Vedi MURRINI, Vasi dell'anno: 1963 - 1995
MURRINI, Vasi (v. vol. V, p. 285)
Agli inizî di questo secolo A. Kisa identificava i vasa murrina di Plinio (Nat. hist., XXXVII, 18-22) tout court con i vetri a mosaico o a millefiori. Contro tale opinione, ha prevalso la tesi di D. Harden che distingue le imitazioni in vetro (Plin., Nat. hist., XXXVI, 198) dalle murrine originali, di volta in volta identificate con varî minerali (onice, agata, opale, sardonica, ambra, fluorite, ecc.). I cataloghi di vasi in pietra dura apparsi negli ultimi decenni hanno avuto il merito di aver affrontato finalmente un'indagine sistematica di questo materiale, precedentemente disperso e poco conosciuto, annettendo a esemplari già editi, singolari e di particolare pregio, alcuni dei quali veri capolavori della glittica antica (v. anche vol. III, s.v. Glittica), tutto il vasellame liscio e non decorato (Bühler, 1973). Inoltre l'edizione di alcuni tra i più significativi tesori comprendenti vasi in pietra dura e le prime sintesi storiche sull'argomento, ricostruendo le vicende del collezionismo, nonché gli interventi e le reazioni dell'ambiente che ce li ha tramandati, hanno ampliato di molto le nostre conoscenze su questi prodotti della «Hofkunst» antica. Ciononostante, si deve riconoscere la persistente incertezza dell'uso del termine murrine, applicato ai vasi pervenuti.
Alcuni studiosi continuano a denominare, per convenzione, murrine o vasi m. il vasellame a stampo in vetro variopinto, imitante nella policromia e nel carattere irregolare degli inserti le venature delle pietre dure stratificate, oltre a riproporre le forme (Forbes, Fremersdorf), per il quale è preferibile l'espressione pseudo-murrine o vasellame vitreo di tipo murrino (Isings, Berger, Crivelli e altri). Superata la fase filologica, gli studi degli ultimi decenni si sono concentrati sull'obiettivo di definire, attraverso l'individuazione di nuclei omogenei per forma e tipo di decorazione, e di datazione sicura, la seriazione cronologica e lo sviluppo di tale gruppo di recipienti pervenutici in numerosi esemplari, con costante riferimento ai luoghi di produzione (Schüler, Oliver, Harden, Grose).
In tal senso un punto fermo rimane la testimonianza di Strabone (XVI, 758) che, scrivendo alla fine del I sec. a.C., menziona Alessandria come un centro di produzione di vetro pregiato variopinto, ricordando subito dopo l'improvvisa comparsa a Roma del vetro colorato e i facili modi di produzione, «così che una tazza o una coppa per bere costava solo una moneta di rame».
Secondo recenti studi (Grose, 1984) ai due passaggi del testo straboniano corrisponderebbero i due diversi processi di fabbricazione del vetro millefiori ellenistico e di quello romano, come confermerebbe l'osservazione degli esemplari pervenuti fino a noi. Nel primo caso, sezioni di fasci di bastoncelli colorati erano poste l'una accanto all'altra in una matrice di pietra tenera o di argilla, nella quale, con diverse cotture e rammollimenti, venivano compresse, con un controstampo, le paste variamente colorate. Il vaso era quindi levigato alla ruota, come è evidente dai segni di politura sugli esemplari conservati. Accanto a tale procedimento, in epoca augustea l'industria romana adottò modi di realizzazione che acceleravano e facilitavano la produzione, riducendone i costi, come mostrano i vasi conservati, per lo più coppe a nastri. Nel primo stadio della lavorazione, i bastoncini colorati erano posti l'uno accanto all'altro e fusi insieme a formare un disco piatto; questo, posto sopra una matrice e ammorbidito in una fornace fino a curvarsi, assumeva la forma appropriata, che non necessitava di politura, con un minore dispendio di calore.
Il vasellame ellenistico in vetro variopinto a stampo viene oggi comunemente riferito a due grossi nuclei ben datati, rinvenuti rispettivamente nella necropoli di Canosa, in Puglia, e nell'Egeo presso Anticitera.
Il primo gruppo («gruppo Canosa») include larghi piatti con lati svasati e coppe paraboliche ed emisferiche in vetro a mosaico. D. Harden ritiene di poterlo datare nel suo complesso alla fine del III sec. a.C., ma la sua cronologia non è condivisa unanimemente. Probabilmente, infatti, tali manufatti si devono collocare fra l'inizio e la metà del II sec. a.C., mentre solo gli esemplari più antichi risalgono alla fine del III sec. a.C. Alessandria è di solito considerata il luogo di provenienza di questo pregiato vasellame, ma il ritrovamento di altri esemplari simili in scavi eseguiti nell'Italia meridionale lascia adito all'ipotesi di altri centri locali di fabbricazione.
Verso la fine del II e nel corso del I sec. a.C. fecero la loro comparsa altri tipi, ben esemplificati dal gruppo di vetri trasportati dalla famosa nave naufragata al largo della costa greca presso Anticitera («gruppo Anticitera»), che, tuttavia, non presenta caratteri di omogeneità altrettanto evidenti. Per quanto riguarda la cronologia, un sicuro terminus ante quem è fornito dalla ceramica ellenistica e romana e dal carico di anfore della stessa nave, databili tra l’80 e il 50 a.C. Inoltre, nonostante la nave sia naufragata lungo una delle rotte fra il Mediterraneo orientale e occidentale, è impossibile precisare la provenienza di questo lotto di vetri. Alcuni recipienti sono simili al tipo più antico di Canosa, mentre altri costituiscono delle innovazioni: tra questi vi sono coppe a mosaico con alto piede ad anello. Oltre alle forme, anche il genere di decorazione è mutato: abbandonato il tipo di vetro composto da bastoncini che salgono a spirale dal fondo, si preferisce ora collocare i bastoncini l'uno accanto all'altro, dando luogo a un motivo a nastri, che fu ben presto adottato dalle maestranze romane di età augustea.
Agli inizî del I sec. d.C. sembra che la tecnica del vetro variopinto a stampo sia stata trapiantata in Campania e a Roma. È verosimile che queste fabbriche occidentali sorgessero originariamente sotto l'impulso e con la partecipazione diretta di artigiani alessandrini (Harden).
Già nel 54 a.C. Cicerone faceva riferimento al costoso vasellame di vetro importato da Alessandria da mercanti italici, come il suo cliente Rabirio (Rab. Post., I, 4,40). Nel lasso di tempo trascorso fra l'orazione di Cicerone e le osservazioni di Strabone sul centro di produzione di Alessandria e sulla comparsa del vetro colorato a Roma era nata l'industria vetraria romano-italica.
La Campania è menzionata da Plinio (Nat. hist., XXXVI, 194) come zona famosa per la fabbricazione del vetro, grazie alle sabbie fini del fiume Volturno. Dei tipi prodotti dalle fabbriche italiche alcuni ricalcano quelli ellenistici, altri sono del tutto nuovi, sia nella forma che nel genere di decorazione. Di carattere tipicamente romano è una serie di piatti, vassoi, coppe e coppette in vetro variopinto che, come i loro corrispondenti in vetro monocromo, imitano per forma le ceramiche aretine e vanno datate allo stesso periodo (30 a.C.-50 d.C. circa). Tali manufatti sono stati trovati quasi esclusivamente in Italia e nell'area del Mediterraneo occidentale, negli insediamenti fondati da Augusto o dai suoi immediati successori e si rinvengono in numero maggiore dei precedenti prodotti ellenistici. I numerosi esemplari di vetro a mosaico rinvenuti oltre le Alpi probabilmente provengono in parte da fabbriche nord-italiche.
Alla fine del I sec. d.C. il vetro soffiato aveva soppiantato quello colato e a stampo. La produzione del vetro a mosaico andò così estinguendosi, cessando probabilmente verso la metà del I sec. d.C.
Bibl.: Sull'interpretazione delle fonti: A. Kisa, Das Glas im Altertume, Lipsia 1908, I, p. 181 ss.; II, p. 531 ss.; M. L. Trowbridge, Philological Studies in Ancient Glass, in University of Illinois Studies in Language and Literature, XIII, 3-4, 1928, pp. 83 ss., 144; C. N. Bromehead, What was Murrhine?, in Antiquity, XXXVI, 1952, p. 65 ss.; D. B. Harden, Vasa murrina again, in JRS, XLIV, 1954, p. 53; C. Isings, Roman Glass from Dated Finds, Groninga-Giacarta 1957, p. 15; L. Berger, Römische Gläser aus Vindonissa, Basilea 1960, p. 8 ss.; R. J. Forbes, Glass, in Studies in Ancient Technology, V, Leida 19662, pp. 156 s., 168, 171; F. Fremersdorf, Antikes, islamisches und mittelalterliches Glas, Città del Vaticano 1975, p. 30 ss.; D. Venturo, I vasi murrini. Il contributo delle fonti classiche, in Antiqua, XI, 1978, p. 45 ss.; A. Crivelli, I vetri romani di Locamo, in Verbanus, I, 1979, p. 21 ss.; D. F. Grose, A History of Glass, Londra 1984, p. 22 ss. (trad, it., Storia del vetro, Novara 1984, p. 19 ss.).
Sulle murrine in pietra dura: H. I P. Bühler, Antike Gefässe aus Edelsteinen, Magonza 1973, P· ss. (ree. C. Gasparri, in ArchCl, XXVII, 1975, p. 350 ss.).
Sui modi di produzione delle pseudo-murrine: F. Schüler, Ancient Glassmaking Techniques. The Molding Process, in Archaeology, XII, 1, 1959, p. 47 ss.; S. M. Goldstein, Pre-Roman and Early Roman Glass in the Corning Museum of Glass, Corning 1979, p. 29 ss.; D. F. Grose, Glass Forming Methods in Classical Antiquity. Some Considerations, in JGS, XXVI, 1984, p. 25 ss.; id., Innovation and Change in Ancient Technologies: The Anomalous Case of the Roman Glass Industry, in Ceramics and Civilisation, III, Westerville 1987, p. 65 ss.; D. F. Grose, The Toledo Museum of Art. Early Ancient Glass, Toledo 1989, pp. 189 ss., 241 ss., 231 ss.
Pseudo-murrine di età ellenistica: D. B. Harden, The Canosa Group of Hellenistic Glasses in the British Museum, in JGS, X, 1968, p. 21 ss.; A. Oliver jr., Millefiori Glass in Classical Antiquity, ibid., p. 48 ss.; D. B. Harden, Ancient Glass I: Pre-Roman, in AJ, CXXV, 1969, p. 60 ss.; A. von Saldern, Two Achaemenid Glass Bowls and a Hoard of Hellenistic Glass Vessels, in JGS, XVII, 1975, p. 37 ss.; D. F. Grose, The Hellenistic Glass Industry Reconsidered, in Annales du 8e Congrès International d'étude historique du verre, Londres-Liverpool 1979, Liegi 1981, p. 61 ss., in part. p. 64 ss.; id., A History of Glass, cit.; id., Innovation and Change..., cit.
Pseudo-murrine di età romana: D. B. Harden, Glass-Making Centers and the Spread of Glass-Making from the First to the Fourth Century A.D., in Annales de l'association internationale d'étude historique du verre, Liège 1958, I, Liegi 1960, pp. 48 ss., 54 ss.; A. Oliver, art. cit.·, D. B. Harden, Ancient Glass, II: Roman, in AJ, XXVI, 1970, p. 48 ss.; D. F. Grose, The Formation of the Roman Glass Industry, in Archaeology, XXXVI, 1983, p. 38 ss.; id., A History of Glass, cit.; id., Innnovation and Change..., cit.
Sul revival del vetro a mosaico nella seconda metà dell'Ottocento: R. Barowier Mentasti e altri, Mille anni di arte del vetro a Venezia (cat.), Venezia 1982, p. 226 ss.; C. Moretti, Vetro mosaico, millefiori, murrine, in Bollettino dei civici musei veneziani d'arte e di storia, XXIX, 1985, p. 5 ss.