Abstract
Viene esaminato il contratto di compravendita alla luce della disciplina di diritto interno – dettata dal codice civile e dalla legislazione speciale – applicabile alla generalità delle vendite e della normativa di matrice comunitaria concernente le vendite di beni di consumo tra imprenditori e consumatori. Di tale contratto vengono considerati i profili strutturale, funzionale ed effettuale, vengono trattati gli istituti speciali della garanzia e viene ripercorso il sistema dei rimedi contro l’inattuazione dello scambio.
1. Nozione e caratteri
Tra i contratti di alienazione per lo scambio di beni, quello più diffuso nella pratica degli affari ed anche il più importante dal punto di vista teorico e normativo è sicuramente la compravendita.
La vendita è disciplinata dal codice civile (artt. 1470-1547) e da numerose leggi speciali; tra queste, assumono un rilievo particolare le disposizioni di matrice europea sulla vendita dei beni di consumo, dettate dagli artt. 128-135 c. cons.
Alle norme di diritto interno e a quelle comunitarie si aggiungono quelle di diritto internazionale, tra cui spicca la Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 (ratificata con l. 1.12.1985, n. 765) entrata in vigore il 1° gennaio 1988.
In base alla definizione che ne offre il legislatore (art. 1470 c.c.) «La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo». Oggetto della vendita può essere perciò non solo la proprietà (di cose) ma anche, ad esempio, diritti di credito e diritti su beni immateriali.
La vendita dà vita ad un contratto consensuale e traslativo. Consensuale, in quanto si perfeziona con il realizzarsi dell’accordo delle parti, senza bisogno della consegna della cosa, della trascrizione in pubblici registri o del pagamento del prezzo (Bigliazzi Geri, L.-Breccia, U.-Busnelli, F.-Natoli, U., Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1985, 307); traslativo, in quanto è diretta a produrre il trasferimento di un diritto.
Secondo la terminologia del codice e alla luce della «regola del consenso traslativo» (art. 1376 c.c.) (Portale, G., Principio consensualistico e conferimento di beni in società, in Riv. soc., 1970, 913 ss.; Russo, E., Vendita e consenso traslativo, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, art. 1470, Milano, 2010, 181 ss.), la vendita è contratto ad effetti reali. L’effetto traslativo si verifica automaticamente in forza del solo accordo e, di norma, al perfezionarsi dello stesso. Oltre alle vendite immediatamente traslative vi sono fattispecie (v. infra, § 6) nelle quali il trasferimento è (eventuale e) rinviato al verificarsi di ulteriori fatti od atti (c.d. vendite obbligatorie). Anche in queste ultime ipotesi la vendita integra un contratto traslativo, rimanendo perciò netta, anche in tali casi, la differenza con la vendita (essenzialmente obbligatoria) degli ordinamenti di area tedesca.
La vendita è contratto non solo a titolo oneroso, ma anche a prestazioni corrispettive: l’attribuzione traslativa è controprestazione dell’attribuzione pecuniaria, e viceversa.
Per questa ragione la causa della vendita viene comunemente individuata nello scambio di un bene verso un corrispettivo pecuniario.
2. Frantumazione del tipo contrattuale
La vendita si segnala per varietà di sottotipi, varianti tipologiche, clausole e discipline particolari. La normativa codicistica della compravendita già nel suo disegno originario non si ispira ad un modello unitario e si articola in svariate sottospecie. All’originario nucleo codicistico si sono poi aggiunte nuove discipline che hanno accresciuto la complessità della figura fino a farle quasi perdere unitarietà (Santini, G., Il commercio, Bologna, 1979, 247 ss.).
Di qui una varietà di figure di «vendite speciali» che si differenziano tra loro in funzione, prevalentemente, della diversità, ora dei soggetti (ad es., consumatori, imprenditori), ora all’oggetto del contratto (ad es., beni mobili, beni immobili, immobili da costruire, multiproprietà, aziende), ora alle modalità della contrattazione (ad es., dentro o fuori i locali dell’impresa, con tecniche di comunicazione a distanza o tra persone presenti).
Il fenomeno, testè rilevato, di «frantumazione» del tipo-vendita in una molteplicità di varianti tipologiche e sottotipi (Alpa, G., Istituzioni di diritto privato, Torino, 1994, 960; Luminoso, A., La compravendita, Torino, 2011, VII ed., 7 ss.) si interseca con un processo di erosione del modello codicistico, che prende origine dalla differenziazione e dal distacco dall’originario tronco della vendita di nuove fattispecie negoziali tipiche e atipiche (in particolare, la somministrazione, la concessione di vendita, il franchising, il leasing, il factoring).
3. Divieti speciali di acquisto. Forma
Riguardo ai soggetti e ai relativi requisiti (titolarità, legittimazione, capacità giuridica, capacità d’agire, capacità di intendere e di volere) trovano applicazione, nella compravendita, le regole e i principî che valgono in generale per tutti i contratti. La disciplina generale deve essere integrata tuttavia con l’art. 1471 c.c. che, con specifico riferimento alla vendita, fa divieto ai soggetti che agiscano nell’interesse di altra persona di acquistare beni dalla stessa a pena di annullabilità o, secondo i casi, di nullità del contratto (Rubino, D., La compravendita, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1971, II ed., 21 ss.).
La legge non prevede una forma solenne per la vendita in quanto tale. La forma scritta è richiesta, a pena di nullità, in relazione a specifiche ipotesi, tra le quali le compravendite di immobili, di eredità, di navi maggiori e aeromobili (v. artt. 1350, 1543 c.c., 245 e 846 c. nav.).
4. Il contratto preliminare di vendita
Un’importanza particolare riveste il contratto preliminare di vendita (Gabrielli, G., Il contratto preliminare, Milano, 1970; Palermo, G., Contratto preliminare, Padova, 1991), mediante il quale le parti si obbligano a stipulare in un secondo momento la vendita (c.d. definitiva) destinata a produrre il trasferimento del diritto e l’obbligazione di prezzo.
La forma richiesta per la validità del preliminare è la stessa prescritta per la vendita definitiva (art. 1351 c.c.).
Sino a poco tempo fa il contratto preliminare non era trascrivibile, ed era consentita (art. 2652, n. 2, c.c.) unicamente la trascrizione della domanda giudiziale (ex art. 2932 c.c.) diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre. Nel 1996 è stato inserito nel codice civile l’art. 2645 bis che consente di trascrivere (con efficacia prenotativa, temporalmente limitata) i contratti preliminari di vendita aventi ad oggetto beni immobili (non esclusi i fabbricati da costruire) (Cian, G., La trascrivibilità del preliminare, in Studium iuris, 1996, 215; Gazzoni, F., Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare, in Riv. not., 1997, 19 ss.).
L’oggetto della vendita è costituito più che dalla cosa e dal prezzo, dai risultati con essa programmati, ossia dall’attribuzione del diritto e dall’attribuzione del prezzo (Bianca, C.M., La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino, 1993, II ed., 3 ss.).
Il trasferimento programmato con la vendita ha ad oggetto a sua volta diritti soggettivi (reali, di credito, su beni immateriali, ecc.). Conseguentemente, non possono formare oggetto di compravendita le entità, materiali o immateriali, non suscettibili di costituire autonomo punto di riferimento di diritti (ad es., giocatori di calcio, canali radiotelevisivi, pacchetti turistici, possesso, “scatole d’aria”, “cubatura edificabile”) (cfr., Dalle res alle new properties, a cura di G. De Nova, B. Inzitari, G. Tremonti, G. Visintini, Roma, 1991).
L’art. 1472 c.c. consente la vendita di cose future, ossia di beni che, al momento della conclusione del contratto, non sono ancora esistenti (Perlingieri, P., I negozi su beni futuri, I, La compravendita di “cosa futura”, Napoli, 1962). Discussa è la natura di tale fattispecie. Taluno la configura come un contratto incompleto o in itinere in quanto privo di oggetto (Rubino, D., op. cit., 176); altri interpreti ne identificano il proprium in un congegno sospensivo dell’efficacia della vendita fino alla venuta ad esistenza del bene; l’opinione dominante vi ravvisa una vendita (c.d.) obbligatoria (Cottino, G., Diritto commerciale, II, 2, Contratti commerciali, Padova, 1996, II ed., 20). Questa soluzione (maggioritaria) fornisce il supporto teorico per la ricostruzione della sua disciplina.
Come previsto dall’art. 1472 c.c., il trasferimento del diritto si verifica automaticamente non appena la cosa viene ad esistenza (ad es., nei casi di immobile da costruire, quando la edificazione è completata: Cass., 5.9.1989, n. 3854).
Nell’ambito della contrattazione immobiliare, a rischi particolarmente elevati rimane esposto l’acquirente di immobili da costruire o in corso di costruzione, a protezione del quale il legislatore è intervenuto negli ultimi tempi. Il provvedimento più importante è costituito dal d.lgs. 20.6.2005, n. 122, che trova applicazione in relazione ai contratti, preliminari o definitivi (come ad es., vendita, permuta, leasing e simili), la cui finalità pratico-giuridica sia quella di attuare un acquisto non immediato della proprietà di un immobile da costruire, sempreché le parti dei contratti siano, quanto al soggetto «acquirente» una persona fisica, e quanto al «costruttore» un imprenditore o una cooperativa edilizia (Petrelli, E., Gli acquisti di immobile da costruire, Milano, 2005). Tra le forme di tutela previste dal legislatore assume un particolare rilievo la previsione di una fideiussione bancaria o assicurativa che il costruttore deve procurare (a pena di nullità “relativa” del contratto) a garanzia della restituzione dei corrispettivi in denaro o in natura versati dall’acquirente, escutibile nell’ipotesi in cui il costruttore subisca una procedura concorsuale (e in particolare, il fallimento) ovvero il pignoramento dell’immobile prima del trasferimento della proprietà dell’immobile (De Cristofaro, G.-Costola, J., Le misure di protezione degli acquirenti di edifici da costruire introdotte dal d. legisl. 20 giugno 2005, n. 122: prime considerazioni, in Studium iuris, 2005, 1013 ss.).
Nella vendita immobiliare è essenziale l’identificazione nel contratto (solenne) del bene da alienare. Usuale è, nella pratica, l’individuazione (v. Auricchio, A., La individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960) del bene mediante l’indicazione dei confini o dei dati catastali; in caso di discordanza tra riferimenti catastali e confini deve darsi prevalenza ai confini (Cass., 26.4.2010, n. 9896). In caso di indeterminatezza e indeterminabilità del bene, la vendita è nulla (artt. 1346 e 1418 c.c.). La nullità è prevista dalla legge (art. 29, co. 1 bis, l. 27.2.1985, n. 52) anche per i contratti notarili di trasferimento di unità urbane che non siano identificate nell’atto con i dati catastali e col riferimento alle planimetrie depositate in catasto e nei quali l’alienante non dichiari la conformità allo stato di fatto della situazione catastale.
La determinazione dell’oggetto del trasferimento si completa attraverso la previsione legale che considera senz’altro inclusi in esso le pertinenze e gli accessori della cosa (artt. 1477, co. 2, e 818, co. 1, c.c.).
L’immobile deve possedere, per legge, le qualità e i caratteri di volta in volta necessari in relazione alla funzione economica cui esso è destinato. Le unità immobiliari debbono avere i requisiti (materiali e giuridici) indispensabili perché il fabbricato sia abitabile. I fabbricati devono essere stati costruiti in forza di una regolare concessione edificatoria, senza la quale la vendita è affetta da nullità (art. 46 t.u. edil.). L’alienazione dei terreni richiede l’allegazione al contratto del certificato di destinazione urbanistica del bene (art. 30, co. 2, 3 e 4, t.u. edil.), e in caso di trasferimento di aree lottizzate debbono essere state rilasciate le autorizzazioni amministrative prescritte per le lottizzazioni a scopo edificatorio (art. 30, co. 1, 7, 8 e 9, t.u. edil.): in difetto di tali requisiti, in entrambe le ipotesi, la vendita è nulla (Cataudella, A., Nullità formali e nullità sostanziali nella normativa sul condono edilizio, in Quadrimestre, 1986, 492 ss.).
Nelle vendite immobiliari, e soprattutto in quelle di nudi terreni, è usuale l’indicazione della quantità venduta, e ciò ai fini di una migliore descrizione del bene o ai fini della determinazione del prezzo. A quest’ultimo riguardo il codice civile, nel distinguere tra vendita “a corpo” e vendita “a misura”, agli artt. 1537-1541, disciplina le due figure per regolare gli effetti dell’eventuale discordanza tra la misura indicata nel contratto e la misura effettiva dell’immobile.
Nella vendita di cose mobili (Bocchini, F., La vendita di cose mobili, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, Art. 1510-1536, II ed., Milano, 2004) non sorgono difficoltà in ordine alla identificazione del bene. Nella vendita di cose specifiche, infatti, l’indicazione del bene nella sua identità implica la sua identificazione. Nella vendita di cose determinate solo nel genere, le cose sono identificate in base non alla loro identità ma all’appartenenza ad un genere, secondo i casi “illimitato” o concretamente circoscritto in contratto (genere “limitato”).
La distinzione assume rilevanza soprattutto ai fini della determinazione dal momento in cui si verifica l’effetto traslativo, che si produce immediatamente per le cose specifiche (art. 1376 c.c.) e con la successiva individuazione per le cose generiche (art. 1378 c.c.), e altresì ai fini dell’applicazione delle regole sul rischio (art. 1465 c.c.).
Non va confusa con la vendita di genere limitato la vendita di massa (ossia di un gruppo identificato di cose mobili), che integra una vendita di cosa specifica (art. 1377 c.c.).
Il secondo elemento che concorre a comporre l’oggetto della compravendita è l’attribuzione pecuniaria, ossia la dazione del prezzo, oggetto di un’obbligazione di valuta, soggetta al principio nominalistico (art. 1277 c.c.).
Il prezzo deve essere determinato o almeno determinabile. Il prezzo è determinato quando l’ammontare viene fissato nel contratto; determinabile quando dalle parti vengono indicati i criterî in base ai quali stabilire l’entità della somma. La legge (art. 1474 c.c.) fissa peraltro una serie di regole suppletive destinate ad operare in difetto di indicazioni pattizie (sempreché manchino anche prezzi d’imperio). La vendita potrà essere perciò nulla per indeterminatezza del prezzo (artt. 1418, co. 2, e 1346 c.c.) solo quando, in concreto, neppure i criteri suppletivi ex lege possano operare.
Effetti principali della vendita sono il trasferimento del diritto, l’obbligazione di prezzo e l’obbligazione di consegna del bene. Effetti c.d. naturali, la garanzia per vizi e per evizione.
Il trasferimento del diritto non sempre è effetto (cronologicamente) immediato del contratto di vendita (ex art. 1376 c.c.). Se il diritto alienato non esiste ancora (vendita di cosa futura), la cosa è stata indicata solo nel genere o alternativamente (vendita generica o alternativa), del diritto non è titolare il venditore (vendita di cosa altrui) – per indicare le ipotesi più comuni di vendita c.d. obbligatoria – il trasferimento del diritto non può prodursi contestualmente al consenso e il venditore è per l’intanto obbligato a far acquistare il diritto al compratore (art. 1476, n. 2, c.c.) (Rizzieri, A., La vendita obbligatoria, Milano, 2000). Discussa è l’immediata trascrivibilità delle vendite obbligatorie immobiliari.
Il momento traslativo è rilevante anche ai fini del passaggio dei rischi (Angelici, L., Consegna e proprietà nella vendita internazionale, Milano, 1979), avendo il nostro ordinamento adottato il “criterio della proprietà” (res perit domino) (Delfini, F., Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999). Salvo diversa pattuizione, il rischio (contrattuale, ossia) del perimento e del deterioramento fortuito della cosa passa al compratore – il quale sarà perciò tenuto comunque al pagamento del prezzo – non appena si verifica l’effetto traslativo, anche se non vi sia stata consegna della cosa (art. 1465 c.c.). Fanno eccezione a tale principio la vendita a termine iniziale, nella quale il rischio grava sul compratore fin dal momento della stipulazione del contratto (art. 1465, co. 2, c.c.) e la vendita con patto di riservato dominio, nella quale il rischio passa al compratore con la consegna della cosa (art. 1523 c.c.). Un’ulteriore deroga si registra, verosimilmente, nella vendita di beni di consumo, nella quale il passaggio del rischio sembra essere collegato alla consegna del bene (arg. ex art. 130, co. 1, c. cons.).
Il venditore è obbligato (art. 1476, n. 1, c.c.) a consegnare la cosa nelle condizioni in cui si trovava al momento della stipulazione del contratto, nonché a custodirla (art. 1177 c.c.), assieme agli accessori, le pertinenze e i frutti civili maturati e quelli naturali separati dal giorno della vendita (art. 1477 c.c.) (Bianca, C.M., op. cit., 407 ss.).
In merito al tempo della consegna, trova applicazione la disciplina generale per la quale, in mancanza di diversa volontà, la prestazione è immediatamente esigibile (art. 1183 c.c.), con la conseguenza che il momento della consegna tende a coincidere con quello del trasferimento del diritto.
Quanto al luogo della consegna, occorre distinguere tra vendite immobiliari e vendite mobiliari. Nelle prime la consegna effettiva si esegue nel luogo dove l’immobile si trova; quella simbolica nel domicilio del venditore. Per le cose mobili, l’art. 1510, co. 1, c.c. prevede che la consegna debba avvenire nel luogo in cui la cosa si trovava al tempo della vendita, sempreché le parti ne fossero a conoscenza; in caso contrario, luogo di adempimento è il domicilio del venditore o la sede della sua impresa al tempo della vendita (per le «vendite da piazza a piazza» v. infra, § 8).
Salvo diversa pattuizione, il pagamento del prezzo deve compiersi al momento della consegna (art. 1498 c.c.) (Rubino, D., op. cit., 569 ss.).
Per l’ipotesi in cui le parti e gli usi non dispongano diversamente, la legge (art. 1498, co. 2, c.c.) prescrive che il pagamento del prezzo debba avvenire nel luogo della consegna. Ove invece il prezzo non debba essere pagato al momento della consegna, lo stesso andrà versato nel domicilio del venditore (artt. 1488, co. 3; 1182, co. 3, c.c.).
8. La vendita con spedizione
Una figura che si caratterizza per le peculiarità attinenti alla consegna è la cosiddetta vendita con spedizione, regolata agli artt. 1510, co. 2, e 1511 c.c., nella quale la cosa deve essere trasportata in un luogo diverso da quello in cui si trova al momento della conclusione del contratto (Bocchini, F., La vendita con trasporto, Napoli, 1985; Id., La vendita di cose mobili, cit., 75 ss.).
La peculiarità della vendita con trasporto, secondo quanto prevede l’art. 1510 cpv., è che «il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere; le spese del trasporto sono a carico del compratore». Quale sia l’esatto significato della prima parte della formula normativa appena ricordata è però vivamente controverso. La giurisprudenza e una parte della dottrina (Cass., 17.12.1996, n. 11247; Rubino, D., op. cit., 525) ritengono che la rimessione del bene al vettore esaurisca l’obbligo della consegna, altri autori sostengono invece che la consegna vera e propria avviene solo con il materiale ricevimento della cosa da parte del compratore e che la rimessione al vettore comporta unicamente l’accollo al compratore dei rischi del trasporto (Romano, Salv., Vendita. Contratto estimatorio, in Tratt. Grosso-Santoro Passarelli, Milano, 1960, 244).
In deroga alla previsione dell’art. 1196 c.c., le spese del trasporto (ad esempio, imballaggio, tasse, noli) gravano sul compratore (art. 1510, co. 2).
9. La vendita con riserva della proprietà
La vendita a rate con patto di riservato dominio (Bianca, C.M., op. cit., 585 ss.; Rubino, D., op. cit., 428 ss.; Cattaneo, G., Riserva della proprietà e aspettativa reale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, 945 ss.) ha larga diffusione nei rapporti sia tra imprenditori sia tra imprenditori e consumatori. Essa si presta tuttavia ad abusi ai danni del compratore, tanto da aver indotto il legislatore ad intervenire a tutela di costui, in quanto contraente debole (v. spec. artt. 1523-1526, 2054 c.c.; art. 73, co. 2, l. fall.; artt. 121-126 t.u.b., sulle operazioni di credito al consumo).
Le caratteristiche di questa figura di vendita a prezzo dilazionato (non necessariamente da pagarsi a rate) sono note. La riserva di proprietà, pattuita contestualmente alla vendita, rinvia il trasferimento della proprietà della cosa in favore del compratore al pagamento dell’ultima rata di prezzo ma libera immediatamente il venditore dei rischi inerenti al perimento del bene (art. 1523 c.c.); il compratore, d’altra parte, ricevendo la consegna, è in grado di utilizzare da subito il bene e fruisce della dilazione nel pagamento del prezzo.
L’opponibilità della riserva di proprietà ai terzi, ossia ai creditori e agli aventi causa dal compratore, è regolata sia dal codice sia da leggi di settore (v. gli artt. 1524, 2644 ss., 2915 c.c.; 45, 73 l. fall.; art. 11, co. 3, d.lgs. 24.7.2002, n. 231).
Ad evitare le sopraffazioni e gli abusi che, nella pratica delle contrattazioni, i venditori con riserva della proprietà sogliono perpetrare ai danni dei compratori sono destinate le disposizioni, di natura inderogabile (Luzzatto, R., La compravendita, Torino, 1961, 544), contenute negli artt. 1525 e 1526, che dettano una speciale disciplina protettiva in relazione alle ipotesi di inadempimento del compratore.
10. Responsabilità speciale e responsabilità ordinaria nella vendita
Una parte significativa della disciplina che la legge detta per la compravendita concerne la tutela delle parti contro gli inadempimenti delle obbligazioni nascenti dalla stessa e contro le altre violazioni della lex contractus. A tali previsioni corrispondono altrettante fattispecie di responsabilità speciale che, peraltro, non esauriscono la totalità delle ipotesi di inadempimento, sicché per le altre operano le disposizioni di carattere generale sulle obbligazioni e sul contratto (spec. artt. 1218 ss. e 1453 ss. c.c.) (Luminoso, A., La compravendita, cit., 221 ss.).
Le disposizioni in materia di vendita che prevedono ipotesi di responsabilità speciale sono – a grandi linee – di tre ordini.
Il primo gruppo (garanzia di diritto interno) è costituito dalle norme del codice civile sulla vendita di cosa altrui (artt. 1478-1480), sul pericolo di rivendica (art. 1481), sulla vendita di cosa gravata da garanzie reali o vincoli di espropriabilità (art. 1482), sulla garanzia per evizione (artt. 1483-1488), sulla vendita di cosa gravata da oneri o diritti che ne diminuiscono il godimento (art. 1489), sulla garanzia per vizi (artt. 1490-1496) e mancanza di qualità (art. 1497) e sulla garanzia di buon funzionamento (art. 1512).
Tali disposizioni di diritto interno, che si applicano alla generalità delle vendite, disegnano, secondo la dottrina prevalente, ipotesi di responsabilità del venditore la cui specialità discende non dalla natura e dai caratteri dei rimedi concessi (al compratore) ma, fondamentalmente, dalle peculiarità del fatto generatore della responsabilità. Fatto costituito – secondo i più – non dall’inadempimento di obbligazioni nascenti dalla vendita ma dalla inattuazione o dall’imperfetta attuazione dell’attribuzione traslativa, dipendente, a sua volta, da “anomalie” (difetto di legittimazione a disporre del venditore oppure vizi giuridici e materiali o mancanza di qualità nel bene alienato) antecedenti alla conclusione del contratto; violazioni che rilevano oggettivamente, sussista o no la colpa del venditore.
Occorre però avvertire che la natura dei cennati istituti della «garanzia» è tuttora vivamente dibattuta (cfr., per tutti, Russo, E., La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, Milano, 1965; Mengoni, L., Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Studi in onore di De Gregorio, Città di Castello, 1955, 140 ss.; Bianca, C.M., op. cit., 698 ss.; Rubino, D., op. cit., 629 ss.; Castronovo, C., Problema e sistema nel danno da prodotti, Milano, 1979, 418 ss.; Cabella Pisu, L., Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, 61 ss.). Parte della dottrina ritiene infatti che la garanzia (e in particolare quella per i vizi) debba ricondursi all’errore negoziale; altra parte la qualifica come fattispecie legale di “garanzia pura”, ossia come assunzione di un rischio da parte del venditore (concettualmente analoga ad una assicurazione contrattuale); altra parte ancora la colloca nell’ambito della responsabilità precontrattuale.
La tesi che incontra maggior favore, in dottrina e in giurisprudenza, è quella che inquadra gli istituti in parola nell’area della responsabilità contrattuale. Tale responsabilità, secondo una tesi minoritaria, è da identificare con quella ordinaria per inadempimento (regolata dagli artt. 1218 ss. e 1453 ss.), mentre in base all’opinione maggioritaria, riveste caratteri speciali poiché discende dalla mancanza o dall’inesattezza dell’attribuzione traslativa derivanti da cause anteriori alla vendita (Luminoso, A., La compravendita, cit., 229 ss.).
Il secondo gruppo (garanzia di diritto comunitario) è dato dalle disposizioni di cui agli artt. da 128 a 135 c. cons. (già artt. 1519 bis-1519 nonies c.c., introdotti dal d.lgs. 2.2.2002, n. 24, in attuazione della direttiva 1999/44/CE) che disciplinano la «garanzia di conformità» del bene al contratto nelle vendite di beni (mobili) di consumo. Discussa è la natura della «garanzia» del venditore regolata dalle norme in discorso (cfr., fra gli altri, De Cristofaro, G., Vendita (vendita di beni di consumo), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2004; Commentario alla disciplina della vendita dei beni di consumo, a cura di L. Garofalo, V. Mannino, E. Moscati, P.M. Vecchi, Padova, 2003; Luminoso, A., La compravendita, cit., 317 ss.). Secondo una tesi, si tratta di una ordinaria responsabilità per inadempimento (per alcuni interpreti di una «obbligazione di conformità», mentre per altri della «obbligazione di consegnare beni conformi al contratto», prevista nell’art. 129 c. cons.), secondo un’altra opinione, invece, ricorre una “garanzia pura”.
Su un altro piano operano le disposizioni del terzo gruppo, che regolano la c.d. vendita o compera in danno (artt. 1515 e 1516 c.c.), la risoluzione di diritto della vendita (art. 1517 c.c.), la restituzione di cose non pagate (art. 1519 c.c.), il risarcimento del danno da risoluzione (art. 1518 c.c.) e la risoluzione nella vendita con riserva della proprietà (artt. 1525 e 1526 c.c.). Disposizioni tutte dettate per le vendite mobiliari (ma estensibili, in parte, a quelle immobiliari), che prevedono rimedi speciali di tutela contrattuale – costituiti più spesso da forme di autotutela – contro l’inadempimento dell’obbligazione di consegna della cosa o dell’obbligazione di pagamento del prezzo.
Gli istituti della garanzia di diritto interno sono disciplinati, come si è accennato sopra, dal codice civile agli artt. 1478-1497 e 1512 c.c. e trovano applicazione in relazione alla generalità delle vendite.
Si è già ricordato che il venditore è obbligato a fare acquistare al compratore la proprietà della cosa appartenente ad altri (art. 1478 c.c.) (Rubino, D., op. cit., 325 ss.; Bianca, C.M., op. cit., 718 ss.).
Il compratore che ignorava l’altruità della cosa può chiedere immediatamente la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese fatte per il contratto e sulla cosa (art. 1479 c.c.). Il medesimo può chiedere inoltre il risarcimento dei danni (per il c.d. interesse contrattuale positivo), ma solo se il venditore sia in colpa, ossia se sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza di non essere proprietario del bene. La colpa dovrebbe ritenersi presunta ex art. 1218 c.c.
Qualora la cosa appartenga solo in parte al venditore, il compratore può domandare la riduzione del prezzo convenuto, salva la facoltà di chiedere la risoluzione della vendita ove risulti dalle circostanze che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui non è divenuto proprietario (art. 1480 c.c.). Resta salvo in entrambi i casi il diritto ai danni, se vi sia colpa del venditore.
Il venditore «è tenuto» a garantire – salvo patto contrario – che il compratore non subisca l’evizione (artt. 1476, n. 3, 1483-1488 c.c.) (De Martini, A., Evizione (dir. civ.), Nss.D.I., VI, Torino, 1964, 1049 ss.; Russo, E., Evizione e garanzie, Napoli, 1986; Chianale, A., Evizione, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 160 ss.).
Si ha evizione quando, a seguito della iniziativa, di solito giudiziale, di un terzo (ad esempio, mediante un’azione di rivendica o un’espropriazione forzata sul bene compravenduto), si accerti formalmente che il compratore non ha mai acquistato la proprietà o l’ha perduta in tutto (evizione totale) o in parte (evizione parziale). Si ritiene dai più che l’evizione, per essere rilevante, debba derivare da una causa anteriore alla vendita. Qualora subisca l’evizione, il compratore (evitto), anche se fosse stato a conoscenza delle cause di essa, dispone degli stessi rimedi (risoluzione e riduzione del prezzo) visti sopra in relazione alla vendita di cosa altrui (artt. 1479 e 1480 c.c.) ed ha inoltre diritto al rimborso dei frutti e delle spese di lite dovuti al terzo evincente e delle spese processuali sofferte (artt. 1483 e 1484 c.c.).
Oltre alla garanzia per evizione la legge regola anche il pericolo di evizione, che legittima il compratore di buona fede (che cioè al momento della vendita ignorasse il pericolo) a sospendere il pagamento del prezzo (art. 1481 c.c.).
Analogo diritto è concesso (art. 1482 c.c.) al compratore di buona fede, se la cosa venduta risulti gravata da garanzie reali (pegno o ipoteca), pignoramento, sequestro o altri vincoli similari; al medesimo è inoltre riconosciuto il potere di ottenere la risoluzione stragiudiziale del contratto (oltre all’eventuale risarcimento del danno) ove la cosa non venga liberata dal venditore nel termine appositamente fissato dal giudice su sua richiesta. Al compratore a conoscenza, al tempo del contratto, dei suddetti vincoli viene invece riconosciuta tutela solo in caso di evizione.
Qualora la cosa venduta sia gravata da oneri, altrui diritti reali o personali (sempreché in concreto opponibili al compratore) ovvero da limitazioni o vincoli di diritto pubblico (ad es., derivanti da piani regolatori o da specifici provvedimenti amministrativi) non apparenti – ossia non percepibili visivamente – non dichiarati in contratto, che ne diminuiscano il libero godimento, il compratore di buona fede (che ne ignorava cioè l’esistenza al tempo della vendita) può domandare la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto secondo le stesse regole dettate dall’art. 1480 c.c. (art. 1489 c.c.) (Luminoso, A., La compravendita cit., 259 ss.).
Passando alla garanzia per vizi (di natura materiale), deve notarsi che il venditore, ai sensi dell’art. 1490 c.c., è tenuto – salvo patto contrario – a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (Gorla, G., Azione redibitoria, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 879 ss.; Cabella Pisu, L., op. cit., 168 ss.). La garanzia opera per i soli vizi occulti e non anche quelli che erano noti al compratore o da lui facilmente riconoscibili al momento del contratto (salvo in questo caso che il venditore non abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi) (art. 1491 c.c.; v. pure l’art. 1511 cpv. c.c.).
I rimedi – chiamati anche «azioni edilizie» (secondo la loro origine romanistica) – concessi al compratore sono, in via alternativa, la risoluzione della vendita (c.d. azione redibitoria) – che comporta la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese fatte per il contratto – (artt. 1492 e 1493 c.c.) e la riduzione del prezzo (c.d. azione estimatoria o quanti minoris) (art. 1492). Entrambi i rimedi operano indipendentemente dalla colpa del venditore, a differenza del risarcimento dei danni (diretti e indiretti), che invece presuppone la conoscenza o la conoscibilità (con l’ordinaria diligenza) del vizio da parte del venditore (art. 1494 c.c.), a carico del quale è posta dalla legge la relativa prova liberatoria.
L’esercizio dei tre i rimedi ricordati è soggetto a brevi termini sia di decadenza che di prescrizione. Il compratore decade infatti dalla garanzia se non denuncia i vizi entro otto giorni dalla scoperta e vede estinguersi (per prescrizione) le azioni stesse ove non faccia valere i suoi diritti entro un anno dalla consegna (art. 1495 c.c.). È controverso se, oltre ai rimedî visti, il compratore possa domandare al venditore anche la riparazione della cosa viziata o la sua sostituzione e inoltre possa opporre l’exceptio non rite adempleti contractus ex art. 1460 c.c. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti escludono tali rimedi satisfattori (v. Fadda, R., La riparazione e la sostituzione del bene difettoso nella vendita, Napoli, 2007, 97 ss.).
La legge (art. 1497 c.c.) distingue dai vizi e dalla relativa garanzia testé esaminata, le ipotesi in cui la cosa venduta non abbia le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso cui è destinata. Ipotesi che, pur venendo sottoposte agli stessi termini di decadenza e prescrizione stabiliti dall’art. 1495 c.c., vengono assoggettate dal citato art. 1497 c.c. alle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto per inadempimento (Cass., 21.1.2000, n. 639; Cass., 24.5.2005, n. 10922). Tale soluzione legislativa è però criticata da una parte della dottrina, che ritiene invece applicabile la disciplina della garanzia per vizi (Amorth, G., Errore e inadempimento nel contratto, Milano, 1967, 54 ss., 116 s.; Rubino, D., op. cit., 757 ss., 888; Bianca, op. cit., 884 ss.).
Soprattutto al fine di sottrarre ai ristretti termini di decadenza e prescrizione di cui agli artt. 1495 e 1497 cpv. c.c. le fattispecie in cui la difettosità della cosa trasferita è talmente grave da tradursi in una “radicale diversità” rispetto al bene dedotto nella vendita, già da tempo la giurisprudenza (v. Cass., 23.3.1999, n. 2712; Cass., 19.1.1995, n. 593) – seguita dalla prevalente dottrina (v. Gabrielli, E., La consegna di cosa diversa, Napoli, 1987, 5 ss.) – ha configurato una ipotesi di «diversità» della cosa – distinta dalle fattispecie legali sia dei vizi che della mancanza di qualità – comunemente designata aliud pro alio datum o «prestazione di cosa radicalmente diversa».
La giurisprudenza adotta a questo riguardo un criterio discretivo di natura funzionale e ritiene sussistere aliud pro alio non solo nel caso in cui la cosa consegnata appartenga ad un genere merceologico del tutto diverso, ma anche nei casi in cui la diversità incida sulla destinazione economico-sociale della cosa di guisa che il bene alienato sia inidoneo ad assolvere la funzione propria del bene dedotto in contratto.
La giurisprudenza e parte della dottrina applicano all’aliud pro alio la disciplina di diritto comune (spec. artt. 1218 ss. e 1453 ss.) (Cass., 30.3.2006, n. 7561; Rubino, D., op. cit., 914). Altra parte della dottrina estende invece i principî e le regole della “garanzia” della vendita (Luminoso, A., op. cit., 285 ss.).
La figura, regolata dall’art. 1512 c.c. in relazione alla vendita mobiliare, recepisce una prassi invalsa specialmente nel commercio di macchine, apparecchiature e, più in generale, prodotti industriali. La norma (di natura derogabile) prevede che quando in forza di un patto espresso o degli usi (normativi) il venditore garantisce il buon funzionamento della cosa per un tempo determinato, il giudice può assegnargli un termine per riparare o sostituire la cosa, salvo il risarcimento del danno (v. Cherti, S., Le garanzie convenzionali nella vendita, Padova, 2004; Bocchini, F., La vendita di cose mobili, cit., 165 ss.). Da non confondere con la figura in esame è la “garanzia di fabbrica” che può essere assunta dal produttore del bene verso l’utente finale.
La direttiva n. 44/1999/CE del 25 maggio 1999, «su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 2.2.2002, n. 24 ha introdotto rilevanti novità nella disciplina della garanzia per vizi e difetti nella vendita (oltre agli aa. citt. supra, nel § 10, v. Zaccaria, A., e De Cristofaro, G., La vendita di beni di consumo ecc., Padova, 2002; Le garanzie nella vendita di beni di consumo, a cura di M. Bin, e A. Luminoso, in Tratt. dir. comm. Galgano, XXXI, Padova, 2003).
La disciplina europea, come già si è notato, si rivolge non a tutte le vendite ma solo a quelle tra professionista e consumatore aventi per oggetto beni mobili (art. 128, co. 2, c. cons.). Uno dei tratti caratterizzanti della nuova disciplina è costituito dalla unificazione delle varie specie di difetti previsti dal codice civile – vizi, mancanza di qualità essenziali, mancanza di qualità promesse e (secondo i più) aliud pro alio – entro un’unitaria categoria costituita dal «difetto di conformità del bene al contratto» (art. 129 c. cons.), nonché dall’unificazione del regime della responsabilità del venditore sia per i difetti anteriori al trasferimento della proprietà che per quelli successivi (arg. ex art. 130, co. 1, c. cons.) (cfr. Luminoso, A., La compravendita, cit., 210 ss., 318 ss.).
Per determinare la nozione di «difetto di conformità» il legislatore utilizza una serie di indici «presuntivi» di conformità (elencati nell’art. 129, co. 2, c. cons.), che debbono concorrere tra loro. Dai criteri legali si desumono a contrario le singole ipotesi di difformità del bene; ipotesi che corrispondono, sostanzialmente, alle fattispecie codicistiche dei vizi, della mancanza di qualità essenziali o promesse e, verosimilmente, della diversità della cosa.
In relazione a qualsiasi difetto di conformità (anche se dovuto a caso fortuito) esistente al momento della consegna del bene, la novella (all’art. 130, co. 1, c. cons.) pone a carico del venditore una responsabilità cui corrisponde a favore del compratore un apparato di rimedi (art. 130, co. 2-10) costituito non solo dalle azioni di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo, ma anche e soprattutto dalle azioni intese ad ottenere la riparazione o la sostituzione del bene difettoso a spese del venditore. Questi quattro rimedi non sono posti tuttavia dalla legge sullo stesso piano: un rango primario viene riconosciuto al diritto alla riparazione e alla sostituzione del bene, con la conseguenza che l’azione di riduzione del prezzo e l’azione di risoluzione (ammissibile, quest’ultima, solo per difetti di entità non lieve) vengono ad assumere un carattere sussidiario. Questi ultimi rimedi sono perciò esercitabili dal compratore solo se la riparazione e la sostituzione risultino impossibili o eccessivamente onerose oppure se vengano effettuate dal venditore entro un termine non congruo ovvero arrecando al consumatore notevoli inconvenienti.
La tutela del compratore consumatore è stata rafforzata anche attraverso un considerevole allungamento dei termini di durata della garanzia (giacché il venditore risponde per i difetti che si manifestino entro due anni dalla consegna del bene) e di prescrizione delle azioni sopra ricordate (pari a ventisei mesi dalla consegna) nonché del termine di decadenza per la denunzia del difetto (che è stato portato a due mesi dalla scoperta) (art. 132 c. cons.).
A tutela del consumatore è stabilita l’inderogabilità pattizia della disciplina legale e la conseguente nullità (relativa) dei patti – anteriori alla denuncia del difetto – diretti a escludere o limitare i diritti riconosciuti dalla novella al consumatore (art. 134 c. cons.).
La disciplina comunitaria lascia tuttavia al consumatore la possibilità di esercitare i diritti e i rimedi che possano spettargli in base ad altre norme dell’ordinamento interno (art. 135, co. 1, c. cons.) e in particolare la pretesa al risarcimento dei danni. La tutela minimale di natura inderogabile che discende dal d.lgs. n. 24/2002 lascia salva inoltre la possibilità di pattuire garanzie convenzionali aggiuntive tra venditore o produttore e compratore (artt. 128, co. 2, lett. e, 133 c.. cons.).
La normativa europea, infine, introduce un rimedio del tutto nuovo per il nostro ordinamento positivo, costituito da un diritto di “regresso” (cfr. Castronovo, C., Il diritto di regresso del venditore finale nella tutela del consumatore, in Europa e dir. priv., 2004, 957 ss.) esperibile dal venditore finale (che sia stato riconosciuto responsabile verso il consumatore per il difetto di conformità) nei confronti del produttore e/o di intermediari facenti parte della stessa catena contrattuale distributiva cui sia imputabile il difetto stesso, per ottenere da essi il rimborso di quanto versato o comunque prestato al consumatore (art. 131 c. cons.).
Come abbiamo anticipato (v. supra, § 10), il codice del 1942 – in parte recependo previsioni normative contenute nel codice di commercio del 1882 – disciplina alcuni speciali rimedî contro l’inadempimento delle obbligazioni (di consegna della cosa e di pagamento del prezzo) nascenti dalle vendite aventi ad oggetto beni mobili (artt. 1514-1519 c.c.) (Rubino, D., op. cit., 924 ss.; Romano, Salv., op. cit., 283 ss.; Bianca, C.M., op. cit., 1054 ss.; Bocchini, La vendita di cose mobili, cit., 205 ss.).
Tali norme – di cui peraltro si registra una modesta applicazione nella pratica – dovrebbero consentire una tutela più rapida e snella della parte creditrice (grazie alle deviazioni apportate dalle stesse alla disciplina di diritto comune), poiché prevedono speciali poteri di autotutela (prevalentemente ad effetto risolutivo del rapporto contrattuale) che permettono al contraente non inadempiente di evitare (le lungaggini e i costi de) il ricorso all’autorità giudiziaria.
Artt. 1470-1547 c.c.; 128-135 c. cons.
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Con specifico riguardo alle opere di carattere generale contenenti materiali di giurisprudenza (oltre che di dottrina): si vedano: Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Perlingieri, P., Libro IV, t. 1, Artt. 1173-1547, III ed., Napoli, 2010; Comm. c.c. Cendon, IV, Artt. 1173-1654, Torino, 1991; Rassegna di giurisprudenza sul codice civile, diretta da C. Ruperto e V. Sgroi, Libro IV, t. 4, Artt. 1470-1570, Milano, 1994 (e succ. aggiornamenti); La vendita, a cura di M. Bin, I-IV, Padova, 1994-1996 (del vol. I è stata pubblicata la seconda edizione nel 1999); Codice della vendita, a cura di V. Buonocore e A. Luminoso, III ed., Milano, 2012; Gardani Contursi Lisi, L., La compravendita, in Giur. sist. civ. comm. Bigiavi, II ed., Torino, 1985; Lepri, A., La compravendita immobiliare, Milano, 1993.