VELO (fr. voile; sp. velo, ted. Schleier; ingl. veil)
Antichità. - La voce velum era presso i Romani un termine generico per designare ogni brano di stoffa destinato ad adattarsi e a liberamente librarsi su di un corpo senza avvilupparlo. Il velo che copre la testa si diceva più propriamente velamen.
Antichissimo è il valore simbolico e religioso del velo; attributo di parecchie divinità greche e romane, fu anche insegna sacerdotale; infatti nei sacrifici di rito romano l'officiante doveva avere la testa velata. Le vestali durante i sacrifici si coprivano la testa col suffibulum, velo bianco di forma rettangolare; le vestali colpevoli venivano sepolte vive con la testa velata. Nella cerimonia del ver sacrum i giovani e le ragazze erano coperti da un velo; velarsi il capo era segno di dolore e di lutto presso i Greci e i Romani. In tutti questi varî modi e simboli l'atto di velarsi corrisponde costantemente a una forma di consacrazione alla divinità. Manto od ornamento primordiale, l'uso del velo nel costume femminile risale alla più lontana antichità. La καλυπτρα e il κρήδεμνον dell'epoca omerica erano veli di lino posati sulla testa e ricadenti sulle spalle; le ricae o riculae e le palliolae delle donne romane derivano dall'uso remotissimo di coprirsi il viso e la testa col lembo della palla; il therystrum era un manto di velo leggerissimo e trasparente portato in Grecia dagli uomini e dalle donne; queste se lo avvolgevano attomo al capo per difendersi dai raggi del sole o dalla pioggia. I veli delle donne greche e romane erano di stoffa finissima, fabbricati nelle isole di Coo, di Amorgo e a Taranto; i veli di Coo erano tanto trasparenti che per essi si adoperavano espressioni quali ventus textilae (tessuti di vento) o nebula linea (nebbia di lino); di questo tipo di velo si facevano anche abiti.
Medioevo ed età moderna. - Il cristianesimo conservò al velo tutta la sua simbologia: il velo delle spose cristiane corrisponde al flammeum delle spose greche, etrusche e romane, simbolo di pudore e di castità. Il cristianesimo impose altresì al neofita la testa coperta e gli occhi velati. Nei primi secoli cristiani tutte le donne portano il velo; nei sarcofagi dei secoli I-III le donne sono sempre rappresentate col velo in testa, solo l'immagine di Maria Maddalena appare talvolta a testa scoperta (secoli II e III). San Paolo ordinò alle donne di velarsi durante la preghiera, e più tardi Tertulliano impose il velo alle vergini volontarie; tutti i predicatori furono d'accordo nel consigliare alle donne il velo, ma questo finì col divenire elemento prezioso di raffinata eleganza. Le prime crociate portarono in Europa (specie in Italia) il gusto dei veli trapunti d'oro e d'argento, tramati di sete multicolori. Il velo continuò ad essere portato in molteplici fogge: grandi veli semicircolari, lunghi fino a terra, veli rotondi e corti fino a mezze spalle, veli a guisa di sciarpe, veli di seta bianchi, multicolori, "vergati", "listati", veli di "rensa", di lino e di lana. Nel sec. XII fu di moda un velo di seta completamente circolare, trattenuto sulla testa da un cerchio d'oro o d'argento: fu adottato solo dalle donne delle classi alte, mentre le donne del popolo portavano sciarpe di velo che somigliavano allo scialle attuale. Per lungo tempo l'eleganza femminile fu sintetizzata dal modo di portare e di drappeggiare il velo sul capo e attorno al viso. Ben presto cominciò l'allarme contro il lusso del velo: nel Friuli il patriarca Bertrando proibisce, nel 1341, ogni specie di velo di seta. Il velo a manto decade ai primi del Quattrocento; ma lo si ritrova tuttavia in tutte le varie acconciature quattrocentesche: sugli hennin, sulle "selle", attorno alle "caiole", ecc., e sono ancora veli tramati d'oro e orlati di galloni e di perle, trattenuti da frontali, corone o diademi. Il velo fascia talvolta il collo e il mento delle donne (gorgiera, "glimpa"); solo le vedove e le donne di una certa età portano il manto da testa, mentre le giovani portano cortissime acconciature di velo increspato, pieghettato, ornato di perle; molti inventarî del Rinascimento elencano questi "veletti" o "velette" di bombice. Nei secoli XIV e XV non era più sufficiente la grazia dei drappeggi e delle pieghe, ma occorreva un'arte specialissima per piegare, stirare, insaldare queste acconciature. Sorge fiorentissima l'arte dei "velari" o "velettari": a Firenze, a Venezia, a Torino queste corporazioni erano attivissime; a Milano l'industria dei velettari continuò, con la sua università, sino al sec. XVII. In Sicilia l'uso dei veli ("faccioli" o "glimpe") era così diffuso che i veli erano esenti da qualsiasi dazio. Il velo bianco fu in certe città prerogativa delle fanciulle, proibito sotto pene gravissime alle meretrici che avevano quasi sempre il velo giallo, o di Cambrai; varie leggi suntuarie quattrocentesche limitano il lusso dei veli (Pisa, Brescia, ecc.). Alla fine del Quattrocento il velo decade completamente, rimanendo solo per le vedove e per le donne di una certa età. Nel Cinquecento il velo viene detronizzato dal merletto. Le stoffe di velo non ritornano di moda che nel Settecento, come guarnizione di vestiti a nastri e a gale; ma per breve ora: soltanto nei primi anni dell'Ottocento il velo riacquista la sua antica importanza: le stoffe, le guarnizioni, le sciarpe sono di velo; fiorisce la nudité gazée del Direttorio. Nella seconda metà del sec. XIX si portano immense crinoline di velo a più doppî; la fine del sec. XIX, con le sue mode pesanti, non utilizza che poco, e solo nelle vesti da sera, questo tessuto, e solo recentemente la moda ha di nuovo messo in valore il velo come stoffa per vestiti da sera e da giorno, a gran fiori e a disegni originali; nel 1935 riapparve il velo da testa, per sera, lembo di strascico o di sciarpa che veniva ripiegata sul capo. Il velo oggi si adopera molto per tendaggi e biancheria elegante.
Bibl.: C. Vecellio, Habiti antichi e moderni, Venezia 1590; F. Mutinelli, Il costume veneziano, Venezia 1831, p. 93; A. Solerti, Due corredi di nozze nel sec. XIV, in Gazzetta letteraria, Torino 1880; G. D'Ezes e Marcel, Histoire de la coiffure, Parigi 1896; E. Casanova, La donna senese del '400, Firenze 1890, p. 12; P. Lanza di Scalea, Donne e gioielli in Sicilia, Torino 1892, pp. 54-63, 106-14, 121, 199, 285; A. Luzio e R. Renier, Il lusso d'Isabella d'Este, in Nuova Antologia, 1896, p. 146; E. Verga, Le leggi suntuarie milanesi, in Arch. st. lombardo, 1898, p. 36; G. Wilpert, Le pitture nelle catac. romane, Roma 1903; P. Molmenti, St. di Venezia, I, Bergamo 1903, p. 241; II, p. 387; L. Chiappelli, La donna pistoiese del buon tempo ant., Pistoia 1914, p. 65; E. Polidori Calamandrei, Le vesti delle donne fiorentine, Firenze 1924, p. 80; E. Viollet-le-Duc, Dict. raisonné du mobilier franç. du moyen âge à la renaiss., Parigi s. a., passim.
Liturgia cattolica.
Nella liturgia e nella prassi della Chiesa cattolica il velo ha varî usi che possono riferirsi alle persone o agli oggetti. Riguardano le persone: a) il velo battesimale, stoffa bianca di lino che il sacerdote battezzante, dopo aver fatto gli esorcismi e le unzioní rituali e pronunziata la formula del battesimo impone sul capo del bambino con le parole: "Ricevi la veste candida da portare al tribunale del signor nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna"; b) il velo omerale, di stoffa generalmente serica e di vario colore secondo le prescrizioni rituali, che vien posto sulle spalle del sacerdote nelle processioni e nelle benedizioni eucaristiche, e del suddiacono nelle messe solenni mentre dall'offertorio al Pater noster sostiene la patena innanzi ai proprî occhi; c) il velo religioso, di probazione o di professione, che portano sul capo le novizie e le monache professe, e dal quale è venuta l'espressione "prendere il velo" per "farsi monaca". Un tempo anche dagli abati di alcuni ordini religiosi nel giorno della professione si soleva porre , sul capo dei monaci un velo che doveva essere portato per otto giorni. Di origine liturgica è anche il velo che, a forma di manto, scende dal capo della sposa nella cerimonia nuziale.
Si riferisce agli oggetti il velo: a) del calice, della stessa stoffa e del medesimo colore della pianeta, che serve a coprire il calice dal principio della messa all'offertorio e dalla comunione alla fine, b) del tabernacolo, più o meno ricco e ornato, corrispondente nel colore ai paramenti sacerdotali del giorno corrente; c) della pisside, per coprire questo vaso sacro quando contiene le specie sacramentali; anch'esso è di stoffa preziosa e spesso adorna di ricami simbolici. Vi fu un tempo l'uso, vigente ancora presso alcuni ordini religiosi e in qualche chiesa di Spagna, di stendere un velo nei giorni feriali per nascondere il presbiterio; era chiamato velo quaresimale, dal tempo dell'anno in cui era più adoperato.