vendere
Ricorre in tutte le opere, meno che nella Vita Nuova, con il valore e in usi estensivi o figurati tuttora vivi. Appare nel Fiore; manca anche nel Detto.
Gli esempi di uso proprio appartengono tutti al Fiore e cadono nell'ambito della polemica antiecclesiastica e antiborghese condotta da Falsembiante, o del cinico codice di comportamento enunciato dalla Vecchia: CXVIII 9 conviene che [i cavalieri] vendan case o terra / infin che i borghesi siar pagati; CLXIII 12 La femina de' aver amici molti / ... e far lor vender la torre e 'l palagio; e così in CXV 2; anche in un modo proverbiale: è gran follia... / voler insegnar vender frutta a trecca (CVII 13).
Alcune fra le attestazioni delle opere certamente autentiche s'inseriscono in contesti figurati. Probabilmente è suggerita da una sentenza di Seneca assai nota nel Medioevo (Benef. II 2 " sero beneficium dedit qui roganti dedit ") la considerazione che quanti donano con mala grazia trasmutano il dono in una vendita onerosa per chi lo riceve: Rime CVI 121 volge il donare in vender tanto caro / quanto sa sol chi tal compera paga (l'infinito è sostantivato); e così in Cv I VIII 16. Chi esprime giudizi sul proprio conto, ha nel suo giudicio le misure del falso mercatante, che compera con l'una e vende con l'altra (II 9); qui, probabile fonte è Matt. 7, 2-3 " in quo... iudicio iudicaveritis iudicabimini, et in qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis " . Appartiene invece a una tradizionale precettistica moraleggiante la deprecazione contro la vanità nell'abbigliamento espressa in Rime LXXXIII 34 Qual non dirà fallenza / ... ornarsi, come vendere / si dovesse al mercato di non saggi?; anche Guittone, delle donne che fanno sfoggio di ornamenti, aveva detto: " Ben dona intendimento / che vender vol chi sua roba for pone " (Altra fiata aggio già, 151-152).
Implica quasi sempre un giudizio negativo allorquando è predicato a chi " fa mercato " di cose non venali. In questo senso compare nell'ammonimento rivolto ai giuristi: Cv IV XXVII 9 quelli consigli che non hanno rispetto a la tua arte e che procedono solo da quel buono senno che Dio ti diede... tu non li dei vendere... quelli che hanno rispetto a l'arte, la quale hai comperata, vendere puoi (specie nel secondo esempio il biasimo è attenuato, in quanto D. si riferisce all'attività, legittimamente remunerata, del giurista). La punizione di Dio è invocata sui simoniaci con un'immagine tratta dall'episodio evangelico (Matt. 21,12 ss.) dei mercanti nel tempio: un'altra fïata [Dio] omai s'adiri / del comperare e vender dentro al tempio (Pd XVIII 122); analogamente, nell'invettiva di s. Pietro contro i suoi successori degeneri: XXVII 53 Non fu nostra intenzion... / ch'io fossi figura di sigillo / a privilegi venduti e mendaci, " concessi per denaro " . Anche nel Fiore: san Paolo predicava i compagnoni / ched'e' sì non vendesser lo Guagnelo (CXII 11). In un ambito assai terreno è da collocare l'ammissione di Falsembiante: 'l mi' servigio il vendo molto caro (CXXII 14).
Per dichiararsi disposto a compiere qualsiasi sacrificio pur di ottenere l'amore di lei, l'Amante propone a Bellaccoglienza di venderlo come schiavo: Fiore CCII 8 a me piace... / o la persona mia ancora ingaggiaste / o la vendeste: mai non vi contendo; e così in CXLII 14.
Un severo sdegno morale suggerisce l'uso del verbo in due esempi: quando Guido del Duca predice le atrocità che Fulcieri da Calboli commetterà contro i Fiorentini di Parte bianca (Pg XIV 61 Vende la carne loro essendo viva); nella severa condanna, per bocca di Ugo Capeto, dell'avidità di Carlo II d'Angiò che aveva consentito alle nozze della figlia Beatrice con il tanto più anziano Azzo VIII, partito non convenevole: dice il Compagni (III 16): " perché condiscendessi a dargliele, la comperò, oltre al comune uso ": veggio vender sua figlia e patteggiarne / come fanno i corsar de l'altre schiave (XX 80).
All'idea del mercato si aggiunge quella del tradimento nel ricordo del sangue versato da Cristo per esser stato per Giuda venduto (Pg XXI 84).
Il verbo appare come variante, di assai facile genesi, di veder, in Pd XV 102; cfr. Petrocchi, ad locum.