VEDDA
. Tribù primitiva relegata ormai nella sola parte orientale dell'Isola di Ceylon, sopra un'area di circa 6200 kmq., posta fra il versante est del massiccio centrale dell'isola, il mare, il corso del Mahaveli-Ganga e la parte più settentrionale della Provincia di Uva, secondo una linea condotta da Badulla alla costa. Il numero dei Vedda è incerto, rifuggendo essi da ogni contatto con stranieri, specie se Europei: si calcolano all'incirca in 4400 individui. Vivono fra gli industriosi Tamili, pescatori della costa nord, e gli aborigeni Singalesi, della costa sud, pescatori di alto mare. Sembrano originarî dell'isola, nella quale ebbero un tempo ampia diffusione. Ad essi si attribuiscono gli utensili di quarzo, osso e conchiglie rinvenuti nelle caverne, i cui strati superiori dànno anche una rozza ceramica. In generale i Vedda si dividono in clan o waruge. L'esogamia è la norma, la discendenza è matrilinea. La famiglia, prevalentemente monogama, è alla base della struttura sociale di tutti i Vedda. Ogni comunità consta di quattro o cinque famiglie derivate da un capostipite e dalle figlie maritate di esso. Per il loro grado d'inquinamento con Tamili e Singalesi, e quindi di variazione della loro cultura, i Vedda restano naturalmente divisi in tre categorie: veri Vedda (o Vedda della giungla, di gran lunga i più importanti), Vedda dei villaggi e Vedda costieri.
Fra i primi, ogni comunità abita la stessa grotta e sfrutta nella stagione umida un'ampia zona montana di terreno per la caccia e la raccolta del miele, mentre nella stagione secca scende vicino al letto semiasciutto di un torrente per abbattervi una zona di foresta, o chena, costruirvi una capanna di scorza d'albero e vivere della selvaggina che viene in cerca d'acqua. Al riapparire della stagione umida, per la conseguente salita degli animali nei luoghi montani, nonché per il timore della malaria, la comunità ritorna nella caverna; gli uomini, eccellenti arcieri, si occupano della caccia e della raccolta del miele; le donne vanno alla ricerca di radici commestibili e di patate dolci. Una donna in ogni caverna le arrostisce sulle ceneri per tutti. Lo stesso si ha per la carne, di cui una parte, però, si conserva affumicata. Si astengono dal mangiare il pollame, ma non per totemismo. Attualmente masticano spesso il betel. La loro rozza ceramica è preparata da uomini e donne. Come abito, gli uomini indossano soltanto una striscia di cotonata bianca, che, passata fra le gambe, è tenuta stretta alla cintura da un legaccio; le donne si avvolgono, dalla cintola in giù, in cotonate di colore. I Vedda selvaggi non usano né ornamenti, né amuleti, benché gradiscano offerte di conterie. I capelli di tutti sono incolti; qualche donna maritata porta ciocche posticce. Sono sudici, ma in genere hanno buona salute. Caratteristica nei Vedda è la grande considerazione in cui tengono la donna; essa mangia insieme con l'uomo e del suo stesso cibo. Il genero ha norme particolari da osservare nei riguardi della suocera; norme analoghe regolano i rapporti fra cognati e cognate.
Non si hanno riti d'iniziazione per i due sessi. I matrimonî avvengono in età giovanile, non tuttavia precoce, con una cerimonia molto semplice. Il suocero assegna al genero un tratto di terreno su cui cacciare o allevare le api, e un arco con frecce. Spesso aggiunge anche un cane. Fra i Vedda selvaggi, i cadaveri non si lavano né si preparano in alcun modo. Il corpo è sepolto sotto un cumulo di rami e pietre nella caverna, che viene abbandonata. Dopo qualche anno la grotta si rioccupa e i miseri avanzi si gettano nella foresta. Il culto degli spiriti dei morti si rivela nelle danze e nella religione dei Vedda. Per ogni comunità vi è solo un anziano (kapurale o dugganawa) che, in stato di pretesa possessione, fa da intermediario fra gli spiriti e gli astanti. L'insieme degli spiriti dei morti è detto Nai Yaku (Yaku, plurale; yaka, maschile; yakini, femminile). Gli spiriti di alcuni eroi, grandi cacciatori, sono invocati in speciali circostanze. Pochi giorni dopo la morte di un parente si fa la celebrazíone del Nai Yaku, ossia si propizia con offerte il nuovo defunto, salito al grado di spirito (yaka), per fame un protettore della comunità. La danza di Nai Yaku, come tutte le altre dei Vedda, è pantomimica ed è accompagnata da offerte allo spirito del defunto. Altre cerimonie, con pantomima e offerte, si fanno per accattivarsi lo spirito di Kandi Wanniya (cerimonia del kirikoraha) come aiuto nella caccia. Nelle danze della freccia, gli uomini, sempre allo scopo di propiziarsi la caccia, invocano Itala Yaka. Presso altre comunità s'invoca Bambura Yaka per evitare malattie, o Dala Yaka, per avere un buon raccolto di miele. I Vedda non hanno una magia vera e propria, né filtri amorosi, ma solo qualche incantesimo per proteggersi dalle bestie feroci. Usano tenere nella sacca del betel un pezzetto disseccato di fegato umano. I Vedda selvaggi, sebbene privi di strumenti musicali, hanno canti d'invocazione e d'incantesimi, o nenie per passatempo, assai primitive, ed estese a due, tre e quattro note. Tramandano poche leggende e non genealogiche. Le manifestazioni artistiche si riducono a disegni sulle rocce, non a carattere magico, fatti dalle donne nelle caverne a mezzo di cenere impastata con saliva e carbone. Il linguaggio dei Vedda è fiorito di perifrasi. Sembra un dialetto singalese (ariano) adottato da essi in epoca molto remota in luogo della lingua propria. Il cosiddetto dialetto vedda possiede però delle parole sanscrite non adoperate dai Singalesi. Per le invocazioni agli Yaku pare che in alcuni luoghi si adoperi un linguaggio segreto.
I Vedda dei villaggi hanno discrete casette, buone coltivazioni su terreni dati loro dagli antichi re singalesi, bestiame e bufali e commerciano molto con i Singalesi. I Vedda costieri (Verda) abitano buone capanne con fiorenti coltivazioni sulla costa est dell'isola. Ricordano appena i nomi dei waruge da cui provengono e si sono molto inquinati con i Tamili, dai quali hanno preso l'uso della pesca e la religione, pur non dimenticando il culto dei morti, proprio dei loro antenati. Nessun individuo dei tre gruppi Vedda considerati è però da ritenersi ormai immune, in senso culturale e somatico, da contatti recenti.
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