VELIA (XXXV, p. 26)
Ricerche archeologiche nel sito della colonia focea furono iniziate nel 1927 e continuate negli anni successivi con saltuarietà; massicci scavi sono poi stati intrapresi da C.P. Sestieri e, soprattutto, da M. Napoli che vi ha lavorato dal 1962 al 1976, praticamente senza soluzioni di continuità.
Le vicende storiche relative alla fondazione della città (circa 535 a. C.) note dalla narrazione erodotea (I, 163-67) sembra si debbano inserire in un contesto di interessi italioti che vedono convergere la calcidese Regio, dominatrice dello Stretto, con Sibari e Posidonia, preoccupate, forse, di rafforzare le posizioni greche nel Mediterraneo occidentale, dominato dalle talassocrazie etrusca e cartaginese che avevano vinto ad Alalia (540 a. C.).
È accertato che la sede del primo stanziamento è stato il promontorio dell'Acropoli (anticamente proteso nel mare, oggi distante da questo circa 400 m per l'arretramento della linea di costa); qui si sono rinvenute cospicue tracce di edifici costruiti in tecnica poligonale di sicura derivazione ionica; una missione austro-tedesca diretta da B. Neutsch vi ha rinvenuto i livelli di frequentazione più antichi, caratterizzati sempre da ceramica della seconda metà del sec. 6° a. Cristo.
Verso il 480 a. C. si assiste a una vera e propria rivoluzione urbanistica, effetto di profondi mutamenti politici e sociali all'interno della polis (è questa forse l'epoca in cui Parmenide detta il corpus delle leggi); il villaggio in poligonale viene distrutto da un imponente muro di terrazzamento che isola la parte alta del promontorio, trasformata in santuario urbano; viene eretto un grandioso tempio ionico, di cui resta solo lo stereobate (l'elevato è stato in gran parte riutilizzato nel castello medievale impiantato sulla cella); nulla è dato sapere sul culto, a causa dell'assenza di elementi di giudizio; in seguito, forse nel 4°-3° secolo, fu edificato a E del tempio un teatro, il cui rinvenimento risale all'estate del 1973.
Alle falde del promontorio si organizzano due quartieri collegati tra di loro da un asse stradale Nord-Sud che s'insinua in un'insellatura alle spalle dell'Acropoli; nel punto più alto della sella fu sistemato un grande arco a tutto sesto in arenaria (cosiddetta Porta Rosa) montato senza grappe né malte cementizie, databile grosso modo al sec. 4° a. C.; esso era essenzialmente funzionale, in quanto permetteva i collegamenti tra l'Acropoli e il resto del crinale, difeso da un'imponente cerchia muraria di cui resta solo lo zoccolo in arenaria, mentre l'elevato doveva essere, secondo una brillante ipotesi di C. Franciosi, interamente costituito dai mattoni di V., noti per la forma (semilater e palmipes) e per la caratteristica di avere sempre due bolli, ΔH (demosia, dello stato) costante e un bollo variabile, forse il nome del magistrato, piuttosto che quello del fabbricante (si conoscono infatti oltre 120 sigle ed è difficile pensare a bolli di figline); una fornace in cui si fabbricavano tali mattoni è stata scavata dal Mingazzini in un'area extraurbana a sud, tra le mura e la vicina Fiumarella S. Barbara.
I lavori di scavo più imponenti si sono avuti, però, oltre che sull'Acropoli, dove sono ancora in corso e tali da non essere ancora riassumibili, nel quartiere meridionale; a mezza costa è stata riportata alla luce una piccola agorà ellenistica, chiusa per tre lati da muri di terrazzamento e, sul quarto, da una fontana monumentale; nella parte bassa sono state, invece, scavate due insulae che, pur presentandosi nell'aspetto che avevano nella tarda antichità, conservano intatto il tessuto urbanistico assunto dall'area a partire dal sec. 3° a. Cristo. Si è accertato, con saggi in profondità, che, prima di questa epoca, la zona aveva strutture portuali, in seguito inghiottite da un interramento, in gran parte alluvionale, che permise l'urbanizzazione della fascia litorale; sulle strutture del molo del porto fu elevato allora il muro di cinta che doveva saldarsi con quei tratti del circuito costruiti in epoca precedente. Una delle due insulae del quartiere meridionale era interamente occupata da un edificio pubblico (molto probabilmente identificabile con la sede degli Augustali, databile, in seguito a scavi recenti, al 1° secolo d. C.) circondato da criptoportico; lo scavo ha qui restituito un gruppo di sculture: ritratti della famiglia giulio-claudia, repliche di originali greci insieme con erme e ritratti di medici della scuola eleate, tra cui una testa barbata di età imperiale dal Napoli ritenuta replica del ritratto di Parmenide.
Fino al 4°-5° secolo d. C. giungono le tracce dell'occupazione del quartiere Sud: di recente è stato messo in luce un grande edificio termale del sec. 2° d. C. decorato con mosaici in bianco e nero con soggetti marini.
L'area antistante il vecchio porto è ora occupata da una necropoli con recinti funerari familiari, spesso forniti di iscrizioni su marmo, da una delle quali si apprende della deduzione a V. di veterani della flotta misenense. Dall'Alto Medioevo in poi la fascia costiera viene abbandonata; l'occupazione umana torna a limitarsi all'Acropoli. Nessuna ricerca sistematica è stata finora avviata nelle necropoli, sottoposte agl'inizi del secolo a spaventosi saccheggi; rinvenimentí sporadici ci consentono di collocarne una, in uso almeno dai primi anni del sec. 5° a. C., nell'area immediatamente a S della città, tra questa e la Fiumarella, nei pressi del quartiere artigiano di cui si è detto. In misura minore che nella città si è lavorato nel territorio; brevi scavi e ricerche topografiche hanno accertato la presenza di quattro fortificazioni che erano sistemate nell'emiciclo di colline alle spalle della città, nei punti chiave che permettevano il transito verso la pianura; esse furono edificate nel sec. 4° in funzione anti-lucana.
La raccolta dei dati in superficie suggerisce l'ipotesi di un abbandono di queste postazioni, in età successiva, quando la loro funzione doveva essere cessata. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Notizie di rinvenimenti nelle annuali rassegne dei Soprintendenti apparse negli Atti dei Convegni tarantini sulla Magna Grecia (voll. 1-12 e, in corso di stampa, 13-16); M. Napoli, in Enc. Arte Ant., VII, sub v.; id., Guida agli scavi di Velia, Cava de' Tirreni 1973; fondamentali i due voll. di Autori vari dedicati a V. da La Parola del Passato: Velia e i Focei in Occidente (fasc. 108-10, 1966), Nuovi Studi su Velia (fasc. 130-33, 1970); J. P. Morel, La céramique archaïque de Velia, in Simposio de Colonizaciones, Barcellona 1974, p. 139 s.; A. Greco Pontrandolfo, Ripostiglio monetale da Velia, in Ann. Ist. It. Num., 18-19, 1971-72, p. 91 s.; E. Greco, Velia e Palinuro. Problemi di topografia antica, in Mél. Éc. Fr. Rome, 87, 1 (1975), p. 81 s.; A. Capizzi, Parmenide, Bari 1975.