VECCHIAIA
. Etnologia. - La sorte dei vecchi nelle società primitive oscilla fra due principî: il rispetto e la venerazione da una parte, l'abbandono e il vilipendio dall'altra. Nel primo caso i vecchi rappresentando i depositarî delle tradizioni della tribù, sono consultati per la loro conoscenza d'iniziati e per l'esperienza della vita. Questo sentimento di rispetto e di ossequio è generale nelle tribù aborigene dell'Australia, e fra alcune di esse la parola che indica il vecchio, significa superuomo (Ke-Turkekai, presso i Kowrarega). L'autorità cresce col crescere degli anni, e più l'uomo invecchia, maggiori sono i privilegi di cui gode: cariche, onori, trattamenti speciali, e perfino nelle relazioni sessuali. I vecchi in alcune tribù dell'Australia hanno la facoltà di scegliere o riservare per sé le più giovani e le più belle donne, lasciando ai giovanissimi le vecchie e le brutte. Agli Australiani vanno uniti in questa regola morale i Neocaledoni, gl'Indiani dell'America Settentrionale e altri popoli, e ciò serve a far vedere che il cannibalismo dei primi non è incompatibile col sentimento di ossequio per la vecchiaia. Per alcune popolazioni dell'Africa il rispetto dei vecchi è ribadito dalla credenza che essi siano i favoriti degli spiriti e dall'idea che siano autori di carmi, d'incantamenti, di malefici.
Nell'altro caso i vecchi vengono eliminati dal gruppo, isolati, abbandonati o uccisi. A tale trattamento inducono varie ragioni: la scarsezza degli alimenti e le crescenti difficoltà della vita, e talora anche il sospetto che la longevità sia un segno malefico. Da qui l'orribile costumanza di sopprimere quelli molto avanzati come esseri inabili alle dure fatiche della caccia, della guerra e, in genere, della lotta per l'esistenza, o come esseri parassiti, o addirittura nocivi alla salute collettiva. Una vecchia narrazione di viaggio dice che i Figiani, a provare la resistenza fisica dei più avanzati negli anni, li facessero salire sopra gli alberi attendendo la loro caduta o discesa come segno di decrepitezza, mentre a coro intonavano il ritornello: "quando il frutto è maturo, deve cadere". Fra i primitivi sogliono abbandonare i vecchi inabili o seppellirli vivi i Neocaledoni; sogliono esporli nelle campagne i Boscimani e altre genti dell'Africa; sogliono ucciderli gli Eschimesi e altri popoli boreali. Nelle Isole Viti, quando l'uomo declina, la pietà filiale lo accompagna al sepolcro, imbandendo un banchetto funerario. Così facevano tra gli antichi popoli i Massageti, i Sardi e altri, secondo la tradizione raccolta dagli scrittori. Presso i Ciukci, nell'attesa della fatale condanna, gl'infelici si tolgono spontaneamente la vita, credendo di prepararsi l'ingresso in maniera splendida nella dimora dell'oltretomba. Uguale sorte è riservata ai grandi maghi, ai grandi sacerdoti, ai sovrani, quando sono evidenti in essi i segni della decadenza fisica. Il popolo del Congo crede che se il Chitomè o pontefice dovesse perire di morte naturale, il mondo sarebbe annientato; però quando si ammala gravemente o si teme che egli non possa scampare al pericolo, viene strangolato o ferito a morte. Sino ai tempi moderni presso alcune tribù del Fazogl, il re che per malattia o altra ragione non poteva per tre giorni di seguito amministrare la quotidiana giustizia, veniva impiccato. L'usanza di mettere a morte i re ai primi sintomi di vecchiaia, fu in vigore fino a poco tempo fa presso gli Scilluk del Nilo Bianco, con strane cerimonie. Uno dei sintomi fatali del fisico decadimento del sovrano era l'incapacità di soddisfare le passioni sessuali delle sue molte mogli.
Bibl.: L. Lévy Bruhl, l'âme primitive, Parigi 1927; Ch. Letourneau, L'évolution de la morale, 2ª ed., ivi 1894; J. J. Frazer, the Golden Bough, 3ª ed., Londra 1907.
Per le assicurazioni per la vecchiaia, v. assicurazione: Assicurazioni sociali.