PROTOCORINZÎ, VASI
. La denominazione di ceramica protocorinzia è essenzialmente convenzionale, e si deve ad A. Furtwängler. Si tratta di una produzione di piccoli vasi dipinti, che sono stati rinvenuti e si rinvengono in molti centri della Grecia, della Sicilia, della Magna Grecia, dell'Etruria. Specialmente fruttuosi in tal genere di ceramica sono stati gli scavi presso il tempio di Era a Perachora nell'Argolide, e quelli del cosiddetto tempio di Afrodite in Egina. Per la Sicilia abbiamo principalmente gli esemplari rinvenuti nelle necropoli di Siracusa (sepolcreto del Fusco) e di Megara Iblea; per la Magna Grecia quelli di Cuma. Recentemente i vasi protocorinzî sono stati ascritti al periodo che va all'incirca dall'800 a. C. al 650 a. C.; ma forse sarà opportuno abbassare vieppiù il termine inferiore sino alla fine del sec. VII, se non all'inizio del sec. VI a. C. Dallo stile puramente geometrico si passa allo stile orientalizzante col trionfo delle forme vegetali, bestiali, mostruose, sino alle ultime manifestazioni con scene figurate. Varie sono le località a cui si è voluta ascrivere tale produzione ceramica: Calcide, Corinto, Egina, Argo, la Beozia, Sicione, il nord-est del Peloponneso. Che in realtà si tratti d'una ceramica comune a tutto il nord-est del Peloponneso, e tale cioè che poteva essere indifferentemente fabbricata a Corinto, a Sicione, ad Argo, è l'ipotesi che meglio può accontentarci allo stato attuale dei rinvenimenti, anche se si tiene conto della larga diffusione di essa in Italia e in Sicilia.
Tale ceramica comprende vasetti di minuscole dimensioni, destinati a contenere olî o pomate odorose: ariballi, o alabastra, a pera e a globo, skyphoi o tazzette, pissidi e brocchette, in cui è preminente la forma a lungo collo e ventre a cono. L'argilla è di colore giallo pallido; gentile, raffinata è la decorazione a vernice bruna, la quale in modo assai encomiabile è adattata alla piccolezza del recipiente, sì da risvegliare un'idea di grazia, di gentilezza, di eleganza. Motivo predominante è quello dell'unione assai fitta di linee rette parallele e circondanti il ventre del vaso; vi sono inoltre lineette spezzate a zig-zag, triangoletti, raggiere. L'insieme dà l'idea di un'arte miniaturistica fine e signorile. Da questa produzione di arte geometrica deriverebbe, a Corinto, la ceramica corinzia vera e propria, mentre, o ad Argo o a Sicione, si avrebbe, specie durante il sec. VII, una seconda derivazione, parallela alla corinzia, ma indipendente.
Tra gli elementi orientalizzanti di questa seconda fase di ceramica protocorinzia è da addurre per primo l'ornato a treccia, che si sviluppa in motivi assai complicati; poi le ghirlande di fiori di loto, le spirali uncinate, le rosette, le baccellature, le embricazioni; negli esemplari ancora più sviluppati si usa un'elegante fascia a viticci, che s'intrecciano in varie combinazioni di fiori di loto e di palmette. Si introducono forme bestiali di quadrupedi, di volatili, di pesci; frequentissimo è il tema della caccia alla lepre inseguita da cani e da figurine stilizzate, ma vibranti di vita. In questo tema decorativo si constata l'introduzione della figura umana. Sono minuscole figurine di allungate proporzioni, vivacissime, consone con l'eleganza delle sagome dei vasetti. I quali subiscono per la tecnica un ulteriore raffinamento; l'argilla è depurata oltremodo, sottilissime divengono le pareti, sicché la leggerezza dei vasetti è mirabile; per di più si migliora la vernice, mentre da ultimo si introducono ritocchi rossi e bianchi e l'uso del graffito. Qualche volta una parte del vaso è configurata; questo è il caso dell'ariballo detto Macmillan da Tebe, ora nel British Museum: in esso si ha nella parte superiore, resa plasticamente e avvivata da colori, una possente testa leonina, le cui fauci aperte, con la minacciosa chiostra dei denti, servono come bocca del vasetto. Talora tutto il vasetto è configurato, specialmente a forma di uccello; un gioiello è la piccola civetta del Louvre.
Appare in questa ceramica protocorinzia anche un nome di vasaio: su un ariballo del Museo di Boston è la firma: Pyrrhos m'epoiesen Agasilephou (Pirro, figlio di Agasilefo, mi fece); è la prima firma di vasaio nella ceramica greca; l'alfabeto è misto, ma prevalgono i caratteri calcidesi. Nell'ariballo Macmillan la zona principale della decorazione esprime una furiosa mischia tra opliti, mentre, delle due zone minori, quella più ampia contiene una corsa di cavalieri, la minore la caccia alla lepre. Verso la fine della produzione protocorinzia s'introducono dunque scene figurate, anche mitiche, come la centauromachia in un ariballo da Corinto nel Museo di Boston, mentre le forme e umane e bestiali divengono più corporee. Infine si perviene al capolavoro dell'ultima fase della ceramica protocorinzia, cioè alla oinocoe Chigi, di Formello, presso Veio, del Museo di Villa Giulia a Roma (XXV, tav. XXI), ove innegabili sono gl'influssi esercitati da Creta e dalla Ionia con scene generiche e con la scena mitica del giudizio di Paride, che ha iscrizioni designanti i personaggi, col vieto tema della caccia alla lepre, ravvivato assai e ampliato per la presenza d'una volpe e di cerbiatti, con una varia, ma delicata policromia. Nelle minuscole figure si appalesa la corrente d'arte derivata da Creta, e trasmigrata poi nel Peloponneso. Nella brocca Chigi non è ormai più la purezza dello stile protocorinzio; essa ci indica come all'inizio del sec. VI a. C. questa ceramica protocorinzia scompaia, assorbita e annullata da altre manifestazioni artistico-industriali, tra cui la ceramica corinzia figurata.
Bibl.: P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1923, pp. 71 segg., 103 segg., 153 segg.; K. F. Johansen, Les vases sicyoniens, Parigi e Copenaghen 1923; J. C. Hoppin, in Ch. Waldstein, The argive Heraeum, II, Boston-New York 1905, p. 119 segg.; H. G. G. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931; id., Protokorintische Vasenmalerei, Berlino 1933; G. Perrot e Ch. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, IX, Parigi 1911, p. 574 segg.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, I, Monaco 1923, pp. 77 segg., 103 segg.; E. Pottier, Catalogue de vases antiques de terre-cuite, II, Parigi 1898, p. 425 segg.; H. B. Walters, History of ancient pottery, I, Londra 1905, p. 306 segg.