannellopoulos (ibid., n. 301), non soltanto a causa del profilo della parete del recipiente che ascende più ripidamente, bensì anche per la scena di caccia che si svolge sulle pareti anteriori e posteriori, come in una ciotola della Beozia della fine del secondo venticinquennio del V sec. a.C.
Nelle sue ricerche sui reperti provenienti dal Polyàndrion, D. Schilardi ha verificato che il calice con la rappresentazione della danza dei satiri (ibid., n. 414) non reca, al contrario degli altri calici, alcun numero di rinvenimento e quindi potrebbe provenire dall'area interessata da aggiunte agli inizî del IV sec. a.C. Il terzo calice proveniente dal Polyàndrion (ibid., n. 415) è ornato da semplici tralci d'edera. Mentre qui lo sviluppo dei tralci è ancora strutturato in maniera organica, nei calici successivi esso si fa molto più schematico e rigido attraverso l'introduzione di profili ovali delle pareti e attraverso manici di forma ovale.
Un frammento di calice, notevole sia per il soggetto che per la resa qualitativa, raffigurante Cabiro con il suo pàis, è stato datato da P. Wolters e G. Bruns intorno al 440 a.C.; in esso Cabiro è presentato in modo simile a Dioniso. Cabiro, Krateia, Mitos e Pratolaos sono da riconoscere inequivocabilmente in base alle iscrizioni dipinte, come le figure principali della sfera cultuale (ibid., n. 302). Poco dopo il 420 i vasi con decorazioni figurate sarebbero diventati antiquati e poco dopo il 400 a.C. anche la vivace produzione dello stile cabirico ornamentale potrebbe aver trovato la sua fine.
Gli ultimi scavi di G. Bruns fornirono tuttavia un nuovo quadro. Ora anche alcune delle precedenti osservazioni di H. Thomson, al pari di quelle di G. Soteriades relative ai suoi scavi del Polyàndrion di Cheronea, hanno trovato una comprensibile conferma. Inoltre la corretta datazione del frammento sopra menzionato portò, confrontandolo con la ceramica a rilievo dell'Attica e della Beozia del periodo intorno al 410-400 a.C., a nuove conoscenze per la datazione di tutto il genere della produzione cabirica.
L'opera del Pittore dei Misti, raccolta da P. Wolters e G. Bruns, viene datata, in base alla cronologia delle forme vascolari da lui dipinte, dalla fine del V all'inizio del secondo venticinquennio del IV sec. a.C. Caratteristico per questo pittore è non soltanto il grande bulbo oculare bianco triangolare o semicircolare con la pupilla puntiforme, bensì soprattutto la grottesca caricatura dei suoi volti, in cui il naso e la bocca hanno parvenze animalesche. In un frammento (ibid., η. 8), sulla nuca di un personaggio si nota uno spigolo che può essere certamente interpretato come il bordo posteriore di una maschera. Ciò indica che si intendono qui raffigurare maschere che evidentemente venivano portate nei dròmena rappresentati nell'ambito del culto, come i tessuti a maglia riconoscibili su alcune raffigurazioni (ibid., n. 4io).
Accanto a scene relative al culto, il Pittore dei Misti predilige le parodie di miti alla moda in questo periodo anche in Attica nella commedia di mezzo. Anche le rappresentazioni burlesche sui vasi fliacici dell'Italia meridionale mostrano tendenze spirituali affini. Il Pittore dei Misti rappresenta cicli tematici come Ulisse-Circe, Ercole- Atlante, Peleo che porta suo figlio Achille dal saggio Chirone e altri.
Queste raffigurazioni possono essere considerate, senza dubbio, riflessi di rappresentazioni teatrali nel Kabìrion. Che veramente ci siano state delle rappresentazioni teatrali nel Kabìrion, lo mostra l'area in salita del santuario, inizialmente usata quale kòilon naturale, cioè teatro in pietra, costruito nel quarto periodo del santuario e preceduto sicuramente da una costruzione in legno (370-335 a.C. c.a). Quest'ultima potrebbe essere stata costruita nel periodo del Pittore dei Misti.
I kàntharoi c. del Pittore dei Misti sono calici sferici, grossi e panciuti con le pareti che tendono convesse verso l'interno. Lo stacco tra il piede a doppia scanalatura e le pareti del calice viene messo in risalto anche otticamente attraverso una stretta fascia lasciata libera.
Nel gruppo dei calici decorati con tralci di vite, il piede e la parete del calice si allungano offrendo una superficie da dipingere più ampia (ibid., n. 379). Diviene così possibile, come variante, riempire solo una parte con i tralci di vite, mentre sulla facciata anteriore, che si viene in tal modo a creare, può essere rappresentata, p.es., una scena sacrificale o di altro tipo (ibid., nn. 389, 391). Nella fase successiva la rappresentazione figurata cade completamente in disuso a favore di un tralcio che riempie tutte e due le facciate, sia esso un viticcio, un tralcio d'edera, un ramo di mirto o di olivo. La decorazione può anche essere astratta, composta da una serie, doppia o semplice, di punti leggermente ondulata o di ramoscelli d'edera stilizzati. Assieme all'irrigidimento dei tralci o dei rami, peggiorano anche la qualità della vernice lucida e la forma del calice.
Il ruolo centrale nell'ambito delle rappresentazioni figurative sui kàntharoi c. era naturalmente ricoperto dal santuario con il dio Cabiro e il suo pàis, con il seguito di satiri e baccanti, Pan ed Hermes, i visitatori del santuario, gli iniziati e gli iniziandi che venerano la divinità in processioni e in banchetti, suonando il flauto e danzando isolatamente. A quest'ambito cultuale si ricollegano inoltre chiaramente le rappresentazioni di parodie dei miti, secondo la moda della commedia di mezzo, e particolari episodi mitici come la consegna della pozione magica di Circe a Ulisse. Nel corso della seconda metà del IV sec. a.C. scompaiono le rappresentazioni con particolari riferimenti a travestimenti e maschere, a favore di pesanti caricature della vita quotidiana, come anche di scene di caccia e di atleti. Viene inoltre maggiormente presa in considerazione la vita contadina che si svolge nei dintorni del santuario, con gli animali addomesticati e quelli che vivono liberamente nella riserva di caccia. Particolarmente grottesca e gustosa è l'illustrazione della battaglia mitica tra i pigmei e le gru.
La distruzione di Tebe da parte di Alessandro Magno nell'anno 335 a.C. sembra aver ridotto considerevolmente anche il culto nel santuario. Soltanto con la ricostruzione della città nel 316-315, operata con l'aiuto economico di Cassandro, viene introdotta anche nel santuario nuova vita. Le offerte sacre per le fondazioni, presso l'area di restauro della rotonda inferiore (ibid., nn. 217-220), venute alla luce insieme a monete di bronzo della Locride del 338-330 a.C., nonché i ritrovamenti interpretati come doni di fondazione, comprendenti tra gli altri un kàntharos c. (ibid., η. 223) con ornamentazione puramente vegetale, e i pochi frammenti ivi trovati con decorazione figurata (ibid., nn. 126, 125, 114, 115), stilisticamente paragonabili alle rappresentazioni sui vasi di Hadra, portano alla conclusione che la maggior parte dei kàntharoi c. con decorazione fitomorfa sono da datare negli ultimi due decenni del IV sec. a.C. Come è testimoniato dalla grossa quantità di calici con motivi fitomorfi, deve essere esistita una vivace attività cultuale nel santuario protrattasi fino alla capitolazione della città di fronte a Demetrio Poliorcete nell'anno 293-292 a.C. Il calice proveniente dalla costruzione rettangolare (ibid., n. 221) mostra l'ultimo stadio dei kàntharoi c. ed è probabilmente dell'inizio del secondo venticinquennio del III sec. a.C.; presenta una decorazione a tralci assolutamente irrigidita, le cui foglie assomigliano a isolate punte di freccia. Corrispondentemente alla schematizzazione della decorazione si fa più rozza anche la forma del calice. Analogamente ai kàntharoi del versante occidentale dell'acropoli anche i kàntharoi c. vengono sostituiti da altre forme vascolari come i calici megaresi; alcuni tra questi, rinvenuti nel Kabìrion, presentano addirittura una «decorazione a tralci d'edera caratteristica del santuario» (U. Heimberg, 1982, p. 99).
Bibl.: G. Brans, Die Ausgrabungen im Kabirenheiligtum bei Theben in Böotien, in Neue Deutsche Ausgrabungen im Mittelmeergebiet, Berlino 1959, p. 237 ss.; ead., Grabungen im Kabirenheiligtum bei Theben, inADeft, XVIII, B', 1963, Chron., p. 115 ss.; ead., Kabirenheiligtum bei Theben. Vorläufiger Bericht über die Grabungskampagnen 1959 und 1962, in AA, 1964, p. 231 ss.; ead., Kabirenheiligtum bei Theben... Grabung Kampagnen 1964-1966, ibid., 1967, p. 228 ss.; ead., Vorläufiger Bericht über die Grabung im Kabirenhäligtum bei Theben, in ADelt, XXIII, Β ', 1968, p. 224 ss.; W. Heyder, A. Mallwitz, Die Bauten im Kabirenheiligtum bei Theben (Das Kabirenheiligtum bei Theben, II), Berlino 1978; Κ. Braun, Th. Haevernick, Bemalte Keramik und Glas aus dem Kabirenheiligtum bei Theben (Das Kabirenheiligtum bei Theben, IV), Berlino 1981; U. Heimberg, Die Gebrauchskeramik aus dem Kabirenheiligtum bei Theben (Das Kabirenheiligtum bei Theben, III), Berlino 1982; Α. Schachter, Cults of Boiotia, 2. Herakles to Poseidon (BICS, Suppl. 38,2), Londra 1986, in part. p. 66 con aggiunte al cat. di Κ. Braun. Cfr. al riguardo CVA Kiel, tav. IV, 1.2, con altre aggiunte che non sono però convincenti circa la datazione all'ultimo venticinquennio del V sec. a.C.
(K. Braun)