VASSALLETTO
Famiglia di marmorari, scultori e architetti romani, attiva nella seconda metà del 12° e nel corso del 13° secolo.
Il corpus di opere riferito ai V. comprende una cospicua serie di lavori documentati, dei quali si ricordano i più importanti, per valore testimoniale o di impegno artistico: il candelabro per il cero pasquale in S. Paolo f.l.m., firmato da Pietro V. insieme a Nicola d'Angelo (" Ego Niconaus de Angilo cum Petro Bassaletto hoc opus co(m)plevi"); interventi nel duomo di Segni (perduta epigrafe con la firma di Pietro V., datata 1185; Pasti, 1982), a Cori (epigrafe, su un architrave frammentario di proprietà privata, con la firma "Petrus Ba(s)salletti / et Ioh(anne)s frat(er) e[iu]s fe/ cerunt hoc opus"; Gianfrotta, 1975), in S. Pietro in Vaticano (iscrizione perduta, riferibile a qualche elemento dell'arredo presbiteriale; Claussen, 1987); il chiostro della basilica di S. Giovanni in Laterano; i plutei nella chiesa di S. Saba (firmati "Magister Bassallettus me fecit qui sit benedictus"); il leone reggicandelabro nell'atrio della chiesa dei Ss. Apostoli a Roma (firmato "Bassallectus"); la cattedra episcopale e il candelabro per il cero pasquale nel duomo di Anagni (firmati rispettivamente "Vasaleto de Roma me fecit" e "Vassaleto me fecit").Lo studio analitico del chiostro lateranense, firmato da due V., padre e figlio ("Nobilit(er) doct(us) hac / Vassallectus i(n) arte / cu(m) patre cepit opus / q(uo)d sol(us) perficit ip(s)e"), ha consentito di attribuire alla famiglia di marmorari altre opere di grande rilievo non documentate, tutte eseguite a Roma, che mostrano stringenti analogie stilistiche con esso: la ricostruzione della basilica di S. Lorenzo f.l.m., i plutei ricomposti nel presbiterio di essa, il lato nord del chiostro della basilica di S. Paolo f.l.m. (Giovannoni, 1908). Tali attribuzioni, universalmente accolte, hanno permesso una ricostruzione estremamente attendibile dell'attività della bottega, fondata su di una metodologia di indagine in grado di porre le premesse per un chiarimento, non del tutto ancora risolto ma comunque correttamente impostato in sede critica, sul valore dei singoli esponenti della famiglia. A tale riguardo assume una certa importanza la questione della genealogia di essa, della quale sono state proposte diverse soluzioni (De Rossi, 1891; Giovannoni, 1908; Matthiae, 1958; Bassan, 1982; Claussen, 1987), che, al di là dell'interesse per l'erudizione storica, investono nel vivo il tema centrale del ruolo ricoperto dai V. nella singolare ripresa classicista che caratterizza l'arte dei Cosmati (v.), al tempo dell'affermazione in Europa del linguaggio romanico e gotico.Un Romanus V. ne sarebbe il primo componente, noto attraverso una perduta epigrafe che lo riferiva attivo nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano a Roma, alla tomba del cardinale e cancelliere Guido (m. nel 1149), resti della quale, ipoteticamente individuati nel basamento marmoreo a parete nella basilica inferiore, dimostrerebbero una linea di continuità con il composto linguaggio dei marmorari romani della prima generazione (Claussen, 1987, pp. 104-107).Pietro V. risulterebbe il secondo esponente della famiglia. Anche se gli si dovesse riconoscere, fra le opere superstiti, il solo candelabro di S. Paolo f.l.m. - come voleva Giovannoni (1908), che identificava inoltre Pietro V. con il precedente artista, interpretando Romanus come aggettivo geografico -, il ruolo di questo scultore appare tutt'altro che secondario. Sussistono comunque sufficienti ragioni per crederlo il 'padre' tra i due V. ricordati nell'epigrafe del chiostro lateranense e, secondo questa prospettiva critica, il più significativo esponente della famiglia quanto a capacità di progettazione, di definizione di tipologie costruttive e decorative e, non ultima, di affermazione nell'ambito delle più prestigiose committenze. Controverso risulta peraltro il suo contributo al candelabro ostiense, realizzato forse al tempo del pontefice Innocenzo III (1198-1216; Noehles, 1966), al punto tale che le più recenti ipotesi di interpretazione hanno portato a risultati del tutto divergenti (Bassan, 1982; Claussen, 1987). Appare però almeno probabile che siano da riferire a Pietro V. quei settori dell'opera (il basamento e il primo registro dal basso) dove geometrica disposizione, fermezza e risalto volumetrico, precisione e ricchezza di intaglio si presentano come segni distintivi, poi ricorrenti nel corpus della bottega vassallettiana. Il carattere innovativo del repertorio decorativo di Pietro V. trovò affermazione nell'ulteriore attività della propria bottega, il cui successo portò come conseguenza alla progressiva diminuzione di importanza di quella guidata da Jacopo di Lorenzo (v.), che godeva allora del massimo prestigio. Sintomatico segnale di questo rivolgimento di favori risulta il repentino avvicendarsi dei V. nel cantiere di S. Lorenzo f.l.m. al tempo di Onorio III (1216-1227), dove il portale maggiore presenta un significativo mutamento fra il leone di destra e quello di sinistra, il primo attribuibile a Jacopo di Lorenzo, il secondo, di un classicismo più composto e aggiornato, alla nuova maestranza.La linea espressiva inaugurata dai V. si sostanzia di una profonda assimilazione dei modelli classici, dei quali dispone in una variata serie tipologica che include figurazioni diverse, come sfingi maschili e femminili, leoni feroci o mansueti, alcuni di matrice ellenistico-romana, altri, forse riferibili al V. 'figlio', ispirati a un riscoperto modello egizio, come nei casi di S. Lorenzo f.l.m. (in collocazione non originaria nel bancale presbiteriale), del duomo di Anagni (nella cattedra), della chiesa dei Ss. Apostoli (leone reggicandelabro) o di villa Vagnuzzi a Roma (proprietà dell'Accad. Filarmonica Romana, di attribuzione ipotetica; Montorsi, 1983).
A questo impegno nel rinnovamento della statuaria monumentale si associa la ricerca di una più rigorosa sintassi compositiva in campo architettonico. Rientra in questa ampliata sfera di applicazione l'allestimento dei colonnati della basilica laurenziana, dai raffinati capitelli ionici lavorati a emulazione di quelli antichi (Voss, 1990), in modo così prossimo ai modelli da avere indotto Winckelmann (1831) a crederli classici, e del nartece di essa, il cui partito decorativo (una cimasa scandita da protomi leonine entro un rilievo vegetale sotto al quale prospetta una decorazione policroma a mosaico e a opus sectile) ricorre invariato nel chiostro lateranense e in quello ostiense. Poco riconosciute fino a oggi anche alcune sperimentali soluzioni costruttive, che videro negli ambulacri dei due chiostri l'inedita associazione di strutture architravate su colonne o di colonne addossate a parete, tutte riccamente decorate da capiteli ionici anche in funzione angolare, a sostegno di volte a crociera (quelle in S. Paolo f.l.m. demolite senza ragionevoli motivi nel 1905; Giovenale, 1917). La recente valorizzazione di queste qualità propriamente architettoniche ha condotto all'ipotesi di un coinvolgimento dei V. nella costruzione di parte del perduto portico di facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano (Pistilli, 1991), riferito invece da altri studiosi, grazie ad alcuni indizi documentari, integralmente a Nicola d'Angelo (v.).Il merito dell'invenzione di questa soluzione classicheggiante, dalla così larga fortuna nelle opere della bottega, sembra doversi riconoscere a Pietro V. in una fase matura di attività. Le evidenti divergenze, non tanto di impostazione, quanto di strutturazione plastica, di impaginazione e di lavorazione, presenti contemporaneamente nei rilievi del chiostro lateranense, la cui esecuzione, in corso nel 1227, fu probabilmente terminata poco oltre il 1236, sono infatti sufficienti a indicare la coesistenza di due distinti indirizzi formali, attribuibili alle due personalità di artisti operanti nello stesso ambito familiare: il primo di essi mostra continuità o identità stilistiche con il candelabro di S. Paolo f.l.m. e con gli interventi nel nartece e nei colonnati in S. Lorenzo f.l.m., mentre il secondo viene riproposto nel lato nord del chiostro ostiense, riferibile all'ultima fase dei lavori di esso, finanziata da Giovanni d'Ardea (abate del monastero fino al 1235), sembra per esecuzione testamentaria (Claussen, 1987, p. 134). Rispetto alla prima maniera, legata per certi versi a un'impostazione del rilievo minutamente descrittiva, la seconda, più larga e più spaziata, esibisce un'enfasi antiquaria ancora maggiore, evidente nel fregio vegetale e nelle protomi umane. Risulta tuttavia arduo il compito di una distinzione precisa di mani, quando è certo che in imprese così vaste l'organizzazione di cantiere doveva prevedere diversi aiuti. Certe formule stilistiche di V. 'figlio' sembrano comunque caratterizzare anche i plutei di S. Saba e di S. Lorenzo f.l.m. (entrambi non più nella funzione originaria di recinzione presbiteriale), ai quali ultimi appartenevano i due citati leoni, eseguiti prima del 1254, quando è documentata una bottega diversa.
La varietà del repertorio iconografico distingue infine questa bottega dalle altre, giustificandone ulteriormente l'incontrastato favore di cui godette nel secondo e nel terzo quarto del Duecento, durante il quale la maniera dei V. venne imitata da Drudo de Trivio, il più affine dei marmorari della stessa generazione. Ancora i due chiostri romani esibiscono, nelle cimase e nei pennacchi fra le arcate (in S. Giovanni in Laterano sull'esterno di tutti i lati del chiostro, in S. Paolo f.l.m. sull'esterno e sull'interno del solo lato nord), un ricco insieme, inedito nella tradizione cosmatesca, di soggetti decorativi e moraleggianti, di ispirazione letteraria (come il 'lupo a scuola', nel solo chiostro ostiense) o, più spesso, figurativa, sia medievale (il peccato originale; il lussurioso; volto trifronte; arciere e uomo con scudo; animale bicorpore), sia, soprattutto, classica (mascheroni fogliati; volti umani con canestra sul capo; erme bifronti; orsi addossati; 'teste lunari'; chimera; innumerevoli varianti su motivi animali e vegetali).L'accertata attività dei V. si conclude con i già citati lavori di Anagni, attribuibili a V. 'figlio' o a un quarto esponente della famiglia. Smembrati e ricomposti nella cattedrale di S. Maria, essi furono in origine realizzati per conto del medesimo committente, il vescovo Lando, ma in due distinti momenti e per due chiese diverse: nel 1262 la cattedra episcopale per la chiesa di S. Andrea; nel 1263 una schola cantorum per la cattedrale, dalla quale è probabile provengano i due leoni ora nel trono. Dell'insieme fa parte anche il candelabro per il cero pasquale, con colonna tortile sorretta da una coppia di sfingi e coronata da un vaso sorretto da un putto a tutto tondo. In rapporto alle componenti di gusto meridionale che il dossale della cattedra esibisce, nell'intreccio geometrico mosaicato, sono stati dubitativamente, ma senza seguito, attribuiti al più giovane dei V., di ritorno da Anagni, i frammenti dell'ambone ricomposto, insieme ad altri pezzi di arredo presbiteriale, nella chiesa di S. Cesareo in via Appia a Roma (v. Baronio, Cesare; Matthiae, 1955).
Il fenomeno di ricostruzione dell'universo figurativo classico, che connota in maniera inequivocabile le opere dei V., più ancora di quelle di altri marmorari romani, trova una singolare espressione di consapevole autocelebrazione nella già ricordata iscrizione del chiostro lateranense, che, alla pari di altre analoghe testimonianze nell'ambito dei Cosmati, evidenzia pretesi meriti non solo artistici, ma anche più specificamente culturali (doctus); meriti attribuiti con qualche fondamento, considerata la rarità dei due casi nei quali meglio emerge la conoscenza diretta di quel mondo che si voleva riproporre: la firma di possesso (comunque controversa) da parte di un V. di una perduta statua di Esculapio, già nella Coll. Verospi (Lanciani, 1902), e le immagini di una lucertola e di una rana - animali onomastici degli scultori greci Sauras e Batrachos - scolpite sulle volute di uno (il quinto di destra) dei già citati capitelli ("in columnarum spiris") del colonnato della basilica di S. Lorenzo f.l.m., come citazioni da un passo di Plinio (Nat. Hist., 36, 5, 42; Claussen, 1981; 1992).
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