Vedi MINII, Vasi dell'anno: 1963 - 1995
MINII, Vasi
Il nome "minio" (dai leggendarî Minii) fu attribuito per la prima volta dallo Schliemann ad una ceramica rinvenuta tra i materiali vascolari degli scavi di Orchomenos, che presentava particolari caratteri tipologici e che fu riscontrata dallo stesso anche nelle tombe a fossa di Micene.
In un primo momento fu genericamente indicata col termine bucchero (v.), che fu successivamente attribuito alle ceramiche ad impasto ed a superfici nero-lucide. Si precisò, infatti, attraverso ricerche tecnologiche che la ceramica grigia "minia" si distingueva tra le classi vascolari dell'Età del Bronzo in Grecia ed in Anatolia per il particolare procedimento seguito nella sua fabbricazione.
Ora, la ceramica correntemente detta "minia" è stata distinta in tre gruppi, dei quali il primo comprende ceramiche di colore grigio cemento (grigio minio), il secondo le imitazioni, ed il terzo una ceramica di impasto giallo (giallo minio).
La ceramica grigia "minia" si caratterizza, innanzitutto, per il colore grigio d'ardesia dell'impasto; colore che è dovuto sia alla particolare preparazione dell'argilla, cui è mescolata polvere di manganese, sia alla trasformazione del perossido di ferro in protossido di ferro raggiunta durante le fasi di cottura, la cui temperatura è risultata regolata con molta attenzione ad evitare che un qualunque suo rialzo o ribasso impedisse di conseguire il risultato voluto. Sebbene tale classe vascolare, quanto a preparazione dell'impasto, filogeneticamente potrebbe ricollegarsi agli impasti con polvere di carbone mescolata, ben noto costituente delle ceramiche protostoriche, essa, tuttavia, si distingue nettamente, perché presuppone un notevole corredo di nozioni tecniche, soprattutto per la ricerca del grado adeguato di temperatura da tenere durante l'operazione di cottura. È stato osservato, infatti, che se la fumigazione è prolungata, si ottiene il colore nero, e che se, invece, si verifica immissione di aria nell'ambiente, il colore grigio scompare per assumere un tono bruno, giallo o rosso. Colorazioni queste che si riscontrano nelle sue imitazioni ormai ben individuate e diffuse là dove si incontrano anche esemplari originali.
Raggiunta una certa consistenza dell'impasto, la superficie esterna va sottoposta ad un'operazione di levigatura che le conferisce una leggera brunitura.
Le forme dei vasi, tirate al tornio, tradiscono l'imitazione dei prototipi metallici in rame, bronzo e oro. Le più note sono calici con stelo anulato ed a pareti dritte con due ansette verticali; kàntharoi a fondo carenato e, talvolta, piano con pareti basse concave e due alte anse a nastro impostate obliquamente sull'orlo ed allo spigolo; anforette a corpo sferico, collo basso e fondo piano con alte anse oblique; tazze su piede rilevato monoansate a profilo conico rovesciato.
È sempre priva di decorazioni e, come tale, pur tecnicamente ottima, si presenta artisticamente mediocre. Le sue imitazioni sono, talvolta, adorne di motivi geometrizzanti, noti, peraltro, su altre classi vascolari contemporanee, eseguiti ad incisione sull'argilla fresca.
Accanto al prevalente tipo grigio (I gruppo), sono state recentemente individuate le due varietà (II gruppo) note come minio giallo e minio rosso, particolarmente diffuse ad Argo e, perciò, spesso chiamata ceramica minia argiva. Si distinguono soltanto per il colore dell'impasto, perché le forme ripetono, pur trattate del pari al tornio, grossolanamente alcune della ceramica grigia del I gruppo. Anche l'impasto differisce dalla colorazione delle superfici che divengono rosse o nerastre per la cottura. In queste varietà si possono identificare le imitazioni che rivelano dal loro aspetto esterno una deficiente conoscenza di quei particolari procedimenti tecnici seguiti per la fabbricazione della ceramica grigia.
Quanto al III gruppo, cioè quello della ceramica, cui è stato attribuito forse impropriamente l'aggettivo "minio" (minio giallo) questa si presenta di impasto fine, lavorato al tornio, con superficie levigata; potrebbe confondersi con la ceramica micenea, dalla quale, però, differisce per non essere decorata, per la superficie trattata a levigatura e per le forme identiche a quelle del I gruppo.
La ceramica "minia" gialla avrebbe dato origine alla analoga ceramica "efirea" (v. efirei, vasi), che rappresenterebbe culturalmente e cronologicamente l'ultima fase della ceramica "minia" gialla fabbricata contemporaneamente ai primi prodotti vascolari micenei (Tardo-Elladico I e II).
I tre gruppi non rispecchiano una successione cronologica, poiché i prodotti rappresentativi si sono incontrati in stratificazioni culturalmente omogenee e, quindi, di stesso periodo, ai cui termini cronologici di inizio e di cessazione la ricerca più recente ha attribuito un valore meramente indicatore ed orientativo e non storico.
In un primo tempo si ritenne che la ceramica grigia "minia" rappresentasse un elemento culturale caratterizzatore della civiltà del Bronzo Medio in Grecia (Orchomenos, Tessaglia, Micene, Prosymna, Argo, Tirinto, Zygouries, Korakou, Lerna, acropoli di Atene, Egina), del suo corrispondente Cicladico Medio dell'omonimo Arcipelago (Filakopì) e della cultura della VI città di Troia. E che, quindi, il periodo del suo sviluppo ed uso fosse da limitarsi soltanto all'Elladico Medio (cioè tra il 2200-2000 - 1600 a. C.). Senonché la sua presenza è documentata in tempi posteriori. La ceramica "minia" grigia e gialla, infatti, si è trovata associata con materiali del TardoMinoico II, come, per esempio a Milo, o del Tardo-Miceneo come, per esempio, alla VI città di Troia. Specialmente qui è stato possibile, in seguito alle ricerche condottevi dalla missione americana, precisare otto fasi culturali (indicate ciascuna con la lettera minuscola dell'alfabeto, cioè Troia VI a-h), comprese tra il 1900-1275 a. C., pur tenendo presente che le date, che le iniziano e concludono, non hanno valore assoluto, ma pur sempre relativo.
È ammesso che la civiltà di Troia VI presenta caratteri nuovi rispetto a quelle delle prime cinque città a causa della comparsa e del largo uso della ceramica grigia "minia" e delle sue imitazioni. La sua considerevole quantità ha permesso di definire che la ceramica grigia "minia" delle fasi più antiche di Troia VI è identica a quella delle altre località della penisola greca (e ciò in Troia VI a, b e c, cioè tra il 1900-1575 a. C.); che la stessa ceramica comincia ad essere associata a ceramica del Tardo -Miceneo, o Tardo-Elladico II, nelle stratificazioni di Troia VI d-f (1575-1375 a. C.) e che da quest'ultima in poi si incontra con ceramiche del Tardo-Miceneo, o Tardo-Elladico III A (1375-1275 ? a. C.).
Mentre le forme "minie" associate a materiali tardo-elladici si devono ritenere influenzate dall'arte vascolare micenea continentale e, come tali, non originali, non così la ceramica grigia "minia" di Troia VI a-c, da ritenersi, perciò autentica e da considerarsi, da un punto di vista storico-culturale, quale elemento assolutamente nuovo nel quadro della civiltà preesistente. La sua comparsa nello stesso periodo (intorno al 1900 a. C.) è stata rilevata oltreché in Egeo ed in Troade, anche in centri contemporanei dell'area siro-palestinese (esempio Tell Abu Hawam). Il duplice ordine di fatti, cioè i suoi inconfondibili caratteri tecnico-tipologici e la sua contemporanea comparsa in Grecia e, specie, in Troade e regione siro-palestinese, costituisce il sostegno alla recente interpretazione storica dei dati archeologici, secondo la quale tale classe vascolare sarebbe stata diffusa da gruppi di popolazioni parlanti un dialetto indoeuropeo, che, provenendo dall'Anatolia centrale (regione di TavŞ,anli-Iznik) si sarebbero propagati parte nella Troade, parte nella Grecia centro-settentrionale (Calcidica, golfo di Pegaso e Beozia, e di qui in Grecia occidentale e meridionale, cioè a Korakou, Zygouries, Malthi), introducendo la lingua greca. Le Cicladi, Creta, la Tessaglia non sarebbero state intercettate da tale movimento etnico. Questa ulteriore diaspora di gruppi indoeuropei dall'Anatolia verso la penisola balcanica sarebbe stata determinata dall'immigrazione (sempre verso il 1900 a. C.) in Anatolia degli Hittiti, che vi introdussero il loro dialetto indoeuropeo. Questa tesi, che riprende una già proposta e che, sia pure formulata in termini generici a causa delle imperfette conoscenze, considerava l'Anatolia il centro genetico della ceramica grigia "minia", ha incontrato anche il favore dei glottologi e degli studiosi di storia greca arcaica, i quali, da un po' di tempo in qua, attribuiscono giusto rilievo alla "grecità" dell'Asia Minore.
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