Vedi CABIRICI, Vasi dell'anno: 1959 - 1994
CABIRICI, Vasi
Un gruppo abbastanza cospicuo di vasi a figure nere, che costituiva il materiale sacro del santuario dei misteri cabirici (posto vicino a Tebe) ha caratteri di particolare originalità popolare. I vasi sono in grande maggioranza skỳphoi, mentre rari sono i kàntharoi, le oinochòai, i piatti, le tazze; l'argilla è gialla come il cuoio grezzo, la vernice nera in cui sono rese le figure oscilla fra il nero brillante ed il marrone scuro, ed è in generale malamente stesa, mentre il disegno, sia delle parti figurate che di quelle ornamentali, lascia a volte a desiderare. La rappresentazione figurata si limita per lo più alla parte superiore della parete esterna dello skỳphos, ed è separata dalla zona puramente ornamentale mediante due o più linee scure (in alcuni casi, però, le linee sono intimamente fuse); motivi decorativi sono le spirali interrotte, o i tralci di vite, di olivo, di mirto, di edera che sono rappresentati fra le anse. Nella zona figurata i particolari anatomici sono talora resi, nelle figure, a graffito.
Le notazioni paesistiche sono scarse e talora confuse; la vite, ad esempio, è resa da un canneto, nella scena in cui un serpente s'innalza di fronte a Cadmo, il mitico fondatore di Tebe, rappresentato in veste di attore comico su di un vaso di Berlino. Questo ultimo particolare ci può dar subito un'idea delle scene figurate dei vasi c., le quali risentono fortemente di quell'ambiente sacro in cui sono nate e, nello stesso tempo, delle feste, delle allegre, confuse, licenziose πανηγύρεις (panegỳreis) che accompagnavano l'adorazione del dio Kabeiros, rappresentato come una varietà beotica del dio Dioniso. Le scene, fondamentalmente ispirate al mito greco, oscillano fra la farsa teatrale con caricature e la rappresentazione della leggenda a scopo sacro, ma sono tutte d'ispirazione così tipicamente popolare e beotica da esigere, appunto, che esse non vengano confuse con le scene dei vasi fliacici (v. Fliaci), con le quali, in sostanza, hanno soltanto in comune un senso caricaturale dovuto all'origine popolaresca di ambedue le ceramiche.
La volgarizzazione del mito si rileva, ad esempio, nella scena di Odisseo davanti a Circe, in un vaso di Oxford, dove l'eroe è rappresentato sconciamente nudo con le proporzioni di un pigmeo dalle natiche assai sviluppate, la spada in una mano e il fodero nell'altra, mentre la maga Circe, che ha lasciato il telaio per un momento, gli propina il filtro in un grande skỳphos in cui rimesta con un appariscente pestello. Anche la maga, dalla chioma folta e crespa, ha un viso negroide, che appare ancora più evidente nell'altro vaso di Oxford dove essa offre il filtro in un enorme skỳphos ad un Odisseo diverso, viaggiatore, che si appoggia ad un nodoso bastone e tende le braccia verso la magica bevanda che gli viene offerta. Sul rovescio del primo vaso è ancora Odisseo che naviga comicamente proteso sulle onde, mediante due anfore contrapposte, a caccia di pesci che sta per infilare col tridente sottratto a Posidone; ed alle spalle dell'eroe il volto gonfio di Borea che soffia, completa la scena. Ma, oltre Odisseo, diverse scene mitologiche relative ai miti di Bellerofonte, Perseo, Chirone, Peleo, Cefalo, Eracle sono raffigurate su questi vasi. È probabile che una farsa di genere popolare sia collegata a tali rappresentazioni.
Sarebbe un errore, però, ritenere che la ceramica cabirica si arresti alla farsa; una serie notevole di vasi, fra cui uno ora a Kassel, rappresenta processioni sacre, dove spesso sono rappresentati tori itifallici o giovani donne su di un cocchio in folle corsa tratto da muli itifallici, preceduto da una danzatrice ed un flautista e seguito da un danzatore itifallico; il carattere religioso di queste rappresentazioni è evidente e si connette ad un culto della fecondazione che stava alla base, come oggi si è visto, del culto cabirico non soltanto di Tebe, ma anche di Samotracia. Le scene più comuni in onore dei Cabiri si riportano ai banchetti che accompagnavano le feste agresti, dove il vino trionfava; e questo spiega anche quanto spesso tra i partecipanti ai banchetti si alternino veri satiri, sileni e menadi a ragazzi, uomini, donne, pigmei. Si è notata spesso, ad esempio, la presenza, presso Kabeiros rappresentato come Dioniso, barbato e con kàntharos in mano, di un παῖς (fanciullo) che appare anche fra le terrecotte votive. Molto spesso i personaggi mitologici sono indicati da iscrizioni e talora in esse appare anche il nome del dedicante del vaso che, più spesso, compare in una ceramica a vernice nera brillante priva di figure.
La cronologia di questa fabbrica di vasi così tipici, che si trovano diffusi un po' in tutta la Beozia, è variamente fissata dagli studiosi; alcuni, come il Perrot, la Swindler, la Bieber la collocano nel IV sec. a. C. senza peraltro approfondire il problema, altri come lo Pfuhl, la Bruns, lo Hemberg, l'attribuiscono alla seconda metà del sec. V a. C. La Bruns anzi distingue un periodo, fra il 440 ed il 420 a. C., in cui si è unicamente creata la ceramica figurata, un altro in cui appaiono vasi con semplice ornamentazione vegetale, fra il 420 ed il 400 a. C., ed un terzo nella prima metà del IV sec. a. C. in cui appare una decorazione geometrica con qualche rappresentazione di volatili, che sarebbe lo stile più tardo del Kabeirion. In ogni modo, è caratteristica questa continuazione della tecnica a figure nere così addentro in quella a figure rosse; essa conferma il voluto richiamo di questi ceramisti popolari verso una tecnica arcaica da loro preferita per motivi che, per ora, ci sfuggono.
Bibl.: H. B. Walters, History of Anc. Pottery, Londra 1905, I, p. 392; G. Perrot-Ch. Chipiez, Histoire de l'art dans l'ant., X, Parigi 1914, p. 302 ss.; M. Bieber, Die Denkmäler zum Theaterwesen im Altertum, Monaco 1920, p. 153 ss.; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Gr., II, 1923, p. 716 ss.; L. Séchan, Études sur la tragedie gr. dans ses rapports avec la céramique, Parigi 1926, p. 51; P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1926, pp. 255, 435, ss.; E. Lapalus, in Rev. Arch., XXXII, 1930, p. 65 ss.; ibid., XXXVII, 1935, p. 8 ss.; G. van Hoorn, in Bull. van de Vereeniging van de ant. Beschaving, X, 2, 1935, p. i ss.; M. Swindler, Anc. Painting, New Haven 1929, p. 297 ss.; L. Radermacher, Weinen u. Lachen, 1947, p. 60 ss.; P. Wolters-G. Bruns, Das Kabirenheiligtum bei Theben, Berlino 1940, I, p. 81 ss., tavv. V-LXI; B. Hemberg, Die Kabiren, Upsala 1950, p. 186 ss.