Šukšin, Vasilij Makarovič
Regista, attore, sceneggiatore cinematografico e scrittore russo, nato a Srostki (Altaj) il 25 luglio 1929 e morto a Kletskaja (Volgograd) il 2 ottobre 1974. Fu portatore di una visione non canonica del mondo della campagna russa, affollata di 'strana gente', di eroi stravaganti, sempre alla ricerca di quei valori popolari che il contatto con la città aveva messo in discussione, al di fuori degli stereotipi sovietici e poi nazionalisti della vita contadina. Durante l'epoca sovietica fu tra i pochi autori che riuscì a riunire le funzioni dello sceneggiatore e del regista, potendo così sviluppare la propria poetica al di fuori di tutele e controlli. Nel 1969 fu insignito del titolo di Personalità emerita dell'arte della Repubblica russa.
Di origini contadine, crebbe in Siberia, dove lavorò come meccanico, maestro, marinaio e istruttore del partito comunista (cui si iscrisse nel 1955). Trasferitosi a Mosca per seguire i corsi del VGIK, dove studiò regia con Michail I. Romm, esordì come attore in Dva Fëdora (1959; I due Fëdor) di Marlen M. Chuciev, mostrando una notevole sensibilità interpretativa e spiccate doti espressive. Mentre proseguiva la sua carriera d'attore, partecipando ad alcuni dei film che segnarono il nuovo cinema sovietico degli anni Sessanta, come Alënka (1962) diretto da Boris V. Barnet o Kogda derev′ja byli bol′šimi (1961, Quando gli alberi erano grandi) di Lev A. Kulid-žanov, pubblicò i suoi primi racconti, tra cui Sel′skie žiteli (1963, Abitanti di campagna), dove appare già evidente, nello stile vicino al linguaggio parlato, quell'attenzione agli aspetti più dimessi dell'esistenza, e in primo luogo al mondo contadino. Debuttò nella regia con la commedia brillante Živët takoj paren′ (1964; Così vive un uomo), che ottenne il Gran premio alla Mostra del cinema di Venezia; sceneggiato da Š. a partire da un suo racconto, è il ritratto di Paška, un giovane dell'Altaj, e del suo mondo eccentrico, affollato di sogni e idee bizzarre, dove però c'è posto per un gesto di altruismo. L'universo poetico di Š. si precisò con la sua galleria di antieroi in Vaš syn i brat (1966; Vostro figlio e fratello), in tre episodi in cui il regista, seguendo come filo conduttore il rapporto tra genitori e figli, getta lo sguardo, ora sarcastico, ora nostalgico, sull'antagonismo tra città e campagna, passando dalla descrizione della vita nella città dominata da burocrazia e indifferenza alla semplicità dei costumi nella vita di campagna. Il film fu 'stroncato' dalla "Literaturnaja gazeta" (Gazzetta letteraria), ma Š. proseguì con Strannye ljudi (1970; Strana gente), anch'esso tratto dai suoi racconti e strutturato a episodi; protagonisti sono tre individui che cercano di dare un senso alla propria esistenza e lo fanno ciascuno a suo modo, attraverso i ricordi o le fantasticherie, trasmettendo un profondo senso di malinconia, ma allo stesso tempo anche l'intensa vitalità di un mondo prossimo alla scomparsa.
Più conformi ai tradizionali codici del cinema sovietico, almeno in apparenza, sono gli ultimi due film di Š., i primi in cui comparve anche come attore, Pečkilavočki (1972; Il viaggio di Ivan Sergeevič), una commedia incentrata sul lungo viaggio intrapreso da una coppia per trascorrere le vacanze sul Mar Nero, in cui il regista completa la sua riflessione sui mutamenti delle forme espressive, e Kalina krasnaja (1974; Viburno rosso), melodramma sulla vicenda di un ex detenuto che cerca invano di ricostruirsi una vita all'interno della sua comunità di villaggio; adottando il punto di vista di uno sradicato, il film sfugge sia alle tentazioni poetizzanti di gran parte del cinema dissidente sovietico, sia al tono didascalico di quello ufficiale e costituisce pertanto ‒ come dimostrano anche gli oltre sessanta milioni di spettatori ‒ un alto esempio di quel cinema popolare che nell'URSS è rimasto spesso una vuota formula.
Tra gli altri film interpretati da Š., vanno ricordati ancora Tri dnja Viktora Černyšëva (1968, I tre giorni di Viktor Černyšëv) di Mark D. Osep′jan, Komissar (realizzato nel 1967 ma uscito solo nel 1988, La commissaria) di Aleksandr Ja. Askol′dov e Oni sražalis′ za rodinu (1974, Essi combattevano per la patria) di Sergej F. Bondarčuk. È apparsa in italiano la raccolta di racconti Il viburno rosso (1978). Tra le varie opere si ricorda Rasskazy (1981, Racconti); e nel 1999 sono stati pubblicati altri scritti, tra cui soggetti teatrali e cinematografici.
A. Karaganov, Vasilij Šukšin, in "Filmkultúra", 1976, 2, pp. 46-60.
B. De Marchi, Introduzione allo studio di Vasilij Šukšin, in "Bianco e nero", 1976, 7-8.
M. Milesi, Vasilij Šukšin: la buona terra tra realtà e poesia, in "Cineforum", 1976, 158.
E. Gromov, La poetica della bontà. Sul problema del carattere nazionale dell'opera di Šukšin, in Mostra internazionale del nuovo cinema, Film URSS1. Film URSS '70. La critica sovietica, Venezia 1980, pp. 198 e segg.
G. Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Venezia 2000, passim.