VASTE (Βαῡστα, Basta)
Piccolo centro salentino, oggi frazione di Poggiardo (Lecce), nel cui territorio sono i resti di un antico insediamento messapico del quale conserva il nome. Citato da Tolemeo (Geog., III, I, 67) tra i centri della mesogèia dei Salentini, da Plinio (Nat. hist., III, 100-101) è definito oppidum e collegato, insieme a Otranto, al promontorio dell'attuale Capo di Leuca, dal quale dista 19 miglia.
Le rovine dell'antico abitato furono riconosciute già alla metà del Cinquecento da A. De Ferrariis (il Galateo), il quale riferisce del ritrovamento di numerose tombe contenenti armi di bronzo e anelli d'oro. L'umanista trascrive inoltre il testo di una lunga iscrizione che si apre con la consueta «formula di invocazione» klohi Zis («ascolta Zeus»), in cui il Galateo riconosce giustamente la lingua dei Messapî.
Nell'Ottocento le necropoli subirono saccheggi da parte dei soldati di G. Murat e venne scoperto allora l'ipogeo ellenistico, detto delle Cariatidi, per la presenza, all'ingresso delle camere sepolcrali, di figure ad altorilievo in calcare locale: raffigurano Menadi che sorreggono un architrave sul quale sono rappresentati eroti alla guida di carri trainati da leoni. Altri scavi, spesso mirati al recupero dei ricchi corredi funerarî, furono condotti, tra la fine del secolo scorso e gli inizî del Novecento, dal De Simone, che redasse una prima pianta schematica del percorso murario, e dal barone Bacile di Castiglione, che costituì un'importante raccolta di antichità. Alcuni degli oggetti più preziosi della collezione, tra cui il bellissimo cratere a volute in bronzo, furono poi venduti al Museum of Fine Arts di Boston.
Sporadici interventi furono compiuti negli anni '60 dalla Soprintendenza Archeologica e dal Museo Provinciale di Lecce, con lo scavo di una fattoria ellenistica nel fondo Lucernara e di una necropoli del IV-III sec. a.C. nella zona Aia a Poggiardo. Le ricerche sistematiche (condotte dall'Università di Lecce in collaborazione con l'École Française di Roma) iniziarono nel 1981 con l'elaborazione di una carta archeologica che permise di definire l'impianto di età ellenistica racchiuso da una fortificazione lunga 3350 m. In questi anni si è realizzata la prospezione sistematica del territorio, riconoscendone le dinamiche di occupazione in un ampio arco cronologico e identificando un altro insediamento nel fondo Giuliano, a NE di V., nelle vicinanze della chiesa rupestre di età bizantina dedicata ai Ss. Stefani.
Il centro messapico di V. sorge su una propaggine della Serra di Poggiardo e si sviluppa nella circostante pianura a una quota tra 95 e 107 m s.l.m. La zona più alta corrisponde all'attuale Piazza Dante, il centro del moderno paese, che costituiva anche in età antica il punto dominante dell'abitato, con funzione di «acropoli». La circostante pianura, fertile per la presenza di una falda acquifera che alimenta numerosi pozzi, era separata dalla costa adriatica dalle alture calcaree delle Serre. Il vicino abitato messapico di Muro Leccese costituiva il centro dominante del sistema insediativo preromano, con una superficie di c.a 107 ha racchiusa dalle mura; V. presenta una minore estensione (c.a 77 ha). Insieme facevano parte, con le fattorie e i villaggi, di un articolato complesso poleografico, in collegamento stradale con Otranto che svolgeva la funzione di porto commerciale per la sua posizione strategica sul Canale. Un'altra strada, dirigendosi a S, collegava V. al piccolo centro costiero di Castro, fortificato in età ellenistica con mura a blocchi squadrati, per il controllo militare dei passaggi marittimi sull'Adriatico.,
Nel territorio sono attestati, nell'Età del Bronzo Tardo e Finale, numerosi nuclei a capanne, che tendono a concentrarsi sulle alture. Una sostanziale continuità si rileva nella prima Età del Ferro quando l'insediamento sul pianoro elevato di Piazza Dante sembra svolgere un ruolo dominante. In quest'area sono state scavate numerose strutture relative a capanne di forma ovale, con buchi per pali e muri perimetrali di pietre a secco, circondate da ampi spazi liberi in cui erano ricavati i recinti per gli animali, le aree di cottura, i depositi per le derrate.
Anche se non mancano tracce più antiche, i materiali prevalenti si riferiscono alla seconda metà dell'VIII sec. e, in minor misura, al VII sec. a.C. e sono caratterizzati dalla presenza di vasi a impasto e di ceramica dipinta locale non tornita, del Geometrico Iapigio Tardo. In associazione con i materiali indigeni sono stati rinvenuti numerosi frammenti di vasi d'importazione greca, generalmente tardo-geometrici corinzi, e di anfore commerciali, anch'esse prodotte a Corinto, che attestano come i fenomeni di scambio riscontrati sulla costa si riflettessero nell'immediato entroterra. Centro di ridistribuzione delle merci che giungevano dalla Grecia era l'approdo adriatico di Otranto dove i contesti di VIII e VII sec. hanno restituito un notevole complesso di vasi del Geometrico greco, in una concentrazione che non ha confronti nel resto dell'Italia.
Durante il VII e il VI sec. le tracce dell'insediamento sembrano rarefarsi e, sino al IV sec. a.C., non è possibile riconoscere strutture consistenti di un abitato che pare distribuirsi nel territorio. Probabilmente l'altura di Piazza Dante mantenne un ruolo preminente, e fu forse sede di attività cultuali, come sembra attestare il ritrovamento di un oggetto di prestigio, il frammento di un cratere a volute attico a figure nere, riferibile al Gruppo di Leagros.
Un altro polo di aggregazione insediativa di età arcaica è stato riconosciuto nella zona dei Ss. Stefani da dove provengono un capitello in calcare con abaco decorato da rosette e una cornice in pietra leccese (seconda metà del VI sec. a.C.) decorata da kỳma dorico e da un fregio a fiori di loto, simile agli esemplari rinvenuti a Cavallino. Nella stessa area si concentrarono attività di cava lungo i banchi di calcarenite e di artigianato, per la produzione di tegole fittili, attestate dal ritrovamento di una fornace.
Connessi ad attività cultuali sono anche i nuclei di cippi in pietra che segnano in età arcaica alcuni punti nodali del territorio: nella zona Melliche, nella parte settentrionale dell'insediamento, una vasta area era circondata da un recinto in cui erano collocati altari, basamenti e stele in calcare, alcune segnate da iscrizioni dedicatorie in messapico.
Nel corso del V sec. a.C. sulla stessa area si andò impiantando una necropoli, allineata sulla strada principale che attraversava l'abitato lungo l'asse longitudinale N-S. Le tombe si disponevano intorno a due sarcofagi monolitici riferibili ai membri principali del gruppo familiare. I rispettivi corredi, appartenenti a individui di sesso maschile, erano caratterizzati dalla presenza del cratere, come nella tomba 569, con un esemplare attico attribuito al Pittore della Centauromachia del Louvre, associato con uno sperone di bronzo e con un raro esemplare di podaniptèr, anch'esso di bronzo, proveniente dall'Etruria. Nell'altro corredo (tomba 547), di poco più recente, riferibile alla prima metà del IV sec. a.C., sono presenti invece un cratere italiota del Pittore di Creusa, un colino di bronzo, e gli strigili. Il rituale funerario caratterizza i due personaggi con i simboli della pratica equestre e con quelli legati alla sfera greca della palestra.
Come gran parte degli altri centri messapici, nella seconda metà del IV sec. a.C., anche V. conosce un più intenso sviluppo, probabilmente da collegare a dinamiche di incremento demografico e di differente organizzazione insediativa. Si definiscono i limiti dell'abitato con la costruzione di imponenti mura in cui le porte sono spesso collocate in corrispondenza di uno sfalsamento dell'asse della fortificazione, in rapporto alla difesa.
L'impianto non era munito di fossati ma, lungo il lato orientale (fondo Pizzinaghe), sono state ritrovate le strutture murarie di un protèichisma, destinato a proteggere la strada pomeriale e il muro di fortificazione dall'assalto delle macchine ossidionali. Sul lato O le mura raggiungono lo spessore di c.a 8 m e presentano tre fasi: la prima con pietre non squadrate disposte a secco, la seconda costituita da un rivestimento di blocchi squadrati e la terza addossata alla facciata esterna con blocchi isodomi posti di taglio e di traverso in una struttura piena, larga c.a 3 m.
Le case di abitazione si concentravano lungo assi stradali non ortogonali mentre ampie aree periferiche racchiuse dalle mura erano destinate ad attività agricole e pastorali e alle necropoli. Nell'area più elevata (Piazza Dante), le case si alternavano a gruppi di tombe che presentano caratteri monumentali e che sono collegate a recinti e a basamenti connessi con i culti funerari. A uno di questi monumenti appartiene l'Ipogeo delle Cariatidi, che è certamente da riferire a un gruppo familiare aristocratico insediato sull'«acropoli», come in altri centri indigeni della Puglia (Monte Sannace). Sempre nella parte alta dell'insediamento, nel fondo S. Antonio, gli scavi recenti hanno messo in luce un vasto complesso abitativo costituito da ambienti rettangolari allineati e aperti su una vasta area centrale nella quale si possono riconoscere strutture legate a forme di culto e a funzioni relative al manifestarsi dei gruppi sociali dominanti. La rilevanza del complesso è sottolineata inoltre dal ritrovamento di un tesoretto monetale riferibile alla metà del III sec. a.C, contenuto in una pregevole olpe bronzea, costituito da 150 stateri d'argento in gran parte della zecca di Taranto (142), oltre che di Heraklea (7) e di Thurium (1). Il ripostiglio venne nascosto probabilmente in relazione alle vicende drammatiche della conquista romana della Messapia.
L'abbattimento delle poderose fortificazioni rappresenta un altro segnale dell'occupazione romana che produsse, la disgregazione dell'abitato e una crisi seguita da un lento riorganizzarsi del popolamento in nuclei di abitazioni sparse, legate ad attività agricole, durante il II e il I sec. a.C. Notevole per questa fase è il rinvenimento, sul fondo di una cisterna riempita nel I sec. a.C., di un complesso di 17 tesserae lusoriae in osso recanti iscrizioni latine con appellativi il cui carattere positivo o negativo è associato con cifre numerali romane.
La frequentazione dell'abitato continua in età imperiale con una graduale riorganizzazione della presenza agricola in età tardoantica su tutto il territorio della vasta piana. A questa fase si riferisce lo sviluppo di un'area cimiteriale paleocristiana nella vicina zona dei Ss. Stefani (fondo Giuliano), intorno a una chiesa che presenta fasi costruttive diverse, dal V al X sec. d.C.
Nel 1992 e nel 1993 si sono scavate 18 tombe polisome in ambienti rupestri ricavati nel banco roccioso. Le fosse erano coperte da lastroni a spioventi con elementi acroteriali sui quattro lati nei quali sono ricavati degli incavi per poggiare lucerne a bicchiere. I corredi erano costituiti da monete, lucerne e vasi di vetro databili tra il V e la prima metà del VI sec. d.C.
Una forte ripresa nell'occupazione agricola del territorio otrantino dopo la guerra greco-gotica è attestata dalla ricostruzione e dall'ingrandimento della chiesa, che presenta in questa fase tre navate divise da pilastri, con una sola abside.
Un fenomeno analogo è documentato nella vicina chiesa rurale di Centoporte a Giurdignano, datata allo stesso periodo sulla base di recenti indagini stratigrafiche. Durante il periodo medievale l'occupazione dell'area si andò sviluppando in varî poli, nell'insediamento rupestre intorno alla chiesa dei Ss. Stefani, nella zona vicina alla Cripta di S. Maria a Poggiardo, e sull'altura di V., dove fu costruita una torre di fortificazione. Le ricerche recenti di archeologia e di topografia del Medioevo contribuiscono a evidenziare la complessità e la ricchezza di sviluppi in questa parte dell'entroterra otrantino. Come risultato di tali dinamiche insediative si fissarono in età moderna i due abitati di V. e di Poggiardo, a breve distanza l'uno dall'altro.
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(F. D’Andria)