Vela
Nonostante gli sforzi degli storici, è arduo stabilire un preciso momento nel quale gli antichi naviganti scoprirono di poter utilizzare il vento in sostituzione dei remi. Del resto l'evoluzione nell'uso delle vele per imbrigliare il vento e usarlo come spinta propulsiva è stata molto graduale, al punto che per molti anni le navi hanno solcato i mari avvalendosi sia dei remi sia della vela, ed è tuttora in atto.
Per compiere il passaggio dalla forza umana a quella del vento, l'attenzione dell'uomo si è incentrata sullo studio degli elementi che avrebbero permesso tale sfruttamento. Gli antichi egizi, i persiani e i babilonesi navigavano con vele di paglia intrecciata, canne e foglie. I fenici tessero vele di lino e i greci usarono la canapa, idrorepellente, spalmandola di catrame per conservarla più a lungo. Una descrizione di Plutarco della lancia reale di Cleopatra parla di 'vela di seta purpurea'. Drappeggi di seta e di bisso dorati si segnalano inoltre sulle 'barche dei fiori' cinesi; e anche i polinesiani, fra i popoli dell'Oceano Pacifico quelli con la maggiore tradizione di navigazione, all'inizio utilizzarono le foglie per sfruttare la forza del vento.
L'interminabile storia dell'evoluzione delle imbarcazioni a vela, mezzo unico e sempre più sofisticato per navigare, trasportare, viaggiare e combattere sul mare, non può prescindere dall'analisi di alcuni tipi caratteristici di scafi, veri e propri capisaldi di altrettanti passaggi storici.
Tra le tipologie più antiche occorre ricordare le caravelle, con il loro carico di significati storici; i galeoni, che rappresentarono le navi da combattimento per eccellenza, da cui derivò poi il vascello; i brigantini, che segnarono una nuova era di scoperte scientifiche; fino ai velocissimi clipper, che rivoluzionarono i tempi del commercio in tutto il mondo.
La caravella, nata intorno al 14° secolo come piccola barca da pesca, divenne la prima nave a vela ad affrontare i rischi e le incognite dell'oceano, anche grazie a un rivoluzionario sistema costruttivo del fasciame associato alle grandi doti nautiche di sicurezza, manovrabilità e capacità di risalire il vento. La più famosa resta la Santa María di Cristoforo Colombo, varata nel 1480, lunga 23,60 m. La caravella (anche nella tipologia denominata caracca) era una barca relativamente piccola, di costruzione semplice e complessivamente economica, con attrezzatura velica non certo sofisticata. In un periodo storico particolarmente significativo per le scoperte geografiche, queste piccole navi hanno sempre ricoperto ruoli fondamentali. Erano caracche le navi delle spedizioni di Vasco de Gama, quelle di Amerigo Vespucci e di Ferdinando Magellano. Il limite tecnico di questo tipo di imbarcazione era il piano velico a vele quadre su due o tre alberi, che consentiva di navigare quasi esclusivamente con venti portanti, cioè di poppa o di gran lasco.
Il galeone nacque nel 16° secolo dall'evoluzione della galea genovese a remi, dalla quale ereditò la grande manovrabilità. Rispetto alla caravella aveva una lunghezza tripla, sovrastrutture altissime con cassero di poppa, progressivi e sofisticati sistemi di artiglieria con numerosi cannoni. Quarantacinque metri di lunghezza per dieci di larghezza, trecento uomini di equipaggio, i galeoni fecero prima la leggenda della Invencible Armada spagnola, poi l'orgoglio delle marinerie veneziana, olandese, francese e infine il trionfo di quella britannica. Il primo di una infinita serie di galeoni britannici chiamati Victory fu costruito nel 1571, e il 25 luglio del 1588 fu protagonista di una memorabile battaglia vittoriosa contro l'Armada spagnola. Un altro Victory inglese, definito l'abbazia di Westminster della Marina reale, costruito dal 1759, fu la nave ammiraglia di Horatio Nelson nella celebre battaglia di Trafalgar del 1805: 69 m, 3 ponti, 800 uomini di equipaggio, una carena foderata con 3923 fogli di rame. Tra gli esempi storici di galeoni celebri emerge il Mayflower, su cui nel 1620 arrivarono nell'America Settentrionale i Pilgrim Fathers, i quali costituirono a Plymouth (Massachusetts) una delle prime colonie di quelli che saranno gli Stati Uniti d'America.
Nel 17° secolo la marineria di tutto il mondo fu attraversata da numerose innovazioni, che andarono a confluire nella realizzazione di una nuova imbarcazione: il vascello. Gli studi sui pesi e le forme delle carene, l'evoluzione delle vele e delle tecniche costruttive, l'uso di nuovi legnami come il teak portarono alla nascita di scafi più veloci e stabili destinati a usi sia bellici sia mercantili.
Nel 18° secolo la nave di riferimento divenne la fregata, nata nel Mediterraneo inizialmente per fini mercantili e divenuta simbolo della velocità nelle prestazioni a vela. La grande superficie velica era arricchita dall'uso ormai generalizzato delle 'vele di strallo', derivate dalla vela latina, impiegate in tutti gli alberi di bordo in modo da conferire agli scafi una manovrabilità fenomenale, una grande rapidità nelle virate e un'aumentata capacità di navigare controvento. Anche il famosissimo Bounty (1787) era una fregata inglese, così come l'americana Independence, che nel 1798 segnò la nascita della Marina degli Stati Uniti d'America.
I brigantini, introdotti nell'Europa settentrionale a partire dalla fine del Seicento, nella loro evoluzione segnarono un ulteriore passo avanti nello sviluppo della velocità; avevano preso il nome dalla vela considerata l'antenata della randa, la brigantina. Per le loro doti i brigantini furono utilizzati principalmente da viaggiatori e naturalisti, come fu per l'Endeavour, brigantino a palo di 54 m e struttura robusta con cui James Cook doppiò Capo Horn per andare nel Pacifico e fino in Nuova Zelanda tra il 1768 e il 1771; o per il Beagle (cui fu aggiunto un terzo albero per acquisire una manovrabilità maggiore nelle isole coralline) che imbarcò Charles Darwin.
La goletta è una nave armata a due alberi con vele auriche discendenti dalla vela latina. L'evoluzione nel campo delle vele verso forme tagliate sempre più 'alte' fece progredire in maniera fondamentale la navigazione a vela. Non a caso all'era delle golette è legato il nome di America, lo schooner che nel 1851 vinse a Cowes (Isola di Wight) la Coppa delle cento ghinee, dalla quale prese le mosse il trofeo più antico dello sport della vela, la Coppa America (America's Cup).
Il peso crescente degli Stati Uniti nella marineria si accentuò attorno al 1820 con l'affermarsi dei clipper, destinati a segnare l'epoca della grande gara del commercio marittimo. Nati grazie all'apporto della tecnologia statunitense e progettati per la velocità, i clipper ruppero con gli schemi del passato dando un ulteriore impulso alla cantieristica mondiale. Scafo basso, carena affilata, slanci di prua e poppa, sezione maestra avanzata, grande superficie velica ed enormi capacità di carico nella stiva, i clipper erano costruiti a Baltimora pronti a salpare per viaggi lungo le rotte dell'oppio e del tè. Esemplare è il caso del Cutty Sark: scafo nero aggressivo, lungo 85 m, questo clipper del tè (1869) montava un albero di maestra alto 45 m e una superficie velica di 2972 m2, il tutto per un equipaggio di soli 32 uomini. Memorabile il suo viaggio da Shanghai a Londra in 110 giorni.
Con i clipper la storia della navigazione a vela era entrata nella sua era moderna; la successiva introduzione del motore, destinata a trasformare la conquista del mare, collocò la vela in una dimensione divenuta esclusiva, quella del diporto.
La vela da diporto o sportiva, ciò che viene chiamato yachting, ha origini ben più antiche rispetto all'avvento del motore sulle navi delle grandi rotte mercantili. Certamente nell'antichità esistevano barche che svolgevano funzioni diverse da quelle commerciali, belliche o di esplorazione, come la già ricordata galea di Cleopatra o le 'barche dei fiori' cinesi. Anche le gondole veneziane, ancorché non invelate, già dal 14° secolo erano impegnate in gare dette regate, termine ancora nell'uso italiano e internazionale.
Tuttavia, la nascita vera e propria della vela da diporto com'è oggi intesa va fatta risalire al 17° secolo in Europa settentrionale. Il termine inglese yacht deriva dall'olandese antico jaght ("caccia"), con cui si indicavano le barche sulle quali non solo si lavorava (caccia alle balene, pesca delle aringhe, commercio marittimo), ma perfino si viveva. Con il tempo si affermò anche lo jaghting come passatempo preferito degli olandesi.
È però in Inghilterra che la vela da diporto conobbe il suo massimo sviluppo, tanto che ancora oggi è considerata il centro storico e culturale della navigazione. Sconfitto da Cromwell nel 1651, Carlo II d'Inghilterra fu costretto all'esilio in Olanda dove scoprì tale attività. Nove anni dopo, rientrato in patria, portò con sé una barca (il Mary) e introdusse il termine yacht. La passione per la vela spinse il re a costruire nuove imbarcazioni creando una piccola flotta reale; nel 1662 si narra di una scommessa di 100 sterline su una gara tra lo yacht reale Jamie e quello olandese Anne, del duca di York. Ben presto la nobiltà cedette alla moda reale e si moltiplicarono gli yacht e i racconti di storie di yachting (su tutti quelli dello scrittore Samuel Pepys, così attento a narrare avventure di mare che il suo nome fu poi dato ad alcune celebri imbarcazioni). Nel 1720 nacque il primo circolo nautico del mondo, il Water Club di Cork, in Irlanda. Nel cuore di Londra nel 1775 prese corpo la Cumberland Fleet, presto trasformata in Royal Thames Yacht Club. Il primo vero club dedicato allo yachting fu fondato nel giugno 1815 a Cowes, nell'Isola di Wight, con il nome di Royal Cowes Yacht Club che diventerà nel 1820 Royal Yacht Club; il guidone definitivo e ancora in uso (bianco con una croce rossa e la corona gialla di San Giorgio al centro) risale al 1829, pur essendo poi il nome ancora cambiato in Royal Yacht Squadron (1833). Nel 1825 l'aristocrazia inglese vi si riunì per la prima edizione delle parate veliche: la Settimana di Cowes, tuttora un appuntamento storico degli appassionati di vela. Nel 1851 Cowes e l'Isola di Wight fecero da sfondo a un evento destinato a diventare storico, con la vittoria della goletta America contro una flotta di yacht reali, dal quale nacque la Coppa America, destinata ad affermarsi come simbolo e icona dello sport della vela.
Accanto allo sviluppo dello yachting sull'asse Olanda-Inghilterra ‒ presto esteso a un'altra nazione destinata a un ruolo di guida per lo sviluppo della vela, la Francia ‒, nella storia della navigazione del vecchio continente si deve considerare anche un altro elemento propulsivo fondamentale: l'arte marinaresca dei vichinghi. Anche dopo il declino della loro civiltà restò considerevole il contributo al progresso della tecnica e della tradizione navale. La Normandia e la Bretagna, reduci dalla dominazione vichinga, furono le regioni su cui maggiormente si basò la potente flotta francese; e per lungo tempo le città mercantili tedesche fondarono la loro potenza sui gloriosi dragoni vichinghi, per un impero marittimo durato quasi tre secoli. Anche in conseguenza di ciò si ebbe in seguito un grande sviluppo della vela da diporto in tutti i paesi dell'Europa del Nord, dalla Scandinavia alla Germania.
Le radici del profondo rapporto che lega la Francia al mare risalgono alla dominazione romana e proseguono con i merovingi, un retroterra fertilissimo per i successivi sviluppi: dalle flotte da guerra francesi padrone dei mari all'età d'oro della costruzione delle grandi navi (oltre 230 grandi velieri tra il 1895 e il 1910 nel Nord della Francia) allo sviluppo della marineria della pesca a vela, alla cantieristica di risonanza mondiale. Un'onda lunga che ha portato la vela a diventare lo sport principale della Bretagna e in seguito di gran parte della Francia, paese che ha prodotto generazioni di marinai per lavoro e per puro diporto (secondo la concezione introdotta dall'aristocrazia inglese). In Bretagna nacque la prima scuola di vela d'Europa: Glenans. La Francia ha inoltre perseguito una lungimirante politica di sviluppo delle infrastrutture portuali, ha visto nascere da fine Ottocento i più grandi navigatori e alcuni miti (Eric Tabarly), ha inventato nuovi modi di andare a vela (dai multiscafi alle tavole a vela e alle regate oceaniche) ed è stata la prima nazione non anglofona a lanciarsi nella Coppa America. La stessa Francia ha ricoperto il ruolo di paese guida della vela da diporto nel bacino del Mediterraneo, nel quale ambito sono cresciute in seguito anche Spagna e Italia.
Nel continente americano, attraverso l'Atlantico, lo yachting giunse negli Stati Uniti d'America. Pur essendo questi destinati a diventare il paese di riferimento per gran parte dello sviluppo tecnologico della vela, lo yachting ebbe una crescita lenta nelle regioni costiere occidentali. Le prime barche a vela lungo la East Coast avevano funzioni più di semplice trasporto che di svago, e non a caso il primo uomo che interpretò questa seconda dimensione fu lo scozzese John Paul Jones, con il Jefferson prima e con il Cleopatra's Barge poi, vere attrazioni veliche tra il 1801 e il 1816. Tra Boston e New York, sulle coste del Massachusetts, del Connecticut, del Rhode Island, nello Stretto di Vineyard, a Newport (destinata a divenire la sede della Coppa America per oltre centotrent'anni), furono organizzate le prime regate (tra le golette Sylph e Wave, 1835) e sorsero i primi circoli velici (il Knickerbocker Boat Club, del 1811, che durò solo un anno; il Boston Yacht Club, tra il 1835 e il 1837). Il New York Yacht Club (NYYC), sorto nel 1844, fu preceduto dal Detroit Boat Club del 1839, tuttora attivo. Nell'estate del 1845 il commodoro del NYYC, John Cox Stevens (personaggio decisivo per la storia della vela non solo statunitense) indisse la prima regata nella Baia di New York. Appena sei anni dopo lo stesso Stevens costituì il consorzio che affidò al giovane progettista George Steers il disegno della goletta America, che attraversò l'Atlantico per sfidare e battere gli inglesi a Cowes.
Le prime due barche a vela da diporto che gli storici registrano in Italia furono entrambe inglesi e appartenevano a due poeti innamorati dell'Italia: Percy Bysshe Shelley (che nel 1822 morì naufragando a La Spezia con la sua imbarcazione a vela Ariel, di ritorno da una crociera a Livorno) e Lord George Gordon Byron (che intorno al 1820 amava navigare con il suo Bolivar al largo delle coste toscane).
Il ruolo di un'aristocratica colonia inglese fu determinante anche per lo sviluppo della costruzione di barche a vela sul Lago di Como e per la nascita del primo circolo velico italiano nel 1858 a Belgirate, sul Lago Maggiore. Tra i promotori la principessa Elisabetta di Sassonia, Massimo d'Azeglio, il conte Vitaliano Borromeo, il conte Galeazzo Visconti e l'ambasciatore d'Inghilterra presso il Regno di Sardegna Sir James Hudson. Nello statuto della Società delle regate si legge: "Questa società ha per iscopo di stabilire annualmente sul Lago Maggiore delle regate […] ad intento di eccitare l'emulazione fra i villeggianti nella costruzione delle barche, di migliorare la navigazione sul lago e di formare barcaiuoli ancora più esperti dei presenti".
Anche a Genova, città destinata al ruolo di guida per la futura diffusione della vela in Italia, barche e regate giunsero grazie agli anglosassoni. Due barche da diporto, prima uno steam yacht dell'armatore Fred Brown, acquistato dal principe di Galles, poi un cutter, il Black Tulip, costruito dal cantiere Oneto per il console britannico a Genova Yeats Brown, suscitarono l'ammirazione e i desideri di alcuni genovesi. Un nuovo club nacque sul Lago di Como nel 1872 (Regate Club) proprietà del commodoro duca Ludovico Melzi d'Eril. Il 1872 segnò anche la nascita di altri due club: a Roma venne fondata la Società ginnastica dei canottieri del Tevere (oggi Canottieri Tevere Remo), che fin dall'inizio svolgeva anche attività velica. Tra i soci figuravano il principe Giuseppe Rospigliosi, proprietario del cutter (14 m) Fanny, e il principe Matteo Colonna di Sciarra, armatore della goletta (41 m) Sappho. A Napoli fu fondata la Società di regate, che ebbe vita breve ma intensa e che contribuì a creare una grande tradizione.
Nel 1879 a Genova ebbe vita un sodalizio promosso da Enrico Amilcare Peirano (proprietario della goletta Atalanta) insieme con il conte Roberto Biscaretti di Ruffia, Gigi Croce, il conte Ruggero Grottanelli Ugurgeri, Luigi Oneto, il conte Giuseppe Ponza di San Martino, Gerolamo Rossi e Augusto Vittorio Vecchi (famoso per i primi articoli sulla vela). Con la denominazione di Regio yacht club italiano, il circolo nacque, ebbe l'adesione del re e giunse a contare cento soci, come previsto dallo statuto.
Nel 1889 a Napoli fu la volta del circolo Canottieri Italia (oggi Circolo del remo e della vela Italia), seguito nel 1893 dal Canottieri Sebetia (oggi Yacht club canottieri Savoia). Nel 1900 i soci del Savoia assistettero al simbolico e storico sorpasso dei velisti sui canottieri. Nel 1903 a Trieste il capitano Enrico Ambrosini fondava lo Yacht club Adriatico. Furono i primi, significativi passi della vela in Italia. Uno dei pionieri della navigazione da diporto italiana fu Enrico Alberto d'Albertis, nato a Voltri nel 1846 e laureato al collegio della Marina militare di Genova (antesignano dell'Accademia navale di Livorno), storico, geografo, scienziato e soprattutto grande navigatore. Tra i fondatori del Regio yacht club italiano, d'Albertis con i suoi cutter entusiasmò due generazioni di appassionati: prima con il Violante impegnato in crociere dal Tirreno alla Grecia e alla Dalmazia; quindi con il Corsaro (25 m), con il quale attraversò l'Atlantico, ottenendo il plauso di Giuseppe Garibaldi, e al ritorno raggiunse il mitico Capo Nord. Le sue imprese aprirono la strada alla vela da diporto italiana.
Alla nascita dello yachting e alla sua rapida diffusione dall'Europa all'America e agli altri continenti, con la creazione di un numero sempre crescente di club e associazioni, tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi del Novecento fece seguito la fondazione del primo organismo internazionale di coordinamento. A Parigi nel 1907 nacque l'International Yacht Racing Union (IYRU), che nel 1996 cambiò nome nell'attuale International Sailing Federation (ISAF). Fin dalla nascita l'IYRU è stata un organismo formato dalle varie federazioni nazionali della vela, dapprima limitato ai paesi più importanti, quindi esteso sempre più ad altre nazioni. Tra gli scopi primari vi era quello di fornire ai velisti sportivi regole di regata certe e sistemi di calcolo delle stazze che consentissero a imbarcazioni diverse per peso e lunghezza di gareggiare l'una contro l'altra. Inizialmente lo sviluppo di tali regole era stato lasciato ai singoli yacht club che ne erano anche i garanti per l'applicazione, ma l'aumentato numero di regate tra barche di diversi club rese inadeguato questo sistema e richiese un coordinamento centrale. Già nel 1868 in Inghilterra si era assistito a un tentativo del genere a cura dello Yachting Congress, promosso dal Royal Victoria Yacht Club. Successivamente al fallimento di quella iniziativa, i due maggiori club inglesi (Royal Thames e Royal Squadron) formarono la Yacht Racing Association (prima del 1870), che definì un insieme di regole ufficiali per le regate in acque britanniche, ma ben presto anche questo criterio risultò insufficiente a gestire il numero sempre maggiore di regate. Nel 1906, con il coinvolgimento dello Yacht Club de France, si svolse a Londra una conferenza internazionale di stazzatori di yacht, dalla quale scaturirono sia la denominazione dell'IYRU sia la prima raccolta di regole di regata internazionali. All'atto della sua nascita, all'IYRU aderirono Austria-Ungheria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Paesi Bassi e Belgio, Spagna, Svezia e Svizzera. L'ingresso di rappresentanti della North American Yacht Racing Union, con la condivisione mondiale del sistema di regole di regata, avvenne solo nel 1929. Il regolamento di regata nella forma oggi conosciuta e applicata (pur con le modifiche quadriennali imposte dai responsabili della Federazione vela mondiale) prese corpo nel 1960. Tra il 1906 e il 1946 furono nominati presidenti solo in occasione delle riunioni annuali. Dal 1946 Sir Ralph Gore fu eletto primo presidente dell'IYRU, e da allora la Federazione ne ha avuti altri cinque: l'inglese Sir Peter Scott (1955-69), l'italiano Beppe Croce (1969-86), il finlandese Peter Tallberg (1986-94), il canadese Paul Henderson (1994-2004) e lo svedese Göran Petersson, eletto nel novembre 2004 e attualmente in carica. Tra i sette vicepresidenti figura anche l'italiana Nucci Novi Ceppellini.
Con la nascita del CIO, l'ISAF è entrata a far parte di tale organismo, quale ente di governo unico della vela mondiale. Oggi l'ISAF, che ha sempre sede in Inghilterra, è composta da 114 autorità nazionali, si occupa della diffusione della vela nel mondo e tra i giovani, della formazione di giudici e arbitri e in particolare della gestione della vela olimpica. Attualmente riconosce 79 classi di imbarcazioni, dalle piccole derive giovanili fino ai grandi maxi yacht one-design (monotipo). Inoltre l'ISAF ha individuato una serie di eventi internazionali di riferimento, che vanno dai campionati mondiali delle classi olimpiche ai Sailing Games, ai mondiali giovanili, ai mondiali a squadre, ai mondiali Match Race, oltre alla gestione di una serie di classifiche mondiali di specialità, le world ranking lists, e a una speciale lista di velisti in attività.
Ogni questione riguardante l'organizzazione, il coordinamento delle attività e delle iniziative, la promozione e la comunicazione, la ricerca, i regolamenti e la gestione dello sport della vela, dal settore giovanile e di base fino a quello di vertice come Olimpiadi e Coppa America, fa parte dei programmi e degli impegni dell'ISAF.
L'organizzazione della Federazione vela internazionale è gestita dall'assemblea dei paesi membri, che si riunisce ogni quattro anni a scopo elettivo e due volte l'anno per i meetings (Mid-Year Meeting e Annual Meeting). Gli organi dell'ISAF sono il presidente (eletto ogni quattro anni a cadenza olimpica), i vicepresidenti, l'Executive Committee (in pratica il governo della Federazione, composto dai vertici elettivi), il Council, allargato ai maggiori paesi membri e del quale fa parte anche il presidente della Federazione italiana vela.
L'attività specialistica è poi suddivisa in numerose commissioni istituite per gestire le singole materie di interesse. Questi i comitati ISAF del quadriennio 2005-2008: Audit Committee (compiti amministrativi e finanziari), Constitution (carte costituenti), Equipment (soprattutto vela olimpica e regolamenti di classe), Events (tutta l'attività agonistica), ISAF Classes (rapporti con le 79 associazioni riconosciute dall'ISAF), Match Race (circuito internazionale e classifiche professionistiche della specialità), Offshore (vela d'altura), Race Officials (giudici di regata, arbitri e comitati), Racing Rules (regolamenti di regata), Regional Games (speciali eventi in singoli paesi), Windsurfing (tavole a vela), Women's Sailing (vela femminile), Youth and Development (comunicazione, marketing e azioni per lo sviluppo e la promozione della vela specialmente giovanile), Review Board, Women's Forum e Working Parties.
Come a livello internazionale, anche in Italia la necessità di un coordinamento organizzativo dell'attività velica ai suoi inizi fu dettata dal bisogno di avere regole di regata e sistemi di stazza per barche diverse.
Le prime attività dei neonati club sui laghi del Nord, in Liguria, a Napoli e a Trieste presto si estesero lungo le coste tirreniche e sulle isole maggiori (è del 1902 la nascita del Sicania Nautical Club Roggero di Lauria a Palermo).
Le prime regole arrivarono inevitabilmente dall'Inghilterra e dalla Francia. La formula di stazza inglese della Racing Association (Thames measurement) fu la prima a essere adottata. Il periodo tra fine Ottocento e primi del Novecento segnò un grande sviluppo della vela caratterizzato dalla nascita di numerosi club e dal varo di nuove barche. Entrò in scena la formula di stazza francese, nacquero i primi monotipi, seguiti dalle classi a restrizione, e crebbe la necessità di un ente nazionale che coordinasse le attività dei circoli. Una prima risposta arrivò con la nascita a Genova, nel 1913, dell'Unione nazionale della marina da diporto (UNMD), che prese il posto del Regio yacht club italiano (RYCI). La UNMD tornò a chiamarsi RYCI dal 1919 fino a quando, il 13 aprile 1927, il CONI investì della responsabilità federale lo stesso RYCI, con la nuova denominazione di Reale federazione italiana vela (RFIV). Il primo presidente della RFIV è stato Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi, dal 1927 al 1933; dal 1933 al 1941 è stato presidente il barone Alberto Fassini, e dal 1941 al 1945 il capitano Antonio N. Cosulich. Nel novembre 1946 a Firenze nacque l'Unione delle società veliche italiane (USVI), presieduta fino al 1956 dal marchese Paolo Pallavicino, seguito nel 1957 da Beppe Croce. Il 5 dicembre 1964 l'USVI prese l'attuale denominazione di Federazione italiana vela (FIV), membro del CONI e dell'IYRU. Croce ne restò presidente fino al 1980, seguito da Carlo Rolandi (dal 1981 al 1988). Dal 1989 la FIV è presieduta da Sergio Gaibisso, con Carlo Rolandi presidente onorario.
Oggi la FIV è composta da oltre 600 società affiliate (circoli velici), con più di 81.000 tesserati che la rendono una delle prime dieci federazioni sportive in Italia. Ha sede a Genova ed è suddivisa in quindici 'zone', corrispondenti ad altrettante aree regionali di attività, ciascuna gestita e coordinata da un comitato di zona. Le assemblee di zona sono il primo anello alla base della piramide politica della FIV, perché provvedono a nominare le candidature per le elezioni agli organi federali che si svolgono ogni quattro anni.
Organo principale della Federazione italiana vela è l'assemblea delle società affiliate. Essa si riunisce ogni due anni, secondo i dettami dello statuto del CONI, e ogni quattro anni provvede a eleggere gli organi del proprio governo composto dal presidente, dal consiglio federale e da tre quinti del collegio dei revisori dei conti (per il resto di nomina CONI). Il consiglio federale è composto dal presidente, da un consigliere in rappresentanza di ogni zona, cinque consiglieri in rappresentanza degli atleti e tre consiglieri in rappresentanza dei tecnici, oltre che dal rappresentante della consulta dei presidenti di zona. Il consiglio federale elegge al proprio interno uno o più vicepresidenti. A livello organizzativo il consiglio federale stabilisce al proprio interno una sorta di direttorio per le delibere più urgenti, denominato consiglio di presidenza, composto dal presidente, dal vicepresidente e dai responsabili dei cinque settori. I settori sono gli ambiti dell'attività federale e cioè: amministrazione e attività periferica (composto a sua volta dai gruppi di lavoro tesseramento e affiliazioni; organizzazione periferica e centri federali zonali; fisco e demanio); promozione, immagine e comunicazione (immagine, comunicazione, relazioni esterne e sponsor; pubblicazioni e web federale; scuole di vela; diporto); attività agonistica e squadre federali (classi e preparazione olimpica; classi di interesse federale; alto mare; multiscafi; tavole a vela; altre classi; preagonismo; match e team racing; normativa); programmazione attività agonistica nazionale (normativa; rimborsi e calendario; ranking list e classificazione atleti); quadri tecnici (stazze e stazzatori; ufficiali di regata; istruttori; sviluppo tecnico e ricerca). Esistono inoltre altri importanti organi che si occupano della giustizia: il giudice disciplinare sportivo; la commissione disciplinare; la corte federale; l'ufficio di procura federale; la giuria d'appello. Oltre ai gruppi di lavoro dei settori, esistono anche le commissioni medica, anti-doping, affari giuridici e carte federali, rapporti con l'ISAF e la commissione consultiva attività velica militare.
Nelle sede FIV di Genova lavorano circa venti tra funzionari e dipendenti, coordinati da un segretario generale. Il consiglio federale provvede periodicamente a nominare e incaricare tecnici, allenatori e componenti dello staff tecnico, nonché consulenti esterni nei settori amministrativi o specialistici come marketing, ufficio stampa, legale.
Tra i servizi della FIV alle società affiliate e ai tesserati vi sono: il tesseramento elettronico via internet, azioni di sostegno e supporto all'attività, il sito internet con relativa newsletter, la rivista federale Sport vela, facilitazioni e convenzioni assicurative e finanziarie, agevolazioni e borse di studio per atleti istruttori e tecnici, formazione e albi per istruttori di vela e maestri di vela, azioni promozionali per l'acquisto di materiale tecnico, assistenza per l'organizzazione di regate, pubblicazioni tecniche.
Come avviene in campo internazionale per l'ISAF, anche la FIV ha un certo numero di classi riconosciute, generalmente le stesse classi ISAF, con l'aggiunta o la specificazione delle classi più diffuse sul territorio nazionale. La FIV inoltre partecipa a scopo promozionale ai maggiori saloni nautici e organizza eventi per la propaganda della vela.
Nel 2003 la FIV ha infine promosso e lanciato un nuovo tipo di barca scuola denominata 555FIV, una deriva di 5,5 m destinata a corsi di vela in equipaggio numeroso (un istruttore e 4-5 atleti giovani, oppure 3-4 adulti). La 555FIV è una barca in rapida diffusione destinata ai soli club velici affiliati alla FIV ed è considerata la classe di crescita delle future generazioni di velisti.
Le classi sono le categorie speciali di imbarcazioni più diffuse, riunite in gruppi associativi per meglio armonizzare e organizzare l'attività. Esse rappresentano un settore di vitale importanza nell'organizzazione e promozione della vela sportiva. Il loro ruolo è cresciuto e si è affiancato a quello degli enti istituzionali e dei club velici: nella vela moderna le classi collaborano strettamente con le istituzioni nel processo decisionale e organizzativo delle attività che le riguardano.
La FIV concede il riconoscimento alle classi che possono contribuire efficacemente alla diffusione della vela grazie alla ricchezza quantitativa e qualitativa della loro attività. Il riconoscimento FIV è distinto in classe (tipo di imbarcazione), la cui procedura implica l'approvazione di un apposito regolamento di classe comprendente le specifiche di stazza della stessa, e semplice associazione di classe, ossia il gruppo di armatori o proprietari di imbarcazioni omogenee costituito secondo le norme ISAF e FIV (in questo caso l'approvazione dello statuto dell'associazione da parte della FIV è il primo passo verso il riconoscimento). Una associazione di classe riconosciuta dalla FIV sarà l'unico ente preposto alla gestione delle attività di classe, alla sua valorizzazione tecnico-sportiva, alla promozione e all'organizzazione secondo le direttive federali.
Le classi e associazioni di classe in attività sono le 9 classi olimpiche: Star, Yngling, Tornado, 49er, 470, Finn, Laser, Laser Radial, Neil Pryde RS:X (windsurf). La FIV ha poi raggruppato in un insieme denominato 'classi di interesse federale' le classi giovanili o di larga diffusione le cui caratteristiche tecniche o di attività agonistica le rendono interessanti per i tecnici e gli osservatori federali, al fine di reperire giovani equipaggi da avviare alle classi olimpiche. Esse sono: Europa, 420, Laser Radial (dal 2008 classe olimpica femminile), Optimist, L'Équipe, Funboard e Windsurfer. Nella categoria 'altre classi' la FIV inserisce le classi riconosciute di maggiore diffusione e più attive con campionati nazionali e attività zonale: Dinghy 12, Flying Junior, Vaurien, 2,4 m s.i. (stazza internazionale, misura indicante la categoria di appartenenza e non la lunghezza), Sunfish, Laser 2, Snipe, Contender, Strale, Fireball; i catamarani Dart, Mattia Esse, Classe A, Formula 18, Hobie Cat 16 Tiger; le derive U, Lightning, Flying Dutchman; le classi a chiglia Tempest, Soling, Dragone, 5,5 m s.i., 6 m s.i., 12 m s.i.; le classi Modelvela (modelli radiocomandati). Infine sono raggruppate anche le classi dei monotipi d'altura: Ufo, Meteor, Mini 650, J.22, J.24, Blue Sail 24, Fun, Beneteau 25, Surprise, Mumm 30, Asso 99, Farr 40, Swan 45, First 36.7, First 40.7. Le barche d'altura che corrono in tempo compensato in base al rating con vari sistemi, il più diffuso dei quali è l'international measurement system (IMS), fanno riferimento a una vera e propria associazione di classe degli armatori d'altura, denominata Unione vela d'altura italiana (UVAI), che riunisce quasi 2000 armatori.
La sensazione prevalente offerta dalla navigazione a vela è quella della libertà: agire sul timone e sulle scotte che regolano le vele dipendendo dal vento e non da altri elementi propulsivi estranei alla natura (come un motore e il carburante) aiuta ad accrescere la propria autonomia e indipendenza, con forti componenti educative per i giovani.
Il mare stesso, quale elemento prevalente sul quale praticare lo sport della vela, è da sempre fonte di ispirazione per il viaggio, la scoperta, l'avventura. Una disciplina come la vela consente oggi di ritrovare appieno lo spirito primordiale del rapporto tra l'uomo e la natura. La conseguenza diretta è la grande attenzione culturale del velista verso la tutela e la conservazione dell'ambiente.
Dal punto di vista sportivo, come e più di altre discipline la vela sviluppa in chi la pratica valori positivi di lealtà nei confronti dell'avversario, rafforzata dalla tradizionale solidarietà tra uomini di mare, sempre pronti a venirsi in aiuto reciprocamente. Vengono inoltre sviluppati la responsabilità verso la barca, sé stessi e l'equipaggio; lo spirito di squadra; la conoscenza, da affinare attraverso l'approfondimento delle tecniche e della tecnologia dei materiali; l'agonismo e l'energia per raggiungere i propri obiettivi; l'esperienza e il rispetto delle tradizioni, dall'etichetta fino alla terminologia.
Svolgendosi sull'acqua secondo la forza e la direzione del vento e del moto ondoso, la vela è innanzitutto soggetta agli elementi naturali. Orari, tempi e modalità di una regata (sia essa una gara sociale o la Coppa America trasmessa in diretta televisiva) possono essere stravolti dalle condizioni meteorologiche.
Inoltre lo sport della vela può essere praticato a diversi livelli, a seconda dei mezzi nautici utilizzati (grandezza e caratteristiche delle imbarcazioni) o dell'ambiente (oceano, baia, lago, bacini interni artificiali) nel quale si svolge. Tali livelli sono commisurati all'età, alla preparazione tecnica e alle scelte degli atleti, che possono essere professionisti o dilettanti.
Dal punto di vista sportivo le attività veliche possono distinguersi, in una scala discendente, secondo il livello di qualità-difficoltà. Al massimo livello di agonismo e preparazione atletica e psicofisica c'è la vela olimpica. Si corre con 11 categorie, dal windsurf alla Star (da 3 a 7 m di lunghezza, a deriva e a chiglia fissa), su percorsi tra boe a 'trapezio' o a 'bastone' (bolina-poppa). Segue la Coppa America, il trofeo sportivo più antico e la gara più costosa e tecnologicamente avanzata, che si corre con barche progettate secondo una regola di stazza (lunghe circa 24 m con 20 persone di equipaggio), normalmente in gare di match race (uno contro uno), su percorsi tra boe a 'bastone'. Poi c'è la vela oceanica, che consiste in grandi traversate o giri del mondo e può svolgersi in solitario o in equipaggio, su monoscafi o multiscafi (catamarani e trimarani). A questa seguono le classi di derive, barche generalmente di piccole dimensioni e costi contenuti (da 2,5 fino a 6-7 m) riunite in gruppi dello stesso progetto, per regate tra eguali, per equipaggi singoli, in coppia o in tre, su percorsi a 'triangolo' o a 'bastone'. Tra queste le classi giovanili, i catamarani, le classi olimpiche, i windsurf. Dopo c'è la vela d'altura con barche cabinate, cioè dotate di strutture sul ponte e negli interni, utilizzabili anche in crociera. La lunghezza può variare da 6 m fino a quella dei maxi e degli open, che superano i 30 m. La vela d'altura coinvolge capitali, ricerca progettuale e costruttiva, equipaggi numerosi, circuiti di regate tra le boe, percorsi costieri, di piccola altura o regate lunghe con tratte oceaniche. Segue il Match Race, vela professionistica che si svolge in circuiti e con classifiche codificate, tra timonieri ed equipaggi solitamente provenienti dalla Coppa America, in regate uno contro uno. Infine c'è la vela da diporto (cioè la disciplina della vela non strettamente sportiva, limitata alle crociere o ai trasferimenti), spesso organizzata in rallies o circuiti collettivi con limitato agonismo ed elementi conviviali.
Attrezzature. - Esistono centinaia di tipi diversi di barche a vela, da singoli prototipi a monotipi replicati in migliaia di copie. Ciò che maggiormente distingue una barca dalle altre, e una classe dalle altre, è l'attrezzatura, la parte più voluminosa e visibile di un'imbarcazione in navigazione. È possibile analizzare le diverse attrezzature in base all'alberatura e al piano velico.
Per l'alberatura, la vela moderna ne propone due tipi: a un albero e a due alberi, con rare eccezioni a tre alberi per scafi di grandi dimensioni. Secondo il piano velico, le barche possono essere armate con attrezzatura Marconi (con la randa in testa d'albero) o aurica (con picco) e dare vita ai seguenti tipi: catboat, cioè con la sola randa (la vela principale inferita sull'albero); sloop, con un solo albero, una randa e una vela di prua (il fiocco); cutter, con un albero, la randa e due vele a prua (il fiocco e la trinchetta); yawl, con due alberi, uno a prua più grande (detto di maestra), l'altro a poppa molto più piccolo (detto di mezzana) e posto a poppavia dell'asse del timone; ketch, con due alberi, quello di mezzana appena più piccolo di quello di maestra e posto a proravia dell'asse del timone; goletta (o schooner), con due alberi di altezza uguale, quello di poppa chiamato di maestra e a volte più alto (è un'attrezzatura di origine più antica ma con applicazioni ancora attuali).
Gli alberi sono tenuti a riva da appositi cavi, chiamati rispettivamente strallo (verso prua), strallo di poppa o paterazzo (verso poppa) e sartie laterali, spesso rinforzate con una o più 'crocette' o con 'pennaccino' (ferramenti metallici di irrigidimento dell'attrezzatura). Sull'albero, alla base della randa, c'è un altro elemento dell'attrezzatura, il boma (di legno, metallo o, più recentemente, di carbonio, materiale sempre più usato anche per altre parti dell'attrezzatura).
Tra le vele di prua vanno inseriti anche lo spinnaker, grande vela a pallone di taglio simmetrico da usare con vento in poppa o al gran lasco, e il gennaker, di taglio asimmetrico e forma appena più magra, da usarsi nelle andature larghe ma non in poppa piena.
Le cime per regolare le vele sono dette scotte, mentre quelle per issare e ammainare sono dette drizze.
Le barche possono inoltre essere suddivise in grandi categorie a seconda che siano derive, cioè montino una pinna di deriva mobile rialzabile con meccanismo basculante o a baionetta, oppure a chiglia fissa, con una zavorra contenuta nella chiglia stessa o in un bulbo fissato all'estremità della pinna, che può avere a sua volta alette di varie forme. Esistono barche con chiglia doppia, utile soprattutto per lasciare la barca in posizione eretta in situazioni di bassa marea. Recentemente scafi d'altura e oceanici montano chiglie basculanti in senso trasversale per ottimizzare la funzione di richiamo allo sbandamento esercitata dalla zavorra.
I monoscafi sono barche a scafo singolo, i multiscafi si dividono in catamarani (a due scafi) e trimarani (a tre).
Il timone è una pala posta a poppavia (appesa alla poppa o inserita nel disegno della chiglia) e il suo comando può essere a barra o a ruota (quest'ultimo solitamente usato su barche di grandi dimensioni con sistemi di demoltiplica degli sforzi).
Le principali misure di una barca a vela sono la lunghezza 'fuori tutto' (dall'estremità della prua a quella della poppa), spesso messa in relazione con la lunghezza 'al galleggiamento' (misurata alla superficie dell'acqua con barca dritta, e che di solito aumenta con la barca sbandata); la larghezza o baglio massimo, che indica il punto di maggiore larghezza dello scafo; l'immersione o pescaggio, cioè la profondità sotto la linea di galleggiamento, che è variabile per una deriva e fissa per una barca a chiglia; il dislocamento, rappresentato dal peso dell'acqua spostata dal corpo galleggiante, espresso in tonnellate ed equivalente al peso del corpo stesso.
I materiali di costruzione delle barche a vela sono il legno, la plastica (vetroresina), l'alluminio, l'acciaio (usato solo per barche da crociera o da lavoro), i materiali compositi e le fibre (carbonio).
Il materiale utilizzato per la fabbricazione delle vele è variato nel corso dei secoli; anticamente le vele erano fatte di paglia o foglie intrecciate, poi di lino o di seta, quindi di canapa e di cotone. Nel 1937 fu introdotta la prima vela di tessuto sintetico, il rayon, cui seguirono il nailon e, nel 1955, il dacron. Oggi sono affermati sistemi di costruzione delle vele con materiali quali il mylar e le fibre di carbonio. L'obiettivo è quello di raggiungere la massima leggerezza unita alla rigidità per il mantenimento della forma.
Navigare a vela è facile ed è alla portata di tutti a ogni età: dall'insegnamento della teoria alle prime uscite in barca possono passare pochi minuti; in seguito l'esperienza regalerà conoscenze, sicurezza e soddisfazioni sempre maggiori.
Una barca può navigare spinta dal vento se questo proviene da una direzione che forma con la prua (cioè con l'asse longitudinale della barca) un angolo di almeno 45° circa, quindi per una provenienza del vento che può variare intorno alla barca nell'arco di 270° circa. Le forze fisiche e le leggi aerodinamiche e idrodinamiche in gioco per l'avanzamento e per il miglioramento delle prestazioni di una barca a vela sono notevoli.
Gli elementi cui si applicano le forze alla base della vela sono: lo scafo (la parte anteriore si chiama prua e la parte posteriore poppa, la parte immersa carena o opera viva e la parte emersa bordo libero o opera morta), le vele (quella principale, inferita tra l'albero e il boma, si chiama randa, quella più a prua si chiama fiocco), le appendici (il timone che serve a dare direzione alla barca, la deriva che serve a impedirne lo scarroccio laterale, l'eventuale zavorra contenuta nel bulbo o nella chiglia che serve a bilanciare lo sbandamento).
Quando il vento colpisce la superficie di una vela, questa si gonfia generando la portanza e una forza di propulsione che spinge la barca in avanti. Contemporaneamente si sviluppa una seconda forza, di scarroccio, che spinge la barca lateralmente. Per contrastare questa seconda forza le barche a vela hanno il piano di deriva o la chiglia sotto lo scafo. Le due forze descritte possono essere immaginate come altrettanti vettori la cui risultante sarà un terzo vettore che rappresenta la componente utile. Si noterà che la forza di scarroccio tende a diminuire al crescere dell'angolo con il quale il vento colpisce la vela. Inoltre la pressione esercitata dal vento sulla vela è tanto maggiore quanto più la superficie della vela è concava.
L'azione del vento sulla superficie concava della vela e il conseguente avanzamento della barca hanno però un'altra importante spiegazione aerodinamica che si applica soprattutto quando l'angolo di esposizione della vela al vento è piccolo (in pratica quando una barca naviga in andatura di bolina). In questo caso si verifica il fenomeno detto in fisica effetto Venturi: quando un flusso d'aria incontra una strozzatura deve assumere una velocità molto maggiore che determina in quel punto un abbassamento della pressione rispetto a quella atmosferica. Nella vela colpita dal vento il flusso d'aria nella parte sottovento subisce una forte accelerazione con conseguente depressione, la quale ha un valore superiore di oltre il triplo rispetto alla pressione esercitata dal vento nella parte sopravento della vela. Ne risulta che la vela, più che spinta, viene come risucchiata dalle forze fisiche generate dal vento.
Il centro velico (o centro di velatura) è il punto di applicazione della forza del vento su una vela, calcolato con metodo geometrico preciso dai progettisti. Per una barca con più vele il centro velico è la risultante di tutte le forze esercitate dal vento sulle diverse vele. Il centro di deriva (o di resistenza laterale) è il punto di applicazione delle forze dell'acqua sulla carena. Un corretto rapporto tra centro velico e centro di deriva è alla base della centratura della barca, cioè del suo equilibrio di rotta. Sia il centro velico sia il centro di deriva si possono far variare, rispettivamente, agendo sulle scotte (vele) e alzando o ruotando la deriva. Fa parte della ricerca da parte del velista delle prestazioni in ogni andatura il costante aggiornamento di queste forze in campo.
Un'ultima importante considerazione resta da fare sul fenomeno del vento apparente determinato dall'avanzamento di una barca. La velocità della barca produce il vento di avanzamento, in senso opposto e di uguale entità (se la barca avanza a 4 nodi di velocità, il vento di avanzamento sarà di 4 nodi). Tale vento interagisce con il vento reale, ossia la forza naturale che fa muovere la barca. La risultante tra il vento reale e il vento di avanzamento costituisce il vento apparente che è sempre spostato più a prua rispetto al vento reale ed è più veloce nelle andature di bolina. La differenza tra vento reale e vento apparente è massima nelle andature di lasco. Il vento apparente è sempre maggiore del vento reale, a eccezione che nell'andatura di poppa. La regolazione delle vele va fatta tenendo conto principalmente del vento apparente.
In funzione del vento e della propria rotta, la barca adotta una determinata andatura; ciascuna andatura comporta alcune tecniche, un'attenta messa a punto dell'attrezzatura e particolari regolazioni delle vele. Per comprendere le tecniche della vela occorre definire alcuni termini.
Sopravento. È il lato di una qualsiasi parte della barca che riceve il vento per primo. Per esempio, se il vento proviene da sinistra, il lato di sinistra di una barca è il lato sopravento; oppure, una barca è sopravento rispetto a un'altra se riceve il vento prima di lei.
Sottovento. È il lato di una qualsiasi parte della barca che non è esposto direttamente al vento. Per esempio, se il vento proviene da sinistra, il lato di dritta di una barca è il lato sottovento; oppure, una barca è sottovento rispetto a un'altra se riceve il vento dopo di lei.
Orzare. Agire sul timone per avvicinare la prua della barca alla direzione del vento.
Poggiare. Agire sul timone per allontanare la prua dalla direzione del vento.
Mure a dritta (o a sinistra). Si dice quando la barca naviga ricevendo il vento sulla propria destra (o sinistra) o, in caso di vento in poppa piena, quando il boma è sulla sinistra (o destra) dell'asse della barca.
Andature. - Se si immagina un cerchio al centro del quale è situata la barca con la prua rivolta in una direzione e con il vento che soffia da quella direzione, la barca risulta controvento con le vele che fileggiano, cioè sbattono come una bandiera: la barca non avanza. Se si sposta la prua della barca verso destra di 45° circa alla volta, si determinano le condizioni che consentono le principali andature nella vela.
Bolina. Si è di bolina quando la barca naviga 'risalendo' il vento, con un angolo di circa 45° tra il proprio asse longitudinale e la direzione del vento (le moderne barche oggi 'stringono' il vento anche al di sotto dei 40°). In caso di angoli maggiori, di 60-70°, l'andatura si dice di bolina larga. Le vele sono cazzate (strette) al massimo, la barca è solitamente sbandata e va controbilanciata adeguatamente, la deriva è totalmente abbassata. Per fare una rotta verso un punto situato controvento si dovrà bordeggiare, cioè compiere più bordi in andatura di bolina (a zig-zag).
Traverso. Spostandosi di altri 45° si arriva a un angolo di 90° tra l'asse della barca e la direzione del vento: il vento è quindi 'al traverso' dello scafo. In questa andatura le vele vengono leggermente lascate, cioè rilasciate (evitando che sbattano controvento), la deriva può essere appena sollevata e la barca esprime velocità solitamente maggiori che nella bolina.
Lasco. Allargandosi ancora di più con la prua rispetto alla direzione del vento, con un angolo di circa 135°, si ottiene un'andatura di lasco (o di gran lasco se l'angolo cresce di più). Le vele sono ulteriormente lascate, ma non del tutto, ed è possibile issare quelle da andature larghe, cioè spinnaker e gennaker. La deriva viene alzata ancora un po'. In questa andatura la barca può sviluppare le velocità più elevate.
Poppa. Quando l'angolo tra l'asse della barca e la direzione del vento è di 180°, si naviga in poppa o in 'fil di ruota', cioè ricevendo il vento proprio dalla poppa. Le vele sono totalmente lascate, spesso fino ad appoggiare sulle sartie, e si devono centrare al massimo anche lo spinnaker o il gennaker. Il fiocco può sgonfiarsi per effetto della copertura della randa, e in questo caso si può murare dalla parte opposta: questa andatura si dice 'a farfalla'. La deriva può essere alzata anche del tutto. In questa andatura la barca non esprime il massimo della sua velocità: spesso per raggiungere un punto situato sottovento alla rotta si tende a bordeggiare (come in bolina ma con angoli meno stretti), procedendo a zig-zag per sfruttare le accelerazioni della barca al lasco.
Messa a punto dell'attrezzatura. - Stabilito che ogni barca ha una sua centratura ideale, basata sulle variazioni del centro velico e del centro di deriva, e che tali caratteristiche variano secondo le condizioni meteorologiche, al velista accorto è richiesta una particolare attenzione nella messa a punto della propria barca, in particolare dell'attrezzatura (nell'uso corrente indicata con il termine inglese rig) comprendente alberi e vele. Lo scopo della messa a punto del rig, oltre che buona norma di manutenzione e conservazione della barca, è quello di ottimizzare le prestazioni dello scafo in base alle condizioni previste o incontrate. Per questo motivo la messa a punto di alberi e vele può essere fatta a terra, prima di uscire in mare o lasciare il porto, ma spesso anche in navigazione, modificando alcuni dei parametri per adattare la centratura alle mutate condizioni meteo marine.
L'albero è un elemento del rig la cui importanza è cresciuta enormemente negli ultimi anni, grazie agli studi sull'aerodinamica (profilo alare) e alla scoperta di nuovi materiali. Dai vecchi alberi in legno, molto rigidi e poco adattabili alla forma delle vele, si è passati nel tempo alle leghe metalliche, con la possibilità di rastremare (cioè di rendere più sottile) la parte alta dell'albero, per arrivare ai nostri giorni all'uso di materiali come le fibre di carbonio. La ricerca tende a progettare un albero il più leggero possibile (il peso influisce sul dislocamento generale della barca e quindi sulla sua velocità, e inoltre a barca sbandata il peso dell'albero aumenta la forza sbandante), ma anche più flessibile (sia longitudinalmente sia lateralmente, per adattarsi alla forma delle vele e alle successive regolazioni) ed elastico senza per questo perdere in robustezza. A tale progetto lavorano incessantemente in tutto il mondo scienziati e ingegneri, che per il momento hanno prodotto come migliore risultato gli alberi in carbonio usati in Coppa America, per il giro del mondo e sulle migliori barche d'altura o classi olimpiche. Parallelamente sono state progettate e prodotte nuove vele.
La messa a punto dell'albero si ottiene agendo sui cavi che lo sostengono e lo regolano: le sartie (fisse e volanti) ai lati e verso poppa, lo strallo verso prua e il paterazzo verso poppa. È possibile inoltre agire sull'albero anche attraverso la regolazione delle vele mediante le drizze, le scotte e il vang (che permette di regolare l'angolo tra albero e boma e ha una funzione fondamentale per il controllo dello svergolamento della randa). Una centratura elementare richiede che l'albero sia dritto e in asse con la barca, che lo strallo di prua abbia la giusta tensione per bolinare bene (ciò avviene attraverso il paterazzo, o strallo di poppa) e infine che il rig abbia la giusta rigidità generale, ottenuta controllando (con appositi tensiometri) la tensione delle sartie anche in considerazione della posizione e delle eventuali modifiche delle crocette. Le regolazioni possono raggiungere un alto grado di finezza ed essere rapportate anche al peso dell'equipaggio.
La regola generale per la messa a punto è che la rigidità dell'attrezzatura deve essere tanto maggiore quanto più forte è il vento previsto in navigazione o in regata. Inoltre, in caso di vento molto forte, si deve cercare di limitare la forza di sbandamento, e ciò è possibile smagrendo il profilo delle vele e aumentando lo 'scarico' del vento in uscita anche attraverso la maggiore flessione dell'albero (oltre che agendo sulle scotte). Quando il vento è leggero o diminuisce si deve invece progressivamente allentare la rigidità dell'attrezzatura e rendere più grasso il profilo delle vele.
Sulle barche più grandi le regolazioni dell'attrezzatura possono essere numerose e prevedere sartie volanti, alte, basse e intermedie, stralletti, stralli cavi (nei quali inferire le vele di prua senza garrocci); tutte in funzione dell'aggiustamento 'di fino' di singole parti dell'alberatura, e con effetto diretto sulle vele.
Regolazione delle vele. - La regolazione delle vele su una barca a vela ha la stessa funzione dell'acceleratore su un'automobile. Vele mal regolate rispetto al vento e all'andatura rallentano la barca fino a fermarla; al contrario vele ben regolate e costantemente tenute sotto controllo fanno avanzare la barca anche in condizioni avverse, con vento leggerissimo o molto forte e con moto ondoso contrario.
La base per una buona regolazione delle vele, come si è visto, è costituita dalla messa a punto dell'attrezzatura. Inoltre, la barca deve possedere un corredo di vele adatto sia per il proprio piano velico sia per il tipo di albero utilizzato.
Anche per le vele esiste un criterio generale da seguire: esse vanno progressivamente cazzate (cioè tirate) quando la barca orza (cioè avvicina la prua alla direzione del vento fino al massimo dell'andatura di bolina) e lascate, al contrario, quando si allontana la prua dal vento, poggiando. Inoltre, il profilo generale delle vele va tenuto più magro con vento forte e più grasso al suo alleggerirsi.
Le parti principali di una vela sono: l'inferitura, verso prua (per il fiocco è quella inserita nello strallo, per la randa quella inserita nell'albero); la balumina, verso poppa (praticamente quella dalla quale avviene l'uscita del vento); la base, o parte bassa (nel fiocco è quella alla cui estremità è legata la scotta, nella randa è quella inserita nel boma, a sua volta manovrato dalla scotta).
Gli strumenti per regolare al meglio le vele in funzione di vento, andatura, peso dell'equipaggio e onde sono: le drizze, che servono non solo per issare o ammainare le vele, ma anche per regolarne la tensione dell'inferitura (o gratile); le scotte, che servono per cazzare o lascare; le rotaie di scotta, usate per modificare il punto di scotta delle vele di prua, ossia fiocco e genoa (si usa questo termine per indicare un fiocco di grandi dimensioni, la cui superficie verso poppa si sovrappone parzialmente alla randa, usato con venti medio-leggeri); il carrello della randa, una sorta di rotaia trasversale che serve per modificare di fino l'azione della scotta sulla vela principale (a volte è assente o sostituito da un archetto della randa, con funzioni simili anche se tecnica diversa); il vang, che serve per regolare la randa e la flessione dell'albero; il cunningham, manovra costituita da una cima su un anello nell'inferitura della randa, che serve per smagrire la forma della vela portando verso l'estrema prua tutto il grasso; il tesabase, manovra che serve per agire sulla tensione della base della randa. Inoltre, per quanto detto in precedenza, quasi tutte le regolazioni del rig hanno la capacità di intervenire anche sulla forma delle vele.
Nelle andature di bolina le vele sono cazzate al massimo. A seconda del vento si apportano ulteriori regolazioni, e cioè: con il crescere della forza del vento l'inferitura o gratile (a prua) del fiocco va progressivamente tesata, agendo sulla drizza o sul paterazzo o sul vang; con vento più forte la regolazione deve prevedere una progressiva tesatura della base e apertura della balumina (l'uscita poppiera della vela), attuabile spostando il punto di scotta verso poppa, mediante la rotaia. Al contrario, con vento più leggero, la base si può portare più lascata e la balumina va progressivamente chiusa, spostando il punto di scotta più a prua. Nel cazzare il fiocco si deve tenere conto della posizione della randa, sulla quale la vela di prua influisce: un fiocco troppo teso e una randa lascata lavorano male ('rifiuti' del vento sull'inferitura o gratile della randa); un fiocco troppo lasco e una randa troppo cazzata determinano una diminuzione della spinta per la turbolenza dei flussi di vento nel canale tra le due vele. La buona regola è una posizione parallela della randa (verso prua) e del fiocco (verso poppa). Ogni modifica che allontani la regolazione ottimale ha un'influenza negativa sulle prestazioni, modificando la centratura della barca e costringendo ad agire sul timone, con ulteriore diminuzione della velocità. Un sistema molto usato per controllare la regolazione della vela sono i filetti (in inglese, telltales), piccoli fili di lana o trama leggera infilati sulle vele (fiocco o randa) in prossimità del gratile (due terzi verso la prua), nelle due facce della vela. Se la vela è regolata bene essi sono perfettamente paralleli (il flusso del vento sulle superfici delle vele scorre correttamente); se invece uno dei due tende a sventare vuol dire che la barca è troppo all'orza o che le vele vanno regolate meglio. Di bolina, anche la randa va cazzata a ferro. Con vento forte, per scaricare e aprire la balumina della randa è possibile agire sul carrello (portato sottovento), sul vang e sul paterazzo, che vanno più cazzati per flettere l'albero verso poppa, e inoltre si agisce come descritto cazzando il cunningham. In caso di vento leggero si fa il contrario: il carrello è portato sopravento, il paterazzo e il vang leggermente lascati, come il cunningham. Anche la base della randa è più cazzata con vento forte e più lasca con vento leggero.
Tra gli strumenti per regolare le vele vanno annoverate le stecche, di materiale e lunghezza diversi, che solitamente si inseriscono e si regolano solo a terra, prima di uscire in mare, e non sono regolabili in navigazione.
Conduzione alle varie andature. - Oltre alle regolazioni di attrezzatura e vele, da farsi preventivamente o durante la navigazione, ogni andatura della barca impone alcune regole di conduzione da parte dell'equipaggio. Anche queste sono in buona misura conseguenza delle condizioni meteorologiche, cioè della forza del vento e dello stato del mare. Le seguenti sono regole da considerarsi generali per la maggior parte delle imbarcazioni, anche se va tenuto presente che i parametri possono mutare per alcune classi o categorie con scafi particolari (multiscafi o windsurf).
Nell'andatura di bolina, con vento leggero, è importante l'assetto longitudinale dello scafo, che il peso dell'equipaggio deve tendere a spostare verso prua, per diminuire la superficie bagnata e di conseguenza lo spostamento d'acqua. In senso trasversale la barca è sbandata sottovento (solo con vento molto leggero), per favorire la messa in forma delle vele, oppure perfettamente piatta. La deriva è abbassata. Il mare piatto non richiede particolari attenzioni nell'approccio alle onde.
Con il crescere del vento, la posizione dell'equipaggio si sposta gradatamente verso poppa e la barca è più piatta possibile. Occorre fare particolare attenzione alle onde crescenti con il vento: le onde corte e ripide sono le più difficili e richiedono potenza nelle vele, una bolina non troppo stretta e continui cambi di posizione dell'equipaggio su barche piccole e leggere, mentre sono quasi ininfluenti su barche più grandi. Con onde più alte la tecnica è in linea di massima di orzare mentre si sale sulla cima dell'onda (il vento apparente tende infatti a spostarsi verso poppa al diminuire della velocità) e, successivamente, poggiare nella discesa verso il cavo dell'onda. Le onde hanno solitamente una cadenza, trovata la quale sarà più facile stabilire un ritmo nelle azioni sul timone per affrontarle al meglio.
Nelle andature portanti (di lasco e di poppa) lo scopo dell'equipaggio, specie nelle piccole derive e negli scafi a dislocamento più leggero, è quello di raggiungere e conservare il più a lungo possibile la planata. Questa indica il passaggio dall'equilibrio idrostatico a quello idrodinamico e si verifica quando la barca si solleva in parte dall'acqua, riducendo la superficie bagnata, e naviga ad alta velocità. Per favorire la planata l'equipaggio si sposta verso poppa, la deriva è un po' alzata e per prendere velocità a volte è utile assestare colpi di scotta alla randa e allo spinnaker (pompare le vele), tecnica peraltro prevista e limitata dal regolamento di regata. Fondamentale nelle andature di lasco e per la planata è la tecnica nell'affrontare le onde in caso di vento più fresco, con i conseguenti interventi sulle vele. All'aumentare della velocità, quando la barca entra in planata, si devono cazzare le vele (per lo spostamento verso prua del vento apparente). Quando l'onda raggiunge la barca, e sta per iniziare una planata, si deve poggiare gradualmente per mantenere il più a lungo la barca sotto l'influsso dell'onda. Una volta passata, si deve orzare per mettersi nella posizione giusta in vista dell'onda successiva. Le vele nelle andature portanti sono generalmente tenute più grasse, agendo sul cunningham, sulla base e sulle drizze. Appena terminata l'andatura larga e in vista del ritorno all'andatura di bolina, invece, si deve tornare a cazzare queste manovre per smagrire progressivamente le vele.
Al lasco e in poppa è fondamentale l'uso dello spinnaker o del gennaker. La massima portanza di uno spinnaker si ottiene quando il vento colpisce la vela il più perpendicolarmente possibile. Lo spinnaker è un pallone simmetrico, regolato sulle diverse mure grazie all'uso del tangone che ne indica il lato sopravento. La cima di controllo dello spinnaker dal lato opposto al tangone (sottovento) si chiama normalmente scotta, quella del lato di sopravento si chiama braccio. Per evitare allo spinnaker di sgonfiarsi è importante rendere la sua posizione libera dai rifiuti della randa, condizione che si realizza agendo sull'insieme tangone-braccio e sulla scotta.
In andatura di poppa piena (fil di ruota) la velocità non è quella massima disponibile della barca: perciò si tende a stringere un po' il vento, orzando fino a un'andatura di gran lasco. La scelta del bordo (mure a dritta o mure a sinistra) viene fatta in base al mutare, rispetto alla propria rotta, della direzione del vento o del moto ondoso, che a volte può essere diverso a causa di un vento dominante che ha soffiato precedentemente.
Da segnalare la particolare tecnica di conduzione nell'andatura di poppa per le derive in singolo armate con la sola randa (catboat). Queste barche vanno portate sbandate sopravento e con una rotta leggermente strapoggiata (ovvero oltre i 180° di vento in fil di ruota) per favorire l'andamento corretto del flusso laminare del vento sull'unica vela, controllabile con la posizione dei filetti. Lo sbandamento sopravento bilancia inoltre la tendenza orziera dovuta alla presenza della sola randa (condizione che non esiste invece nelle barche dotate di fiocco e spinnaker). Questa tecnica viene attuata in quasi tutte le condizioni, a eccezione del caso di vento molto forte.
Manovre. - Le manovre principali di una barca a vela, di seguito descritte, sono quelle che si adottano per passare da un'andatura all'altra o da un bordo all'altro, per girare una boa o un promontorio, oppure per tenere la propria rotta al mutare del vento.
La virata (o virata di bordo in prua). La barca vira quando cambia bordo rispetto al vento, passando con la prua nella direzione dalla quale questo proviene. La virata è la manovra più usata quando si è di bolina e si devono effettuare numerosi bordi per raggiungere una boa sopravento. La tecnica di base della virata prevede che il timoniere agisca sul timone, orzando progressivamente (cioè portando la prua verso la direzione del vento), finché la prua passa nel letto del vento e, subito dopo, poggiando fino a raggiungere l'andatura desiderata: nel caso di un nuovo bordo di bolina, 45° circa sulle mure opposte. Le vele, sotto l'effetto del vento, cambiano bordo da sole. L'equipaggio deve solamente rilasciare la scotta del fiocco fissata sulle mure dell'andatura precedente e recuperarla progressivamente sulle mure opposte. Solitamente la scotta della randa è fissata e non ha bisogno di regolazioni. Se la barca è dotata del carrello della randa, e la regolazione non è centrata, si dovrà agire sul carrello per riportarlo alla stessa regolazione sulle nuove mure. Nella virata l'equipaggio, sia esso singolo, doppio o più numeroso, si sposta gradatamente al centro della barca, si abbassa per favorire il passaggio del boma e recupera la posizione sopravento dalla parte opposta. Anche lo spostamento dell'equipaggio può seguire una tecnica, vista la sua importanza soprattutto in regata. In caso di vento forte la posizione di richiamo sopravento dovrà essere assunta il più rapidamente possibile per evitare che la barca perda l'assetto sulle nuove mure. In caso di vento leggero, invece, si usa la tecnica della virata con rollio: l'equipaggio attende che la barca abbia completato il passaggio di mura, restando seduto sottovento, per passare poi sopravento con un gesto veloce e coordinato. Lo scafo, inizialmente sbandato, riceve un colpo di frusta che gli fa guadagnare velocità, uscendo meglio dalla virata per riprendere l'assetto sul nuovo bordo.
Poiché nella virata la barca è per alcuni istanti controvento, il problema principale di questa manovra è quello di limitare al minimo il rallentamento della barca e quindi il rischio che la barca stessa si fermi, cioè rifiuti la virata. In questo caso la manovra va ripetuta e ciò può essere pericoloso se ci si trova in prossimità di un ostacolo, perché la barca deve prima riprendere velocità. Il timoniere impara ad agire sul timone con l'energia necessaria a evitare tale rischio, ma senza esagerare perché ogni azione del timone non necessaria provoca un rallentamento della barca.
L'abbattuta (o virata di bordo in poppa). La barca abbatte quando cambia di bordo facendo passare la poppa, anziché la prua come nella virata, nel letto del vento. L'abbattuta viene usata per cambiare bordo di lasco o di poppa, oppure per mantenere la propria rotta o il proprio assetto in caso di leggero salto di vento. A differenza della virata, l'abbattuta non contempla il rischio che la barca si fermi, ma non per questo è una manovra più semplice. Il timoniere agisce sul timone poggiando, cioè allontanando progressivamente la prua dalla direzione del vento, fino ad avere il vento in fil di ruota; a quel punto, continuando l'azione del timone, la poppa passa nel letto del vento, il boma passa sulle nuove mure e le vele si riempiono sul bordo opposto. L'abbattuta può anche verificarsi accidentalmente, per un piccolo salto del vento o per effetto di un'onda nell'andatura di poppa: in questo caso si parla di strambata, termine ormai comunemente usato dai velisti anche per indicare una normale abbattuta.
Il problema principale dell'abbattuta o strambata è la gestione del passaggio di bordo del boma e delle vele. Il primo, in particolare, è un oggetto metallico o comunque rigido, soggetto alla forza di una vela generosa come la randa e non va lasciato strambare con forza passando da un bordo all'altro e spazzando il ponte della barca, per evitare sia incidenti all'equipaggio sia avarie a vele o attrezzature (probabili se il boma lasciato libero di strambare sbattesse sulle sartie opposte a fine corsa). Per agevolare un passaggio graduale e morbido del boma la tecnica dell'abbattuta è quella di cazzare progressivamente la scotta della randa fino ad avere il boma a centro barca nel momento del passaggio della poppa nel letto del vento, per poi lascare gradatamente sulle nuove mure.
Per il fiocco la manovra prevede lo spostamento del punto di scotta sul nuovo bordo, in modo non diverso dalla virata. Maggiore attenzione si deve prestare invece all'abbattuta con lo spinnaker, poiché questo comporta il cambio di mura del tangone. Mentre il timoniere poggia, il prodiere deve spostare il tangone dal vecchio al nuovo punto di mura dello spinnaker, aiutato dalla regolazione del braccio e della scotta, nonché dal caricabasso e dal mantiglio del tangone stesso. In una barca in equipaggio almeno tre persone sono coinvolte in questa manovra, mentre in una deriva il prodiere può avere solo un minimo aiuto dal timoniere. L'obiettivo è fare in fretta e possibilmente evitare che lo spinnaker si sgonfi per essere pronti sul nuovo bordo. Le tecniche dell'abbattuta sono comunque numerose e variano in base al tipo di attrezzatura, alle condizioni di vento e di mare, all'abilità dell'equipaggio.
L'abbattuta con il gennaker è solitamente molto più semplice, per l'assenza del tangone. Il punto di mura del gennaker resta lo stesso, come in un fiocco, e per l'equipaggio è sufficiente mollare del tutto la vecchia scotta e recuperare velocemente la scotta sulle nuove mure.
Controllo dello sbandamento e ribaltamento. - Per effetto del vento sulle vele, soprattutto nelle andature di bolina, traverso e lasco (parzialmente), la barca sbanda, cioè si piega sottovento. Lo sbandamento deve essere controllato per evitare la 'scuffia', cioè il ribaltamento completo della barca che finisce coricata con l'albero e le vele appoggiate sull'acqua. La scuffia vera e propria accade quasi esclusivamente alle barche con deriva mobile, mentre negli scafi a chiglia, anche in condizioni estreme, il peso della zavorra fa, più o meno lentamente, rialzare l'alberatura e lo scafo. In ogni caso la barca va tenuta sempre più piatta possibile, poiché lo sbandamento è quasi sempre un danno ai fini della velocità (a eccezione, come si è detto, di particolari condizioni di vento leggero). Per controbilanciare lo sbandamento di uno scafo possono essere adottate diverse tecniche e soluzioni.
Si può regolare l'attrezzatura della barca intervenendo sulle sartie e sulla rigidità dell'albero, adottare vele di taglio più magro e tessuto più pesante per evitare deformazioni, o stecche che conferiscano alle vele maggiore rigidità. Si può agire sul timone e sulle vele: se si naviga di bolina e una raffica fa sbandare la barca, si può orzare e avvicinare la prua al vento fino a far sventare le vele; oppure, senza agire sul timone, si possono lascare le vele stesse, a cominciare dalla randa. Su barche più grandi e a chiglia fissa si può usare il peso dell'equipaggio, spostandolo il più possibile sopravento. Alcune barche moderne sono dotate di ballast, serbatoi laterali che si riempiono di acqua per creare un peso sopravento con funzione di richiamo. Una funzione analoga, e ancora più efficace, viene svolta dalle moderne chiglie basculanti, che si spostano idraulicamente per portare sopravento il peso della zavorra contenuto nel bulbo. Sulle piccole derive è sempre determinante il peso dell'equipaggio, che è portato al massimo sopravento e all'esterno dello scafo per mezzo di cinghie puntapiedi o di trapezio (il prodiere, e in alcuni casi il timoniere, puntano i piedi sul bordo dello scafo ed escono totalmente fuori da esso, legati all'albero per mezzo di una imbragatura all'altezza del busto).
In caso di scuffia su una deriva, la barca resta sdraiata sull'acqua e va pertanto risollevata, operazione facilmente eseguibile da parte dell'equipaggio: prima il prodiere porta a nuoto la prua della barca il più possibile in asse con la direzione del vento; poi il timoniere prende la pala della deriva, vi sale in piedi ed esercita una trazione sul bordo dello scafo. Lentamente l'albero e le vele escono dall'acqua e lo scafo torna dritto. In questa fase è importante agire in fretta per evitare la scuffia a 180°, che si verifica quando l'albero e le vele finiscono completamente sott'acqua lasciando la barca con lo scafo completamente rovesciato a chiglia in su. Raddrizzare uno scafo scuffiato a 180° è sempre possibile, ma richiede più tempo ed energie.
Navigazione d'altura. - Se le tecniche base della vela e delle andature non differiscono profondamente da una piccola deriva a un maxi oceanico, la navigazione d'alto mare impone comunque una serie di considerazioni e di regole proprie. Per navigazione d'altura si intende la preparazione e la realizzazione con una barca a vela di un lungo percorso, lontano dalla costa, che preveda anche una o più notti da passare in mare.
La navigazione d'altura si fa in genere con imbarcazioni cabinate e di buone dimensioni, portate da un equipaggio completo. Tuttavia non sono escluse da questo tipo di navigazione barche anche piccole (5-6 m), purché provviste di interni, o con equipaggi ridotti, generalmente una coppia, a volte anche un singolo. La navigazione d'altura su barche cabinate presuppone in genere la presenza a bordo di uno skipper, o comandante dello yacht. Lo skipper è il responsabile della barca e dell'equipaggio, della scelta della rotta e delle decisioni fondamentali da prendere, spesso rapidamente e irrevocabilmente, a bordo.
La navigazione d'altura può consistere in un semplice trasferimento di pochi giorni, in una traversata più impegnativa o in una crociera: in ogni caso la barca deve avere, oltre allo skipper, un equipaggio adeguato. Non è necessario che a bordo tutti siano esperti velisti, ma lo skipper valuta, in base alla barca, al percorso e alle previsioni meteorologiche, di quante persone esperte ha bisogno. Frequentemente, specie nei noleggi estivi con skipper, l'equipaggio è formato da principianti con poca esperienza: ciò deve indurre lo skipper a una prudenza supplementare e all'attenta programmazione degli spostamenti giornalieri in funzione delle condizioni meteo.
Altrettanto importante, in previsione di una navigazione d'altura, è la preparazione della barca. Lo skipper e l'equipaggio controllano tutta l'attrezzatura (le vele, le manovre e il loro effettivo funzionamento) con particolare attenzione ai sistemi di riduzione della velatura (avvolgifiocco e avvolgiranda, se esistono, o sistemi di riduzione della randa come i terzaroli), nonché tutte le prese a mare degli interni, la timoneria, la strumentazione e la radio, le luci di via, l'acqua potabile a bordo.
Nella navigazione d'altura è fondamentale l'aggiornamento delle previsioni meteo, sia alla partenza sia durante la navigazione. Il vento che fa avanzare dolcemente la barca può aumentare e ingrossare il mare in pochi minuti, trasformando una piacevole veleggiata in una navigazione impegnativa alla quale bisogna essere preparati. In caso di aumento del vento, nella navigazione d'altura la tecnica consiste nella progressiva riduzione della superficie velica della barca. Si inizia con la riduzione delle vele di prua, passando da un genoa leggero a un fiocco più piccolo, fino alla tormentina (un piccolissimo fiocco da tempesta), e parallelamente si riduce anche la randa (ammainata parzialmente con la presa di una o più mani di terzaroli oppure usando il sistema di avvolgimento della randa attorno all'albero). Uno yacht moderno può tranquillamente tenere il mare mosso e il vento forte per alcune ore, con velatura ridotta. In caso di tempesta che si prolunghi o si aggravi si devono adottare tecniche estreme: dalla fuga al mare (la barca con la sola tormentina fugge il mare sottovento) alla 'cappa secca' (la barca si lascia scarrocciare a secco di vele), attuabili solo in presenza di adeguato spazio sottovento e quindi rischiose in prossimità di una costa. Sulla navigazione a vela con cattivo tempo sono stati scritti diversi trattati e sviluppate tecniche pratiche ed efficaci, ma l'esperienza del velista e dello skipper sono di fondamentale importanza.
Un altro elemento peculiare della navigazione d'altura, rispetto a quella costiera o in regata, è il 'carteggio', procedura che prende il nome dall'utilizzo delle carte nautiche per tracciare e controllare la rotta seguita. Anche se oggi le moderne tecnologie che utilizzano il GPS (global positioning system) hanno enormemente facilitato il compito dello skipper e del navigatore, e per fare il punto nave non occorre più l'uso antico del sestante o il radiogoniometro, l'utilizzo della carta resta consigliabile. L'impiego di cartografie elettroniche interfacciate con le previsioni meteo procurate da appositi siti internet è una pratica usata dai navigatori solitari di professione, ma sempre più anche dai crocieristi di tutto il mondo.
La navigazione d'altura prevede inoltre tecniche riguardanti l'ancoraggio, l'ormeggio e il disormeggio, la vita in porto o marina, l'alimentazione, l'abbigliamento, i ruoli e la psicologia nella vita a bordo, le procedure per la navigazione in acque internazionali e così via.
Strumentazione di bordo. - In una moderna barca a vela la strumentazione di bordo, grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni, ha un'importanza e un ruolo notevoli.
L'immancabile strumento di navigazione per ogni barca, compresa una piccola deriva, resta la bussola, che indica la rotta seguita, consente di individuare i gradi bussola di provenienza del vento e, in alcuni prodotti evoluti, fornisce l'interpretazione sui salti di vento. Insieme alla bussola resta essenziale anche il barometro, che indica la pressione atmosferica e le sue variazioni ed è tuttora il primo strumento di una previsione meteo individuale. Sulla meteorologia la nautica ha sviluppato apposite scale (soprattutto la scala del vento dell'ammiraglio Beaufort, che misura anche l'altezza media delle onde in ogni condizione, da forza 0 a forza 12), che è bene conoscere e che fanno comunque parte del bagaglio di conoscenze di uno skipper anche per il conseguimento della necessaria patente nautica.
Altrettanto fondamentale è il radiotelefono di bordo, per mezzo del quale è possibile mantenere un contatto con altre imbarcazioni o con postazioni a terra. Esistono in commercio vari tipi di radio ricetrasmittenti marine, tra le quali scegliere quella più adatta alla propria barca e al programma di navigazione. L'uso del radiotelefono, soprattutto per segnalazioni di emergenza o richiesta di soccorso, è regolamentato da precise leggi che lo skipper è tenuto a conoscere.
Un posto importante tra gli strumenti spetta anche allo scandaglio, che nelle sue varie evoluzioni tecniche consente un'immediata rilevazione dell'altezza del fondale e risulta determinante negli ancoraggi o nei passaggi in zone di fondale basso o accidentato, per evitare il rischio di incagliamento.
Anche in piccole derive o classi olimpiche esistono strumenti per la misurazione del vento e della velocità dello scafo, nonché strumenti di grande precisione per la valutazione del campo di regata, che possono fornire indicazioni sul bordeggio, sulla rotta da seguire, sulla linea della virata per fare rotta diretta su una boa, alcuni dei quali però non sono utilizzabili in regata perché vietati dal regolamento. Uno strumento indispensabile per il regatante è l'orologio, dotato di apposito timer per il conto alla rovescia. Poiché una barca naviga spinta dal vento, particolare importanza rivestono gli strumenti per la sua misurazione. Dal semplice mostravento sistemato in testa d'albero, in grado di fornire solo la direzione del vento, si è giunti a strumenti molto sofisticati, montati sui monotipi e sugli yacht d'altura, che sono vere e proprie stazioni del vento e forniscono in tempo reale forza (in nodi), provenienza (in gradi bussola), salti di vento (in gradi), e che contengono anche una bussola grazie alla quale, elaborando i dati sulla rotta, possono fornire su richiesta informazioni sulle scelte tattiche.
Tra gli strumenti di grande utilizzo nella moderna vela vanno inseriti gli autopiloti o piloti automatici. Si tratta di strumenti elettrici o elettronici che, collegati con la timoneria di bordo, si possono impostare per mantenere una rotta ed essere aggiornati sui suoi mutamenti, e che risultano particolarmente preziosi in navigazioni lunghe con equipaggio ridotto.
Infine, tra gli strumenti di bordo in senso lato vanno inserite anche le bandiere del codice internazionale della navigazione, che sono a tutti gli effetti strumenti di comunicazione in assenza di altra possibilità.
Abbigliamento. - L'abbigliamento a bordo di una barca è particolarmente importante, considerata la dipendenza della vela dalle mutabili condizioni atmosferiche. L'evoluzione di materiali, tessuti e tecniche industriali ha fatto compiere enormi passi nello sviluppo di un abbigliamento tecnico per la pratica della vela. Oggi il velista, a seconda del tipo di navigazione e delle condizioni meteorologiche, può (o a volte deve) scegliere tra una grande varietà di capi, accessori e soluzioni. È impressionante notare il progresso di questo settore: per rendersene conto basta guardare le fotografie di velisti in azione anche solo pochi decenni fa.
L'abbigliamento del velista deve soprattutto tenere conto del fatto che in mare, e di notte in particolare, fa sempre sensibilmente più fresco che sulla terra, per l'azione del vento e per l'umidità.
Ai velisti diportisti e crocieristi basta porre particolare cura nella scelta della cerata da usare con vento, mare mosso o freddo. Le cerate possono essere costruite in un pezzo unico o in più parti, con pantaloni o salopette e giacca, a volte con maniche sfilabili. Gli interni di una cerata possono variare a seconda della stagione per la quale è progettata: una cerata estiva ha un tessuto traspirante di cotone con piccoli fori, mentre una cerata invernale ha fodere di tessuto pesante e imbottito, a volte rimovibili. Alcune cerate per la crociera includono un utile accessorio (da prevedere comunque a bordo): la cintura di sicurezza, da collegare ad appositi cavi sistemati in coperta. Prima dell'acquisto occorre verificare le cuciture (tutte a tenuta stagna con appositi rinforzi), i polsi e le caviglie (a loro volta con chiusure stagne), la presenza di una copertura della testa (cappuccio) adeguata e funzionale. Gran parte delle cerate sono realizzate con materiali ad alta traspirabilità come il goretex, che evitano la fastidiosa condensa dei vecchi tessuti cerati.
Per i velisti più esperti, impegnati in regate durante tutte le stagioni dell'anno e su tutti i tipi di barche, comprese le piccole derive o le classi olimpiche, sono adatti alcuni capi tecnici specializzati.
Muta di neoprene: simile a quelle usate dai sub, consente la tenuta della temperatura corporea una volta bagnata ed è adatta ai velisti delle derive, in tutte le stagioni (ne esistono di diverse grammature e con appositi rinforzi posteriori e lungo le gambe, secondo il tipo di barca e di ruolo svolto a bordo).
Muta stagna: è una vera e propria cerata in un pezzo unico, costruita con tessuti tecnologicamente avanzati per la massima impermeabilità e traspirabilità, con completa tenuta stagna che si realizza mediante la chiusura alle caviglie (a volte dell'intero piede), ai polsi e al collo con terminali di neoprene o di plastica. Sotto la stagna il velista indossa un capo in tessuto caldo e traspirante (pile o 'scaldina') o una tuta di cotone in climi più caldi.
Giubbotto da vela: è un capo utilissimo e versatile, molto diffuso, indossato sia in barca sia a terra, con o senza imbottitura invernale. Grande tenuta al vento e buona impermeabilità, facile da indossare e togliere, è il capo più usato durante la stagione delle regate tra primavera ed estate, per la sua versatilità. L'uniformità cromatica individua anche l'appartenenza a un equipaggio.
Guanti: sono un accessorio tecnico fondamentale per il velista, soprattutto per chi deve manovrare spesso scotte, cime, drizze e cavi in condizioni di freddo. Indispensabili per i derivisti, che avendo sempre le mani bagnate andrebbero presto incontro a vesciche e screpolature, ne esistono di vari tipi, per ogni attività a bordo e per ogni clima.
Scarpe e stivali: altro elemento fondamentale dell'abbigliamento velico, le scarpe da barca devono avere soprattutto due caratteristiche, la tenuta antiscivolo (con suole di gomma o altri materiali appositamente progettati per far defluire l'acqua) e l'impermeabilità. Per condizioni più impegnative si usano stivali alti, a chiusura stagna. Per le derive si usano speciali calzature in neoprene, per tenere caldo il piede anche bagnato (condizione che si verifica con certezza sulle piccole barche).
Occhiali: accessorio con una domanda crescente, alla quale i produttori hanno risposto proponendo prodotti sempre più specifici. Esistono occhiali da mare con lenti polarizzate, occhiali per migliorare la vista in giornate nuvolose (con lenti più chiare), persino occhiali la cui montatura è progettata per favorire il deflusso dell'acqua che schizza frequentemente sul volto del velista a bordo di piccole barche o di windsurf.
Il primo passo per avvicinarsi alla vela, apprenderne la teoria e la pratica di base, acquisire una prima autonomia nella condotta di una imbarcazione ed eventualmente avviarsi allo sport velico è quasi sempre rappresentato da un corso in una scuola di vela.
Esistono differenti tipi di scuole di vela e di corsi, sia per durata sia per grado di approfondimento e specializzazione. Una prima norma importante nella scelta di un corso di vela è assicurarsi che esso sia organizzato da un circolo velico affiliato alla Federazione italiana vela e tenuto da istruttori FIV. Questi sono formati attraverso appositi corsi e iscritti ad albi costantemente aggiornati, e la didattica dei corsi FIV è uniforme e approvata dal CONI. Generalmente un corso FIV di iniziazione si svolge su piccole derive ed è essenziale per apprendere i primi rudimenti della vela. Successivamente, secondo i propri obiettivi, si può scegliere tra vari corsi di approfondimento, anche privati.
I corsi di vela di iniziazione sono adatti a tutte le età e in particolare ai giovani. L'età minima per iniziare a praticare la vela e frequentare un corso è di circa sei-otto anni; quasi tutti i circoli FIV offrono comunque corsi di iniziazione anche per adulti. Le barche usate vanno dai piccoli singoli Optimist (2,30 m) per i più giovani alle nuove derive scuola 555FIV per 4-5 persone di equipaggio di ogni età (anche 4-5 allievi più istruttore), ad altri scafi più spaziosi e stabili.
I corsi di perfezionamento sono adatti ad allievi usciti dal primo corso e desiderosi di approfondire gli aspetti tecnici, apprendere l'uso di vele come lo spinnaker, prepararsi alle regate. Le barche utilizzate sono gli stessi Optimist o 555FIV, oppure scafi da regata come 420, L'Équipe, Laser.
I corsi di preagonistica o agonistica sono costituiti da vari livelli di approfondimento tecnico-sportivo, curati da istruttori federali preparati e rivolti in particolare ai giovani considerati più promettenti o che desiderano fare esperienze di regata. Le barche possono essere Optimist, 555FIV, 420, L'Équipe, Laser, 470, Europa, o anche piccoli catamarani o skiff (le derive acrobatiche moderne). Generalmente i corsi agonistici sono accompagnati da esperienze dirette di regata e possono servire a creare gruppi di interesse giovanile di circolo.
I corsi di precrociera e crociera sono corsi di vela espressamente dedicati alla vela da diporto; si svolgono su barche più grandi, di solito piccoli o medi cabinati, e comprendono le principali tecniche della vela crocieristica, come ormeggio e disormeggio, ancoraggio, navigazione notturna, sicurezza, meteorologia, manutenzione dello yacht.
I corsi di navigazione sono corsi per velisti già esperti che approfondiscono lo studio dei sistemi di navigazione, la cartografia, la navigazione costiera o d'altura, la navigazione astronomica, l'uso degli strumenti di bordo. I corsi crociera e navigazione spesso vengono svolti su yacht durante crociere di breve o media durata; in qualche caso è persino possibile prendere parte a regate o a traversate oceaniche, se si è già esperti.
I corsi per istruttori sono corsi rivolti a velisti e regatanti esperti che desiderano intraprendere l'attività di istruttori di vela; possono essere federali, secondo i programmi FIV e con successivi esami per l'iscrizione all'albo, oppure svolti da scuole di vela private per la formazione del proprio corpo istruttori.
I corsi per skipper si sono affermati negli ultimi anni e sono corsi rivolti all'apprendimento delle tecniche e delle capacità specifiche necessarie a comandare un'unità da diporto. Negli ultimi tempi, con lo sviluppo del turismo nautico e del noleggio, la legislazione sta codificando la figura dello skipper e prevede appositi albi. Nel nuovo testo unico della nautica da diporto è inoltre prevista la figura del maestro di vela, assimilata a quelle dei maestri di sci e di tennis.
Per il conseguimento di patenti nautiche esistono corsi speciali che seguono il programma ministeriale, tenuti da club o società private autorizzate e abilitate alla preparazione per l'esame, che viene svolto presso una capitaneria di porto.
L'allenamento. - La crescita del livello agonistico nello sport moderno della vela, dalle classi olimpiche alla Coppa America passando per i vari stadi intermedi, ha fatto sviluppare una cultura della preparazione atletica e dell'allenamento anche tra i velisti. Come in tutti gli sport gli atleti della vela devono impegnarsi costantemente per raggiungere i migliori risultati.
L'allenamento alla vela si può distinguere in fasi che riguardano le diverse età ed esigenze del velista. In età giovanile gli istruttori di vela fanno svolgere parallelamente ai corsi una preparazione atletica di base, volta a sviluppare le caratteristiche più utili a chi va per mare: potenziamento e controllo muscolare, scioltezza ed elasticità articolare, resistenza. In regata una barca perfettamente attrezzata può non essere sufficiente: serve anche una buona tenuta fisica per mantenere la lucidità necessaria fino all'arrivo. A partire dagli allievi più giovani, gli istruttori affiancano alla preparazione atletica l'insegnamento di altre discipline (psicologia e alimentazione), per arrivare alla programmazione personalizzata dall'allenamento per ciascun atleta, di ogni età. L'età ideale per un miglioramento effettivo delle capacità motorie e di controllo va dai cinque agli undici anni; l'incremento maggiore si realizza intorno ai dodici-tredici anni.
Tra le attività fisiche sono importanti quelle rivolte alla prevenzione dei possibili problemi fisici connessi con l'attività velica, in particolare quelli a carico della zona lombare, tra le più sollecitate. Questo risultato si può raggiungere con adeguati esercizi di potenziamento addominale e lombare, con esercizi di stretching e mobilizzazione del tratto lombare e dell'ileo-psoas. Analogamente sono utili esercizi di rinforzo e allungamento dei muscoli del tratto cervicale, del tratto dorsale e scapolare e degli arti inferiori. Una delle manovre tipiche dei velisti di derive, a ogni età e soprattutto giovani, è il richiamo alle cinghie per contrastare lo sbandamento. Tale posizione richiede sforzi notevoli a carico della schiena e della coscia; è pertanto buona norma eseguire costantemente esercizi di compensazione e allungamento muscolare.
Oltre alla preparazione fisica c'è l'allenamento vero e proprio, come processo di adattamento e miglioramento nelle tecniche sportive. L'allenamento del velista, con gradi e programmi diversi per età e obiettivi, comprende due distinte fasi complementari: la preparazione fisico-atletica a terra e in palestra e l'allenamento specifico in barca. L'allenatore di squadra o individuale organizza una tabella con i tempi e i metodi dell'allenamento su base semestrale o annuale, con l'obiettivo di portare l'atleta alla massima forma per la regata considerata più importante della stagione. Nella vela moderna esistono infatti un gran numero di appuntamenti agonistici, praticamente nell'arco dei dodici mesi, ed è impensabile per un atleta essere sempre in condizioni di eccellenza.
Un'ipotetica tabella stilata da un allenatore prevede diverse fasi: quella autunnale-invernale (ottobre-gennaio), con preparazione fisica in palestra (tre-quattro giorni a settimana) e brevi uscite in mare o regate (uno-due giorni a settimana); quella invernale-primaverile (febbraio-marzo), con potenziamento dell'attività fisica in palestra e aumento delle uscite in mare (tre-quattro giorni a settimana); quella primaverile (aprile-giugno), con il mantenimento della preparazione fisica (uno-tre giorni a settimana) e massimo allenamento in mare (da quattro a sei giorni a settimana), più regate; quella di alta stagione, con preparazione fisica limitata a richiami giornalieri (jogging e stretching) e massimizzazione del tempo passato in barca tra allenamenti e regate.
Esistono anche tipi specifici di allenamento o preparazione per eventi velici speciali, come il giro del mondo in equipaggio o imprese in solitario, che implicano aspetti psicologici e l'acquisizione di ritmi veglia-sonno e di abitudini alimentari fuori dal normale.
Come ormai acquisito in tutte le attività, una buona preparazione fisica è alla base di ogni pratica sportiva o diportistica, compresa una semplice crociera.
La storia. - Regate e regole hanno storie strettamente intrecciate. Le prime regate ‒ da quelle della fine del Settecento sul Tamigi fino a quelle svoltesi nella seconda metà dell'Ottocento ‒ non avevano regole proprie ma applicavano quanto disposto dal codice marittimo. Con lo sviluppo del diporto e dell'attività sportiva fu evidente l'insufficienza di tali norme; l'esigenza di una serie di regole di regata fu anche, come si è visto, all'origine della nascita dei primi organismi nazionali e internazionali di coordinamento della vela. Negli anni che seguirono la fondazione della Federazione internazionale, il Regolamento di regata internazionale è stato costantemente aggiornato, ruotando intorno al suo paragrafo principale relativo alle norme per prevenire gli abbordi in mare. Nel 1959 anche Stati Uniti e Canada deliberarono l'adozione del nuovo regolamento, che recepiva una serie importante di norme dedicate espressamente alla vela da regata. Le Olimpiadi di Napoli del 1960 furono le prime disputate secondo le nuove regole, e furono un grande successo.
Nelle successive evoluzioni del Regolamento di regata internazionale, tradotto nelle lingue dei vari paesi membri, molta attenzione è stata data all'evoluzione tecnica della navigazione e al tipo di barche in uso nelle varie epoche. Dal 1966 furono aggiornate anche le norme sugli abbordi in mare, ottenendo un sostanziale accordo tra le regole di regata e quelle della navigazione (che prevalgono ancora sulle prime quando si corra nelle ore notturne).
Un passaggio fondamentale si è avuto nel 1997, con il cambiamento di nome della Federazione vela mondiale da IYRU a ISAF: il regolamento è stato semplificato notevolmente, snellito e reso più moderno e utile, ed è entrato in vigore dall'aprile del 1997. Da allora ha mantenuto la sua forma, salvo le piccole modifiche e gli aggiornamenti che vengono fatti ogni quattro anni dall'ISAF, in coincidenza con il quadriennio olimpico.
Ogni regata velica si corre secondo il Regolamento di regata internazionale (RRI) ‒ propriamente Racing rules of sailing (RRS) ‒ dell'ISAF. Secondo quanto stabilito dal bando di regata (il documento ufficiale di convocazione dell'evento) si possono adottare altre regole accessorie al RRI: il regolamento di classe (se esistente) e le istruzioni di regata (documento accessorio e successivo al bando, che può specificare alcune regole speciali, non in contrasto con le regole fondamentali del RRI).
Regole essenziali attuali. - Il Regolamento di regata internazionale ISAF 2005-2008, attualmente in vigore, è composto di sette parti, più appendici, un modulo di protesta e un capitolo dedicato alle definizioni.
Il principio fondamentale con cui si apre il RRI riguarda il comportamento sportivo dei concorrenti e recita: "I concorrenti nello sport velico sono soggetti ad un insieme di regole che essi sono tenuti ad osservare ed a far rispettare. Un principio fondamentale di comportamento sportivo è che, quando concorrenti hanno violato una regola, essi eseguiranno prontamente una penalità, che può essere il ritirarsi".
Altrettanto importanti sono le cinque regole fondamentali che riguardano: l'obbligo di dare aiuto e assistenza a barche o concorrenti in pericolo e l'obbligo di avere a bordo le necessarie dotazioni di sicurezza; il cosiddetto corretto navigare (barca e velisti devono navigare in piena sportività e correttezza); l'accettazione delle regole sportive e l'accettazione della cosiddetta clausola compromissoria che preclude il ricorso a tribunali esterni per le eventuali controversie; la responsabilità del concorrente sulla partecipazione alla regata; il rifiuto preventivo del doping.
Il RRI passa quindi a enumerare le regole di base da seguire nello svolgimento delle regate. La parte seconda contiene alcuni concetti di basilare importanza che regolano il diritto di rotta, ossia le precedenze negli incroci tra due o più barche. È una parte che ogni velista che prenda parte a una regata, di qualsiasi livello, dovrebbe conoscere. Tra le norme principali occorre ricordare la regola 10, cioè "quando le barche sono su mure differenti, una barca con le mure a sinistra deve tenersi discosta da una barca con le mure a dritta"; la regola 11, cioè "quando le barche sono sulle stesse mure ed ingaggiate, una barca sopravento deve tenersi discosta da una barca sottovento"; la regola 12, cioè "quando le barche sono sulle stesse mure e non ingaggiate, una barca libera dalla poppa deve tenersi discosta da una barca libera dalla prua"; e la regola 14, cioè "una barca deve evitare il contatto con un'altra barca se ciò è ragionevolmente possibile".
Due barche sono ingaggiate quando la barca che insegue è entrata con la sua prua nell'area definita dal prolungamento dell'asse di poppa della barca che precede. Nelle definizioni l'ingaggio è stabilito da una negazione: quando la barca che è avanti "non è libera dalla prua" di quella che insegue e questa "non è libera dalla poppa" dell'altra. In termini estremamente pratici l'ingaggio si verifica quando due barche viste di profilo sono affiancate e sovrapposte anche se solo parzialmente.
Le regole sul diritto di rotta (in tutto diciannove) prevedono casi più specifici, come i passaggi di boa, le manovre, la presenza di ostacoli.
Nella terza parte il RRI contiene le norme di condotta della regata, in particolare per quanto riguarda la partenza, con i relativi segnali che il comitato di regata (l'insieme dei giudici che conducono la regata in acqua) deve dare ai concorrenti e con l'indicazione dei tempi e delle bandiere del codice della navigazione. Di norma una regata parte seguendo un timing: segnale di avviso (5 minuti al via); segnale preparatorio (4 minuti); ultimo minuto; partenza. Le regole prevedono tutti i casi di partenza in anticipo, cambio del percorso, sua riduzione e arrivo anticipato, toccare una boa, e così via.
La quarta parte contiene invece le regole sulla propulsione, con i relativi casi di penalizzazione previsti. Oltre alla regola fondamentale sull'uso del vento e delle onde per il movimento, si considerano attentamente i casi di pumping (il pompaggio ritmico delle vele ottenuto agendo sulle scotte), di rolling (il movimento di rollio laterale indotto artificialmente), di 'spinta' con movimenti del corpo in avanti, di ripetizione anomala di virate e abbattute, e così via. Per ogni azione vietata, o permessa entro limiti precisati, vige la relativa sanzione.
Nella parte quinta il RRI tratta diffusamente delle proteste. La possibilità che la regata non si concluda normalmente in mare, ma che il risultato possa essere modificato dopo la discussione delle proteste da parte della giuria (il gruppo di giudici di regata che opera a terra), è una caratteristica fin troppo dibattuta, e unica, dello sport della vela. Anche se mitigata dall'uso sempre più frequente degli umpires (gli arbitri in mare che prendono decisioni inappellabili) la protesta resta una peculiarità della vela e non a caso è materiale di studio e preparazione particolare da parte degli atleti migliori nell'ambito del loro allenamento. Il RRI precisa modi e tempi di presentazione di una protesta e modalità della sua discussione, l'uso di possibili testimoni e la validità delle decisioni della giuria.
Le parti sesta e settima contengono l'insieme delle norme sull'ammissione a una regata e quelle burocratiche, logistiche e organizzative che ne disciplinano l'organizzazione, come una sorta di guida per i club velici.
Di particolare interesse, e per questo riunite in un'apposita sezione, sono le definizioni. Il RRI oggi fa parte integrante del bagaglio di conoscenze tecniche del buon velista in tutto il mondo.
Un circolo velico affiliato alla FIV ha il diritto e la possibilità di organizzare una regata di qualsiasi classe, secondo le proprie possibilità e i propri mezzi. Una regata d'altura richiede un porto con disponibilità di ormeggi per yacht di una determinata lunghezza; una regata di barche a chiglia, carrellabili, richiede la disponibilità di una gru con uno scalo di varo e alaggio delle barche arrivate con i rimorchi stradali; una regata di derive, se non si svolge in prossimità di una spiaggia attrezzata, richiede scivoli di varo e alaggio (in quantità adeguata alla partecipazione prevista); una regata aperta a più classi (una kermesse, una settimana internazionale, una preolimpica) richiede strutture logistiche, spazi e personale adeguato, in quantità e qualità che aumenta in funzione dell'importanza della gara (zonale, nazionale, internazionale, fino a un campionato mondiale di classe olimpica), e spesso richiede un consorzio formato da più club organizzatori.
Le regate possono consistere in singole prove o essere composte da più prove in una sola giornata, più prove nell'arco di un weekend o di un gruppo di giorni (che solitamente comprendono un weekend o una festività), più prove coordinate e raccolte a formare un campionato. La regata viene convocata attraverso il bando di regata che contiene le informazioni di base: data, orario, classi ammesse, regolamenti usati, termini di iscrizione, categoria della regata, circoli organizzatori, contatti e ogni altra informazione utile. Il bando di regata viene diffuso e fatto circolare tra i potenziali interessati (classi coinvolte, Federazione, zona, circoli adiacenti, giornali di settore, pubblicità esterna). Una volta bandita la regata, il club crea un comitato organizzatore che cura tutti gli aspetti (istituzionali, organizzativi, logistici, sportivi e di sicurezza) a essa inerenti. Successivamente si rivolge al comitato di zona o alla sede nazionale della FIV per inserire la regata in calendario e soprattutto per avere la necessaria dotazione di ufficiali di regata.
Una volta inserita la regata nel calendario FIV zonale o nazionale, istituito un comitato organizzatore e ricevute le iscrizioni (che possono arrivare anche molto tempo prima ed entro limiti eventualmente stabiliti oppure, come avviene nella maggior parte delle regate, essere accettate fino alla mattina stessa della gara), il club consegna ai partecipanti le istruzioni di regata (il documento che fa seguito al bando e contiene le regole essenziali che presiedono alla regata stessa in aggiunta o in deroga al RRI), la localizzazione con una mappa nautica dei campi di regata, le procedure di partenza utilizzate (con spiegazione della sequenza in caso di partenza di più classi sullo stesso campo di regata), il disegno del percorso o dei possibili percorsi, a seconda delle condizioni meteo e della direzione del vento, e le altre informazioni necessarie. Le istruzioni sono un documento importante che è necessario leggere e approfondire prima della regata.
Il club organizzatore è dotato delle strutture minime (gru, scivoli o spiagge attrezzate) a consentire la discesa in acqua dei partecipanti, compresi collaboratori o marinai che aiutano i partecipanti a varare la propria imbarcazione. In mare il club deve provvedere a tutte le imbarcazioni a motore necessarie al comitato di regata, alla giuria, all'assistenza. Nel RRI sono previste tabelle con il numero di barche assistenza, di solito gommoni, in funzione del numero di iscritti e del tipo di classi; in caso di classi giovanili la sicurezza richiesta è maggiore, e quindi maggiore è il numero di barche assistenza.
La partenza è uno dei momenti fondamentali della regata, e tutti i concorrenti lottano per partire al meglio. Il RRI prevede numerose regole riguardanti le fasi della partenza. Il comitato di regata è dotato di battelli che collaborano per evidenziare eventuali barche oltre la linea (cioè la partenza anticipata individuale, segnalata con un'apposita bandiera sulla barca comitato, che comporta la squalifica) o per segnalare l'eventualità che un numero elevato di imbarcazioni commetta una partenza anticipata forzando la linea prima del segnale, come avviene frequentemente soprattutto in regate affollate e di richiamo generale. In questo caso la partenza è annullata, la procedura ricomincia in pochi minuti ed è ripetuta la partenza. Dopo vari richiami generali il comitato di regata può decidere di effettuare la partenza con bandiera nera, che consiste in una procedura rispondente a regole speciali: chi è colto in partenza anticipata sotto bandiera nera (issata sulla barca comitato) è squalificato e non potrà continuare la regata, né partecipare ad altre regate della giornata qualora previste. Inoltre la squalifica con bandiera nera di norma non è 'scartabile' dal computo del punteggio ai fini della classifica. Questo provvedimento restrittivo solitamente mitiga l'aggressività dei concorrenti, spaventati dalla gravità della sanzione.
Le procedure di partenza durano circa 5 minuti, tra il segnale preparatorio allo sparo e il segnale di start.
Una volta partita la regata, vigono le regole del RRI sugli incroci e le precedenze. Il percorso può essere modificato nel corso della regata mediante uno spostamento minimo delle boe in caso di salti di vento, o mediante l'accorciamento con l'arrivo anticipato e il taglio di qualche lato del percorso, secondo quanto previsto dalle istruzioni di regata. Le barche assistenza seguono senza disturbare i concorrenti lungo il percorso e intervengono per assistere barche in difficoltà o in avaria, segnalano i ritirati al comitato e possono eventualmente collaborare con la giuria prendendo nota dei passaggi di boa più affollati e dell'arrivo.
Quando la regata è sul punto di terminare, il comitato (spesso con la stessa barca usata per la linea di partenza) dispone la linea d'arrivo, secondo il percorso utilizzato e come previsto dalle istruzioni. All'arrivo la barca comitato emette segnali acustici al momento del taglio della linea da parte di ogni imbarcazione. Se è prevista una prova successiva, solitamente a distanza di 20-30 minuti dall'arrivo dell'ultimo concorrente, si dispone nuovamente la linea di partenza e si effettua la nuova regata. Se il programma della giornata è terminato le barche rientrano a terra al club, dove vengono tempestivamente diffuse le classifiche. Se la regata è unica o su un giorno unico il club organizza, entro poche ore dal rientro dei concorrenti e dopo le decisioni su eventuali proteste, la cerimonia di premiazione con la consegna dei premi (solitamente si tratta di coppe). La premiazione di un campionato o di un ciclo di regate su più giorni si svolge al termine del programma.
In caso di più prove o di campionato le istruzioni possono contemplare il tipo di punteggio (indicato anche sul RRI) e lo 'scarto'. Il criterio solitamente applicato prevede che alla barca sia assegnato in ogni regata un numero di punti pari al suo piazzamento (il primo prende un punto, il secondo due e così via; i ritirati o squalificati prendono un numero di punti pari al numero dei partenti più uno). Se la classifica è su più regate, le istruzioni possono includere la possibilità che ogni barca scarti il peggiore piazzamento. Gli scarti dipendono dal numero di prove effettivamente svolte (anche su circuiti di più regate stagionali, in un arco di tempo di settimane o mesi): normalmente uno scarto entra in funzione dalla quarta regata svolta. Le istruzioni indicano poi, secondo classe e tipo di regata, l'eventuale inserimento di altri scarti se il numero di prove affrontate è elevato (solitamente dalla ottava-decima in poi).
Regate di flotta. - È il tipo di regata più diffuso e usuale per lo sport della vela. Un gruppo omogeneo di barche prende la partenza, svolge il percorso e taglia la linea di arrivo, determinando una classifica su prova singola o su più prove o di campionato.
Un caso particolare ma sempre più frequente è quello delle regate ad alta partecipazione. Se le barche iscritte sono più di 60 solitamente il club decide di svolgere le regate con il sistema delle batterie. Esistono diversi sistemi per far correre insieme in un campionato anche più di 200 barche (il record è di una regata internazionale di Optimist sul Lago di Garda, con più di 600 iscritti). In genere le batterie sono composte da 60 barche ciascuna, e le partenze vengono date a gruppi secondo un calendario incrociato per cui tutti concorrono con tutti in una fase di qualificazione. Successivamente la flotta è divisa in base alle classifiche: indicativamente i primi 60 (o i primi 30 se la flotta è al di sotto dei 100 iscritti) compongono la batteria che corre la finale (flotta denominata usualmente gold); le successive flotte (silver, bronze, oppure contrassegnate da colori) continuano a regatare per formare la classifica finale del campionato oltre il sessantesimo posto.
Alcune classi hanno proprie regole e cercano di forzare al massimo il numero dei partenti per evitare le batterie. Per esempio, la classe Star è arrivata a correre un campionato mondiale con oltre 150 iscritti: in tale caso è stata predisposta una linea di partenza con tre barche comitato ripetitrici alle estremità e al centro.
La regata di flotta si svolge secondo le regole sancite dal RRI.
Regate di match race. - Il match race è la regata tra due barche, che deriva sostanzialmente dall'esperienza storica della Coppa America. Oggi il match race è molto sviluppato, sia perché l'epopea della Coppa America continua come evento Grand Prix sia perché si è creato nel mondo un circuito Match Race con numerosi eventi, solitamente a inviti, per i migliori timonieri, dal quale è nata una classifica internazionale della specialità gestita dall'ISAF, con punteggi aggiornati dopo ogni evento. La ranking list del Match Race, assimilabile alle classifiche di sport individuali come tennis, golf, pugilato, è forse l'elemento più vicino a forme di professionismo nel mondo della vela. Con gli anni l'organizzazione ISAF di questo circuito e delle classifiche si è affinata: sono stati creati vari gradi secondo l'importanza degli eventi e il livello dei partecipanti. Grado 1 è il massimo, e si disputano ogni anno nel mondo una ventina di eventi di questo grado (due in Italia); sono tali se l'80% degli iscritti è costituito da timonieri piazzati entro i primi 20 posti della ranking list. La graduatoria procede fino al grado 6 (eventi locali), e il punteggio assegnato ai fini della ranking list è proporzionale al grado. Ogni anno l'ISAF organizza anche campionati continentali e mondiali della specialità. Nelle Olimpiadi dal 1992 al 2000 sono state organizzate finali della classe Soling a match race. Esistono anche circuiti autonomi a cura di sponsor privati, comunque organizzati da club velici secondo le regole del RRI e sotto l'egida dell'ISAF. Le maggiori regate di circuito ISAF o private prevedono sostanziosi premi in denaro per i partecipanti.
Caratteristica del match race è l'impiego di regole speciali (una parte specifica del RRI) spesso in deroga al regolamento usato per le regate di flotta. Altro elemento chiave del match race è la presenza in mare di umpires, cioè arbitri muniti di fischietto e bandiere, che intervengono autonomamente o su richiesta dei concorrenti nel corso di una regata per stabilire se c'è stata irregolarità o scorrettezza e quindi assegnano eventuali penalità (la barca deve girare su se stessa) da eseguire entro il termine del match. Ogni match contribuisce a formare un punteggio in base al tabellone (round robin di qualificazione, quarti di finale, semifinali e finali per il terzo e il primo posto). Raramente un match finisce con una protesta, e quando ciò accade la protesta viene discussa subito, a bordo della barca comitato, senza attendere di andare a terra, perché il programma di un evento di match race prevede nel corso di 4-6 giorni lo svolgimento di centinaia di regate di 10-12 iscritti, fino alle finali dei giorni conclusivi.
Regate di derive e regate a squadre. - Le regate riservate alle piccole derive sono molto popolari tra gli appassionati della vela e si svolgono in gran numero in tutto il mondo. Le derive sono in genere barche facilmente trasportabili, semplici e veloci da armare, economiche, adatte anche a equipaggi non necessariamente molto esperti, e regalano emozioni e soddisfazioni piene agli appassionati, anche per la caratteristica del contatto diretto con l'acqua che non si verifica nelle barche più grandi. Inoltre le derive sono barche leggere con una grande sensibilità al vento, al moto ondoso, al peso e alla posizione dell'equipaggio, ai movimenti del timone e alla regolazione delle vele, e tutto ciò le rende adatte per familiarizzare con gli elementi fondamentali dello sport velico.
Una regata di derive rappresenta la forma base di regata velica, quella che ogni club organizza almeno una volta l'anno, anche solo per i propri soci. L'organizzazione e lo svolgimento di una regata di derive non comportano caratteristiche speciali se non la particolare attenzione all'assistenza e alla sicurezza, soprattutto per le classi dei velisti più giovani o in presenza di condizioni meteo severe. Sarà cura della giuria e del comitato di regata stabilire se svolgere la regata in caso di vento forte o mare mosso, o anche di previsioni di peggioramento. In alcuni casi le istruzioni di regata definiscono limiti di vento rigorosi, e basta consultare l'anemometro per stabilire se ci sono le condizioni giuste per correre la regata. In altri casi sono le regole della classe a stabilire un minimo e un massimo di vento, e a tali norme si adeguano i comitati di regata.
Le regate a squadre possono consistere in una gara tra gruppi di barche che formano squadre (di solito per classi giovanili) oppure in più regate tra gruppi di classi omogenee, con classifiche a squadre separate per barche di classi diverse appartenenti alla stessa squadra (di solito per nazione).
È necessario predisporre più campi di regata da usare contemporaneamente. Le regole sono le stesse del RRI, con l'aggiunta di quelle indicate dalle istruzioni. I percorsi sono solitamente gli stessi usati dalle medesime classi per le regate individuali, oppure leggermente accorciati.
Le regate a squadre hanno spesso uno svolgimento particolare per il quale non tutti i concorrenti scendono in acqua insieme: questo suggerisce di scegliere un campo di regata piccolo e sistemato nelle vicinanze della costa o del club, perché sia facilmente raggiungibile dai concorrenti delle squadre chiamate di volta in volta. In alcuni casi la soluzione adottata è quella di dotarsi di una grande 'barca-isola' che raccoglie le barche dei concorrenti in attesa del turno di gara della propria squadra.
Regate d'altura, regolamenti di stazza e compensazioni. - La barche d'altura sono yacht di una certa dimensione (da un minimo di circa 6 m fino ai grandi maxi), dotate quasi sempre di chiglia fissa. Sono barche che si trasferiscono via mare al porto che organizza la regata; quindi è necessario un certo numero di ormeggi per le barche invitate. Alcuni yacht club si sono specializzati e organizzano da anni le principali manifestazioni del calendario dell'altura.
Per permettere a barche diverse di regatare insieme e contemporaneamente su uno stesso percorso sono stati sviluppati sistemi di compensazione basati sul calcolo della stazza. Ogni barca è stazzata, e da ciò si ricava un rating (di solito un numero) che, insieme a un coefficiente, contribuisce a determinare il rapporto tra il tempo reale impiegato nella regata e il tempo compensato sul quale sarà stilata la classifica ufficiale. Il sistema è poco usato per le derive e i piccoli monotipi, mentre gli yacht d'altura corrono quasi esclusivamente in tempo compensato secondo il vigente sistema di stazza.
Il sistema usato in Italia e più utilizzato nel mondo è l'international measurement system, inventato alla fine degli anni Settanta da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology e inizialmente denominato measurement handicap system (MHS), prima di diventare internazionale e assumere la sigla IMS. In sintesi consiste nell'applicare al valore misurato della stazza una correzione dipendente dalle condizioni di vento nel corso di una stessa regata, ottenendo con la migliore approssimazione la compensazione del tempo reale in base alle caratteristiche di ogni yacht.
L'IMS è stato introdotto a livello internazionale nel 1985. L'avvio del sistema è stato relativamente lento, specie per la necessità di misurare un gran numero di imbarcazioni esistenti, ma già dal 1987 è stato adottato come sistema principale di handicap in Germania, Paesi Bassi e altre nazioni dell'Europa settentrionale. In Italia il sistema è stato introdotto per la prima volta nel 1990 e, dall'anno successivo, è diventato il sistema principale per le regate d'altura, sostituendo, dopo vent'anni di utilizzo, il sistema international offshore rule (IOR).
Nella fase iniziale l'IMS era inteso come sistema per barche da crociera o da regata e competizioni di livello locale, mentre il vecchio IOR era il sistema in uso per le grandi competizioni internazionali del circuito Grand Prix. Già dal 1993, in conseguenza del declino ormai definitivo dello IOR, l'IMS ha assunto anche la veste di norma per le competizioni ad alto livello, e ciò impegna progettisti, armatori e cantieri a disegnare e costruire barche sempre più adatte al sistema di stazza, cercandone i 'buchi' e comunque ottimizzando il rating in funzione della velocità. Di anno in anno si è osservato che le barche vincenti sono sempre più spesso imbarcazioni di serie, naturalmente portate da equipaggi di massimo livello. Ciò non ha però diminuito il ricorso a progetti one-off (o prototipi), e spesso gli stessi prototipi migliori vengono poi prodotti in piccole o grandi serie dai maggiori cantieri.
Una volta introdotto in Italia, l'IMS fu adottato dalla FIV come sistema con il quale correre l'attività ufficiale finalizzata al campionato italiano d'altura. La FIV è oggi organizzata con un proprio ufficio rating e la necessaria attrezzatura per poter rilevare le forme dei nuovi modelli di imbarcazioni. L'Italia è negli anni recenti uno dei paesi con il maggior numero di certificati IMS emessi.
Il problema principale dell'applicazione dell'IMS è la sua complessità. La misurazione richiede parecchio tempo e apparecchiature particolari oltre a una buona capacità tecnica, ma questo non è l'ostacolo principale. La nozione che di solito confonde i velisti che non conoscono l'IMS è quella per cui le compensazioni relative fra i concorrenti possono variare in funzione del vento e del percorso. Abituati a un numero unico, uguale per tutte le circostanze (caratteristico di tutti i sistemi di handicap), non è semplice comprendere a fondo come funziona il sistema e capire quando 'si paga' un avversario e quando 'si viene pagati' in termini di calcoli sul tempo compensato.
Tuttavia, anche in relazione alle alternative disponibili, l'IMS è un sistema preciso, in grado di calcolare le differenze di prestazioni delle barche a vela meglio di altri sistemi, e produce risultati in tempo compensato sorprendentemente vicini fra loro. Nelle regate di alto livello è molto frequente vedere i primi in classifica distaccati di pochissimi secondi gli uni dagli altri.
Per elaborare un certificato di stazza IMS si utilizza un programma informatico basato su due moduli: lines processing program (LPP), che analizza le caratteristiche dello scafo, e velocity prediction program (VPP), che, in base ai dati dello scafo e a quelli di stabilità, alberatura, piano velico, caratteristiche di costruzione, fa navigare virtualmente l'imbarcazione per 7 diverse velocità del vento (6, 8, 10, 12, 14, 16 e 20 nodi) e 10 angoli, dalla poppa alla bolina. Il programma di calcolo è aggiornato ogni anno in base a continui studi, che vengono a volte offerti gratuitamente da istituti di ricerca, a volte finanziati dal gestore del sistema, l'Offshore Racing Congress (ORC). L'International Technical Committee (ITC) composto da undici membri provenienti da tutto il mondo, è l'organo tecnico che dirige i progetti di ricerca e stabilisce le direttive generali del processo di evoluzione del sistema.
L'elemento base della stazza IMS è il VPP. Ai fini della determinazione del VPP il modello matematico dell'imbarcazione è diviso in due parti: la parte aerodinamica, che ipotizza il rendimento della velatura a una data intensità di vento (secondo la geometria del piano velico, la sezione dell'albero e la misura delle vele); la parte idrodinamica, che ipotizza la resistenza dello scafo in acqua, data la spinta aerodinamica, in base alla forma dello scafo e delle appendici rilevata con la macchina hull scanner. Questi dati determinano di conseguenza: la superficie bagnata, la ripartizione dei volumi immersi e la lunghezza dinamica dello scafo.
Come in tutti i sistemi scientifici, la precisione del dato finale è proporzionata al numero dei fattori che concorrono a determinarlo e alla precisione con la quale questi devono essere rilevati. Per una stazza IMS occorrono molteplici dati, sia per definire la forma dello scafo sia per determinare il suo peso (in base al principio di Archimede). Influiscono sul risultato finale il piano velico, tutti i sistemi di regolazione del medesimo, la stabilità dell'imbarcazione e il peso dell'equipaggio che serve a raddrizzare la barca.
A seguito di sperimentazioni su una certificazione semplificata dell'IMS, fatta soprattutto in Italia, fu introdotto sul mercato l'ORC Club, certificazione compatibile con l'IMS del quale contiene tutti i dati.
Per le misurazioni di stazza o ristazza, l'armatore richiede alla FIV, possibilmente con apposito modulo predisposto e scaricabile dal web, la nomina di uno stazzatore che sarà l'unico autorizzato all'operazione richiesta. Non si può misurare nuovamente uno scafo se non a seguito di avarie o modifiche. Gli onorari di stazza devono essere corrisposti direttamente dall'armatore allo stazzatore incaricato. Solo lo stazzatore incaricato può trasmettere i dati rilevati sull'imbarcazione all'ufficio rating per l'elaborazione del certificato.
Per calcolare le compensazioni in una regata d'altura sono necessari alcuni strumenti essenziali e alcuni dati che devono essere certi. Oltre a un cronometro per la registrazione dei tempi di arrivo occorre uno strumento che dia l'esatta lunghezza del percorso, che può essere delimitato sia da boe sia da isole o altri riferimenti come le imboccature dei porti. Per la regata sulle boe è sufficiente un GPS anche palmare; per una regata lunga si usa la carta nautica o uno dei tanti strumenti cartografici oggi in commercio.
Per quanto riguarda la gestione di una regata sulle boe, nel classico percorso bolina-poppa da ripetere più volte, si procede come segue. Il certificato di stazza indica le prestazioni di ogni singola imbarcazione per differenti intensità di vento e angoli, cioè le velocità medie, in determinate andature e a determinate intensità di vento, espresse in secondi necessari a percorrere un miglio. Questi valori, moltiplicati per il numero di miglia volta a volta percorse, danno i tempi che vanno sottratti dal tempo reale per avere il tempo compensato su cui si basa la classifica. Questa opzione calcola il tempo relativo alla distanza percorsa (time on distance).
Una seconda opzione di calcolo è il tempo su tempo (time on time). Per ottenere il tempo compensato si moltiplica un determinato coefficiente per il tempo reale. Questa opzione, valida soprattutto per i percorsi alturieri, è poco usata nei nostri mari in quanto, a prevalenti regimi di brezza e con ore di bonaccia durante il percorso, conferisce un vantaggio, quando le barche sono immobili, a quelle con un rating più alto. È molto usato invece in regime di venti costanti, come gli alisei o i monsoni in zone o coste oceaniche.
Per poter sfruttare appieno il sistema IMS occorre un computer e l'uso del programma di calcolo distribuito gratuitamente dall'ORC. Al momento di inserire i tempi di arrivo, in un'apposita sezione del programma si ricostruisce il percorso sulla base delle rilevazioni della direzione del vento fatte durante la regata, indicando le miglia percorse in bolina, al traverso, al lasco e in poppa, fino ad avere la totalità delle miglia percorse.
Il tempo reale è il tempo effettivamente impiegato da un'imbarcazione per percorrere una determinata distanza con le condizioni meteo incontrate. È evidente che il tempo per coprire una data distanza varia in funzione dell'intensità del vento incontrato: questo parametro fa infatti variare il rating risultante dall'applicazione del sistema di calcolo.
Regate oceaniche. - Le regate che prevedono lunghe navigazioni d'alto mare (anche all'interno di grandi laghi come quelli del Nord America o di mari interni come il Mediterraneo), su percorsi di lunghezza superiore alle 500 miglia (1 miglio marino è pari a 1852 m), e quelle oceaniche vere e proprie (con traversata di uno o più oceani, a tappe o senza scalo, fino al giro completo del globo) sono organizzate da club o consorzi di club adeguatamente organizzati e dotati di mezzi finanziari derivanti da grandi sponsor. Le regate oceaniche sono organizzate con un procedimento analogo a una regata locale (bando, istruzioni, iscrizioni, ufficiali di gara, classifiche), ma richiedono una comunicazione molto maggiore, perché sono quasi sempre rivolte a concorrenti di ogni parte del mondo che fanno progettare e costruire barche espressamente per una singola regata, con caratteristiche tecniche adeguate alle condizioni meteo marine prevalenti sul percorso di gara. I monoscafi di 50 e 60 piedi, che sono le due classi usate dai navigatori solitari per regate oceaniche o giri del mondo, presentano solitamente un baglio (larghezza) massimo notevole e solitamente spostato verso poppa, per sfruttare meglio le prevalenti andature con vento in poppa che si verificano sui percorsi scelti dagli organizzatori. In caso contrario, per esempio per la regata Global Challenge che si svolge su monotipi con rotta da est verso ovest, contro i venti dominanti e quindi con andature prevalenti di bolina, gli scafi sono più stretti e pesanti per affrontare le diverse condizioni previste.
L'organizzazione di una regata oceanica comporta per il club un contatto costante e quotidiano con tutti i concorrenti, realizzato secondo regole che obbligano le barche a riferire la propria posizione almeno una volta al giorno tramite contatto radio e via internet, o attraverso l'uso di segnalatori di emergenza come radar ed EPIRB (emergency position indicating radio beacon); quest'ultimo si attiva in caso di contatto con l'acqua e indica la posizione della barca che richiede assistenza. In caso di regate a tappe, all'arrivo l'organizzazione provvede alle classifiche, agli ormeggi e all'assistenza a terra anche per teams e media, in ogni località sede di tappa.
Analogamente, gli stessi partecipanti a regate oceaniche devono avere organizzazioni adeguate, supportate da mezzi finanziari privati o (il più delle volte) da sponsor, per la costruzione di una o più imbarcazioni, per l'equipaggio in mare (singolo o in gruppo) e per la necessaria squadra di assistenza a terra. Anche i solitari hanno un proprio shore team che è determinante per la fase preparatoria come durante la regata. In casi estremi i teams possono, laddove concesso dal regolamento della regata, arrivare a trasportare parti di attrezzatura (vele, strumenti o persino alberi) in ogni luogo del mondo ove sia in attesa il concorrente, effettuare la riparazione e consentirgli di ripartire. Importanti e storici risultati sportivi nella vela oceanica sono stati ottenuti con sistemi simili.
Yacht club, circoli velici, porti e spiagge. - I circoli velici e le associazioni che riuniscono gli appassionati di vela offrono ormeggi in acqua per barche cabinate o rimessaggio a terra per barche più piccole o derive e hanno generalmente sedi vicine a uno specchio d'acqua (mare, lago, fiume, bacini artificiali).
Lo yacht club come gruppo di appassionati di una certa località è stato, fin dalla nascita della vela da diporto, il motore del suo sviluppo. Oggi in Italia si contano circa 600 circoli velici affiliati alla FIV, e il numero sfiora le mille unità se si considerano i club non affiliati, quelli creati da porti o marina e quelli organizzati da strutture turistiche private. Dal grande e famoso yacht club fino al piccolo gruppo velico organizzato, il club è il luogo fisico dove gli appassionati di vela devono recarsi per uscire in barca. Se i primi yacht club sorti in Inghilterra avevano sedi cittadine (a Londra e sul Tamigi), presto il sodalizio nautico si è spostato e ha aperto sedi operative lungo la costa, sui laghi, sulle isole. Oggi in molti casi i club nautici sono situati all'interno di porti turistici o hanno dato vita essi stessi a strutture portuali. Il porto turistico è una struttura chiusa al mare, anche di piccole dimensioni, con banchine e ormeggi realizzati per ospitare in acqua un certo numero di imbarcazioni. Esistono piccoli porti per alcune decine di posti barca (a volte si può trattare di approdi turistici creati all'interno di grandi strutture portuali pubbliche e commerciali) o grandi e attrezzati porti turistici che possono superare i mille posti barca (quello di Marina del Rey presso Los Angeles ospita quasi 9000 imbarcazioni). L'ormeggio richiede un posto in acqua ferma con gavitello o corpo morto e in banchina attacchi per elettricità e acqua. Nelle strutture più organizzate i porti offrono anche rifornimento carburante, parcheggi privati, garage, negozi, ristoranti, bar e naturalmente yacht club con foresteria. I porti turistici hanno personale preparato per gestire l'entrata e l'uscita di barche dal porto e le eventuali emergenze di soccorso. Alcuni marina sono strettamente privati, anche se devono avere una zona adibita agli ormeggi di passaggio, altri forniscono servizi ai soci fissi e alle barche in sosta temporanea. Tra le strutture di un porto turistico spesso c'è un cantiere che offre servizi di manutenzione, verniciatura, carena, riparazioni e officina, un'area per rimessaggio a terra delle barche, un servizio di guardiania.
Quasi sempre i soci di un marina sono anche soci dello yacht club creato all'interno del porto turistico. Lo yacht club ha una sede propria nel porto, con sale di rappresentanza e spogliatoi, spesso ristorante e bar per i soci, a volte anche piscina, foresteria, palestra. Ma la dimensione minima di uno yacht club è quella di un semplice locale sociale all'interno della struttura portuale: i soci usano la barca e se necessario si ritrovano nella sede sociale per riunirsi, per osservare le classifiche di eventuali regate ecc.
Anche se la terminologia è sostanzialmente libera, la definizione di yacht club si adatta maggiormente ai club inseriti all'interno di strutture portuali turistiche pubbliche o private. Gli altri club, non dotati, o non all'interno, di un porto turistico, si possono qualificare come club o circolo nautico o velico, associazione velica o altre specifiche denominazioni che hanno attinenza e significato per il territorio in cui operano.
Questi circoli o club fuori da marina sono generalmente situati lungo la costa del mare o sulle sponde di un lago in zone scelte per le loro caratteristiche fisiche: baia o ridosso, insenatura, piccoli ormeggi, foce o estuario di un fiume, appena fuori da strutture portuali. Offrono tutte le condizioni richieste dallo scopo del club: consentire ai soci di utilizzare le barche rimessate presso il circolo, uscire e rientrare per brevi veleggiate, crociere o regate.
Yacht club e circoli possono avere caratteristiche molto diverse, che riguardano l'ampiezza dell'area complessiva, i volumi interni, i posti barca a terra e in acqua, i servizi, la lunghezza dell'affaccio sull'acqua, la ricchezza delle dotazioni. Tutte queste caratteristiche dipendono dalla particolare posizione geografica e dalle relative condizioni meteorologiche, dai soci, dalla storia e dalle condizioni finanziarie del club. Indipendentemente da queste variabili, un club velico deve conservare un minimo di impianti e attrezzature di base necessari ai soci e agli scopi nautici (uffici, area barche, spogliatoi, servizi igienici, locale veleria o riunioni) e proporre servizi o attività come scuola di vela, barche sociali, regate.
I club devono avere anche una gru, fissa o semovente, per consentire il varo e l'alaggio di piccole barche dotate di chiglia fissa (monotipi d'altura, motoscafi e grandi gommoni, barche di assistenza alle regate). Per barche più grandi solo alcuni porti o marina dispongono di travel lift e grandi strutture adatte al varo e all'alaggio, spesso nelle vicinanze del cantiere.
Le piccole derive sono carrellabili o trasportabili sul tetto delle automobili e si spostano via terra raggiungendo i club che organizzano le regate. Il circolo organizzatore deve perciò disporre adeguati spazi per il parcheggio di autoveicoli e di rimorchi. Le derive vengono generalmente varate, senza bisogno di assistenza, per mezzo degli appositi carrellini di alaggio (di metallo o plastica, dotati di ruote in grado di avanzare anche su sabbia, con un invaso fisso o mobile adattato alla carena della barca trasportata): il carrellino con la barca già armata viene portato fin dentro l'acqua, in modo da consentire allo scafo di galleggiare, quindi si sfila da sotto la carena. Il numero di scivoli necessario per una regata varia in base al numero degli iscritti, al tipo di barche, all'ampiezza degli scivoli stessi. Una spiaggia, purché dotata di minima attrezzatura, affacciata su fondali non troppo bassi per consentire di abbassare la deriva e uscire e sufficientemente ridossata dalle onde, può essere efficacissima. Non deve mancare l'acqua dolce in banchina o sulla spiaggia per lavare le barche al rientro in porto dal mare, pratica frequente tra i regatanti perché norma essenziale di manutenzione (il salmastro del mare lasciato asciugare corrode il metallo e tende a bloccare le attrezzature); necessarie sono anche le ritenute a terra alle quali fissare carrelli o invasi durante la notte, in caso di vento forte che potrebbe rovesciare le barche.
Strutture e servizi dei club sono naturalmente riservati ai soci o a eventuali ospiti secondo il regolamento interno.
Mezzi di assistenza e sicurezza. - La pratica della vela, sia per diporto sia come sport, è sostanzialmente un'attività individuale, e la responsabilità di prendere il mare in tutte le condizioni meteorologiche è del comandante o del proprietario di un'imbarcazione, come stabilito dallo stesso regolamento di regata. Tuttavia yacht club e circoli velici, e ancor più scuole di vela e organizzatori di regate, mettono a disposizione ‒ in alcuni casi anche per regolamento ‒ adeguati mezzi di assistenza per garantire ai soci, agli allievi o ai partecipanti a un evento sportivo almeno condizioni di minima sicurezza.
Alcune regole sono contenute, per quanto riguarda l'Italia, nella normativa FIV emessa annualmente. Essa stabilisce che una scuola di vela di iniziazione e prevalentemente per allievi giovani (otto-quattordici anni) deve avere in acqua un mezzo di assistenza nautica a motore ogni sei barche. Il numero sale a dieci barche per le scuole di vela avanzate e per gli allenamenti. Anche in caso di regata per derive o classi olimpiche la regola prevede l'utilizzo da parte degli organizzatori di un mezzo di assistenza ogni dieci partecipanti.
Le caratteristiche dei mezzi di assistenza non sono specificate, ma la pratica e l'uso comune ha fatto scegliere alla maggior parte dei club e delle scuole vela il gommone. I battelli gonfiabili, anche se ormai quasi tutti dotati di chiglia rigida come un qualunque motoscafo, hanno il vantaggio della leggerezza ‒ per essere alati e varati o rimorchiati con facilità ‒ e del profilo in gomma morbida che li rende adattissimi ad avvicinare e abbordare imbarcazioni di ogni dimensione (comprese piccole derive) senza provocare il minimo danno. Il gommone inoltre ha una grande capienza e può contenere vele e altro materiale necessario alle scuole o alle regate. Se in regata sono necessarie barche che non hanno finalità di assistenza ai regatanti (per la giuria, per gli umpires, per il giudice controstarter che deve segnalare eventuali partenze anticipate o richiami generali), quindi che restano discoste dalle derive, possono essere usate anche quelle rigide, motoscafi o lance in legno. È importante inoltre considerare il tipo di barche da assistere: piccole derive giovanili o in singolo hanno velocità piuttosto basse, ma windsurf, catamarani e derive acrobatiche tipo skiff raggiungono velocità elevatissime e necessitano perciò di mezzi di assistenza dotati di motorizzazione adeguata.
La barca comitato deve essere abbastanza grande e visibile anche a distanza, avere una sovrastruttura per contenere le bandiere per le procedure e le segnalazioni di partenza e arrivo, essere stabile per rimanere a lungo ormeggiata e consentire il lavoro ad almeno tre o quattro giudici del comitato, avere una grande facilità all'ancoraggio e al disancoraggio per i possibili spostamenti a causa dei salti di vento. Per la barca comitato di solito si usano grandi lance o gozzi dotati di alberatura per i segnali (meglio se con tuga o riparo per l'equipaggio), motoscafi analoghi e spesso yacht a vela.
Nel caso di regate per yacht d'altura il fabbisogno di assistenza è diverso: le barche grandi sono solitamente in grado di resistere a condizioni meteorologiche più difficili, non possono scuffiare e hanno equipaggi numerosi. Non esiste dunque una normativa sulle barche appoggio in regate d'altura. Tuttavia, la presenza di barche di assistenza resta una buona norma per gli organizzatori di regate. Le barche, sia pure in numero ridotto, sono comunque di dimensioni e caratteristiche adeguate; spesso si usano gommoni di grandi dimensioni o motoscafi. Nelle regate di grande altura e lunghe percorrenze, oltre ai mezzi per le fasi di partenza e di arrivo l'organizzazione deve predisporre i mezzi per eventuali controlli al passaggio di boe o tratti di costa o isole, mentre per l'assistenza alla navigazione d'alto mare sono a volte fornite navi della Marina militare che seguono la flotta a debita distanza. Per le regate oceaniche gli organizzatori allertano i servizi internazionali di assistenza e soccorso dotati di navi, elicotteri e aerei, avvisandoli della regata in corso e attivandoli in caso di richiesta di intervento.
Tra i mezzi di assistenza in una regata vanno compresi: motoscafi di grandi dimensioni o agili e veloci gommoni a disposizione di giornalisti, fotografi e operatori; grandi yacht a motore o persino piccoli traghetti o scafi di trasporto pubblico per gli ospiti e gli spettatori; mezzi di assistenza per i teams (i migliori equipaggi hanno propri gommoni per ricambi di vele e attrezzature, acqua e cibo, interventi urgenti); mezzi per i coaches e gli istruttori (ognuno con proprio gommone, salvo regate in cui sia previsto un mezzo collettivo per i coaches), che possono seguire la regata tenendosi a distanza e nelle aree delimitate e indicate dalle istruzioni di regata.
Ufficiali di gara. - Se un club desidera organizzare una regata deve informare il comitato di zona FIV della propria regione, richiedendo la presenza di un adeguato numero di ufficiali di regata. Il club organizzatore deve assicurare il comitato di regata, cioè un gruppo di giudici che lavora su un'imbarcazione (detta appunto barca comitato o a volte, ma non correttamente, barca giuria) ancorata a formare l'estremità destra (guardando il vento) della linea di partenza. La barca comitato, e quindi il comitato di regata, coordina tutte le procedure della regata, dalla partenza all'arrivo, con tutti i previsti segnali acustici e visivi (bandiere del codice della navigazione come prescritto dal regolamento di regata). Il club deve assicurare anche la giuria: un gruppo di giudici di regata, operanti in acqua su appositi battelli con bandiera identificativa, che segue le barche in regata e interviene in caso di violazioni a norme del RRI, comminando penalità da eseguirsi immediatamente. Della giuria fanno parte anche giudici che restano a terra e che operano solo al termine della regata, nella stanza della giuria, per la discussione delle proteste eventualmente presentate da concorrenti o da altri soggetti coinvolti nella regata. Le proteste vengono discusse e decise solitamente in giornata, ma alcune decisioni più lunghe o difficili possono richiedere anche un supplemento di esame da parte dei giudici e terminare nei giorni successivi, comunque entro il termine del campionato se la regata è su più giorni.
Per una regata media sono necessari all'incirca uno o due giudici del comitato di regata, assistiti da adeguato equipaggio per la manovra della barca comitato, l'ancoraggio e il disancoraggio, oltre a possibili collaboratori per registrare le fasi di partenza e di arrivo e prendere nota dei numeri velici eventualmente partiti in anticipo e della lista degli arrivi, anche con indicazione esatta dell'ora. La giuria è invece composta da due-quattro giudici, tra quelli impegnati in mare e quelli a terra. In caso di regate di più classi il numero di ufficiali di regata deve aumentare in proporzione al numero delle classi in gara.
Percorsi e boe. - Il percorso di regata può variare ed è indicato solitamente nelle istruzioni di regata, tranne per particolari classi (classi olimpiche) che hanno percorsi prestabiliti dall'ISAF per le regate ufficiali di circuito.
I principali percorsi di regata sono: bastone, sull'asse bolina-poppa (o windward-leeward), con lati solo di bolina e di poppa; trapezio, con lati di bolina e di poppa più lati di lasco stretto o traverso e arrivo al traverso o di bolina; triangolo, con lati di lasco tra quelli di bolina e di poppa.
Il più delle volte si parte controvento (linea di partenza perpendicolare alla direzione del vento), e il primo lato è una bolina con i bordi; le boe successive possono essere situate a formare un bastone (percorso nell'asse del vento con lati di bolina-poppa, da eseguire due-tre volte secondo il numero di giri previsto dalle istruzioni di regata ‒ e segnalato dal comitato con apposita bandiera ‒, e arrivo in poppa o di bolina) oppure un trapezio (con lati di bolina e di poppa più corti, inframmezzati da lati di lasco stretto o traverso, e arrivo al traverso o di bolina). La posizione del campo di regata può essere modificata in funzione di eventuali salti del vento. Se i salti di vento sono tra 5° e 20-40°, il comitato deve spostare le boe in modo da garantire la regolarità del percorso (bolina controvento, con obbligo di bordeggiare, poppa in fil di ruota); se i salti di vento sono superiori, il comitato può decidere ‒ a seconda del momento della regata e del programma in corso ‒ di sospendere e annullare la prova (sistemando un nuovo campo di regata e dando una nuova partenza), di annullare la prova e far rientrare le barche a terra (se l'orario, le condizioni di luce o le condizioni meteorologiche lo impongono), oppure di far proseguire la regata con spostamenti di boe che segnalano modifiche di percorso o con accorciamento di questo e anticipazione dell'arrivo. Tutte le possibili decisioni del comitato devono essere previste e comunque non in contrasto con le istruzioni di regata.
Le regate d'altura possono riguardare, oltre ai percorsi tra le boe, anche piccoli percorsi costieri con passaggi di capi o isole secondo una carta dettagliata contenuta nelle istruzioni, regate costiere di trasferimento tra due località o due porti, oppure regate lunghe (da svolgersi solitamente nel corso di una serie o di un campionato) con percorrenza di 100-200 miglia e partenza e arrivo presso il club organizzatore.
Il pubblico. - La vela non è uno sport nato per il pubblico. Il più delle volte una regata si svolge al largo, lontano dallo sguardo di chi osservi dalla costa, ed è un evento riservato solamente a chi lo pratica o al massimo al pubblico o agli invitati ospitati su barche appoggio al seguito.
Nondimeno, lo sviluppo e la diffusione dello sport velico hanno fatto crescere la consapevolezza dell'importanza della comunicazione e della presenza del pubblico alle regate. Sin dal tardo Ottocento si trova traccia di una calorosa partecipazione del pubblico alle regate (dalla costa o dalle banchine) dalle sponde del Solent, lo stretto che separa l'Isola di Wight dalla costa meridionale inglese, dove ebbe avvio gran parte della storia dello yachting. Qui gli aristocratici seguivano comodamente il passaggio degli yacht dal lungomare, grazie alla vicinanza dell'area di regata ‒ in un tratto di mare spettacolare per le impetuose correnti e i venti sempre sostenuti ‒ e alla pratica di bordeggiare molto vicino alla costa.
Oggi la vela è cresciuta e si sono moltiplicate le iniziative per facilitare l'incontro tra regata e pubblico. Inoltre, il mezzo televisivo ha introdotto la possibilità di vedere in diretta o in differita le regate più importanti, creando un ulteriore bacino di pubblico alla vela.
Tra gli eventi di maggiore risalto va ricordata la Coppa America, che ha sempre interessato gli appassionati per la sua storia leggendaria; oggi essa è un evento da grande pubblico e offre la possibilità di seguire le regate sia in mare (con barche private, di teams o a pagamento, sistemate a ridosso e ai bordi del campo di regata) sia da terra (a seconda del luogo e del campo di regata). Se a Newport, nel Rhode Island, dove la Coppa si è disputata per centotrentadue anni, era possibile alcune volte seguire le regate da terra, ad Auckland, in Nuova Zelanda, per le edizioni 2000 e 2003 non c'è stata invece alcuna possibilità, poiché il golfo di Hauraki, dove si regatava, era a grande distanza dalla costa. È probabile che a Valencia, dove si svolgerà l'edizione 2007, il pubblico possa seguire le regate dalla spiaggia e dalle banchine del porto.
Altro evento da ricordare per la presenza del pubblico sono state le Olimpiadi del 1992 a Barcellona, in occasione delle quali fu introdotta una vera e propria tribuna per 5000 persone nel murale esterno del porto olimpico davanti al quale si sono svolte le regate di finale a match race della classe Soling. L'esperimento è stato poi ripetuto a Sydney, davanti all'Opera House.
Anche nelle regate del circuito Match Race è consentito al pubblico di vedere le partenze, i duelli e gli arrivi, grazie al lavoro degli organizzatori che spesso progettano campi di regata interni o vicinissimi alla costa. In Italia l'esempio più significativo è a Marina di Ravenna, dove gli organizzatori del trofeo Challenge Roberto Trombini (grado 1 ISAF, con i migliori specialisti mondiali) sistemano il campo di regata all'interno delle dighe del grande porto e una tribuna da circa 1000 posti sulla banchina centrale ‒ che rimane a poche decine di metri dal cuore dell'azione, cioè dalla linea di partenza e arrivo di ogni match ‒ e inoltre aggiungono un servizio di cronaca in diretta affidata a uno speaker esperto.
Altri esempi di vela spettacolare pensata per il pubblico sono la vela indoor, in palazzi dello sport o piscine o saloni nautici; gli eventi all'interno di fiere a inviti; altre regate con possibilità di vedere le immagini in diretta trasmesse su uno schermo a terra.
I media. - Lo sviluppo dello yachting ha portato anche alla nascita e alla diffusione sempre maggiore di una stampa specializzata nella nautica e nella vela. Oggi esistono centinaia di testate di settore e solo in Italia si possono contare circa quindici riviste di mare e nautica, quattro o cinque delle quali dedicate esclusivamente alla vela. La diffusione di riviste specializzate è adeguata alla popolarità dello sport in ciascun paese: le riviste inglesi, francesi e statunitensi sono quelle a maggiore tiratura e le più conosciute nel mondo. In Italia il fenomeno dell'editoria nautica è legato molto al successo pubblicitario, mentre la diffusione è numericamente inferiore alla totalità dei possibili utenti appassionati o possessori di barche. Con l'avvento della televisione digitale e satellitare stanno emergendo anche canali tematici dedicati alla nautica e alla vela.
Il mondo dei media nel suo complesso, comunque, è sempre stato attratto dalle attività dello yachting. Eventi di grande respiro come la Coppa America hanno da sempre richiamato quotidiani e media dei paesi coinvolti nelle sfide, con una copertura crescente. Per la Coppa America del 2003 sono stati accreditati quasi 2000 giornalisti da tutto il mondo e altrettanti se ne prevedono per Valencia 2007.
Oltre che per i grandi appuntamenti, l'interesse dei media è cresciuto per la vela in generale, parallelamente allo sviluppo degli stessi mezzi di comunicazione e alla loro specializzazione territoriale. Così è frequente che le cronache cittadine riportino nelle pagine sportive notizie di regate di velisti di quella città, e che i grandi quotidiani offrano spazio a eventi sportivi o commerciali (come fiere e saloni) dedicati alla nautica e alle grandi imprese veliche. L'insieme dei media (agenzie di stampa, quotidiani, periodici, radio, televisione e internet) garantisce complessivamente una notevole quantità e qualità di copertura giornalistica a buona parte delle manifestazioni di vela.
A questo sviluppo hanno contribuito in modo determinante sia l'affermazione di barche e personaggi sempre più riconosciuti dal grande pubblico (in Italia si possono citare i casi di Azzurra nella prima sfida di Coppa America del 1983, Cino Ricci e Mauro Pelaschier, il Moro di Venezia, Paul Cayard, Luna Rossa, Francesco de Angelis, Giovanni Soldini, Simone Bianchetti, Alessandra Sensini) sia la crescita di interesse da parte degli sponsor per la vela.
L'insieme delle tecniche della vela racchiude diversi elementi: la tecnica di conduzione della barca (in funzione del tipo di imbarcazione, dell'andatura e delle condizioni di vento e onde), la tattica di regata, la preparazione e la conoscenza del regolamento per le eventuali proteste in acqua o a terra.
La tecnica di conduzione segue mediamente le impostazioni di base della preparazione, con le varianti e le specializzazioni riferite a diverse tipologie di regata. Ciò che è necessario approfondire prima di individuare le caratteristiche di fondo delle varie regate è la tattica, una delle peculiarità dello sport velico.
La tattica di regata si può definire come l'insieme delle strategie messe in atto per sfruttare gli elementi naturali (onde, vento, corrente) e le capacità personali nel governo di una barca a vela alle varie andature, al fine di superare i propri avversari al termine di una regata. Esistono poi diversi tipi di tattica applicati alle varie fasi della regata: la tattica di partenza, la tattica della bolina, la tattica della poppa, la tattica di attacco o di difesa (marcamento). La tattica di partenza ha un obiettivo: partire al momento dello sparo o del segnale acustico, a velocità lanciata, dalla parte ritenuta favorevole della linea e secondo la strategia che si è impostata per la prima bolina, liberi soprattutto dalla copertura o dal disturbo di altre barche. Le tattiche della bolina e della poppa hanno obiettivo principale sostanzialmente identico: sfuggire alla copertura e al disturbo di altre barche, per navigare liberi e veloci e possibilmente marcare e coprire qualche avversario.
Una tattica generale è composta di tante variabili: il vento e le correnti, le mosse degli avversari, le posizioni in classifica, le previsioni meteorologiche. L'insieme di queste variabili, opportunamente considerate e utilizzate dal tattico di bordo, può contribuire in maniera determinante al successo in regata.
Uno degli elementi chiave della tattica è il vento. La conoscenza della meteorologia e dei fenomeni che suscitano il vento e le sue mutazioni è essenziale per il buon velista. Il vento infatti cambia continuamente di direzione e intensità: saper cogliere questi cambiamenti a proprio vantaggio è uno degli obiettivi fondamentali della tattica di regata. Mentre è intuitivo verificare un cambio nella velocità o nell'intensità del vento, che può essere progressivo o a raffiche, più complesso è l'esame dei cosiddetti salti di vento, che sono alla base di ogni analisi e scelta tattica.
Il vento salta o gira quando la sua direzione muta di qualche grado, da 5° a 10° o anche a 30°, rispetto alla sua direzione predominante del momento o del giorno. I salti di vento possono essere del tutto casuali, determinati da raffiche improvvise o da un vento da terra, oppure essere ritmici e ripetuti, dovuti a particolari situazioni di orografia del territorio (una gola, una baia) o a particolari variazioni meteorologiche, quali l'evoluzione delle brezze marine diurne ‒ che tendono nel pomeriggio e alla sera a ruotare verso destra (girasole) nell'emisfero boreale e verso sinistra in quello australe ‒ o l'evoluzione di venti perturbati o di gradiente al passaggio di un fronte nuvoloso. I salti possono essere di breve durata oppure di più lunga applicazione.
Per impostare una tattica favorevole in caso di salto di vento di 10° verso la prua, con andatura di bolina (angolo di 45° rispetto alla direzione del vento) la barca dovrà necessariamente poggiare e allargarsi, allontanandosi dalla rotta ottimale del bordeggio verso la boa o un punto di arrivo. In questo caso si dice che il vento ha dato scarso (ha scarseggiato o rifiutato). Se viceversa il salto fosse stato nel senso opposto, mantenendo i 45° la barca avrebbe potuto stringere la propria andatura di bordeggio verso la boa di 10°: in questo caso il vento ha dato buono (o ridonda). Una prima forma elementare di tattica prevede di virare in caso di scarso di vento, per beneficiare di un buono sul bordo nelle altre mure, e invece di restare sul bordo nel caso di buono di vento. Buoni e scarsi esistono anche nell'andatura di poppa e hanno un trattamento analogo. Poiché la barca non navigherà in poppa a fil di ruota, ma tenderà a stringere un po' il vento al gran lasco, un buono di vento sarà quello che consentirà alla barca di tenere un'andatura ottimale avvicinando la prua verso la boa o il punto di arrivo sottovento. Viceversa sarà uno scarso quello che costringerà la barca a una rotta con la prua più lontana dalla boa.
Naturalmente queste nozioni elementari presentano numerose varianti e possono essere approfondite con maggiori conoscenze meteorologiche e con lo studio delle particolarità dei singoli campi di regata (alcuni dei quali hanno punti esatti per virare o abbattere in funzione dei salti di vento dovuti alla presenza di montagne o correnti che i regatanti imparano a conoscere), nonché tenendo conto delle mosse degli avversari.
Con vento leggero una delle basi tattiche consiste nel cercare, osservando la superficie dell'acqua, le aree del campo di regata con maggiore pressione del vento. Con vento a raffiche si deve considerare la conformazione di una raffica, che allargandosi a ventaglio si presenta come un buono o uno scarso a seconda della direzione da cui colpisce la barca. Con un vento nuovo in aumento e moto ondoso da direzione diversa si deve considerare che su differenti mure la barca ha comportamenti e velocità differenti, regolandosi di conseguenza.
I salti di vento di più lunga durata, ovvero le mutazioni di vento, comportano spesso un cambio di posizione della boa e del campo di regata. Lo studio meteorologico preventivo, oltre a quello del campo di regata, porta il tattico a elaborare una strategia: se per esempio si prevede durante la regata una rotazione costante del vento a destra, fin dalla partenza si sceglierà di andare verso la destra del campo di gara, e per questo si dovrà lottare aspramente con i concorrenti; se invece si osserva un vento più fresco provenire da una certa zona del campo di regata, si dovrà manovrare per raggiungere quella zona al più presto e ottenere il massimo vantaggio dalle raffiche, e così via.
Riguardo alla tattica nei confronti degli avversari, se due barche navigano vicine una disturberà l'altra creando una zona perturbata o di rifiuto. L'esempio più classico è nell'andatura di bolina, quando una barca precede l'altra sulla prua: il vento colpisce prima le sue vele che lo deviano e lo perturbano restituendolo alla barca che segue molto attenuato. Il 'cono d'ombra' o 'cono di copertura' in cui una barca crea il rifiuto per la barca che la segue è un triangolo lungo da tre a cinque volte la lunghezza del suo albero. Analoga situazione si crea nell'andatura di poppa, quando la barca che insegue a due-tre lunghezze disturba con le sue vele il vento sulle vele della barca che la precede. La conseguenza del disturbo è un forte danno per questa barca, che viene rallentata e costretta a tenere una rotta meno conveniente. Ecco perché è una formidabile tattica di difesa quella di coprire o dare il rifiuto a una barca avversaria. Naturalmente le diverse tattiche (buoni e scarsi di breve durata, salti di vento più duraturi e scelte di un'area del campo di regata, cura e marcamento degli avversari) devono integrarsi, dando luogo a infinite combinazioni. Se per marcare un avversario la barca è portata verso una parte del campo di regata che il tattico ritiene meno conveniente, si deve valutare se il vantaggio di continuare a marcare il rivale sia o no maggiore del rischio di essere superati da altre barche che vanno dalla parte conveniente. Scelte di questo tipo si presentano numerosissime in una regata e in una serie di regate o campionato. La loro risoluzione e l'abilità di un bravo tattico sono frutto di preparazione, conoscenza e soprattutto esperienza.
Regate di flotta. - La regata di flotta è una situazione classica nello sport della vela. Una regata si considera di flotta quando al via ci sono almeno cinque barche della stessa classe o comunque ammesse a quell'evento. Quando i partecipanti superano un certo numero (generalmente intorno alle 80-100 unità) si ricorre alla procedura di partenza con batterie.
La conduzione tecnica e tattica di una regata di flotta risponde ai seguenti obiettivi: ottimizzazione della velocità della barca (ottenuta mediante la messa a punto preventiva a terra, la regolazione delle vele, la posizione dell'equipaggio, la conduzione e le manovre alle varie andature); determinazione di una strategia generale decisa prima della partenza (comprendente la scelta del bordeggio e la decisione su eventuali marcamenti di determinati avversari); conduzione della tattica durante la regata (con scelte e adeguamenti delle varie andature); tattica dell'arrivo (scelta della posizione sul campo di regata nell'ultimo lato del percorso, scelta della parte della linea dove tagliare l'arrivo, attacco e difesa rispetto agli avversari).
Gli strumenti per attuare al meglio l'insieme di queste tecniche e tattiche variano sensibilmente da barca a barca e secondo il tipo di regata. Sulle derive non sono ammessi strumenti (a eccezione di orologio e bussola) e il lavoro tecnico e tattico spetta totalmente all'equipaggio, mentre sui monotipi o sugli yacht d'alto mare la presenza di equipaggi numerosi (ciascuno con un compito assegnato, e tra questi uno tattico e uno di navigatore) e l'uso di sofisticate strumentazioni per il rilevamento del vento e della rotta e per la scelta dei bordi consentono controlli minuziosi prima delle decisioni tattiche.
Il primo problema di una regata di flotta, specie se con molti partecipanti, è la partenza. Partire in seconda fila, nei rifiuti di una flotta numerosa, è infatti sicuro indizio di una regata condotta nelle retrovie e di un risultato negativo. È dunque essenziale progettare e realizzare la partenza nel modo migliore, cercando di ottenere le vele libere. Per farlo, si controllerà costantemente il timer dell'orologio e l'allineamento tra la barca comitato e la boa. Spesso la maggior parte della flotta tende a partire molto raggruppata dal lato favorevole della linea (una linea di partenza ha un lato favorevole qualora l'allineamento non sia esattamente perpendicolare alla direzione del vento): assai spesso si tende a 'favorire' leggermente il lato della barca comitato, per suggerire ai concorrenti di partire più vicino e quindi poter controllare eventuali partenze anticipate. Se si è alle prime esperienze non è da scartare l'ipotesi di liberarsi dal grosso della flotta e optare per una partenza lanciata a centro linea. Di solito la partenza dell'intera flotta avviene con le mure a dritta. Rari ma memorabili sono i casi in cui una o più barche decidono di partire mure a sinistra e sfilano davanti alla flotta: quando questo avviene, quelle barche hanno saputo cogliere per prime un salto di vento a sinistra.
Una volta partiti, se si è liberi si proseguirà con la strategia impostata e si andrà dalla parte del campo desiderata, salvo incroci con altre barche ed eventuali virate sulle proprie vele, con obbligo di virare per sfuggire al rifiuto. Se invece la barca è partita male ed è nei rifiuti di altre vele dovrà virare fino a navigare in zona libera.
Gli altri momenti delicati della regata sono i passaggi di boa. L'avvicinamento alla boa è molto importante: si dovrà mantenere la concentrazione per osservare gli avversari e il bordeggio necessario ad arrivare sulla lay line (la linea di prolungamento lungo un bordo che porta a girare la boa senza altre virate). Il RRI prevede dettagliatamente alcune regole di ingaggio valide in prossimità della boa: in particolare, alla distanza di due lunghezze dalla boa (due lunghezze della barca concorrente) vengono introdotte alcune regole base sulle precedenze. Normalmente tra due scafi ingaggiati la barca 'interna in boa' ha la precedenza: la barca esterna dovrà tenersi discosta e farla passare prima di rimettersi in rotta. È importante anche il modo di girare la boa: arrivando di bolina, se la scelta della lay line è stata giusta, si avrà il tempo di lascare le vele e regolare l'attrezzatura per il successivo lato di lasco o poppa, preparando anche l'eventuale issata di spinnaker; se invece si procede di poppa verso la boa, piuttosto che stringere molto la rotta per essa finendo per uscire larghi è conveniente tenersi larghi all'approccio e stringere poi l'uscita dalla boa dopo l'orzata, prendendo il nuovo assetto di bolina.
Se la linea d'arrivo è posta alla fine di un lato di poppa o di lasco, la rotta da seguire sarà verso l'estremità più vicina della linea in base all'orientamento della barca. Se invece l'arrivo è di bolina, la scelta sarà più difficile, perché oltre all'estremità più vicina si dovrà considerare l'orientamento della linea, che potrebbe non essere esattamente perpendicolare al vento. Esistono formule geometriche per definire la parte dell'arrivo più favorevole, da calcolare con l'aiuto della bussola di bordo.
Regate di match race. - Il match race è la regata tra due barche, un duello in cui una barca vince e l'altra perde. In un evento di match race ogni vittoria vale un punto e la sconfitta zero: si viene a costituire così la classifica delle qualificazioni. Nelle fasi finali (quarti, semifinali e finali) il duello è invece di solito tra due barche al meglio delle tre o delle cinque regate: il primo a vincerne due o tre passa al turno successivo.
Il momento chiave di ogni match race è la partenza: vincere la partenza fa aumentare di molto le possibilità di vittoria finale. La partenza di questa gara è molto diversa da quella di una regata di flotta. Le due barche sorteggiano il lato dell'area di partenza dal quale entrare (mure a dritta o mure a sinistra), segnalato con una bandiera rispettivamente gialla e blu che le distingue per quella regata. Allo scoccare dei cinque minuti le barche entrano nella zona di partenza, dalla boa la barca con mure a sinistra e dal comitato quella con mure a dritta, e iniziano a poggiare dirigendosi sottovento e avvicinandosi tra loro. Per l'intera durata della partenza vengono applicate le regole speciali del match race (appendice C del RRI). Nei minuti che precedono il taglio della linea di partenza le barche si inseguono, si incrociano e si ingaggiano continuamente. Lo scopo di questa sorta di danza è duplice: da un lato si cerca di indurre l'avversario all'errore, provocandone il rallentamento in manovra o l'assegnazione di una penalità da parte degli arbitri; dall'altro si cerca di arrivare sulla linea con tempismo perfetto per tagliarla allo sparo e sul lato scelto per la tattica. Durante la gara le due barche sono seguite a pochi metri dai due gommoni degli arbitri. Quando in un incrocio ravvicinato o a un giro di boa o durante le manovre della partenza le barche vengono a contatto e c'è una richiesta di intervento dei giudici da parte di uno o di entrambi gli equipaggi, dal gommone degli arbitri si alza una bandiera, seguita da un segnale acustico. Bandiera verde significa che non c'è stata nessuna irregolarità e quindi nessuna penalità; bandiera blu (o gialla) significa che è stata infranta una regola da parte della barca blu (o gialla) e quindi che le è stata assegnata una penalità. Quando una barca riceve una penalità deve eseguirla prima di tagliare la linea d'arrivo. Una penalità consiste in un giro completo della barca su sé stessa, in particolare una virata in prua se si navigava in poppa oppure un'abbattuta se si navigava di bolina. La manovra dovuta alla penalizzazione comporta un grave ritardo per la barca colpevole: a seconda del tipo di barca e del vento la manovra può richiedere dai 20 ai 40 secondi, o anche di più in caso di vento leggero. La tattica usata per compiere la penalità è uno degli aspetti più interessanti del match race. Se una barca penalizzata è avanti all'avversario, dovrà calcolare di avere sufficiente vantaggio per eseguire la penalità senza essere raggiunta e superata. Se il vantaggio è sufficiente a tentare di eseguire la penalità in andatura di bolina, questo è il modo più veloce, perché la penalità in poppa generalmente richiede tempi più lunghi, dovendosi spesso anche ammainare lo spinnaker. Una tattica molto usata consiste nell'eseguire la penalità, da parte della barca che conduce il match, proprio in prossimità dell'arrivo. Questo consente alla barca di ammainare lo spinnaker, virare, poggiare e trovarsi a pochi metri dalla linea d'arrivo da tagliare prima che il concorrente sopraggiunga. È una manovra molto frequente nei match, il cui risultato è quasi sempre un arrivo in volata molto emozionante.
Se la barca penalizzata è quella che insegue, non avrà interesse a eseguire la penalità, dovendo prima tentare di rimontare e superare quella di testa. Se non ci riesce, è buona norma di correttezza eseguire comunque la penalità prima dell'arrivo, pur avendo ormai perso il match. Quando una barca riceve una penalità, sul gommone degli arbitri resta esposta una palla o una bandiera con il colore della barca sanzionata. Se una barca già penalizzata riceve una seconda penalità, non potrà più attendere e dovrà eseguire immediatamente questa seconda sanzione.
La tattica del Match Race è tutto sommato semplice, e ciò facilita la comprensione da parte del pubblico. Una barca è avanti e una insegue. Una barca vince e l'altra perde. Nella bolina la barca avanti potrà marcare l'inseguitrice coprendola con il suo cono d'ombra, costringendola a continue virate per sfuggire al rifiuto, spesso portandola dalla parte sbagliata del campo di gara. Nell'andatura di poppa, invece, sarà la barca che insegue ad avere la possibilità di coprire con le vele la barca in testa e recuperare terreno. Chi è davanti potrà cercare di uscire dalla copertura, tenendosi comunque in posizione favorevole di difesa sottovento, con il diritto di rotta previsto dal RRI.
L'arrivo di un match race è sempre in poppa, e non sono rari arrivi molto ravvicinati; la barca comitato segnala la barca vincente issando la bandiera del suo colore ed emettendo un segnale acustico.
La Coppa America. - Tecnicamente la Coppa America è un confronto a match race tra due barche, un defender (detentore del trofeo) e un challenger (sfidante ufficiale), al meglio delle otto prove (vince il primo che si aggiudica cinque regate), con tutto quello che consegue in termini di regole del match race.
Ma una Coppa America è anche altro: intanto perché il defender acquisisce il diritto di decidere dove e quando disputare l'edizione successiva, nonché di stabilire buona parte delle regole della competizione. Poi perché il ruolo di sfidante ufficiale deve essere conquistato superando l'agguerrita concorrenza di otto-dieci altri challengers, in una sorta di grande prologo alla Coppa vera e propria costituito dalle Challenger Series, che dal nome dello sponsor delle ultime cinque edizioni sono chiamate Louis Vuitton Cup. Le regate tra sfidanti seguono un calendario che prevede gironi eliminatori, quarti di finale, semifinali e finali. Il vincitore della Louis Vuitton Cup diventa lo sfidante ufficiale e contenderà la Coppa al difensore.
Rispetto al circuito Match Race, la Coppa America differisce per il fatto di non utilizzare monotipi ma progetti appartenenti a una classe (International America's Cup Class) a restrizione, disegnati secondo i parametri di stazza anche se potenzialmente con prestazioni molto diverse.
Tale aspetto rende la Coppa America molto più che una semplice regata. Storicamente è stata un acceso confronto tra grandi magnati e tycoons ricchissimi. Per queste caratteristiche è sempre stata un trofeo molto costoso, praticamente fuori da ogni controllo finanziario, che ha spinto i contendenti a progettare e costruire barche sempre più veloci. Per raggiungere lo scopo viene adottata ogni risorsa: ricerche scientifiche a livello aerospaziale per la forma degli scafi e delle appendici e per i materiali; progettazione e costruzione custom di ogni minimo particolare dell'attrezzatura; ricerca speciale sulle vele; lotta serrata per ingaggiare i migliori velisti e specialisti del momento (timonieri, tattici, navigatori, prodieri, tailers o regolatori delle vele); programmi di preparazione e allenamento dei teams per una durata di due-tre anni prima della regata. Oggi un consorzio di Coppa America è composto da 100-200 persone e ha un budget operativo riferito all'obiettivo sportivo non inferiore ai 60-70 milioni di euro, che può arrivare a superare i 120 milioni di euro nei teams migliori.
L'ultima edizione dell'evento (2003) ha regalato una clamorosa sorpresa, con la vittoria di un consorzio svizzero (Alinghi) e con il ritorno del trofeo in Europa, dove nacque e fu messo in palio per la prima volta nel 1851. La vittoria svizzera ha aperto una nuova fase della Coppa. Gli svizzeri hanno scelto per la prossima edizione Valencia (Spagna). Inoltre, a differenza delle precedenti edizioni, sono state introdotte numerose regate di preparazione, in misura di due-tre all'anno, a formare una sorta di circuito tipo Grand Prix, con chiaro riferimento alla Formula 1 automobilistica. Nel mondo della vela non tutti sono convinti della validità di tale scelta, anche per l'aumento conseguente dei costi. Per la trentaduesima edizione della Coppa America, nel giugno 2007 a Valencia, sono state presentate otto sfide alla scadenza del dicembre 2004, di cui due italiane.
Regate di derive e a squadre. - Tutto quanto detto a proposito di strategia, tattica e conduzione della regata trova la massima esaltazione per le regate riservate alle piccole barche con deriva mobile, le derive appunto. Queste barche regatano a gruppi omogenei di scafi con prestazioni praticamente identiche, offrendo il massimo in termini di agonismo e di puro spirito dello sport velico. Nelle regate di derive conta molto la condizione fisica: l'equipaggio (di singolo, doppio o triplo) deve essere preparato atleticamente, perché le manovre molto veloci e le posizioni di richiamo sopravento (alle cinghie e al trapezio) sono impegnative da un punto di vista muscolare. Inoltre, dall'ambiente naturale, con le onde del mare che spesso finiscono nelle piccole barche con bordo libero basso e quasi a pelo d'acqua, il vento e il freddo (si corre tutto l'anno e spesso anche in paesi dal clima rigido), deriva un dispendio energetico notevole. Molti studi scientifici hanno evidenziato l'elevato fabbisogno energetico a carico di un velista di deriva o di classe olimpica. E poiché la vela resta uno sport che richiede in grande misura concentrazione e ragionamento, l'efficienza fisica sarà tanto più fondamentale. La stanchezza per l'impegno e il freddo alla fine di una regata portano quasi sempre a commettere errori che si traducono in posizioni perse. L'allenamento dei migliori velisti di tutte le classi a deriva non conosce soste e si protrae per tutto l'anno.
Negli ultimi tempi le regate di derive sono cambiate profondamente. I percorsi sono stati accorciati notevolmente: se in precedenza una regata poteva richiedere 2-3 ore di tempo, oggi dura dai 30 ai 50 minuti. In compenso si corrono anche due o tre prove in un giorno. Nella gestione di una giornata di gara il velista deve perciò prevedere anche una corretta alimentazione, per non incorrere in crisi ipoglicemiche a danno dei muscoli e del cervello. Alcune classi hanno poi sviluppato tecniche particolari, come il windsurf che ha liberalizzato il pompaggio della vela, trasformando gli atleti quasi in canottieri, con grande uso degli arti superiori.
Le regate di derive sono di norma frequentate da equipaggi di giovane età, dagli 8-17 anni delle classi specifiche giovanili ai 18-25 delle altre classi di interesse agonistico, fino ai 25-40 delle classi olimpiche.
Nelle regate a squadre, adatte prevalentemente alle classi giovanili, i velisti devono considerare la regata con uno spirito di squadra, cercando di aiutare le barche del proprio team e marcando i teams rivali. Il caposquadra di solito stabilisce già a terra i ruoli tattici (esterni, centrali) e le strategie relative al campo di regata e agli avversari, in base alle caratteristiche dei timonieri. Dopo la partenza e dopo il passaggio della prima boa, ciascuna squadra valuterà le possibili tattiche, di difesa o di attacco secondo la posizione in classifica e gli avversari, cercando di favorire i propri compagni meglio piazzati e di danneggiare, marcandoli strettamente, gli avversari più pericolosi.
Regate giovanili. - La vela giovanile ha conosciuto anni di grande sviluppo tra il 1980 e il 1995 per poi assestarsi su valori costanti. Le classi giovanili (su tutte l'Optimist, seguito dal doppio L'Équipe) offrono un calendario di regate lungo otto mesi in ogni parte del mondo, con appuntamenti adatti a ogni livello di preparazione. Il settore giovanile della vela è stato il vivaio per numerosi campioni olimpici. Yacht club, cantieri, sponsor, federazioni e famiglie investono su piccoli e giovani velisti appena usciti da un corso di vela e osservati da tecnici attenti o talent scouts. Una regata giovanile è frequentata non solo dai giovani partecipanti ma anche da allenatori, accompagnatori, genitori e direttori sportivi dei comitati di zona. Non manca chi si pone l'interrogativo sulle conseguenze per i giovanissimi di tante pressioni agonistiche e chi chiede espressamente di depotenziare il livello di aspettative per le regate almeno dei più giovani.
Ogni aspetto delle regate di cadetti e juniores è cadenzato e approfondito: i ragazzi giungono al club in squadre del loro circolo, accompagnati da un tecnico che dispone anche di un gommone; svolgono briefings di analisi delle istruzioni di regata, dei percorsi e del programma di una regata o campionato; spesso svolgono un'attività fisica di richiamo durante la trasferta. Molto partecipate e quindi molto combattute, le regate tra giovanissimi si svolgono su percorsi abbastanza brevi e in campi di regata vicini alla riva e dotati di mezzi di assistenza potenziati rispetto al normale.
Attualmente stanno emergendo alcune critiche rivolte all'esasperazione agonistica dei piccoli velisti, e anche all'insistito utilizzo di classi da singolo come l'Optimist. Da più parti si richiede l'introduzione e l'incitamento all'uso di classi per equipaggi numerosi o anche familiari, per alleggerire il clima agonistico piuttosto spinto degli eventi di vertice.
Regate d'altura. - Nelle regate d'altura, che si disputano tra barche più grandi e stabili, tutti gli aspetti fisici e atletici presenti per le derive sono ampiamente ridimensionati. Sui grandi yacht esistono ruoli che richiedono prestanza fisica (per esempio il grinder è spesso un atleta con un fisico da culturista, mentre al prodiere sono richieste grandi doti di agilità), ma in linea di massima la condotta di una regata d'altura è essenzialmente un gioco di squadra. Sono necessari un grande affiatamento dell'equipaggio e la ripetizione frequente di manovre come i giri di boa, l'issata e l'ammainata di spinnaker, il cambio di vele di prua, la riduzione della randa con vento forte, le posizioni a bordo. Tutte le manovre avvengono a grande velocità ed è necessario un grande coordinamento tra i diversi ruoli: il tempismo dell'uomo all'albero nell'ammainare o cazzare una drizza o un mantiglio è determinante per il prodiere nel riuscire a mettere a segno un tangone dopo l'abbattuta, e così via.
Se nelle regate di derive è necessario un coordinamento fisico fra timoniere e prodiere, su una barca d'altura il timoniere chiederà all'equipaggio una manovra che dovrà essere eseguita velocemente e a regola d'arte. A sua volta il timoniere risponderà a tutte le decisioni del tattico: è quest'ultimo che 'chiama' le virate o le abbattute e sceglie le manovre da eseguire in boa in funzione della strategia sul lato successivo.
Il prodiere, altro ruolo importante in una barca d'altura, è coinvolto in tutte le manovre ed è il vero dominatore della prua della barca; è colui che indica al timoniere le distanze che mancano al taglio della linea di partenza ed è determinante in ogni strambata. Di solito il prodiere è fisicamente leggero per non appesantire la prua (dettaglio valido solo fino a una certa dimensione, perché nelle barche più grandi i prodieri possono essere anche due), ma forte e agile; il suo è un ruolo per il quale è richiesta una notevole esperienza, necessaria per districarsi al meglio nelle manovre concitate, tra le urla a bordo e i tanti componenti dell'attrezzatura. L'addetto all'albero (l'albero di uno yacht contiene numerosi comandi necessari a gran parte delle manovre) è una sorta di regista delle manovre di bordo, colui che detta i tempi alzando o abbassando una cima; in particolare, comanda le drizze nell'issata e nell'ammainata di spinnaker e aiuta il recupero della grande vela a bordo. Di solito è alto e prestante fisicamente. Il drizzista (quando richiesto in aggiunta all'addetto all'albero) ha in mano le drizze che servono per issare e ammainare; alla sua esperienza e preparazione è demandata la decisione dell'attimo esatto in cui 'sparare', cioè aprire le drizze. Il grinder (sulle barche più grandi) è un atleta dotato di notevole forza e resistenza muscolare che gira vorticosamente le manovelle dei verricelli di manovra delle scotte di vele molto grandi. Il suo è un ruolo nel quale la concentrazione e l'esperienza possono fare la differenza. Il tailer (regolatore delle vele) di solito regola le vele di prua; è un velista di esperienza e di preparazione tecnica che viene spesso dalle derive olimpiche. Di norma sta seduto sottovento guardando il profilo del fiocco o del genoa; richiede di continuo regolazioni di fino per tenerlo perfettamente a segno con l'andatura scelta dal timoniere e con le modifiche del vento. Quando si issa lo spinnaker la sua attenzione passa alla scotta di questa grande vela, così importante e delicata da regolare. Il randista è il regolatore della randa, la vela più grande e determinante della barca, il vero 'motore' in più in molte circostanze; come il tailer è esperto e molto preparato tecnicamente dall'esperienza sulle derive; per regolare la randa ha a disposizione la scotta, il carrello o il trasto, il cunningham, il vang; è costantemente impegnato a guardare in alto, al profilo della vela. Dietro di lui, in pozzetto, ci sono solo il tattico e il timoniere, ed eventualmente il navigatore. Quest'ultimo è una sorta di calcolatore della barca, spesso possiede un computer con il quale aggiorna il tattico e il timoniere sulla rotta, le posizioni degli avversari, il vento e la regata.
Nella conduzione di una regata d'altura entra fatalmente il calcolo della compensazione da aggiungere al tempo reale. Spesso in regate d'altura corrono barche di lunghezza e prestazioni diverse. La tattica non potrà consistere nel marcare una barca più grande e quindi più veloce, ma piuttosto nel condurre la gara nei confronti delle barche simili, sapendo in partenza, anche se in modo approssimativo, la compensazione attiva o passiva in termini di minuti per miglio. Spesso durante una regata d'altura si contano i secondi di vantaggio o di ritardo al passaggio di una boa o all'arrivo, per evidenziare le posizioni anticipando i calcoli dei computer sui tempi compensati.
Le regate d'altura, per il grande numero di yacht in circolazione (l'associazione di categoria, l'UVAI, riunisce quasi 2000 armatori), sono in continuo sviluppo. A fianco dell'attività di vertice, che coinvolge alcune decine di armatori e i relativi equipaggi, esiste una grande varietà di manifestazioni, regate e appuntamenti a grande partecipazione, adatti a equipaggi di tutti i tipi (principianti, gruppi di amici o familiari, giovani ex derivisti). L'esempio più evidente di questo fenomeno è rappresentato in Italia dalla fortuna dei campionati invernali: lungo tutte le coste della penisola, da novembre a marzo, si svolgono una ventina di campionati, con una media di 50-60 barche iscritte e la partecipazione di migliaia di velisti.
Regate oceaniche. - Una navigazione oceanica in genere richiede più tempo per la sua preparazione che per la stessa realizzazione. Questa caratteristica va tenuta ben presente quando si analizza la vela dei grandi oceani. Sia le regate in solitario sia quelle in equipaggio hanno una cadenza quadriennale per gli appuntamenti più importanti; quando due regate simili sono troppo vicine è assai difficile che uno skipper o una barca possa correrle entrambe. Ecco spiegato il motivo per cui, per esempio, il famoso navigatore solitario italiano Giovanni Soldini ha corso per due volte l'Around Alone (nell'edizione del 1994, allora chiamata BOC Challenge, e in quella del 1998), il giro del mondo a tappe, e non è stato al via della Vendée Globe, la versione senza scalo. La differenza tecnica e di preparazione tra questi due eventi apparentemente simili può aiutare a capire alcuni aspetti della vela oceanica. L'Around Alone propone il giro del mondo in solitario in cinque tappe. Ogni tappa è lunga dalle 2500 alle 7000 miglia e richiede tempi di percorrenza da una a tre settimane. Una volta arrivati nel porto di tappa, gli shore teams di servizio mettono in secco le barche, le controllano minuziosamente ed effettuano le eventuali riparazioni o i rinforzi in vista della tappa successiva. La Vendée Globe, invece, prevede una sola lunghissima tappa di oltre 32.000 miglia, che i migliori impiegano circa 65 giorni a percorrere. Non sono ammessi scali in banchina o aiuti esterni, pena la squalifica. Ne consegue che le barche per la Vendée sono assai più robuste e affidabili, progettate e costruite senza risparmio sui materiali e sui limiti di rottura: un solitario non può risparmiare rischiando la regata per guadagnare un decimo di nodo. Le barche dell'Around Alone hanno ottime capacità di rendimento e di prestazioni perché considerano sempre la possibilità di uno scalo tecnico ogni 15 giorni.
Si può affermare che, una volta partita, una regata oceanica moderna sia come un'immensa partita a scacchi. In modo non del tutto dissimile da una regata tra le boe, i partecipanti devono sfruttare i salti di vento buoni e le raffiche, evitare le calme e gli scarsi, marcare gli avversari e scegliere la rotta più favorevole per raggiungere l'arrivo. La loro navigazione si fonda su tempi notevolmente più lunghi: un buono di vento può essere in arrivo per il giro di una perturbazione osservata dalle carte meteorologiche su internet, e il tempo per decidere un'abbattuta, anziché di pochi secondi, può essere di alcune ore o giorni. La maggior parte delle regate oceaniche ha un percorso che passa per i tre grandi capi: Capo di Buona Speranza in Sudafrica, Capo Leeuwin a sud dell'Australia e Capo Horn, estrema punta meridionale dell'America Meridionale. La conseguenza è che il percorso è simile per tutti nei mari del Sud tra i 40° e i 60° di latitudine, dove il mare non ha ostacoli e alza onde enormi, il vento soffia costantemente da ovest, rinforzato da numerose e frequenti tempeste. La prevalenza di venti portanti ha spinto i progettisti a costruire barche larghe e plananti sempre più invelate e sicure. Le tattiche di navigazione negli oceani australi si sono affinate al punto che oggi i navigatori cercano la coda delle perturbazioni per assicurarsi medie di velocità più elevate.
Quanto detto per i solitari vale anche per la Volvo Ocean Race, la maggiore regata intorno al mondo in equipaggio. Le barche sono sempre più sofisticate, leggere e veloci, simili a racers più che a scafi oceanici. Se i solitari devono fare i conti con la stanchezza e rallentare la loro corsa di tanto in tanto, le barche della Volvo Ocean Race ‒ con nove-dieci persone a bordo, tutti marinai professionisti e in alcuni casi grandi campioni della vela olimpica o della Coppa America ‒ non conoscono sosta e corrono invelate al massimo lungo la rotta più breve. È straordinario assistere all'arrivo di qualche tappa di questa gara: dopo 10 o 15 giorni di navigazione in oceano, tra calme e tempeste, il gruppo di yacht arriva incredibilmente compatto, con distacchi minimi, a volte persino di pochi secondi, come se si fosse trattato di una regata costiera.
Nonostante internet (su cui non è infrequente seguire immagini in diretta da bordo di barche nei pressi di Capo Horn) e i telefoni satellitari, il cibo liofilizzato e le cuccette in carbonio, i moderni velisti oceanici conservano ancora una parte dell'alone mitico dei marinai che hanno fatto la storia delle grandi traversate.
La vela è stata presente ai giochi olimpici sin dalla loro prima edizione, nel 1896, che prevedeva 3 categorie veliche negli sport nautici. In quell'occasione, però, le regate furono annullate e le medaglie non assegnate per le avverse condizioni meteorologiche. Quattro anni dopo a Parigi, in occasione dell'Esposizione universale, le regate dimostrative furono organizzate sulla Senna e vi parteciparono Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Stati Uniti e Svizzera. Ogni nazione poteva partecipare con più barche e atleti, molti dei quali professionisti, e con premi in denaro. Nella terza Olimpiade (St. Louis, 1904) la vela fu esclusa, ma fu riammessa a Londra nel 1908 con regate a Ryde sull'Isola di Wight e con la prima chiara regolamentazione concernente anche l'assegnazione delle medaglie. Quattro classi metriche furono in gara a Stoccolma nel 1912. Dopo la sosta bellica, l'Olimpiade di Anversa 1920 fu caratterizzata nella vela da una certa confusione sia per l'adozione di classi nuove (troppe, ben 15) e poco diffuse sia perché furono soltanto 14 i partecipanti.
A Parigi nel 1924 si registrò la prima partecipazione italiana nella vela ai giochi olimpici. Delle tre barche previste (una per ciascuna classe), a causa di un ripensamento del CONI fu al via il solo 8 m Mebi, con al timone Carlo Nasi, che si classificò al decimo posto.
All'Olimpiade di Amsterdam 1928 parteciparono le stesse 3 classi con l'introduzione del Dinghy 12 quale monotipo singolo. Si ebbero regate perfette con 41 concorrenti provenienti da 23 paesi. L'Italia al completo conquistò il quarto posto con l'8 m s.i. Bamba timonato da Francesco Giovannelli; il sesto con il 6 m s.i. Twins (Giovanni Leone Reggio); e sempre il sesto posto nel Dinghy 12 (Tito Nordio).
A Los Angeles 1932 si passò a 4 classi, con l'introduzione della classe Star a fianco dei 6 m s.i., 8 m s.i. e del monotipo Snowbird. L'unico azzurro presente fu il singolista Silvio Treleani, che si classificò ottavo.
Per le storiche Olimpiadi di Berlino del 1936 le regate si svolsero a Kiel; le classi furono ancora 4. L'Italia conquistò la sua prima medaglia d'oro con l'8 m s.i. Italia, selezionato dal commissario tecnico Pasquale de Conciliis (Giovanni Leone Reggio, Bruno Bianchi, Luigi De Manincor, Domenico Mordini, Enrico Massimo Poggi e Luigi Mino Poggi). Quarto posto per il 6 m Esperia (Max Oberti), quinto per il singolo Jole (Giuseppe Fago), nono per la Star (Riccardo di Sangro Fondi, Federico De Luca).
Per Londra 1948 (Torquay), l'Olimpiade del dopoguerra, sono 5 le classi scelte dall'IYRU, con esordio del Dragone. Gli italiani conquistarono un quarto posto con il Dragone (Giuseppe Canessa, Bruno Bianchi, Luigi De Manincor), un quinto con la Star (Agostino Straulino e Nicolò Rode), un sesto nella Swallow (Dario Salata e Achille Roncoroni), un ottavo con il 6 m Ciocca II (Leone Reggio, Renato Cosentino, Beppe Croce, Enrico Poggi, Nino Poggi) e un quattordicesimo nel Firefly (Livio Spanghero). Fu anche l'Olimpiade del primo oro del danese Paul Elvström, destinato a stabilire un record.
A Helsinki 1952 (Harmaja) furono ancora 5 le classi e ci fu l'esordio del singolo Finn, per una configurazione che resisterà fino al 1968. Furono i Giochi del ritorno all'oro dell'Italia nella vela con la Star Merope di Agostino Straulino e Nicolò Rode. Secondo oro per Elvström. Gli altri piazzamenti italiani furono il settimo posto nel Finn per Adelchi Pelaschier, l'ottavo del 6 m Ciocca II (Enrico Massimo Poggi, Antonio Cosentino, Pietro Reggio, Giusto Spigno), il nono del Dragone (Giuseppe e Antonio Carratino, Carlo Maria Spirito), il decimo del 5,5 m Mirtala (Dario Salata, Giorgio Audizio, Egone Jackin).
All'Olimpiade di Melbourne del 1956 si ebbe il terzo oro del danese Elvström e la seconda medaglia per Straulino-Rode, argento nella Star. Quarto posto nella classe Sharpie con Mario Capio ed Emilio Massino; sesto nel Dragone con Sergio Sorrentino, Piero Gorgatto e Annibale Pelaschier; settimo nel Finn con Adelchi Pelaschier e nel 5,5 con Twins VIII (Max Oberti, Antonio Carratino, Carlo Maria Spirito).
Ai Giochi Olimpici di Roma 1960 le regate si svolsero a Napoli, e si ebbe la delusione per il quarto posto e la terza medaglia che sfumò per il grande Straulino in coppia, questa volta, con Carlo Rolandi. Ci fu anche l'importante esordio della nuova classe Flying Dutchman e il quarto oro per Elvström, record tuttora imbattuto nella vela. L'Italia si aggiudicò la medaglia di bronzo con il Dragone Venilia (Antonio Cosentino, Antonio Ciciliano e Giulio De Stefano); si piazzò all'undicesimo posto con il 5,5 Voloira (Pietro Reggio, Marco Novaro, Franco Zucchi), al dodicesimo nel Flying Dutchman (Mario Capio, Tullio Pizzorno), al quattordicesimo nel Finn (Bruno Trani).
A Tokyo 1964 l'Italia conquistò il quarto posto con il 5,5 m Grifone (Agostino Straulino, Bruno Petronio, Massimo Minervini), il sesto con il Dragone Agreste (Sergio Sorrentino, Annibale Pelaschier, Sergio Furlan), il decimo nel Flying Dutchman (Mario Capio, Marco Sartoril), il quindicesimo nella Star (Luigi Croce, Luigi Saidelli).
A Città del Messico 1968 (Acapulco) brillò la stella del sovietico Valentin Mankin, che insidierà il primato di Elvström. Per l'Italia due medaglie di bronzo nella Star (Franco Cavallo e Camillo Gargano) e nel Finn (Fabio Albarelli); il quinto posto per il 5,5 Twins XIV (Giuseppe Zucchinetti, Antonio e Domenico Carratino) e il diciannovesimo nel Flying Dutchman (Carlo Massone ed Emanuele Ottonello).
Si tornò a Kiel per le Olimpiadi di Monaco 1972, dove furono introdotte due nuove classi, il Soling e il Tempest, entrambe a chiglia fissa. Si ebbe il secondo oro per Mankin, mentre ci fu delusione in campo azzurro. L'Italia fu quinta nella Star (Flavio Scala, Mauro Testa), undicesima nel Flying Dutchman (Carlo Croce, Luciano Zinali), tredicesima nel Finn (Mauro Pelaschier), quattordicesima nel Tempest (Giampiero Dotti, Francesco Sibello), diciannovesima nel Soling (Giuseppe Milone, Roberto Mottola, Antonio Oliviero).
Importanti novità si registrarono a Montreal nel 1976 (Kingston): la clamorosa esclusione della Star, l'esordio della nuova deriva 470 e del catamarano Tornado. Mankin conquistò l'argento nel Tempest mentre l'oro nel Finn fu vinto da un nuovo astro nascente, il tedesco Jochen Schumann. Gli italiani non conquistarono alcuna medaglia: quinto il Tempest (Giuseppe Milone, Roberto Mottola), settimo il Tornado (Franco Pivoli, Cesare Biagi), nono il Finn (Mauro Pelaschier), quattordicesimo il 470 (Roberto Vencato, Roberto Sponza), quindicesimo il Soling (Fabio Albarelli, Gianfranco Oradini, Leopoldo Di Martino), sedicesimo il Flying Dutchman (Carlo Croce, Luciano Zinali).
A Mosca 1980 (Tallinn), le Olimpiadi del boicottaggio statunitense, si ebbe il terzo oro di Mankin. Tornò la Star e in questa classe conquistarono la medaglia di bronzo gli azzurri Giorgio Gorla e Alfio Peraboni. Gli italiani furono presenti soltanto in tre classi: settimo il 470 (Ernesto Treves, Silvio Necchi), decimo il Flying Dutchman (Marco Savelli, Roberto Gazzei).
Nel 1984 a Los Angeles (dove vinse l'oro nel Finn l'ancora sconosciuto neozelandese Russell Coutts) l'Italia conquistò la seconda medaglia di bronzo nella Star con Giorgio Gorla e Alfio Peraboni. Quinto nel windsurf, categoria che fece il suo esordio in questa edizione dei Giochi Olimpici, Klaus Maran; quinto il 470 (Enrico e Tommaso Chieffi); settimo il Flying Dutchman (Mario e Claudio Celon); nono il Soling (Gianluca Lamaro, Valerio Romano, Aurelio Dalla Vecchia); quindicesimo il Finn (Paolo Semeraro).
Tempestosa Olimpiade della vela quella di Seul 1988 (Pusan), a causa del passaggio di un uragano. Quinti nella Star si classificarono Gorla e Peraboni; quinto il Tornado (Giorgio Zuccoli, Luca Santella); sesto il windsurf (Paco Wirz); settimo il 470 (Sandro e Paolo Montefusco); dodicesimo il 470 femminile, per la prima volta ai giochi olimpici (Anna Bacchiega, Nives Monico); tredicesimo il Soling (Lamaro, Dalla Vecchia, Romano); diciannovesimo il Flying Dutchman (Mario e Claudio Celon).
Di nuovo senza medaglie la vela italiana a Barcellona 1992: settima fu l'esordiente Alessandra Sensini nel windsurf; settimo il 470 femminile (Maria Quarra, Anna Barabino); ottavo l'Europa (Arianna Bogatec); undicesimo il 470 maschile (Sandro e Paolo Montefusco); quattordicesimo il Finn (Emanuele Vaccari); sedicesima la Star (Roberto Benamati, Mario Salani); sedicesimo il windsurf maschile (Riccardo Giordano); diciassettesimo il Tornado (Giorgio Zuccoli, Angelo Glisoni); ventunesimo il Flying Dutchman (Luca Santella, Flavio Grassi).
L'Olimpiade di Atlanta 1996 (Savannah), che registrò un notevole incremento di atleti partecipanti nella vela, vide il ritorno alla medaglia dell'Italia con il bronzo di Alessandra Sensini nel windsurf (nuova classe, il Mistral). Gli italiani furono inoltre quinti nel Tornado (Walter e Marco Pirinoli); sesti nella Star (Enrico Chieffi e Roberto Sinibaldi); sesti nel Finn (Luca Devoti); settimi nel 470 femminile (Federica Salvà, Emanuela Sossi); decimi nel Soling (Mario e Claudio Celon, Gianni Torboli); dodicesimi nell'esordiente classe Laser (Francesco Bruni); dodicesimi nell'Europa (Arianna Bogatec); sedicesimi nel 470 maschile (Matteo e Michele Ivaldi); trentaseiesimi nel windsurf maschile (Andrea Zinali).
Le Olimpiadi di Sydney 2000 furono le prime con il numero chiuso a 400 atleti per le regate e quelle in cui l'Italia ottenne il migliore risultato di sempre della vela ai giochi, con l'oro di Alessandra Sensini nel windsurf e l'argento di Luca Devoti nel Finn. Settimo si classificò il 470 femminile (Federica Salvà, Emanuela Sossi); ottavo il Laser (Diego Negri) e l'Europa (Larissa Nevierov); decima la Star (Pietro D'Alì e Ferdinando Colaninno); undicesima la nuova classe acrobatica 49er (Francesco e Gabriele Bruni); quattordicesimi il Soling (Nicola Celon, Daniele De Luca, Michele Paoletti) e il Tornado (Lorenzo e Marco Bodini); diciassettesimo il windsurf maschile (Riccardo Giordano) e diciannovesimo il 470 maschile (Matteo e Michele Ivaldi).
Nell'Olimpiade di Atene 2004 l'Italia è stata tra le sette nazioni presenti in tutte le 11 classi. Alessandra Sensini (unica azzurra tre volte sul podio) ha conquistato la medaglia di bronzo; settima si è classificata la Star (Francesco Bruni, Antar Vigna); decimo il Tornado (Francesco Marcolini, Edoardo Bianchi); decimo il 470 maschile (Gabrio Zandonà, Andrea Trani); tredicesimo il Laser (Diego Negri); quattordicesimo il 49er (Pietro e Gianfranco Sibello); quattordicesima la nuova classe femminile Yngling a chiglia per tre persone introdotta dall'ISAF (Giulia Conti, Alessandra Marenzi, Angela Baroni); sedicesimo l'Europa (Larissa Nevierov); ventesimo il 470 femminile (Elisabetta Saccheggiani, Myriam Cutolo); ventiquattresimo il windsurf maschile (Riccardo Giordano); venticinquesimo il Finn (Michele Marchesini). Il brasiliano Torben Grael ha vinto la sua quinta medaglia olimpica e ha stabilito un nuovo primato.
Nel novembre 2004 il consiglio dell'ISAF ha deciso le nuove classi olimpiche per Pechino 2008, con l'esclusione di Europa e Mistral a beneficio di Laser Radial e Neil Pryde RS:X. Le 11 categorie sono quindi: Star (maschile), Yngling (femminile), Tornado (maschile), 49er (maschile), 470 (maschile e femminile), Finn (maschile), Laser (maschile), Laser Radial (femminile), Neil Pryde RS:X (maschile e femminile).
Nel 1851, anno della prima regata, si era nel pieno di un cambiamento epocale: i grandi clipper, le veloci navi a vela che solcavano gli oceani per trasportare merci e ricchezze da un continente all'altro, stavano scomparendo e lasciavano il posto alle barche a motore. La vela sopravvisse come svago, praticata per il puro piacere di navigare spinti dal vento: una vela della quale proprio la Coppa America è il simbolo più prestigioso.
In Inghilterra, culla indiscussa dello yachting, i britannici, quasi annoiati della loro supremazia, decisero di sfidare una delle nuove barche americane ad attraversare l'Oceano e a confrontarsi con i celebri scafi dell'Isola di Wight. Il geniale miliardario John Cox Stevens (suo padre fu il costruttore della prima locomotiva statunitense), fondatore del New York Yacht Club, raccolse la sfida. Dopo lunghi preparativi, il 22 agosto 1851 nelle acque del Solent, tra l'Isola di Wight e la costa inglese, si disputò la regata che avrebbe segnato l'inizio della storia della Coppa America. Quindici yacht, tra golette e cutter, si affrontarono per la conquista della Coppa delle cento ghinee: tra questi la goletta America comandata dal commodoro John Cox Stevens. Progettata dal trentenne George Steers, era lunga 31 m (ben 27 al galleggiamento), pescava 3,35 m e portava 489 m2 di vele.
La supremazia dell'imbarcazione statunitense fu subito evidente: America era un piccolo clipper, all'avanguardia per disegno e velatura rispetto ai concorrenti britannici; mentre gli inglesi facevano ancora uso di vele di lino, gli statunitensi avevano cominciato a usare il cotone ottenendo indubbi miglioramenti nella resa aerodinamica.
Molto prima della fine della gara fu chiaro che America avrebbe vinto. A bordo del Victoria and Albert, la regina Vittoria, che assisteva alla regata, chiese a un segnalatore: "Chi è primo?". "L'America, Vostra Maestà; non vi è secondo", fu la risposta che sigillò il trionfo della barca americana. Poco più di dieci ore dopo la partenza da Cowes, grazie alla sua capacità di stringere il vento, America aveva conquistato la supremazia nel mondo delle regate e aperto una saga.
Alla fine del 1851, dunque, la Coppa delle cento ghinee attraversava l'Atlantico, rimanendo di proprietà del commodoro Stevens e del consorzio che aveva costruito America fino al 1856, anno in cui fu donata al New York Yacht Club diventando un trofeo internazionale.
La donazione ‒ conosciuta come Deed of Gift, l'atto ancora oggi alla base della competizione ‒ era accompagnata da una lettera in cui erano precisate le condizioni alle quali il trofeo veniva offerto al New York Yacht Club: "Qualunque yacht club organizzato di qualsiasi nazione straniera avrà sempre il diritto, attraverso uno o più dei suoi soci, di chiedere di regatare per questa Coppa con qualsiasi yacht o nave di non meno di 30 tonnellate e non più di 300 […]. Le parti desiderose di regatare per la Coppa potranno fare qualunque gara, con lo yacht club in possesso della coppa stessa, che sia stata preventivamente concordata tra le parti; ma in caso di disaccordo riguardo alle condizioni, la gara dovrà essere corsa sul percorso solito per la regata annuale dello yacht club in possesso della Coppa, e secondo il suo regolamento di stazza e di regata, e lo sfidante dovrà dare un preavviso di sei mesi per iscritto, precisando la data di inizio. Nello stesso preavviso dovrà inoltre indicare la lunghezza, le misurazioni di stazza, l'attrezzatura e il nome della nave". In questa prima stesura delle norme per la Coppa America era inoltre precisato che essa sarebbe stata una Coppa challenge perpetua tra paesi stranieri; si stabiliva anche che il trofeo non sarebbe andato al proprietario dell'imbarcazione vincitrice ma sarebbe rimasto dello yacht club che aveva lanciato la sfida.
Per alcuni anni il nuovo trofeo venne dimenticato, ma nel 1870 l'inglese James Ashbury, vicecommodoro del Royal Harwich Club, con il suo yacht Cambria attraversò l'Atlantico e lanciò la sfida con l'obiettivo di riportare in Gran Bretagna la coppa custodita dal New York Yacht Club. La prima edizione di questa nuova regata (ribattezzata Coppa America in onore della goletta del commodoro Stevens) ebbe inizio l'8 agosto 1870 su una distanza di 38 miglia, da Staten Island al battello-faro di Sandy Hook e ritorno. Tra i quattordici yacht statunitensi in gara c'era anche la vecchia goletta America. Lo yacht inglese finì decimo, la vittoria andò alla goletta a deriva Magic e la coppa rimase a New York.
Nella seconda edizione, nata da una nuova sfida lanciata da Ashbury, questa volta al comando del Livonia, gli statunitensi apportarono sostanziali modifiche al regolamento: in particolare stabilirono la regola, ancora oggi in vigore, che impone la competizione tra due sole barche. Nacque il match race.
Le regate del 1871 non ebbero storia: la goletta inglese Livonia perse quattro prove su cinque contro due barche statunitensi a turno, Columbia e Sappho. Nel 1876 e nel 1881 ci provò uno sfidante canadese: ma Countess of Dufferin e Atalanta non ebbero scampo contro le barche Madeleine e Mischief.
Negli anni successivi i tentativi inglesi di riconquistare l'ambito trofeo si susseguirono con regolarità: nel 1885 l'imbarcazione Puritan batté l'inglese Genesta (2-0), appena un anno dopo il Mayflower si sbarazzò del Galatea (2-0), stesso punteggio anche tra Volunteer e Thistle. Si cominciò a discutere delle regole, decisamente troppo favorevoli agli statunitensi, a partire dall'obbligo dello sfidante di raggiungere il campo di regata con mezzi propri. Qualche piccola concessione non cambiò il senso del Deed of Gift né i risultati: nel 1893, ottava sfida, Vigilant sconfisse nettamente Valkyrie II (3-0). L'andamento si ripeté, monotono e umiliante, fino al 1903 (nel 1895 Defender sconfisse Valkyrie III 3-0; nel 1899 Columbia batté Shamrock 3-0; nel 1901 Columbia superò Shamrock II 3-0; nel 1903 Reliance batté Shamrock III 3-0). L'irlandese Sir Thomas Lipton divenne lo sfidante più assiduo e famoso: tra il 1899 e il 1930 a bordo dei suoi Shamrock tentò per cinque volte di strappare il trofeo agli statunitensi, senza mai riuscirci, ma andandoci assai vicino nel 1920, nella prima sfida del dopoguerra, persa 3-2 dal suo Shamrock IV contro il Resolute.
Dal 1930 la Coppa si spostò a Newport (Rhode Island) e sui nuovi classe J, che con i loro 135 piedi (oltre 40 m) di lunghezza fuori tutto formavano la maggiore classe di yacht da corsa esistente su entrambi i lati dell'Atlantico, oltre che la più esasperata nella storia dello yachting.
Shamrock V, l'ultima sfida di Lipton, perse 4-0 contro l'Enterprise di Harold Mike Vanderbilt, nuovo personaggio apparso sulla scena di Coppa. Lo sfidante successivo fu Sir Thomas Sopwith a bordo di Endeavour, che andò vicinissimo alla vittoria contro Rainbow (4-2) in una serie di regate che suscitarono molte polemiche per presunte scorrettezze commesse dagli statunitensi. Quella del 1937, l'ultima prima della guerra, fu anche l'ultima occasione di vedere in gara questi giganti della vela: lo sfidante Endeavour II perse 4-0 contro Ranger.
La seconda guerra mondiale, insieme alla pigrizia del New York Yacht Club nel provvedere al necessario aggiornamento delle regole, provocò la sospensione della Coppa America. Si riprese nel 1958, stavolta a bordo dei 12 m s.i. e senza più l'obbligo di attraversare l'Oceano. La prima sfida dopo ventuno anni sollevò entusiasmi: Columbia batté l'imbarcazione inglese Sceptre, decisamente scarsa, e la leggenda dell'imbattibilità statunitense decollò. Il 1962 fu l'anno della prima sfida australiana, ma Gretel venne sconfitta 4-1 da Weatherly. Nel 1964 gli inglesi tentarono un'ultima sfida, prima di un lungo oblio che durò oltre vent'anni: la statunitense Constellation non lasciò scampo a Sovereign (4-0). Iniziò l'era australiana: sei sfide tra il 1967 e il 1983. Dame Pattie, Gretel, Southern Cross e Australia raccolsero soltanto 2 vittorie su 20 regate contro i defenders Intrepid, Courageous e Freedom. L'impresa sembrava impossibile, ma la tenacia australiana fu premiata nel 1983, quando gli statunitensi furono battuti per la prima volta nella storia della Coppa da Australia II al comando di John Bertrand. Lo sconfitto fu il giovane fuoriclasse Dennis Conner con Liberty (3-4). Il 1983 fu anche l'anno della prima sfida italiana con Azzurra. La difesa australiana non ebbe fortuna e gli Stati Uniti tornarono in possesso della Coppa grazie allo stesso Conner e a Stars&Stripes, che batté 4-0 Kookaburra a Perth nel 1987. Era ormai iniziata l'era moderna della Coppa: a ogni edizione si presentavano numerosi sfidanti da diversi paesi, e l'interesse da parte del pubblico era enorme. Addirittura due le sfide italiane nel 1987 (con le imbarcazioni Azzurra e Italia), che però non arrivarono alle semifinali degli sfidanti.
Singolare e polemica l'edizione di San Diego del 1988: i neozelandesi trovarono un buco nel regolamento e sfidarono gli Stati Uniti con un maxi di 30 m, ma questi risposero con un agile piccolo catamarano che vinse facilmente (2-0), anche se la disputa finì in tribunale e la Coppa vacillò.
Nel 1992 a San Diego debuttarono i nuovi scafi dell'America's Cup Class, barche in materiali compositi con lunghezze dai 24 ai 26 m, un dislocamento di circa 25 tonnellate, alberi in carbonio di 38 m, equipaggio di 16 persone. Per la prima volta una barca italiana arrivò in finale: anche se il Moro di Venezia di Raul Gardini, con Paul Cayard al timone, fu battuto 4-1 da America 3 di Bill Koch, la ventottesima Coppa America rimane comunque un capitolo fondamentale nella storia della vela azzurra.
La sfida svoltasi a San Diego nel 1995 segnò la seconda sconfitta degli statunitensi nella storia di questo trofeo: quella volta fu la Nuova Zelanda con Black Magic di Peter Blake (timoniere Russell Coutts) a dare una lezione alla Young America, conquistandosi il ruolo di defender nella prima edizione della Coppa America del terzo millennio.
Emozioni, spettacolo e dirette televisive per la Coppa del 2000 ad Auckland, con la seconda finale conquistata da uno sfidante italiano, grazie a Luna Rossa di Patrizio Bertelli, con Francesco de Angelis al timone. Gli australiani furono però insuperabili e con Black Magic si difesero con successo (5-0).
Nel 2003 la Coppa America ha conosciuto la sua rivoluzione più profonda nell'era moderna. È successo di tutto, in uno scenario apparentemente replicato (grandi capitani d'industria e tycoons della finanza, sfide ultramiliardarie, ambizioni e fiumi di denaro da diritti televisivi e sponsor): una delle sfide è arrivata dalla Svizzera, presentata da Ernesto Bertarelli che in pochi giorni ha assoldato due terzi del defender team neozelandese, compreso il timoniere simbolo dell'imbattibilità Russell Coutts. La Svizzera non ha sbocco a mare, e per ammetterla, sia pure a denti stretti, gli australiani hanno accettato un'interpretazione elastica del Deed of Gift. Nel golfo di Hauraki, nel marzo 2003, la barca elvetica con a bordo una dozzina di neozelandesi ha umiliato i detentori e riportato in Europa, per la prima volta dallo storico 1851, la Coppa delle cento ghinee divenuta Coppa America. Niente da fare, invece, per le due sfide italiane Luna Rossa e Mascalzone Latino.
La rivoluzione non si è fermata, perché gli svizzeri hanno deciso di cambiare profondamente la Coppa America: hanno scelto una sede nel Mediterraneo (Valencia, in Spagna) per la difesa; hanno abolito le regole sulla nazionalità dei componenti dei consorzi; hanno messo in calendario ogni anno regate di avvicinamento alla sfida finale (nel 2007); hanno, infine, modificato alcuni parametri progettuali delle barche. Si va verso una sorta di Grand Prix, di Formula 1 applicata alla vela. Nel mondo dello yachting le opinioni sono discordi. Le sfide non giungono numerose come ci si attendeva, e l'ambiente è scosso dal clamoroso divorzio tra Ernesto Bertarelli e Russell Coutts, i due ultimi trionfatori. Tra le sfide del 2007 c'è ancora l'Italia, con Luna Rossa e +39, primo consorzio del Lago di Garda. La Coppa America ha 155 anni, ma sembra ancora giovanissima.
In equipaggio. - Parallelamente allo yachting da diporto e alle regate tra le boe si è sviluppata, sull'onda di epiche imprese di navigatori, un'attività di regate d'alto mare con percorsi e attraversamenti di uno o più oceani in solitario e in equipaggio. Nel 1906 nacquero in America sia la regata delle Bermude (con partenza da Newport) sia la Transpacifica, da San Francisco a Tahiti.
L'idea di effettuare una regata a vela intorno al mondo trovò compimento nella creazione della Whitbread Round the World Yacht Race, sponsorizzata dall'omonima birra australiana, la cui prima edizione si svolse nel 1973-74 e fu vinta dal Sayula II, uno swan 45 del messicano Ramón Carlín. Alla regata parteciparono anche tre barche italiane: Guia II (Giorgio Falck), che si classificò quinta; CS & RB (Doi Malingri), ottava; Tauranga (Eric Pascoli), nona; risultati questi che valsero all'Italia il successo per nazioni.
La regata, che si effettua con cadenza quadriennale, si affermò come una classica dello yachting, attirando capitali e campioni da molti paesi. Le due successive edizioni, 1977-78 e 1981-82, furono vinte dall'olandese Cornelis Van Rietschoten con i suoi leggendari Flyer (il primo di Sparkman & Stephens, il secondo di Frers). Ci furono ancora presenze italiane: nel 1977-78 parteciparono B&B Italia (Corrado Di Majo), Rolly Go (Falck), Save Venice (Malingri), Viva Napoli (Beppe Panada), Barca Laboratorio (Claudio Stampi); nel 1981-82 ancora Rolly Go, Traité de Rome (Antonio Chioatto) e Ilgagomma (Roberto Vianello).
Nella regata del 1985-86, cui non parteciparono barche italiane, si ebbe la vittoria francese con Esprit d'équipe (Lionel Péan).
La Whitbread 1989-90 vide il trionfo neozelandese con Steinlager II (Peter Blake) davanti alla connazionale Fisher & Paykel (Grant Dalton). Soltanto ottava Gatorade (Giorgio Falck).
La Whitbread 1993-94 fece segnare una svolta: si passò a correre sui WOR 60, barche quasi uguali con stazza a restrizione, che diedero spettacolo in sei tappe entusiasmanti. Al giro parteciparono i migliori velisti e i migliori progettisti, cantieri e velai. Fu la seconda regata per importanza dopo la Coppa America. Vinse Yamaha del neozelandese Ross Field; sesta si classificò l'italiana Brooksfield (Guido Maisto), che imbarcava alcuni azzurri della vela olimpica (come Mauro Pelaschier, Stefano Rizzi, Claudio Celon, Pietro D'Alì) e che visse una pericolosa avventura nell'Oceano Indiano per la rottura del timone.
Nove tappe e nove equipaggi per l'edizione 1997-98, l'ultima sponsorizzata Whitbread. Sempre più campioni in gara e vittoria del consorzio svedese EF Language dello skipper Paul Cayard. Nessuna barca italiana partecipò a questa gara.
Nel 2001-02 la regata intorno al mondo ha cambiato nome e marchio, diventando Volvo Ocean Race. Nove tappe e soltanto otto barche a causa della crisi economica mondiale, ma medesimo alto livello e regate combattute come in un triangolo costiero, con distacchi minimi dopo migliaia di miglia. Il giro del mondo si è potuto inoltre seguire ininterrottamente in diretta su internet. L'imbarcazione tedesca Illbruck dello skipper John Kosteki si è aggiudicata la vittoria. La presenza italiana è stata indiretta, con due barche della Nautor acquistate da Leonardo Ferragamo: Amer Sports One (skipper Grant Dalton), finita terza; Amer Sports Too (equipaggio tutto femminile della skipper Lisa McDonald), ottava.
La Volvo Ocean Race si è rinnovata ed è diventata un marchio dello sport business della grande vela: è stato chiamato a dirigerla un manager, l'australiano Glenn Bourke, ex campione della classe Laser e direttore dei bellissimi Giochi velici di Sydney 2000. Il suo impegno professionale ha sviluppato nuove barche (si correrà con i W70, più moderni e tecnologicamente avanzati), e inoltre Bourke si è battuto per arrivare ai dieci iscritti per la regata del 2005-06.
In solitario. - La storia delle grandi traversate a vela ha proposto spesso straordinari navigatori divenuti celebri per le loro imprese in solitario. Per tutti l'antesignano resta il canadese Joshua Slocum con il suo Spray. Il 24 aprile 1895, a 51 anni, il capitano Slocum partì da Boston a bordo dello Spray, uno sloop di legno ricavato da una barca da lavoro, e, divenendo il primo uomo a completare in solitario la circumnavigazione del globo, approdò a Newport (Rhode Island) il 27 giugno 1898. La sua impresa è rimasta un esempio per tanti futuri navigatori e ha dato vita alla Joshua Slocum Society, che si incarica di tenere un registro dei tentativi di circumnavigazione in solitario.
Molti seguirono: tra essi, nel 1942-43, l'argentino Vito Dumas (primo a passare da solo il Capo Horn); nel 1966-67 il celebre inglese Francis Chichester (che compì per primo la circumnavigazione effettuando una sola sosta); nel 1968-69 l'inglese Robin Knox-Johnston, primo a terminare il giro senza scalo, quasi in contemporanea con il leggendario francese Bernard Moitessier, che con l'autocostruito Joshua compì una volta e mezzo il giro in un'impresa rimasta impressa nel libro La lunga rotta (Milano, Mursia, 1972), considerato la 'bibbia' del settore. Il 1968 fu anche l'anno del Golden Globe, primo tentativo di regata intorno al mondo per solitari, organizzata dal giornale inglese Sunday Times. Dei nove partecipanti, soltanto Knox-Johnston tagliò il traguardo: gli altri si ritirarono (tra cui Nigel Tetley, che poi si suicidò) e uno risultò disperso (Donald Crowhurst). Moitessier, che era nettamente al comando della corsa, dopo Capo Horn cambiò rotta e, anziché tornare, restò in mare dieci mesi fermandosi poi a vivere in Polinesia.
Nel 1970-71 l'inglese Chay Blyth fu il primo a circumnavigare da est verso ovest, contro i venti dominanti. Nel 1973-74 anche l'italiano Ambrogio Fogar stupì il mondo con il giro del suo piccolo Surprise, suscitando molto interesse in Italia.
Il movimento ha fatto sorgere appuntamenti fissi e regate. Le due più importanti sono l'Around Alone, giro del mondo in solitario in quattro o cinque tappe con partenza e arrivo negli Stati Uniti, e la Vendée Globe Challenge, giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza, che si svolge ogni quattro anni con partenza e arrivo alle Sables-d'Olonne, nella regione atlantica francese della Vandea.
L'Around Alone fu creata nel 1982 proprio da Robin Knox-Johnston, l'inglese vincitore del Golden Globe del 1968. Le due prime edizioni (1982-83 e 1986-87) sono state vinte dal francese Philippe Jeantot nella classe I e dal giapponese Yukoh Tada e dallo statunitense Mike Plant nella classe II. Nel 1990-91 hanno vinto Christophe Auguin (che si è poi ripetuto nel 1994-95) e Yves Dupasquier, al quale nel 1994-95 si è sostituito l'australiano David Adams. Nel 1998-99 l'italiano Giovanni Soldini, vincitore con il 60 piedi Fila in classe I, si è reso protagonista del salvataggio in mare della francese Isabelle Autissier, recuperata dalla sua barca rovesciata nel Pacifico meridionale non lontano da Capo Horn. Su questa impresa Soldini ha costruito una brillante carriera, diventando il più famoso navigatore della vela italiana, ancora oggi attivo nel difficile circuito dei multiscafi oceanici. Nel 2002-03 ha vinto lo svizzero Bernard Stamm.
Lo spirito originario del Golden Globe è rivissuto nella prima edizione della Vendée del 1989-90, organizzata da Philippe Jeantot e vinta dal francese Titouan Lamazou. Nel 1992-93 ha vinto Alain Gautier, mentre si è ritirato il primo italiano al via, Vittorio Malingri con il suo Moana 60; l'inglese Nigel Burgess è risultato disperso. La terza edizione si è svolta nel 1996-97 e si è conclusa con la vittoria di Christophe Auguin; nessun italiano era presente al via. Anche questa volta si è lamentato un disperso, il canadese Gerry Roufs. Ben ventiquattro navigatori erano presenti al via della quarta edizione 2000-01, vinta ancora da un francese, Michel Desjoyeaux. Simone Bianchetti (dodicesimo) è stato il primo italiano a completare la gara, seguito da Pasquale De Gregorio (quindicesimo e ultimo degli arrivati). La quinta edizione della Vendée Globe (2004-05) è stata vinta dal francese Vincent Riou sul 60 piedi Open.
Nello stesso periodo in cui lo yachting si diffondeva nel mondo, con grandi golette e imprese celebri, si è assistito alla scoperta del piacere che poteva derivare dalla vela per diporto su piccole imbarcazioni e con una piccola spesa. I primi esempi di barche piccole e derive (il termine indica la mancanza di una chiglia fissa, sostituita dalla pinna di deriva) sono: il nordamericano sandbagger, scafo piatto che derivava dai pescherecci newyorkesi e che iniziò a diffondersi dopo il 1850, dotato di fiocco, randa con picco e un lungo boma; e il di poco posteriore catboat, dotato della sola randa. In seguito anche le vecchie canoe iniziarono a montare vele e derive, e presto nacquero i sistemi di stazza e i primi monotipi (sia a deriva sia a chiglia fissa ma di piccole dimensioni) come la Star. Nata nel 1911, la Star è ancora classe olimpica, un caso unico di longevità per uno scafo così antico, che dimostra la bontà del progetto (6 m di lunghezza). In Italia, ai primi del Novecento, si correvano regate con le classi a restrizione e con il catboat denominato Serie Ligure Lega Navale, precursore del Dinghy 12 che nacque ufficialmente nel 1913. Nella fase di crescita, senza un'organizzazione precisa, a volte sono stati gli stessi club a istituire le classi, come è avvenuto per la 4.50 Metri del Club Nautico Sampierdarenese attorno al 1920; per la 1923 sui laghi Maggiore e di Como; per la San Marco 1924 a Venezia, e così via.
La stazza internazionale (s.i.), creata nel 1907 e successivamente aggiornata, otteneva la lunghezza da una formula che legava diversi parametri di un progetto: i 5,5, i 6 e gli 8 m s.i. furono le prime classi olimpiche, alle quali si aggiunsero poi i monotipi più diffusi, a partire dalle Star, dai Dinghy 12 e dal Dragone (del 1926). In Italia alle piccole classi indigene si affiancarono quelle che arrivavano dal resto del mondo. Lo Snipe (o Beccaccino) nacque nel 1931 ed è ancora oggi assai diffuso; nel 1939 fu la volta del Lightning, che fu poi adottato dalla Marina militare. La massima espansione delle classi e delle derive si ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta: nacquero in questo periodo classici come il Finn (1950), il Flying Dutchman (1951), il Vaurien (1953), l'Optimist (1954), il Flying junior (1955), il 420 (1960), il Soling (1967), il Fireball (1963), lo Strale (di disegno italiano, 1966), il Contender (1967). L'ultimo grande progetto di deriva universale è stato il Laser (1971), con il quale il settore è entrato nella sua era moderna, che comprende anche i multiscafi (principalmente catamarani).
La diffusione di queste classi e l'adozione olimpica di alcune di esse crearono i presupposti per una crescente attività sportiva, che iniziò a essere regolamentata in campionati nazionali, continentali e mondiali. Lo sport della vela cominciò, organizzativamente, ad assumere la forma che sviluppò in seguito creando un ente internazionale cui aderirono le federazioni nazionali, formate a loro volta dai club, e le associazioni di classe con funzioni di supporto logistico e di comunicazione con i praticanti.
Attualmente le classi riconosciute dall'ISAF sono 79, tra classi olimpiche e altre classi, dalle derive giovanili fino ai monotipi d'altura e ai maxi yacht. Tra le grandi manifestazioni della vela rivestono grande importanza i campionati mondiali delle classi olimpiche, che la Federazione internazionale assegna annualmente a sedi e nazioni diverse, secondo richiesta e di concerto con le associazioni di classe. Ogni quattro anni, nell'anno preolimpico, viene organizzato l'ISAF Worlds, mondiale unificato di tutte le classi olimpiche in un'unica località. Nel 2003 si è svolto a Cadice (Spagna), il prossimo, nel 2007, sarà a Cascais (Portogallo): tali campionati sono validi anche come selezione per i posti a numero chiuso delle Olimpiadi. Importanza appena ridotta hanno i campionati europei delle stesse classi.
Le altre classi nella vela moderna rivestono un ruolo di grande importanza in quanto considerate formative (specie quelle giovanili) per i futuri campioni e sottoposte all'osservazione dei tecnici, e anche perché alcune di esse godono di enorme diffusione tra gli appassionati in tutto il mondo.
I campionati italiani delle classi olimpiche hanno, in ambito nazionale, un'importanza pari a quella riconosciuta dall'ISAF. La FIV da undici anni ha unificato i campionati di tutte le classi in una località scelta annualmente, e considera l'appuntamento uno degli eventi più significativi del calendario, oltre che base di osservazione tecnica per la formazione delle squadre nazionali. I campionati italiani delle altre classi sono assegnati annualmente dalla FIV secondo le richieste dei circoli o delle zone, e seguono generalmente la diffusione geografica delle imbarcazioni.
Campionati italiani, europei e mondiali di tutte le classi costituiscono l'ossatura del calendario della vela nazionale e internazionale; inoltre contribuiscono a produrre l'annuario dei risultati del movimento sportivo della vela.
La vela d'altura è cresciuta e si è sviluppata parallelamente a quella delle piccole derive e delle classi olimpiche sin dagli albori dello yachting. Con il termine altura o alto mare non ci si riferisce alle regate oceaniche, organizzate diversamente e in genere disputate da barche diverse e specificamente progettate e costruite, ma alle regate su percorsi costieri tra le boe o di piccolo trasferimento disputate con barche cabinate, cioè dotate di ponte, di strutture di coperta e di interni adatti anche alla crociera. Oggi la vela d'altura costituisce un corpo ben definito dell'attività velica, separato dagli altri anche negli aspetti politici e organizzativi, grazie alle associazioni che nell'ISAF e nelle singole federazioni nazionali garantiscono lo svolgimento di un'attività sempre in grande fermento.
L'elemento chiave delle regate nella vela d'altura è il sistema di stazza, che, come si è accennato, è alla base stessa della formazione degli enti di coordinamento dello sport velico. Questo spiega il continuo aggiornamento e l'avvicendarsi di vari sistemi per il calcolo del rating delle diverse imbarcazioni partecipanti. Non essendo queste ultime ‒ salvo le eccezioni che vedremo ‒ organizzate in classi, sorge la necessità di stazzarle per definirne il rating e quindi consentire loro di regatare insieme, in tempo compensato. Nelle diverse formule si assegna comunque un coefficiente che, applicato al tempo reale, determina il tempo 'corretto' sulla base del quale si formano le classifiche. Si è assistito a numerosi adattamenti e sempre vivaci sono state le discussioni sui vari sistemi, di cui è facile comprendere il motivo: il risultato di una bella regata in mare, rispetto a quello visto in acqua, può essere ribaltato con esiti sorprendenti dal calcolo dei tempi compensati mediante il coefficiente di rating. Una situazione che rende queste regate complicate da seguire per i non addetti ai lavori. Nonostante tutto, la grande passione e le risorse messe in campo non sono mai mancate all'altura, considerata anzi la vela 'ricca' per eccellenza (anche se lontana dai livelli della Coppa America o dei giri del mondo); si sono così sviluppate manifestazioni nazionali, continentali e mondiali riservate a tali barche. Campionati e titoli hanno risentito sia dei sistemi di stazza usati al tempo sia delle associazioni che li adottavano, e spesso sono stati assegnati più titoli, uno per ciascun sistema.
Una certa semplificazione può risultare nella vela d'altura, dalla metà del Novecento, con l'introduzione della Ton Cup, una sorta di mondiale di barche appartenenti a categorie unificabili (dalle piccole alle grandi: Mini Ton Cup, Quarter Ton Cup, Half Ton Cup, Three Quarter Ton Cup, One Ton Cup, Two Ton Cup). Dal 1957 è stata organizzata a Cowes l'Admiral's Cup ‒ manifestazione biennale del Royal Ocean Racing Club (RORC), l'associazione inglese dell'altura ‒, aperta a squadre nazionali di tre barche ciascuna, che si è affermata come un vero e proprio campionato del mondo per nazioni. Dopo un lungo e appassionato inseguimento, l'Italia è riuscita a vincere l'Admiral's Cup nel 1995. Una grave crisi ha fatto sospendere la regata dal 1999. Versione mediterranea dell'Admiral's è l'italiana Sardinia Cup, tuttora organizzata biennalmente negli anni pari. Recentemente l'ORC, associazione di classe dell'altura riconosciuta in seno all'ISAF, ha promosso alcune manifestazioni per dare unità all'attività svolta con il sistema di stazza più usato, l'IMS: campionati europei IMS e campionati mondiali IMS. La FIV, invece, insieme all'UVAI, l'associazione italiana degli armatori, organizza un circuito che si conclude con il campionato italiano assoluto IMS. La posizione dell'Italia nella vela d'altura internazionale negli ultimi anni è considerata tra le più prestigiose, per qualità e quantità degli uomini e delle risorse impiegate.
Di recente, anche come risposta alle imprecisioni dei sistemi di stazza, sono sorte e si sono diffuse molte classi d'altura monotipo, cioè progetti di barche perfettamente uguali che corrono in tempo reale. Secondo la diffusione e la forza delle associazioni di classe, questi monotipi svolgono campionati italiani (spesso su circuiti in più località), europei e mondiali (alternandosi da una parte all'altra del globo) e sono considerati una componente di crescente importanza della moderna vela d'altura.
La conquista progressiva delle lunghe rotte d'altura, oltre che attraverso le imprese dei navigatori solitari e la regata intorno al mondo, ha potuto svilupparsi anche grazie al proliferare di manifestazioni, regate, trasferimenti che hanno per teatro le grandi onde e i venti oceanici. La vela oceanica è divenuta per questo una vera e propria categoria dello yachting, con strutture organizzative proprie e una funzione importante nella ricerca e nel progresso tecnologico relativo sia alla costruzione di barche e attrezzature sia al fondamentale tema della sicurezza in mare.
Nei primi anni della vela da diporto, a partire dall'epoca delle piccole golette, già venivano organizzate regate oceaniche. La prima regata transatlantica, con partenza da New York e arrivo all'Isola di Wight (come sempre al centro dello yachting), risale al 1866 ed è frutto di una scommessa tra due soci del New York Yacht Club. Vi parteciparono tre barche e la vincitrice (Henrietta di James Gordon Bennet) compì la traversata in 13 giorni, 21 ore e 45 minuti.
Successivamente, nei primi del Novecento, si gareggiò da Brooklyn verso le Bermude; nel 1924 fu codificata la New York-Bermuda Race. Ancora prima, dal 1906, si svolgeva la regata transpacifica da Los Angeles a Honolulu per 2225 miglia, che dai tre iscritti della prima edizione è arrivata a superare i sessanta partecipanti. È dagli anni Cinquanta che la vela oceanica si organizza e crea i presupposti per lo sviluppo; le imprese isolate di navigatori o equipaggi ebbero un seguito nell'organizzazione di regate vere e proprie. Nel 1960 il colonnello Blondie Hasler promosse, con il periodico inglese The Observer, la prima transatlantica in solitario, da Plymouth a Newport, che egli stesso vinse per primo con un folkboat armato a giunca; la Observer's Singlehanded Trans-Atlantic Race (OSTAR per molti anni, oggi Transat) resta ancora oggi una grande classica oceanica, alla quale è stata affiancata per un breve periodo una Twostar in doppio. Per favorire il ritorno in Europa è stata creata una Québec - St.-Malo che parte dal Canada e si corre in equipaggio. La risposta francese nel 1978 fu la Route du Rhum, da St.-Malo a Point-a-Pitre in Guadalupa: un successo che ancora continua. Nel 1926 si svolse invece la prima Fastnet Race, partenza da Cowes e arrivo a Plymouth con giro del Fastnet Rock (scoglio presso la costa sud dell'Irlanda), per 608 miglia, considerata dai velisti moderni come una gara simbolo della vela oceanica. La sua versione australe, la Sydney-Hobart Race, tra la città australiana e la Tasmania, nacque nel 1970.
Dal 1979 si disputa la Transat Jacques Vabre, anche detta Route du Café, che si correva in coppia da Lorient a St.-Barthélémy (Antille) e che oggi ha una nuova rotta da Le Havre a Salvador de Bahia (Brasile) e si corre principalmente con i grandi trimarani oceanici di 60 piedi della classe ORMA (Offshore Racing Multihull Association). La Défi Atlantique, da Salvador de Bahia a La Rochelle, è la gara di ritorno. Negli stessi anni si correva il Triangle Atlantique, da St.-Malo a Città del Capo, Rio de Janeiro e, infine, Portsmouth.
Si svilupparono le regate per solitari (dal Golden Globe alla Vendée Globe Challenge, all'Around Alone) e la regata intorno al mondo (Whitbread, poi Volvo Ocean Race). Nacquero le grandi sfide come il Trofeo Jules Verne, messo in palio per chi riesca a compiere il periplo del pianeta in meno di 80 giorni, corsa che ha entusiasmato i migliori velisti. La leggenda della vela neozelandese Peter Blake compì il viaggio in 74 giorni nel 1994; il francese Olivier de Kersauson in 71 giorni nel 1997; Bruno Peyron in 64 giorni nel 2002, record attaccato invano dallo stesso de Kersauson e dalla giovane britannica Ellen MacArthur. Poi la sfida estrema, The Race, riservata ai maxi multiscafi (le macchine a vela più veloci sugli oceani), consistente in un giro senza scalo praticamente intorno all'Antartide, vinto nel 2000 da Club Med. Il record assoluto del giro del mondo a vela senza scalo è attualmente di 58 giorni, 9 ore, 32 minuti e 45 secondi (catamarano Orange II con Bruno Peyron).
Regate giovanili. - Uno dei settori più sviluppati negli ultimi vent'anni è quello che riguarda il mondo dei giovani e giovanissimi. La sua crescita in senso sia sportivo sia diportistico ha portato a considerare la necessità di un'adeguata promozione presso i giovani per garantire il ricambio generazionale. Sin dagli anni Cinquanta sono state progettate e realizzate classi di piccole imbarcazioni a deriva adatte all'apprendimento e alle prime regate dei giovani di entrambi i sessi. Lo sport della vela si è dimostrato uno dei migliori per i giovanissimi, a partire dall'età di 7-8 anni. L'opportunità di praticare uno sport all'aperto e in relazione con gli elementi naturali, di sviluppare il senso di indipendenza e di autonomia, di acquisire spirito di lealtà e di appartenenza a un gruppo, di accrescere le capacità fisiche e psichiche rende la vela uno sport di alto livello e di grande soddisfazione per i giovani. Tra le classi giovanili di maggiore successo c'è l'Optimist (progetto del 1954), ormai diffuso in tutto il mondo e utilizzato sia per corsi di vela individuali (è una barca di 2,5 m per una sola persona) sia in un intenso calendario agonistico nazionale e internazionale fino a un'età massima di 15 anni, che ha già dimostrato di produrre talenti e futuri campioni. Negli Stati Uniti ha una buona diffusione anche la classe El Toro, molto simile all'Optimist. Sono successivamente sorte classi giovanili in doppio (per due persone), come L'Équipe, nato in Francia per iniziativa dell'omonimo quotidiano sportivo, lungo circa 3,5 m. Negli ultimi anni si è assistito anche alla nascita di classi di catamarani e di windsurf dedicati ai più giovani, mentre il popolare singolo Laser ha lanciato una versione con vela più piccola, il Laser 4.7, adatto ai giovani dai 13-14 anni sia all'inizio sia provenienti dall'Optimist. Molti paesi evoluti dal punto di vista della diffusione della vela studiano e aggiornano sistemi di reclutamento dei giovanissimi, anche nelle scuole, attraverso iniziative speciali e promozionali.
In Italia la FIV ha promosso nel 2001 una nuova classe a deriva di 5,5 m, la 555FIV, appositamente progettata e realizzata per corsi di vela ai giovani in equipaggio (porta fino a 5 allievi), allo scopo di favorire l'avvicinamento alla vela anche di giovani che non desiderano navigare da soli, la formazione di uno spirito di squadra e l'apprendimento dei diversi ruoli a bordo di barche più grandi.
Windsurf. - Il windsurf è stato un grande fenomeno di costume e di mercato a partire dai tardi anni Sessanta, sviluppatosi rapidamente in tutto il mondo fino a essere adottato come categoria dalla Federazione internazionale e dalle autorità nazionali, per diventare classe olimpica dal 1984. Ideato in California e brevettato con il nome di windsurfer, l'attrezzo, destinato poi a innumerevoli aggiornamenti, è giunto in Europa all'inizio degli anni Settanta. La trovata tecnica principale, oltre all'idea di apporre una vela su una tavola da surf, consiste nell'assenza del timone, resa possibile perché l'attacco della vela è basculante e consente di cambiare direzione variandone l'inclinazione longitudinale, cioè intervenendo sul rapporto tra centro di deriva e centro velico. Successivamente sono nate diverse specialità e classi, tra cui il Funboard, si è affinato il disegno di derive e pinne e si è migliorata l'aerodinamica delle vele. Sono sorte molte scuole di windsurf, diverse classi si sono organizzate e oggi in tutto il mondo si svolgono numerose regate e campionati nazionali e internazionali.
Record di velocità. - La velocità a vela è da sempre una vera e propria ossessione, sia che si tratti di ottenere il massimo dalla propria imbarcazione per vincere in regata contro barche identiche sia che si voglia semplicemente stabilire un record. Il ripetersi di tentativi per la conquista di diversi record di velocità a vela ha indotto l'ISAF a creare un proprio organismo responsabile di aggiornare costantemente un apposito registro, il World Speed Sailing Record. In Inghilterra, a Weymouth, si svolge annualmente una Settimana della velocità a vela nella quale sono sperimentate soluzioni innovative e all'avanguardia: nuovi materiali e nuove forme aerodinamiche, a volte utilizzati anche su scafi di maggiori dimensioni, per regate o traversate, o persino adottati dalla cantieristica.
Tra i record su percorsi oceanici il più classico resta quello della traversata dell'Atlantico da Ambrose Light (New York) a Lizard Point (all'entrata della Manica), attualmente appartenente in assoluto al maxi catamarano Play Station di Steve Fossett (Stati Uniti), con 4 giorni, 17 ore e 28 minuti; mentre tra i monoscafi il primato è del ketch Mari Cha IV di Robert Miller (Gran Bretagna), con 6 giorni e 17 ore. Quasi tutte le celebri regate hanno un loro record: nel Mediterraneo esiste un record sul percorso Marsiglia-Cartagine, che nella versione monotipi appartiene allo yacht italiano Stealth dello scomparso Giovanni Agnelli, il quale lo stabilì nel 1998 in 1 giorno e 5 ore circa. Il record del giro del mondo in solitario appartiene al francese Francis Joyon su IDEC, in 72 giorni, 22 ore, 54 minuti e 22 secondi; quello assoluto in equipaggio al maxi catamarano Cheyenne di Steve Fossett, in 58 giorni, 9 ore, 32 minuti e 45 secondi. Esistono poi record di percorrenza nelle 24 ore, per le varie categorie di scafi: quello assoluto appartiene al catamarano di 102 piedi Orange II del francese Bruno Peyron, che nell'agosto 2004 ha percorso 706,2 miglia alla media di oltre 29 nodi; quello in solitario è dell'inglese Alex Thomson, che lo stabilì nel 2003 su AT Racing con 468,7 miglia.
Tra i record di velocità assoluti su una lunghezza di almeno 500 m il World Speed Sailing Record dell'ISAF censisce al primo posto un windsurf, di Finian Maynard (Isole Vergini), con 46,82 nodi; al secondo posto Yellow Pages, pluriscafo asimmetrico dotato di foils, con 46,52 nodi, record (1993) di Simon McKeon (Stati Uniti).
Tra gli eventi per il pubblico si è diffuso il circuito internazionale del Match Race, che oggi l'ISAF riassume anche in un'apposita classifica di merito e che rappresenta un caso di professionismo nella vela. Skipper di fama provenienti dalla Coppa America e noti al pubblico televisivo si sfidano in gare di 4-7 giorni in diverse località, con regate uno contro uno seguite da terra, attraverso selezioni, semifinali e finali molto emozionanti. In Italia gli eventi di Match Race di riferimento sono il Trofeo Challenge Roberto Trombini (Marina di Ravenna), la Cento Cup sul Lago di Garda, l'Elba Cup, il Blu Rimini World Match Race e la Coppa dei campioni a Porto Cervo. La FIV ha istituito da alcuni anni un circuito giovanile e i campionati nazionali di specialità.
Paul Elvström. - Il danese Paul Elvström, nato il 28 febbraio 1928 a Hellerup (poco a nord di Copenaghen), è l'unico velista, e uno dei soli tre atleti nella storia delle Olimpiadi, ad aver conquistato la medaglia d'oro nello stesso sport individuale per quattro volte consecutive ed è anche uno dei quattro atleti ad aver partecipato a ben otto edizioni dei giochi olimpici. Questo spiega perché il nome di Paul Elvström è ancora oggi, nel terzo millennio, simbolo della leggenda dell'Olimpiade riguardo la vela.
La prima medaglia d'oro del giovane Elvström risale al 1948 sulla classe Firefly, un singolo dotato di sola randa, sorta di antesignano del Finn. Non a caso le successive medaglie di Elvström (nel 1952, 1956 e 1960, per una serie ancora oggi ineguagliata) furono ottenute proprio sul durissimo singolo olimpico Finn, tuttora protagonista delle Olimpiadi. Inoltre Elvström è stato riserva della squadra danese nel 1964 e ha gareggiato ai Giochi nel 1968 (piazzandosi al quarto posto nella classe Star) e nel 1972.
Elvström, mito e riferimento per generazioni di velisti e campioni dello yachting, ha interrotto l'attività agonistica per dedicarsi alla vela come imprenditore di successo: barche, accessori e soprattutto vele. Ottenne l'affermazione del marchio Elvström nel mondo, sempre con caratteristiche di innovazione e grande visione d'insieme della vela: proprio le caratteristiche che sono state la forza di questo straordinario campione anche in mare.
Poi, a sorpresa, il suo ritorno alle regate e alle Olimpiadi: nel 1984 e nel 1988 Paul e la figlia minore Trine hanno gareggiato a bordo del tecnico e difficile catamarano olimpico Tornado, dopo aver conquistato il titolo europeo della classe nel 1983 e nel 1984. Alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 la prima e unica coppia di padre e figlia che abbia mai partecipato a una Olimpiade è andata assai vicino al podio, conquistando il quarto posto.
Elvström ha scritto fondamentali libri sullo yachting da regata (tra cui l'introvabile Elvström parla di sé e delle regate, Milano, Mursia, 1971) ed è stato una fonte di ispirazione per migliaia di giovani e appassionati velisti e sportivi, non soltanto in Danimarca.
Valentin Mankin. - Dopo Elvström, nella leggenda e nell'album dei valori olimpici di sempre per lo sport della vela c'è l'ucraino Valentin Mankin. Nato a Kiev il 19 agosto 1938, Mankin è considerato uno dei più grandi velisti di tutti i tempi, e non soltanto per il palmarès olimpico (3 medaglie d'oro e una d'argento in tre classi diverse). Mankin, eroe sportivo di una realtà sociale e politica particolare come l'Unione Sovietica, rappresenta un approccio alla vela e allo sport che travalica quel mondo chiuso e limitato. Come per ogni grande atleta, il suo talento era naturale e trasparente, ma anche frutto di una grande figura umana, di un carattere e di una volontà di ferro.
Conquistò la prima medaglia d'oro nella classe Finn ad Acapulco (Giochi di Città del Messico 1968). Quattro anni dopo, cambiata classe, vinse l'oro olimpico a Kiel (Giochi di Monaco 1972) nella Tempest. Lo sfiorò, conquistando la medaglia d'argento, ancora quattro anni dopo a Kingston (Giochi di Montreal 1976) nella stessa classe. L'oro ritornò nell'Olimpiade più significativa per Mankin, quella di Mosca 1980, a Tallinn con la classe regina dei giochi olimpici, la Star.
I successi olimpici portarono Mankin a una carriera anche politica nella Russia sovietica, dove divenne per alcuni anni ministro degli Sport acquatici (vela, nuoto, canottaggio). Il suo stile e il suo approccio alla preparazione sportiva cominciarono a diventare un mito, finché fu chiamato in Italia dal suo amico presidente della FIV Sergio Gaibisso, che gli offrì il ruolo di guida tecnica della vela olimpica azzurra. Un viaggio dai risvolti umani fondamentali: Mankin ha trovato in Italia le cure che hanno salvato il suo nipotino, malato a seguito dell'incidente alla centrale nucleare di Černobyl´. Dal 1991 Mankin ha seguito vari livelli e tanti atleti nella preparazione olimpica italiana; durante la sua gestione sono arrivati le medaglie di Alessandra Sensini e il trionfo di Sydney 2000 (un oro e un argento con Sensini e Devoti), migliore risultato di sempre per la vela azzurra ai giochi olimpici.
Jochen Schumann. - Il tedesco orientale Jochen Schumann ha vinto alle Olimpiadi 3 ori e un argento in due classi durante una carriera che è tuttora in corso e che lo ha visto protagonista della Coppa America, vinta nel 2003 con il team Alinghi.
La carriera velica di Schumann ebbe inizio a soli 12 anni in seguito alla costruzione a scuola di un piccolo Optimist, una deriva con la quale mosse i primi passi e si appassionò. Da quel momento la vela divenne la priorità della sua vita e la fonte dei suoi successi.
Il primo oro olimpico arrivò nel 1976, classe Finn a Montreal (Kingston). La partecipazione successiva a Tallinn per i Giochi di Mosca 1980 (sono sei in tutto le edizioni olimpiche alle quali ha preso parte) lo vide soltanto quinto nella classe Finn. Otto anni dopo Schumann tornò alla ribalta dello yachting olimpico con un'altra medaglia d'oro, nella classe Soling (tre persone di equipaggio), a Pusan (Giochi di Seul 1988). Quindi Barcellona 1992, con l'esordio della competizione a match race proprio nella classe Soling; per lui fu però una delusione, poiché arrivò in semifinale ma restò fuori dal podio (quarto). La rivincita tardò solo quattro anni: nel 1996 a Savannah (Giochi di Atlanta) Schumann fu ancora sul suo Soling, ma stavolta in finale, dove conquistò il terzo oro olimpico ed entrò nella leggenda (solo Elvström ha conquistato più medaglie d'oro). Altri quattro anni e fu ancora al vertice: nella cornice dell'Opera House a Sydney nel 2000 un'altra finale, stavolta persa, gli valse l'argento che lo equiparò in tutto all'ucraino Mankin.
Nel frattempo la figura velica e professionale di Schumann, grande navigatore dotato di notevole equilibrio ed esperienza, si affacciò alla Coppa America, che già aveva sfiorato con la sfida tedesca allestita da Daimler-Benz e mai presentata. Nel 2000 è stato al timone di Be Happy, barca svizzera senza pretese ma con molta inventiva. Fu soltanto l'anticipazione di quanto stava per avvenire: nel 2001 Ernesto Bertarelli lo chiamò a far parte del dream team di Alinghi, come timoniere e partner di Russell Coutts con l'equipaggio di neozelandesi che nel 2003 avrebbe conquistato la Coppa riportandola in Europa. Schumann è ancora oggi il capo della divisione sportiva di Alinghi, prossimo defender nella Coppa America 2007.
Torben Grael. - La storia della vela olimpica si è arricchita dopo Atene 2004 di un protagonista assoluto. Il nuovo campione dello yachting a cinque cerchi è un brasiliano dalla faccia magnetica e dal talento velico cristallino e inimitabile. Si chiama Torben Grael, è nato a San Paolo il 22 luglio 1960 ed è il primo velista nella storia ad aver vinto 5 medaglie olimpiche nello sport della vela: di diverso valore (2 ori, 2 bronzi, un argento), in diverse classi, anni e situazioni.
La prima risale al 1984 (Los Angeles): argento nella classe Soling. L'allora giovanissimo brasiliano sorprese tutti, campioni della classe e osservatori internazionali, ma nessuno ancora immaginava quale talento fosse emerso. Replicò nel 1988, nelle difficili acque coreane di Pusan, con il bronzo nella classe Star, che diventerà la sua barca preferita. Emerse la vera grande specialità del timoniere brasiliano: le andature portanti, lasco e poppa, con onda formata. Una classe al timone talmente sopraffina da bilanciare qualche inevitabile distrazione sugli elementi più razionali della vela: la partenza e il bordeggio. Grael è un grande talento creativo della vela moderna. La sua consacrazione arrivò nel 1996, a Savannah, con l'oro olimpico sulla classe Star.
Per lui iniziò una carriera brillante, tra Star olimpica, vela d'altura e persino Coppa America: dal 1998 entrò a far parte del team di Luna Rossa. Il 2000 fu un anno importante per lui: ai Giochi di Sydney conquistò la quarta medaglia, il bronzo, ancora in Star, pochi mesi dopo la vittoria della Louis Vuitton Cup con Luna Rossa (come tattico del timoniere Francesco de Angelis) e la finale della Coppa America, persa contro i neozelandesi di Black Magic.
Dopo aver partecipato nel 2003 a un'altra Coppa America (sempre con Luna Rossa), Grael ha centrato il risultato che lo ha posto al vertice numerico della vela olimpica: ad Atene 2004, su un campo di regata difficilissimo e con una flotta di talenti formidabile, ha vinto con un giorno di anticipo il suo secondo oro, sua quinta medaglia, ancora in Star e sempre con il fido prodiere Marcelo Ferreira. Nel suo immediato futuro c'è anche un giro del mondo in equipaggio.
Alessandra Sensini. - La vela azzurra degli anni Novanta e dell'avvio del terzo millennio deve a questa atleta toscana, profondamente amante del mare, i migliori successi olimpici e soprattutto la medaglia d'oro che mancava dai tempi di Agostino Straulino.
Alessandra Sensini, nata a Grosseto il 26 gennaio 1970, vede subito nel mare la sua ragione di vita. La sua classe e il futuro di campionessa sul windsurf appaiono chiari fin dai successi giovanili. Alessandra ha girato il mondo nelle regate di World Cup, un trofeo di grande spessore agonistico che l'ha vista protagonista assoluta per tre anni, fino alla chiamata olimpica. A metà tra talent scout e padre sportivo di Alessandra, l'attuale presidente della Federvela Sergio Gaibisso la volle fortemente per i Giochi di Barcellona 1992: la giovane Sensini entusiasmò ed emozionò, lottò alla pari con le grandi specialiste e finì fuori dal podio soltanto per inesperienza. Ma da quel momento la sua vita e i suoi allenamenti furono finalizzati al raggiungimento di una medaglia, che non mancherà più nelle tre edizioni successive. Alle Olimpiadi del 1996, a Savannah, la squadra azzurra arrivò favorita ma si perse negli acquazzoni atlantici e rischiò il naufragio. A salvarla fu Alessandra Sensini, che con una perfetta regata finale conquistò la medaglia di bronzo. Gli anni successivi furono un crescendo: Alessandra gareggiò, vinse e convinse in tutto il mondo.
Nel frattempo la tecnica subiva alcuni cambiamenti: il pumping fu liberalizzato, i surfisti a vela divennero atleti e quasi canottieri. Sensini si adeguò e la sua preparazione divenne metodica e professionale. Le Olimpiadi di Sydney 2000, dall'inizio alla fine, con il duello nella regata conclusiva contro la leggerissima tedesca Amelie Lux, hanno consacrato una campionessa completa: cuore, muscoli e cervello. È stato l'oro che la vela azzurra aspettava da oltre cinquant'anni.
Quattro anni dopo Alessandra era una professionista della vela olimpica. Il secondo oro alla sua portata è diventato però anche la sua condanna: erano stati quattro anni di pressione e di estenuanti attese. Ad Atene, con vento traditore (troppo leggero per lei), si è battuta con ardore ed è arrivata a sfiorare quanto le sarebbe spettato; la medaglia più preziosa le è sfuggita in un finale amaro, ma Alessandra ha conquistato un bronzo comunque storico: è il primo atleta nella storia della vela italiana a vincere 3 medaglie olimpiche.
Agostino Straulino. - L'ammiraglio, il comandante, Agostino, il grande Straulino. Marinaio e uomo straordinario, carattere capace di riassumere mitezza e forza incredibili, talento nautico e velico che ha segnato un'epoca non soltanto in Italia, eroe di guerra e nella vita. Forse anche per tutto questo la vela italiana è rimasta aggrappata, con il fiato sospeso, alla medaglia d'oro conquistata nel 1952 a Helsinki da Straulino e dal suo prodiere Nicolò Rode sulla mitica Star Merope (un nome di stella, come è tradizione delle barche della Marina italiana).
Straulino, nato a Lussinpiccolo in Dalmazia il 10 ottobre 1914, si appassionò alla vela quando il papà gli regalò una piccola barca con la quale scorrazzare in libertà fra le isole. In seguito Agostino si iscrisse all'Accademia navale, iniziò a correre le prime regate e si distinse nei corpi d'assalto Gamma, che attaccavano le unità nemiche con autorespiratori a ossigeno.
Nel dopoguerra riemerse la sua classe di velista unico e iniziarono a fioccare i successi. Quelli olimpici saranno da ricordare per sempre: nel 1948 a Torquay, per i Giochi di Londra, conquistò un quarto posto amarissimo, perché soltanto una svista della giuria lo privò del podio più che meritato. Fu la spinta per la rivincita, che arrivò puntuale quattro anni dopo, nel 1952 a Helsinki (Harmaja). L'Italia sportiva applaudì questo successo, attraverso il quale conobbe la disciplina della vela.
Altri quattro anni, in cui vinse alcuni titoli mondiali, per arrivare a Melbourne 1956, dove Straulino e Rode sfiorarono l'oro e dovettero accontentarsi dell'argento. Furono i suoi anni: tre titoli mondiali Star, con due secondi e un terzo posto, nella classe più combattuta e ricca di talenti sono un bottino ammirevole.
Poi la lunga e snervante attesa dei Giochi di Roma 1960, conclusasi con una delusione: il quarto posto finale di Straulino, in coppia con Carlo Rolandi, non rese giustizia alla classe e alla preparazione degli azzurri. La persecuzione del quarto posto non abbandonò Straulino neanche nel 1964 a Tokyo, quando conquistò la sua terza 'medaglia di latta' a bordo di un 5,5 m s.i. La carriera olimpica di Straulino finì soltanto formalmente nel 1960, giacché il suo oro resterà inimitato per quarantotto anni, fino al successo di Alessandra Sensini a Sydney 2000 (all'atleta grossetana arrivarono subito i complimenti dell'ammiraglio).
Straulino visse una vita piena sul mare: come comandante della nave scuola della Marina Amerigo Vespucci compì alcuni leggendari gesti marinareschi, tra cui le manovre a vela sul Tamigi e nel Mar Piccolo a Taranto; nella vela d'altura lasciò la sua impronta, vincendo nel 1973 la One Ton Cup a Porto Cervo e la Giraglia. Veleggiò il suo yacht da crociera e uscì di scena da grande campione. Straulino si è spento a Roma il 14 dicembre 2004.
Thomas Lipton. - Nella storia lunga e intensa della Coppa America non sono tanti i personaggi in grado di emergere, lasciando un segno lungo la scia di oltre un secolo e mezzo dell'evento velico più antico del mondo. Tra questi, in una fase storica decisiva della vicenda della Coppa, vi è di certo l'irlandese Thomas Lipton: le sue ripetute sfide, il suo spirito e il suo carattere contribuirono in modo determinante all'esplosione della popolarità della Coppa America all'inizio del Novecento.
Sulla scena della Coppa Thomas Lipton comparve per la decima sfida, nel 1899, e il suo Shamrock fu sconfitto 3-0 dalla statunitense Columbia. Ma quello di Lipton non fu un episodio. Questo figlio di irlandesi emigrati negli Stati Uniti, commerciante diventato ricchissimo con il tè, arrivò in Coppa America a cinquant'anni, digiuno di vela e spinto forse dall'amicizia del principe di Galles, futuro re Giorgio VII.
Il suo esordio da sconfitto in mare lasciò a Lipton una positiva eredità con l'aumento delle vendite del suo tè negli Stati Uniti. Ciò fu sufficiente a farlo insistere, al punto di diventare un simbolo della Coppa America e lo sfidante più vicino a vincerla. Si ripeté nel 1901 con Shamrock II, riportando una seconda sconfitta ancora per 3-0 a opera di Columbia. Terza sfida targata Lipton nel 1903 con identico risultato: Shamrock III perse 3-0 da Reliance, lo yacht più grande mai costruito per la Coppa America. Sir Thomas divenne sempre più popolare negli Stati Uniti; qualcuno definì la regata Lipton Cup. Ma alla ripresa, nel 1920, dopo alcune schermaglie procedurali il suo Shamrock IV, barca più piccola come voluto da Lipton e progettata da Charles Nicholson, fu a un passo dal successo clamoroso. La statunitense Resolute si ritrovò sotto 0-2, ma risorse difendendo la Coppa (3-2). Per Lipton la quinta sfida divenne un'ossessione: nel 1930 (si corse a Newport con i nuovi classe J) presentò il suo Shamrock V, ma lo statunitense Vanderbilt gli oppose uno strepitoso Enterprise (4-0). Un anno dopo Sir Thomas Lipton morì, non prima di aver ricevuto un estremo riconoscimento dagli americani, che lo consideravano l'emblema della Coppa: un trofeo più grande e più bello realizzato per onorare il suo spirito sportivo.
Dennis Conner. - L'anno del suo debutto sul palcoscenico della Coppa America, il 1974 a Newport per l'edizione numero 22, segnò la linea di demarcazione di una nuova epoca della Coppa. Entrarono in scena, con il giovane Conner (trentuno anni e una carriera velica che lo aveva fatto segnalare dalla nativa California), altri personaggi che contribuirono alla grandezza del trofeo, tra i quali merita una citazione Ted Turner, spiccato talento velico e organizzativo presto esploso negli affari con la creazione del gigante dell'informazione televisiva CNN. La storia di Dennis Conner è il fondamento del suo successo nella vela, meglio in quella particolare vela che è la Coppa America. Conner nacque a San Diego (California) nel 1943 e fin da giovanissimo prese confidenza con il mare a largo di Point Loma, frequentando il San Diego Yacht Club. Qui conobbe i grandi skipper e i timonieri della classe Star e qui gli fu offerta una chance che non si lasciò sfuggire. Con una Star usata, acquistata dall'armatore per il quale faceva il prodiere, Dennis vinse a soli ventotto anni il campionato del mondo Star del 1971. Il suo stile divenne inconfondibile, in mare e a terra: al talento naturale univa grande aggressività e capacità di cogliere l'attimo. Inevitabile il suo arrivo alla corte della Coppa America, della quale divenne presto un sovrano indiscusso. La prima difesa di Conner timoniere nel 1974 (Courageous batté l'australiana Southern Cross 4-0) segnò anche il primo incontro con Alan Bond, uomo che ebbe un ruolo chiave nel futuro di Dennis. Nel 1977 Conner mancò l'appuntamento con la Coppa, perché si era preparato per le Olimpiadi di Montreal 1976, dove conquistò la medaglia di bronzo nella classe Tempest. Poi vinse ancora il mondiale Star e finalmente si ritrovò alla guida di un sindacato defender tutto suo, con il risultato che Freedom batté Australia 4-1: siamo nel 1980, alla vigilia del grande balzo della Coppa America.
Nel 1983 (l'anno del debutto italiano con Azzurra) in finale il defender Liberty timonato da Conner fu battuto 3-4 da Australia II timonata da John Bertrand e famosa per la chiglia con le ali. Fu un clamoroso ribaltone storico: dopo centotrentadue anni di vittorie gli Stati Uniti persero la loro Coppa con il quarantenne Conner al timone.
Difficile riprendersi dopo una simile sconfitta e con il New York Yacht Club che gli chiuse sdegnatamente le porte. Ma Conner risorse con la sfida del 1987 a Perth, in Australia. Nacque l'imbarcazione Stars&Stripes, con cui Dennis riuscì a vincere 4-0 contro Kookaburra III e a riportare la coppa in America incarnando l'orgoglio statunitense. Poi, nel 1988, Conner difese il cat contro il 90 piedi neozelandese. Quattro vittorie e una sconfitta: nessuno come lui racchiude l'essenza degli anni ruggenti della Coppa America. Quello che viene dopo è contorno e racconta di Dennis Conner sempre presente, vecchio saggio e icona della Coppa ovunque vada: San Diego, Auckland, Valencia.
Russell Coutts. - L'irresistibile ascesa di Russell Coutts, nato il 1° marzo 1962 a Wellington (Nuova Zelanda), sulla scena della Coppa America ha un prologo olimpico. Successe nel 1984 al largo di Long Beach (Los Angeles), quando vinse uno degli ori più ambiti della vela, quello della classe Finn, singolo fisico e tattico che possono domare soltanto i campioni di razza. Undici anni dopo (avendo avuto una piccola parte da comparsa anche nella sfida neozelandese del 1992, quando Rod Davis gli cedette il timone nell'ultima regata della finale sfidanti, persa contro il Moro di Venezia di Paul Cayard) Coutts tenne saldamente la ruota di Black Magic, la barca nera dello squadrone neozelandese allestito da Peter Blake e apparso subito in grado di commettere il secondo sgarbo nei confronti degli statunitensi: il team New Zealand vinse la Coppa 5-0 e Russell, presto nominato Sir in patria, iniziò una serie di vittorie che lo portarono in cima a ogni record. Cinque anni dopo, infatti, nell'orgogliosa Auckland, città delle vele, Black Magic è stato un defender troppo perfetto per offrire speranze alla pur ottima sfida di Luna Rossa, e Russell Coutts si è concesso un altro 5-0.
A questo punto, con la Nuova Zelanda ancora distratta dai festeggiamenti per essere stata la prima nazione (Stati Uniti a parte) nella storia a difendere con successo la Coppa America, giunse un'inaspettata e sgradita notizia: una sfida potente, ricchissima, proveniente dalla Svizzera, aveva sedotto e messo sotto contratto Sir Russell Coutts, il suo tattico di fiducia e braccio destro Brad Butterworth e un'altra dozzina di velisti neozelandesi. Ci si preparò quindi a una Coppa di veleni: Coutts il 'traditore' contro gli ultimi neozelandesi 'leali'. Per Russell, che nel frattempo si era trasferito a Ginevra con la famiglia, era diventato difficile anche passeggiare per Auckland. Infatti preferì stare al timone di Alinghi, la barca elvetica che strapazzò gli altri sfidanti e approdò alla finale contro la sua stessa nazione: il giovane e acerbo allievo Dean Barker contro il maestro Russell Coutts; Alinghi, macchina perfetta, contro Black Magic, che provò rimedi tecnici estremi come la celebre hula, appendice sotto la chiglia rivelatasi un fallimento. Andò com'era inevitabile: Coutts vinse ancora per 5-0.
Così l'ex oro olimpico divenne il protagonista assoluto della Coppa America del terzo millennio. Ha vinto 5-0 nel 1995, è stato il primo defender a conservare il trofeo nel 2000 (altro 5-0), è divenuto il primo in oltre centocinquant'anni a riportare l'ambito trofeo nel vecchio continente. Sempre 5-0: difficile immaginare come un giorno qualcuno possa scalzarlo dal suo trono.
Éric Tabarly. - Il navigatore francese Éric Tabarly è il padre della moderna navigazione oceanica in Francia (tuttora paese guida nel settore). La sua influenza come modello ispiratore sulle generazioni di velisti e navigatori oceanici francesi è stata totale, quasi pedagogica. Straordinario innovatore e al contempo interprete di un tradizionalissimo modo di sfidare il mare, Tabarly stesso ‒ scomparso nel 1998 cadendo in mare dalla sua amata prima barca ‒ ha scritto memorabili pagine sull'evoluzione di questo sport.
Tutto ruota intorno al primo Pen Duick, la barca dell'eroe bretone. Disegnata nel 1898 da William Fife, fu l'imbarcazione su cui il giovanissimo Éric scoprì la vela e la vita (che poi saranno per lui una sola cosa). Con successivi restauri, il Pen Duick seguì come un amuleto la lunga storia delle barche celebri del suo armatore, spesso presente in banchina a fianco delle omonime versioni moderne. Il Pen Duick II (13 m) fu praticamente la prima ULDB (ultra-light displacement boat "barca a dislocamento ultra-leggero") della storia a vincere la regata transatlantica OSTAR. Seguì nel 1965 il Pen Duick III (17,45 m), che rappresentò una serie di novità: prima barca in alluminio, armata a schooner con molte vele piccole, wishbone (boma di ispirazione windsurfistica) e randa steccata (altra invenzione di Tabarly), e con bulbo a siluro; nel 1967 vinse tutto nello yachting d'alto mare. Il successivo Pen Duick IV fu addirittura il primo trimarano gigante (20,80 m), frutto del Tabarly 'visionario', disposto a credere nei multiscafi anche in un momento in cui gli esperimenti fallivano (andavano più lenti dei monoscafi). Tabarly inventò inoltre l'albero alare, e nel 1972 il Pen Duick IV fu il primo multiscafo a vincere una regata transatlantica. Ci fu peraltro una parentesi nei Pen Duick: Tabarly si fece costruire un trimarano dotato di foils (inseguendo il sogno di un aliscafo a vela), il Paul Ricard, con il quale batté il record atlantico del mitico Charlie Barr.
Il Pen Duick V (Bigoin-Duvergie-Tabarly, 1968) era un piccolo sloop (11 m), ma fu la consacrazione del modo di lavorare di Éric: pensato per la Transpacifica del 1969, era il frutto di lunghi studi statistici sulla meteorologia e fu il primo yacht a montare ballast strutturale (serbatoi d'acqua per zavorra). Tabarly chiuse la serie con il Pen Duick VI (22 m), il ketch che avrebbe potuto vincere la prima edizione della Whitbread se non avesse subito tanti disalberamenti.
Paul Cayard. - Paul 'Pierre' Cayard, nato a San Francisco da genitori francesi, è una delle figure di campioni della vela moderna più complete e rappresentative delle sue diverse anime. Vittorioso e di talento fin dalla sua scoperta della vela (una piccola barca in legno costruitagli dal papà), puntiglioso e intelligente organizzatore della preparazione necessaria a esaltare le proprie capacità, Paul Cayard deve la carriera velica a Tom Blackaller, l'estroso skipper statunitense che gli fece scoprire la classe Star con la quale vinse il mondiale nel 1988, e all'armatore italiano Raul Gardini, che lo trasformò in eroe popolare quale timoniere e skipper del Moro di Venezia nel 1992. In tutte le sue avventure sportive Cayard si è rivelato sempre un personaggio, e come tale ha gestito e reso pubblica la sua crescita sportiva. Dopo l'esplosione del Moro di Venezia Cayard si sentì un velista 'italiano' e tentò, nonostante le vicende giudiziarie e la morte di Gardini, di allestire una nuova sfida tricolore, senza però riuscirci. Il suo nome resta legato a grandi successi della vela azzurra d'altura: il Mondiale Maxi con il Moro di Gardini; la One Ton Cup con Brava di Pasquale Landolfi; l'Admiral's Cup con la squadra italiana; e altri titoli più recenti. Poi è tornato in Coppa America da defender, ma nonostante l'alleanza con Dennis Conner non è riuscito a fermare l'armata australiana nel 1995. Come timoniere e skipper di grande esperienza e capacità, Cayard era già nell'olimpo dei migliori, ma ha trovato il modo di fare un ulteriore salto di qualità: nel 1998 ha organizzato, gestito e timonato una barca alla Whitbread, il giro del mondo in equipaggio, che ha vinto con EF Language. Dopo questo successo, che ha definito una grande esperienza di vita raccontando, tra l'altro, le tempeste e il passaggio di Capo Horn, Cayard è stato nuovamente al comando di una sfida di Coppa America (con America One): nonostante il ritardo accumulato è riuscito a recuperare in un epico duello, perso, con Luna Rossa nella finale della Louis Vuitton Cup del 2000.
Campione del mondo di derive e classe olimpica, mondiale di vela d'altura, skipper di Coppa America e finalista sia da sfidante sia da defender, trionfatore al giro del mondo, grande comunicatore della vela e amato dal pubblico, gli mancava solo l'affermazione alle Olimpiadi. Ci ha provato, vincendo le durissime selezioni statunitensi e approdando ad Atene 2004 tra i favoriti. Ha vinto la prima prova, poi è stato sconfitto: niente podio. Amarezza, ma un'altra grande dimostrazione di completezza velica. Forse senza paragoni.
Cino Ricci. - Riminese, nato nel 1934, Ricci è il volto più popolare della vela in Italia, quasi un'icona. L'affermazione del personaggio non è però un'operazione di marketing: lo skipper romagnolo ha da sempre coltivato la passione del mare, le capacità di un leader e una straordinaria comunicativa. Così, dopo le prime esperienze con i pescatori di Cervia durante la guerra, da imprenditore è diventato armatore tra i più illuminati della sua stagione nella vela d'altura italiana, regatando anche in Francia e Inghilterra negli anni Sessanta e Settanta. Nel 1981 nacque la prima sfida italiana alla Coppa America; il consorzio Azzurra, che aveva alle spalle uomini come Gianni Agnelli e l'Agha Khan, lo chiamò nella veste di skipper. La sua gestione, il rapporto con il timoniere Mauro Pelaschier, l'ottima figura di Azzurra nel 1983 (prima partecipazione, subito in semifinale), molto amata dagli italiani, cominciarono a costruire il personaggio. Nel 1987 partì ancora con Azzurra, ma si dimise presto ed evitò così il disastro della Coppa 1987 a Perth. Nel 1992 Cino Ricci ha iniziato una carriera parallela, diventando il primo grande commentatore televisivo della vela, nelle trasmissioni sulle regate di San Diego del Moro di Venezia. Non si è più fermato ed è diventato il volto e la voce della vela e delle regate. Nel 2000 e nel 2003 ha seguito Luna Rossa.
Nel frattempo si è occupato di scuola vela (è stato tra i fondatori del Circolo velico Caprera) e di portualità (ha collaborato alla progettazione di molti porti turistici in Italia e in Dalmazia); ha seguito e spronato la carriera di Giovanni Soldini e Simone Bianchetti, i due migliori navigatori oceanici italiani. Dal 1989 ha organizzato il Giro d'Italia a vela, manifestazione passata attraverso varie fasi e maturata come sfida completa ed evento mediatico. Oggi Cino prosegue la sua attività di commentatore televisivo; la sua società Velaitalia organizza il Giro e altre manifestazioni in tutta la penisola; scrive articoli per riviste e giornali.
Giovanni Soldini. - Milanese, nato nel 1966, Giovanni Soldini è il più grande navigatore e velista oceanico nella storia della vela italiana. Ha potuto compiere nell'adolescenza esperienze uniche, dalla prima traversata dell'Atlantico a soli sedici anni alle lunghe peregrinazioni caraibiche con i navigatori Malingri. Il salto nella grande vela oceanica e il confronto con i francesi è arrivato con Looping, il primo monoscafo di 50 piedi acquistato usato, barca velocissima con la quale è stato terzo assoluto e secondo di classe nella regata La Baule-Dakar del 1991. Poi è stato protagonista alla OSTAR del 1992, prima del naufragio (senza conseguenze per l'equipaggio) della stessa barca al ritorno in Europa. Rimasto senza barca, nel 1994 Soldini è ripartito grazie a Kodak, un nuovo 50 piedi progettato da Jean Berret presso una comunità di recupero per tossicodipendenti e ribattezzato Stupefacente. Con Kodak, primo italiano della storia, nel 1994 ha preso il via al BOC Challenge, il giro del mondo in solitario a tappe, vincendo due tappe su quattro e chiudendo al secondo posto. Quindi è stata la volta di Fila, il monoscafo di 60 piedi che ha regalato a Giovanni la vera popolarità, grazie all'impresa storica del giro del mondo in solitario a tappe Around Alone partito da Charleston (South Carolina) nel 1998. Quinto nella prima tappa (Charleston-Città del Capo, Sudafrica), dominatore assoluto della seconda (Città del Capo-Auckland, Nuova Zelanda), nella terza frazione Giovanni è stato protagonista del salvataggio di Isabelle Autissier la cui barca si era rovesciata nel Sud Pacifico sulla rotta verso Capo Horn. Con Isabelle a bordo Giovanni ha proseguito la regata e ha vinto anche la terza tappa, che si è conclusa a Punta del Este in Uruguay. Infine si è aggiudicato anche la tappa finale da Punta del Este a Charleston vincendo così, primo non francese nella storia, il giro del mondo e stabilendo il nuovo record della regata con 116 giorni, 20 ore, 7 minuti e 59 secondi. È diventato un personaggio, per il successo ma anche per la vena scanzonata e la semplicità con cui cerca di tradurre la grande vela a vantaggio del pubblico e della promozione verso i giovani.
Soldini è ormai un patrimonio della vela italiana, e la sua popolarità lo ha spinto al grande salto: costruire il primo trimarano di 60 piedi italiano per il circuito Grand Prix internazionale. Grazie a Fila e poi a TIM, il nuovo sponsor con Telecom Progetto Italia, Soldini è riuscito nell'impresa e da alcuni anni è il primo e unico italiano a dare battaglia in oceano ai dominatori francesi e inglesi, accettando con tenacia le inevitabili sconfitte ma crescendo sempre professionalmente.
Simone Bianchetti. - La vela italiana lo piange ancora. Simone Bianchetti, di Cervia (Ravenna), è scomparso a trentacinque anni nel giugno del 2003 stroncato da un malore mentre si trovava a bordo di una barca con alcuni amici e la moglie Imbar, di origini israeliane, conosciuta e sposata soltanto pochi mesi prima. Navigatore, soprattutto solitario, personaggio unico, di generosità sconfinata e grande carattere, Bianchetti ha riempito di sé questi anni della vela italiana. Le sue imprese hanno inizio nell'Adriatico, nella stagione delle classiche d'alto mare, dalla 500 per due alla Rimini-Corfù-Rimini. Ma Simone si è spinto ben presto sull'oceano. Prima l'Atlantico, poi il BOC Challenge, che ha concluso arrendendosi alla prima tappa a Città del Capo. Testardo e dalle risorse infinite, è ripartito e con Aquarelle.com, barca noleggiata da un francese, ha portato a termine (primo italiano di sempre) il più duro e difficile dei viaggi da sogno: la Vendée Globe 2000, il giro del mondo senza scalo né assistenza, definito l'Everest della vela.
L'ultima impresa di Bianchetti era recente: il terzo posto all'Around Alone 2002-03, altro giro del mondo in solitario, stavolta a tappe. Un risultato sofferto (tre disalberamenti in 5 mesi), raggiunto tagliando il traguardo con l'albero rotto.
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