CORINZI, VASI
L'importanza della ceramica corinzia, oltre che dai monumenti numerosissimi a noi pervenuti, è dimostrata dal Lessico di Polluce (Κέραμος κορίνϑιος), da Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 15), e da Strabone (VIII, 381), il quale narra che i veterani collocati da Giulio Cesare nel territorio corinzio facevano affannosa ricerca delle antiche tombe per strapparne vasi di bronzo e vasi fittili corinzî, per cui i Romani avevano grande passione. Tale passione ci è anche comprovata da passi di Cicerone (Parad., V) e di Svetonio (Tib., 34). Era naturale che a Corinto, in privilegiata posizione per intrecciare diuturni ed intensi rapporti commerciali con l'Oriente, con un'attivissima industria dei profumi e con abbondanza di ottima argilla figulina, si sviluppasse la ceramica intesa alla fabbricazione e alla decorazione di piccoli recipienti per contenere unguenti ed olî odorosi.
La primitiva ceramica, con vasetti di minuscole dimensioni, a decorazione geometrica, che va sotto il nome di protocorinzia è ancora incerto se appartenga a Corinto o ad altro centro (v. protocorinzî, vasi). La ceramica corinzia vera e propria, che si estende tra la metà del sec. VII a. C. e la metà del VI all'incirca, sembra svilupparsi all'inizio della dinastia dei Cipselidi (657 a. C.); i prodotti corinzî si mostrano assai frequenti nei mercati esteri, specialmente in Etruria, dove, secondo ogni probabilità, diedero origine a fabbriche d'imitazione. Ma nella seconda metà del secolo VI, di fronte alla concorrenza della produzione ateniese, la ceramica corinzia si esaurisce e sparisce.
Possiamo distinguere nella produzione corinzia due fasi: quella orientalizzante a decorazione vegetale, animale e mostruosa, e quella a figure nere con decorazione essenzialmente umana, con scene del mito e della vita reale. Ma anche durante la seconda fase seguita, in special modo con i piccoli vasetti, la produzione di carattere decorativo. L'argilla figulina dei vasi corinzî è fine e di colorito giallastro; su questo sfondo giallastro sono espressi a colori e anche a graffito gli ornati e le figure. Un'altra divisione, ehe ora è invalsa, è quella in tre gruppi: paleocorinzio, mesocorinzio e neocorinzio. Il paleocorinzio è dato da vasetti che, secondo la divisione prima usuale e che qui è seguita, uscirebbero dal corinzio vero e proprio e rientrerebbero nel protocorinzio sviluppato o nella serie sicioniese di stile arcaico.
Nella prima fase, il mesocorinzio della nuova divisione o fase orientalizzante, prevalgono i piccoli vasi: alabastra piriformi (bombylioi), ariballi globulari, tazze con o senza orlatura verticale e con coperchio, oinochoai a ventre ampio e schiacciato, pissidi con coperchio. Peculiare è l'uso del graffito mediante un'acutissima punta metallica; tale uso, derivato dall'incisione su lamine di metallo, risultava come mezzo assai comodo per dare maggiore speditezza ed esattezza all'opera del decoratore. vi è poi l'uso della policromia, perché oltre alla vernice nera, preminente, si osservano ritocchi in violetto e in bianco; talora anzi il bianco è adoperato immediatamente sull'argilla. Tuttavia anche con questa policromia non si raggiunge la gaiezza dei vasi rodî; perché le figure e gli ornati sono troppo ammassati. L'elemento fitomorfo o vegetale, che talora costituisce la decorazione esclusiva dei vasetti corinzî, ci appare fissato in schemi convenzionali. Frequente l'ornato a combinazione di palmette e di fiori di loto con ai lati due figure di belve e di mostri. Un carattere di questa ceramica corinzia è nei riempitivi, che nei primi prodotti sono espressi con modestia e parsimonia; ma poi pullulano eseguiti con frettolosa sciatteria, dimostrando per lo più lo schema di una rosetta sotto aspetto, spesso, d'un'informe macchia dentellata con raggi incisi. Il repertorio bestiale è vario: belve (leone, pantera, cinghiale) in attitudine minacciosa e con forme grosse, cervo, stambecco, ariete, uccelli (cigno, oca, gallo, aquila), serpente, pesci, delfino, polipo. Vi sono poi i mostri: la Sfinge e la Sirena, anche con la barba, il grifone, belve alate, divinità marine a coda di pesce, mostri muliebri alati e anguipedi, genî alati, la potnia theron. Appare anche la figura umana vera e propria. Frequenti sono gli schemi araldici, con un complicato ornato vegetale nel mezzo; talora tuttavia questo ornato manca. L'uso delle iscrizioni diventa preponderante in questa ceramica corinzia, mentre non è comune alle fabbriche contemporanee di altri centri. Anche queste iscrizioni, che indicano i personaggi rappresentati o il possessore o l'autore del vaso, assumono un aspetto essenzialmente decorativo, sicché i vasi carichi di figure, di ornati e di lettere hanno un'apparenza quasi di lavori di quell'arte tessile, così ampiamente sviluppata a Corinto, secondo un passo del poeta Antifane riportato da Ateneo (I, 27, D).
Il passaggio alla fase seconda o neocorinzia, o a figure nere con scene umane, pare quasi rappresentato da due pissidi: quella detta Dodwell, ritrovata nelle vicinanze di Corinto, ora a Monaco, ove sul coperchio è la scena di una caccia al cinghiale e un insieme di quattro figure umane con nomi fantastici, all'infuori di quello di Agamennone; e la pisside del Museo del Louvre, firmata dal ceramista Carete (Χάρης, Chares) con la voce verbale ἔγραψεν, e in cui attorno al vaso sono otto cavalieri, tutti, meno uno anonimo, recanti nomi dello epos del ciclo troiano, e due pedoni, mentre sul coperchio sono quattordici guerrieri. Siamo con queste due pissidi alla fine del sec. VII a. C.
Nel sec. VI si mantiene il favore per i vasetti di piccole dimensioni per essenze profumate, col consueto repertorio fitomorfo, zoomorfo e teratomorfo; ma forse per fare concorrenza ai prodotti attici e di altri centri greci si fabbricano vasi maggiori, destinati ai conviti e si decorano questi vasi con scene mitiche. Tuttavia anche su vasetti di piccole misure sono decorazioni di scene mitiche come, per esempio, nel fiaschetto o lagynos firmato dal pittore Timonida e che risale all'inizio del sec. VI a. C.
Notevoli sono invece i vasi grandiosi, in cui meglio possono esplicarsi le scene figurate derivanti dalla grande pittura d'affresco sicionio-corinzia; tra questi vasi la forma prediletta è quella del cratere a colonnette, da cui si sviluppa nella ceramica attica la cosiddetta celebe. Vengono poi le idrie e le anfore: coltivate sono anche le forme della brocca e della tazza.
L'argilla ha dapprima il solito colore giallognolo, ma poi assume una tonalità rossastra, e anche in ciò appare lo spirito d'emulazione. Così, mentre dapprima le carni degli uomini sono in rosso e quelle delle donne sono espresse a semplici contorni, in seguito si sostituisce l'uso del nero per gli uomini, e quello del bianco per le donne.
Il cimelio piu prezioso è il cratere a colonnette detto di Anfiarao, proveniente da Cerveteri, ora nel Museo di Berlino: adornano questo vaso la scena della partenza di Anfiarao per la guerra e quella dei giuochi funebri in onore di Pelia; manifesta è la dipendenza di questo vaso dagli stessi prototipi di grande pittura corinzia, da cui dipendono le scene della famosa arca di Cipselo oflerta in Olimpia all'inizio del sec. VI da Periandro, e di cui ci dà una descrizione Pausania (v, 12,4). Questo vaso ed altri rappresentano il culmine della ceramica corinzia dei tempi attorno al 550 a. C. Dopo è la decadenza e la morte.
Come documentazione di questa ceramica corinzia dobbiamo addurre anche i numerosi quadretti fittili trovati a Pente-Skouphia, a sud-ovest dell'Acrocorinto. Sono quadretti curiosi, ove, oltre alle figure divine, specialmente di Posidone, sono rappresentazioni realistiche relative in principal modo all'arte del vasaio, con figurine schizzate piene di brio gustoso (v. ceramica).
In uno di questi quadretti fittili (πίνακες) appare il nome di Timonida che è sul lagynos sopra citato; un altro quadretto è firmato da Milonida (Μιλονίδας). Si tratta d'una produzione assai modesta, ma interessante, sia per il contenuto, sia per la vivacità del disegno.
Bibl.: C. Albizzati, Vasi antichi dipinti del Vaticano, Roma 1925, p. 22 e seg., p. 32 e seg., p. 43; P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1923, pp. 109 segg., 156 segg.; G. Perrot e C. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, IX, Parigi 1911, p. 569 segg.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, I, pp. 111 segg., p. 209 segg.; E. Pottier, Catalogue des vases antiques de terre cuite, Parigi 1896, seg., II, pp. 416 segg., 614 segg.; E. Wilisch, Die altkorinthische Tonindustrie, Lipsia 1892.