veleno
Compare solo in poesia e, a differenza dell'aggettivo ‛ venenoso ', che è usato anche in senso proprio, è sempre riferito a sentimenti, stati d'animo, comportamenti che fanno soffrire o danneggiano una persona.
In un discorso rivolto a una donna di cui il poeta è innamorato e che non ne ricambia il sentimento: hai pensier sì spietati, / ched ognun par che sia crudel veleno (Rime dubbie XVII 14).
Per dire che, di due dubbi che tormentano l'animo di D., il secondo offre " minor pericolo di errore ", è " meno pericoloso ", Beatrice usa la metafora l'altra dubitazion che ti commove / ha men velen (Pd IV 65); con un'immagine simile, a proposito del primo dubbio, aveva osservato che più ha di felle (v. 27).
Per l'uomo, osserva l'aquila a D., non si dà lume di verità, se non offerto dalla luce eternamente serena della Grazia; tutti gli altri sono falsi lumi: tenebra d'ignoranza, offuscamento e corruzione derivati dagli errori dei sensi: Lume non è, se non vien dal sereno / che non si turba mai; anzi è tenèbra / od ombra de la carne o suo veleno (Pd XIX 66). Il senso, sia di tutta la terzina, sia dell'espressione suo veleno, risulta chiaro dalla chiosa del Buti: " Senza la Grazia illuminante di Iddio noi siamo ciechi, o per lo dimonio che ci accieca, o per la concupiscenza della carne che n'offusca, o per piacere del mondo che ci corrompe " . Per metafore analoghe, si confrontino Pg XXV 132 di Venere... il tòsco, Ep VI 22 Nec advertitis dominantem cupidinem, quia caeci estis, venenoso susurrio blandientem.
Il velen de l'argomento (Pg XXXI 75) è la mordace allusione alla maturità di D. contenuta nell'espressione alza la barba (v. 68), che Beatrice aveva usato per invitare il poeta, turbato dai rimproveri di lei, a guardarla in viso.