vassallaggio
In senso proprio questo gallicismo indica l'atto mediante il quale un uomo libero si assoggetta a un altro nel rapporto feudale, promettendogli fedeltà e ricevendone in cambio la promessa di protezione. Con questo valore compare in Tavola Ritonda: " Lo re disse che... di quello reame mai non si partirà da oste, se prima lo re Meliadus non gli giura suo vassallaggio " (in Segre-Marti, Prosa 676). Il vocabolo indicò anche il complesso delle doti del buon vassallo, come risulta fra l'altro dall'uso che ne fecero Rustico di Filippo, Palamidesse Bellindote e Orlanduccio Orafo: v. Monaci, Crestomazia (glossario, sub voce).
In D. compare solo in Rime CVI 35 Vertute, al suo fattor sempre sottana / ... lietamente esce da le belle porte, / a la sua donna torna; / lieta va e soggiorna, / lietamente ovra suo gran vassallaggio.
Il dissenso sull'interpretazione del passo, assai discusso, verte sull'identificazione della donna, nella quale alcuni vedono la potenza divina creatrice della virtù e altri l'anima dell'uomo, e di quella del fattor che, a seconda degl'interpreti, è o l'uomo o Dio (cfr. Barbi-Pernicone, Rime 608 n. 27-31 e 610 n. 32-33).
Il senso complessivo del passo è così riassunto da Barbi-Pernicone: " la virtù... conserva quella sua letizia per recarsi dalla sua donna... e durante l'esercizio del suo gran vassallaggio ". In ogni caso è implicita in vassallaggio l'idea della sollecitudine piena di zelo con la quale la virtù compie la propria missione, ed è pertanto persuasiva l'interpretazione del Contini che, rifacendosi al valore del provenzale vassallatge, spiega " applica la sua grande e fedele prodezza ", attribuendo così al vocabolo l'accezione traslata. D'altra parte, se fattor è da intendersi " Dio ", il termine implica anche un'allusione a un'investitura conferita da Dio alla virtù perché si ponga al servizio dell'uomo, il che gli attribuisce un significato vicino a quello proprio.