Abstract
La vendita forzata svolge, all’interno delle procedure espropriative, una funzione essenziale per il reperimento dei mezzi finanziari volti al soddisfacimento dei creditori. Vengono esaminate le modalità del trasferimento del diritto sul bene del debitore, tenendo conto anche delle novità introdotte dal d.l. 12 settembre 2014 n. 132 (conv., con modificazioni, dalla l. 10 novembre 2014 n. 162), e gli effetti della vendita forzata, evidenziando le differenze della disciplina dedicata a tale istituto rispetto a quella applicabile al contratto di compravendita, con particolare riguardo alle previsioni in tema di stabilità.
La locuzione «vendita forzata» (o più semplicemente l’espressione «vendita») viene utilizzata, con significati non sempre univoci (Bonsignori, A., Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1998, 21, 33; Barletta, A., La stabilità della vendita forzata, Napoli, 2002, 10 ss.) in relazione ad atti aventi finalità liquidative, posti in essere sui beni del debitore nell’ambito di diverse tipologie di espropriazione, e volti al reperimento dei mezzi finanziari per il soddisfacimento dei creditori. Di volta in volta, perciò, si tratta di stabilire il significato a cui fa riferimento il legislatore dallo specifico contesto in cui tale espressione risulta collocata (v. infra, §§ 2 ss.).
La vendita forzata può essere comunque definita in relazione al peculiare effetto che produce nell’ambito delle procedure espropriative, dando luogo ad un acquisto a titolo derivativo del diritto in precedenza spettante al debitore esecutato sul bene espropriato (art. 2919 c.c.), a fronte del pagamento di un prezzo da parte di un terzo, analogamente a quanto avviene nella compravendita.
Con il richiamo alla «natura» della vendita forzata si è soliti far riferimento a tale carattere derivativo, il quale non va disgiunto, però, dal rilievo secondo cui l’acquisto del diritto sul bene in precedenza appartenente al debitore esecutato prescinde dalla volontà di quest’ultimo, che si limita a «subi[re] l’espropriazione» ai sensi dell’art. 2919, co. 1, c.c. (cfr., da ultimo, Cass., 25.10.2010, n. 21830; Cass., 22.09.2010, n. 20037; Cass., 5.01.2000, n. 27, in Giur. it., 2000, 1141).
Gli artt. 2919 ss. c.c. escludono l’indole dispositiva e contrattuale della vendita forzata, pur conseguendo alla presentazione di un’offerta, espressione dell’autonomia privata di un terzo (Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 259 ss.; Micheli, G.A., Dell’esecuzione forzata, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1964, 110 ss.; Bonsignori, A., Effetti della vendita forzata, cit., 17 ss.; Cass., 17.02.1995, n. 1730, in Fallimento, 1995, 1013; diversamente Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 176 ss.; Cerino Canova, A., Offerte dopo l’incanto, Padova, 1975, 109 ss.). Pertanto, è dubbia l’applicabilità delle disposizioni sui contratti in generale e sulla compravendita. Più precisamente, però, l’incompatibilità va riferita ai rimedi sinallagmatici e non necessariamente a tutte le norme riguardanti i contratti (Cass., 14.10.2010, n. 21249, in Fallimento, 2011, 197; Cass., 19.6.1995, n. 6940, ivi, 1996, 58; Cass., 17.2.1995, n. 1730, cit., a proposito dell’art. 1477 c.c.). L’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza esclude la riferibilità alla vendita forzata della disciplina dell’effetto traslativo del contratto di compravendita, retto dal principio consensualistico, riconoscendo il verificarsi dell’effetto acquisitivo solo ad esito della liquidazione dei beni del debitore, anche ove essa sia condotta a «trattativa privata» (Colesanti, V., Vendita fallimentare a trattativa privata e potere di sospensione ex art. 108 legge fallimentare, in Giur. it., 1978, I, 2, 661 ss.; Cass., 18.6.1997, n. 5466, in Fallimento, 1998, 267). In ispecie, nell’espropriazione immobiliare singolare l’effetto acquisitivo non si produce prima del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. (Andrioli, V., Commento, III, cit., 259 ss.; Tarzia, G., La sospensione della vendita forzata immobiliare a prezzo ingiusto, in Riv. dir. proc., 1991, 1091 ss.; Bongiorno, G., Espropriazione immobiliare, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 44; Cass., 16.11.2011, n. 24000; Cass., 2.4.1997, n. 2867, in Giur. it., 1998, 1386) e in quella mobiliare prima dell’integrale pagamento del prezzo (v. infra, § 2.2). La correttezza di tale soluzione è resa palese dalla disciplina della rivendita (artt. 540, 587 c.p.c.) e dalla potestà di sospendere la vendita ai sensi dell’art. 586, co. 1, c.p.c. Inoltre, l’acquisto effettuato nell’ambito dell’espropriazione sorge libero da pesi e garanzie reali (c.d. effetto purgativo della vendita forzata), che non si riferiscano alle obbligazioni assunte dall’aggiudicatario ai sensi dell’art. 508 c.p.c.
All’acquirente dei diritti sulla cosa non sono opponibili gli atti inefficaci nei confronti del creditore pignorante e di quelli intervenuti, salvo che terzi abbiano – a loro volta – effettuato un acquisto a titolo originario in base alle norme sul possesso di buona fede (art. 2919, co. 1, c.c.). Pertanto, gli effetti del pignoramento ex artt. 2913 ss. c.c. sono destinati a stabilizzarsi in quelli della vendita forzata a favore dell’acquirente (v. infra, § 4); nondimeno, non sembra possibile assimilare tout court l’alienazione della cosa pignorata nel processo di espropriazione all’alienazione della res litigiosa di cui all’art. 111 c.p.c. (Luiso, F.P., Diritto processuale civile, III, Milano, 2013, 93 ss.). In ogni caso, l’effetto ablativo (e propriamente espropriativo) si realizza appunto per il tramite della vendita forzata, determinando, da una parte, una sostituzione dell’oggetto del processo esecutivo (dal bene espropriato al prezzo pagato dall’aggiudicatario) e, dall’altra, l’apertura della fase di distribuzione (arg. dagli artt. 509, 620 c.p.c. e 2920 s. c.c.).
Aspetto essenziale, come abbiamo accennato, è che la vendita forzata venga effettuata all’interno di una procedura espropriativa: deve escludersi, infatti, la natura coattiva della vendita che non sia preceduta da un atto equiparabile al pignoramento, come quella effettuata nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, della liquidazione coatta amministrativa (Ferri, C., La nullità delle vendite concorsuali, in Riv. dir. proc., 2003, 437 s.), nonché della vendita effettuata ai sensi dell’art. 1515 c.c. (Trib. Bari, 20.7.1981, in Rass. avv. Stato, 1981, I, 543). Deve altresì negarsi la natura coattiva della vendita effettuata nell’ambito della liquidazione operata nel concordato preventivo, benché in materia si applichino gli articoli da 105 a 108 ter l. fall. «in quanto compatibili» (art. 182, co. 5, l. fall.). Nondimeno, la vendita a cui si dia corso in seno ai procedimenti appena menzionati può essere equiparata a taluni effetti a quella effettuata in sede espropriativa (v. infra, § 4).
La fase liquidativa del processo di espropriazione ha inizio con la proposizione di un ricorso, contenente l’istanza di vendita, in alternativa – nei casi consentiti dalla legge – a quella di assegnazione, da parte del creditore pignorante o dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, dopo il termine dilatorio di dieci giorni dal pignoramento, a meno che quest’ultimo abbia ad oggetto beni deteriorabili (art. 501 c.p.c.), nonché, a pena d’inefficacia, entro novanta giorni dallo stesso atto esecutivo (art. 497 c.p.c.).
In relazione a tale istanza il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza per l’audizione delle parti, la quale ha insieme una rilevante funzione di programmazione della fase di liquidazione e di «filtro» volto alla definizione delle possibili contestazioni formali relative agli atti esecutivi precedenti (Oriani, R., L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 177 ss.). In particolare, nell’udienza di audizione le parti possono compiere osservazioni circa il tempo o le modalità della vendita, ovvero sull’assegnazione, nonché presentare le opposizioni agli atti per far valere le nullità ancora non sanate, le quali sono decise con sentenza prima di disporre la vendita o, se del caso, l’assegnazione con ordinanza (artt. 530, co. 2-4, 569, co. 2-4, c.p.c.). Entro tale udienza devono, altresì, essere effettuate le istanze di conversione e riduzione del pignoramento (artt. 495 s. c.p.c.) e deve aver luogo l’intervento dei creditori (art. 499 c.p.c.). La proposizione di un’istanza di conversione del pignoramento, però, non condiziona necessariamente le operazioni di vendita o di assegnazione, che possono dunque procedere parallelamente, salvo quanto disposto dall’art. 187 bis disp. att. c.p.c. (v. infra, § 4).
La vendita (qui intesa nel senso di modalità di liquidazione del compendio pignorato) può farsi con incanto o senza (art. 503 c.p.c.). L’art. 503, co. 2, c.p.c. – aggiunto dal d.l. 12.9.2014, n. 132, conv. dalla l. 10.11.2014, n. 162 – stabilisce che l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritenga probabile che la vendita con tale procedura abbia luogo ad un prezzo superiore alla metà del valore determinato a norma dell’art. 568 c.p.c. Se la vendita avviene in più volte o in più lotti deve cessare, anche d’ufficio, se il prezzo ottenuto raggiunge l’importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e di quelli intervenuti, comprendente capitale e interessi (art. 504 c.p.c.).
L’art. 164 bis disp. att. c.p.c. – introdotto dal d.l. n. 132 del 2014 – prevede la chiusura anticipata del processo esecutivo, ove consti che non sia possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei necessari costi di procedura, delle probabilità di liquidazione e del presumibile valore di realizzo.
Il giudice dell’esecuzione può disporre la vendita dei beni mobili tramite commissionario o all’incanto. Nel primo caso, le cose pignorate devono essere consegnate ad un commissionario, individuato nell’istituto di vendite giudiziarie o in altro soggetto specializzato, di cui non sembra comunque dubitabile la qualità di ausiliario del giudice. Con il provvedimento di autorizzazione il giudice dell’esecuzione, sentito se necessario uno stimatore, fissa il prezzo minimo e l’importo globale della vendita e può imporre il versamento di una cauzione (art. 532 c.p.c.). Il commissionario procede normalmente a trattativa privata, ovvero, se ritiene, nella forma delle offerte in cancelleria (Bongiorno, G., Espropriazione mobiliare presso il debitore, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 86). Qualunque sia il modo prescelto dal giudice o dal commissionario, la vendita forzata di beni mobili non ha natura dispositiva (v. supra, § 1) e l’effetto acquisitivo è subordinato all’integrale pagamento del prezzo (art. 533 c.p.c.), il che consente di applicare l’art. 540 c.p.c. in caso d’inadempimento dell’aggiudicatario, là dove si prevede il nuovo esperimento delle operazioni di vendita, a spese e sotto la responsabilità dell’inadempiente. Quando è disposta la vendita con incanto, la procedura di liquidazione può essere affidata al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o altro istituto autorizzato (di solito un istituto di vendite giudiziarie) e nell’ordinanza di autorizzazione vengono stabiliti il prezzo minimo per l’incanto la relativa data e l’opportuna pubblicità delle operazioni di vendita. In tal caso, si deve procedere all’aggiudicazione al miglior offerente durante l’incanto. Dopo la riforma dell’art. 533 c.p.c. e l’abrogazione dell’art. 540, co. 1, c.p.c. – operate con il d.l. 29.12.2009, n. 193, conv. dalla l. 22.2.2010, n. 24 – alla vendita forzata di beni mobili non si provvede più per contanti, per finalità di contrasto al riciclaggio. Il pagamento integrale del prezzo nelle modalità consentite dalla legge ha comunque rilievo costitutivo dell’acquisto e in caso d’inadempimento è previsto l’immediato nuovo incanto a norma dell’art. 540 c.p.c. In alternativa alle modalità dinanzi descritte, le operazioni di vendita dei beni mobili registrati possono essere delegate a norma dell’art. 534 bis c.p.c. agli istituti autorizzati o ai professionisti risultanti negli appositi elenchi, affinché provvedano con o senza incanto ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 591 bis c.p.c., in quanto compatibili. In caso di mancata vendita a seguito del secondo esperimento o successivo, ovvero nel caso in cui il ricavato sia insufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori, il giudice dell’esecuzione provvede ad integrare il pignoramento, su istanza di uno dei creditori titolati, e a disporre la vendita, senza la necessità di nuova istanza. In caso contrario, dichiara l’estinzione del processo, a meno che sia necessario completare le operazioni di vendita (art. 540 bis c.p.c.). Le norme dell’espropriazione mobiliare diretta si applicano anche a quella dei beni mobili pignorati presso terzi (art. 552 c.p.c.).
L’art. 567 c.p.c. richiede al creditore procedente, a pena d’inefficacia, di provvedere al deposito dei certificati del catasto e dei registri immobiliari, o di un certificato notarile sostitutivo entro centoventi giorni dalla presentazione dell’istanza per la vendita (v. supra, § 2.1) – salvo una sola proroga per pari durata – per evitare situazioni di stallo di durata imprecisata (Verde, G., Diritto processuale civile, III, Processo di esecuzione, Bologna, 2012, 91 s.). A pena d’improcedibilità dell’istanza di vendita, una volta acquisiti tali certificati, si deve provvedere all’avvertimento di cui all’art. 498 c.p.c. ai creditori muniti di prelazione, cui non sia già stato notificato l’avviso, al fine di consentire a questi ultimi d’intervenire all’udienza di audizione. La mancanza di tale formalità, tuttavia, non dà luogo a nullità insanabile, bensì al diritto al risarcimento dei danni nei confronti del creditore procedente (Cass., 23.2.2006, n. 4000 in Riv. esecuzione forzata, 2006, 422; Cass., 11.6.2003, n. 9394, ivi, 2004, 281).
Il prezzo di vendita viene usualmente determinato da un esperto nominato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 569 c.p.c., pur potendosi in astratto determinare anche in base alle norme sulla competenza per valore delle controversie immobiliari (artt. 15 e 568, co. 1, c.p.c.). Tale esperto provvede all’acquisizione e all’aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica nonché a stendere una relazione di stima, di cui viene analiticamente descritto il contenuto all’art. 173 bis disp. att. c.p.c., facendo riferimento, in particolare, a formalità, vincoli e oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene con la specifica di quelli che saranno cancellati al momento del trasferimento o che comunque risulteranno non opponibili all’acquirente. A norma della stessa disposizione, la relazione deve essere comunicata al creditore procedente, a quelli intervenuti e al debitore, anche non costituito, almeno quarantacinque giorni prima dell’udienza di audizione, affinché le parti possano prenderne visione, comunicando all’esperto eventuali osservazioni entro quindici giorni prima della stessa udienza, a cui, in tal caso, deve intervenire l’esperto per rendere chiarimenti.
La vendita forzata immobiliare può essere con o senza incanto: quest’ultima modalità di liquidazione ha un carattere meno formalizzato. Essa è indicata con preferenza ai sensi dell’art. 569 c.p.c. in considerazione delle sue migliori condizioni di realizzo (Cass., 13.01.2005, n. 578, anche prima della riforma del 2005; Fontana, R., Custodia e vendita nell’espropriazione immobiliare, in Foro it., 2005, V, 126) e prevede speciali forme di pubblicità dell’avviso di vendita (art. 570 c.p.c.). Nella vendita senza incanto le offerte sono irrevocabili e vengono presentate in busta chiusa in cancelleria – e non in un’udienza pubblica come nella vendita con incanto – nei termini e secondo le modalità stabilite nell’ordinanza di autorizzazione. In caso di offerta superiore di un quinto al valore di stima, questa è senz’altro accolta; ove l’offerta sia inferiore a tale valore, il giudice dell’esecuzione non può procedere alla vendita quando ritiene probabile che la vendita con il sistema dell’incanto possa aver luogo ad un prezzo superiore alla metà del valore stimato ai sensi dell’art. 568 c.p.c. (art. 572 c.p.c., parzialmente sostituito dal d.l. n. 132 del 2014). A fronte di più offerte, invece, deve essere disposta la gara tra gli offerenti. Ove si proceda alla vendita, il giudice dell’esecuzione ordina con decreto il modo di versamento del prezzo e, quando questo è avvenuto, pronuncia il decreto di trasferimento ai sensi dell’art. 586 c.p.c.
In caso di esito infruttuoso della vendita senza incanto non è più previsto il necessario passaggio alla vendita con incanto con le modalità già stabilite dal giudice nell’ordinanza di autorizzazione alla vendita ai sensi dell’art. 576 c.p.c. Difatti, l’art. 569, co. 3, c.p.c. – parzialmente riformato dal d.l. n. 132 del 2014, modificato sul punto dalla l. n. 162 del 2014 – ribadisce che il giudice dell’esecuzione possa disporre l’incanto solo quando appaia probabile la vendita ad un prezzo superiore alla metà del valore di stima. Il legislatore della l. n. 162/2014 ha scelto di non eliminare la vendita con incanto, diversamente da quanto emergeva dal d.d.l. collegato alla legge di stabilità 2014. La soluzione preferita in tale riforma mira comunque a superare i rischi di turbativa legati alle caratteristiche di tale tipologia di vendita – ed in ispecie alla pubblicità delle operazioni di vendita ed alla revocabilità delle domande di partecipazione –, stabilendo una rigida correlazione tra la vendita con incanto e i risultati della liquidazione in concreto prevedibili. L’abrogazione della procedura di vendita con incanto avrebbe comportato inter alia il venir meno della previsione dell’offerta in aumento ai sensi dell’art. 584 c.p.c. e, quindi, una maggiore stabilizzazione dell’aggiudicazione prima del decreto di trasferimento, pur rimanendo ad ogni modo soggetta all’applicazione della disposizione sull’inadempimento dell’aggiudicatario a norma dell’art. 587 c.p.c., nonché alla sospensione di cui all’art. 586, co. 1, c.p.c., applicabile appunto anche in caso di vendita senza incanto (cfr. Tarzia, G., La sospensione della vendita forzata immobiliare a prezzo ingiusto, cit., 1092).
Come si è già accennato, solo il pagamento del prezzo e l’emissione del decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c. consolidano la posizione giuridica dell’aggiudicatario, perfezionando in capo a quest’ultimo l’acquisto del diritto sul bene espropriato in precedenza spettante al debitore esecutato (v. supra, § 1). Nello stesso decreto è contenuto l’ordine di cancellazione dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie che non si riferiscano alle obbligazioni assunte dall’aggiudicatario ai sensi dell’art. 508 c.p.c., nonché dei pignoramenti trascritti, delle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del pignoramento in base al quale si è proceduto alla vendita e dei vincoli e degli oneri indicati nella relazione di cui all’art. 173 bis disp. att. c.p.c. Il decreto di trasferimento costituisce altresì titolo per il rilascio.
Nel caso in cui la vendita con incanto vada deserta, a norma dell’art. 591 c.p.c. il giudice dell’esecuzione deve pronunciarsi sulle istanze di assegnazione eventualmente proposte; successivamente si può procedere all’amministrazione giudiziaria dei compendi pignorati ovvero, in alternativa, all’esperimento di un nuovo incanto a condizioni inalterate o con diverse modalità (verosimilmente con una base di vendita ribassata o una maggiore dilazione nel versamento del prezzo).
Le operazioni di vendita possono essere delegate ad un professionista a norma dell’artt. 591 bis c.p.c.
La disciplina della vendita fallimentare ha abbandonato, con il d.lgs. 9.1.2006, n. 5 e il d.lgs. 12.9.2007, n. 169, il riferimento alle norme del codice di procedura civile, salvo diversa previsione del curatore nel programma di liquidazione (art. 107, co. 2, l. fall.), ovvero nel caso di subentro del curatore, reso facoltativo per tutte le «procedure esecutive» pendenti al momento della dichiarazione di fallimento in luogo dell’improcedibilità dell’azione esecutiva (art. 107, co. 6, l. fall.): effetto quest’ultimo che comunque non è opponibile all’aggiudicatario, anche provvisorio (Farina P., L’aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli, 2012, 474 ss.). Di regola la vendita dei beni del fallito avviene al di fuori della scansione del procedimento nei vari passaggi previsti dal codice di rito. Ciò, tuttavia, non ha affatto determinato il venir meno del carattere coattivo della vendita fallimentare: com’è fatto palese, del resto, dalla possibilità di optare per le forme stabilite per la liquidazione dei beni pignorati nell’espropriazione singolare. Pertanto, la conformazione dell’effetto acquisitivo dell’acquirente in sede fallimentare segue il disposto degli artt. 2919 ss. c.c. (Cass., 4.7.2012, n. 11151; Trib. Bari, 19.3.2012, in Giur. mer., 2012, 1315).
L’art. 2922 c.c. esclude espressamente taluni rimedi sinallagmatici applicabili alla vendita volontaria: la garanzia per i vizi della cosa e l’impugnazione per causa di lesione. In caso di vendita di aliud pro alio, ossia ove consti la diversità funzionale tra il bene descritto nell’ordinanza di vendita e quello effettivamente venduto, è fatta salva la proponibilità dell’azione di annullamento ai sensi degli artt. 1427-1429 c.c. avverso la vendita (Cass., 14.10.2010, n. 21249, cit., la quale, peraltro, ammette la proponibilità dell’azione da parte del curatore fallimentare; Cass., 21.12.1994, n. 11018, in Giust. civ., 1995, I, 917) e dell’azione restitutoria del prezzo versato dall’acquirente, anche dopo la distribuzione, nei confronti dei creditori e del debitore, riguardo all’eventuale residuo.
A norma dell’art. 2923 c.c. le locazioni non sono opponibili all’acquirente, a meno che abbiano data certa anteriore al pignoramento, e in ogni caso non sono opponibili all’acquirente di cosa mobile che abbia conseguito il possesso in buona fede. Le locazioni ultranovennali dei beni immobili, invece, sono opponibili solo ove trascritte prima del pignoramento, diversamente sono opponibili entro i limiti del novennio. Inoltre, l’acquirente non è tenuto a rispettare le locazioni il cui canone sia inferiore di un terzo al giusto prezzo (determinato anche in via presuntiva o ricorrendo alle circostanze notorie, cfr. Cass., 3.08.2005, n. 16243) o sia comunque inferiore a quello pattuito per le precedenti locazioni ed entro i limiti stabiliti per le locazioni a tempo indeterminato. Le cessioni e le liberazioni di pigioni e fitti sono opponibili nei soli limiti sanciti dall’art. 2924 c.c. (Bonsignori, A., Effetti della vendita forzata, cit., 164 ss.).
Il carattere derivativo dell’acquisto nell’ambito della vendita forzata fa sì che i terzi possano far valere i propri diritti nei confronti dell’acquirente, a meno che l’acquisto di tali diritti fosse già inefficace verso il creditore pignorante e quelli intervenuti. Gli artt. 2920-2921 c.c. precisano ulteriormente la tutela dell’acquirente, con particolare riferimento alla vendita forzata di beni mobili. In ispecie, l’art. 2920 c.c. tutela «l’acquirente di buona fede», non limitandosi a richiamare le norme poste a tutela del possesso. In altre parole, tale disposizione protegge colui che acquista in sede espropriativa senza avere una specifica conoscenza del carattere lesivo dell’espropriazione verso i diritti altrui: in proposito rileva il momento dell’acquisto, ossia quando viene effettuato il pagamento integrale del prezzo, e non quello in cui il bene mobile viene consegnato ai sensi dell’art. 164 disp. att. c.p.c., purché il bene espropriato sia nelle mani degli organi esecutivi. L’acquirente in sede espropriativa, infatti, deve poter fare affidamento sull’apparente legittimità sostanziale della vendita forzata, anche in pendenza di opposizioni ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ove non sia disposta la sospensione dell’esecuzione. In considerazione della ratio cui è sottesa, tale norma è suscettibile d’applicazione analogica in tutti i casi d’ingiustizia della vendita forzata sprovvisti di una specifica disciplina: come, in ispecie, nel caso di accertata inesistenza del credito in sede di opposizione all’esecuzione (cfr. si vis, Barletta, A., La stabilità della vendita forzata, cit., 228 ss., 297 ss.). Ove il diritto del terzo (o dell’esecutato) venga opposto all’acquirente e risulti evitto, quest’ultimo può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese; dopo la distribuzione l’evitto – a differenza rispetto a quanto è stabilito chi abbia subìto l’espropriazione ingiusta – può di regola ripetere da ciascun creditore la parte del prezzo da questi riscossa e l’eventuale residuo dal debitore. La ripetizione d’indebito è prevista a fronte della mancanza dell’effetto acquisitivo, a prescindere da ogni considerazione sull’effettiva sussistenza dei crediti soddisfatti con il prezzo della vendita in sede di distribuzione. Viene fatta salva, comunque, la responsabilità del creditore procedente per i danni e le spese ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (per tutti Satta, S., Commentario, III, cit., 191 s.; diversamente, però, la giurisprudenza, cfr., da ultimo, Cass., 28.3.1983, n. 2223, che richiede, almeno nell’ipotesi di cui all’art. 2920 c.c., la prova della «certa conoscenza» del diritto altrui sul bene espropriato).
L’art. 2929 c.c. prevede la tutela dell’acquirente in caso di nullità degli atti precedenti la vendita, salvo il caso della collusione con il creditore procedente. Si fa qui riferimento all’ipotesi in cui venga accolta un’opposizione ex art. 617 c.p.c. dei soli atti anteriori a quelli che compongono la fattispecie acquisitiva della vendita forzata; nondimeno, tale ipotesi può essere senz’altro equiparata a quella dell’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione per motivi di rito e, in ispecie, per inesistenza (anche sopravvenuta) del titolo esecutivo per cui si è agito (cfr. Cass., S.U., 28.11.2012, n. 21110, in Corr. giur., 2013, 387, con nota di Capponi, B., Espropriazione forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti), la quale ha risolto un rilevante contrasto interno alla giurisprudenza). A differenza della fattispecie di cui all’art. 2920 c.c. (applicabile ai casi di vendita forzata ingiusta), l’art. 2929 c.c. prevede un limite alla tutela dell’acquirente solo nella circostanza che quest’ultimo abbia preordinato la propria condotta in danno dell’esecutato (Cass., 1.4.2010, n. 7991), peraltro escludendo in questo caso la ripetibilità del prezzo attribuito ai creditori in sede di distribuzione. L’art. 2929 c.c. è applicabile (in via analogica) alle vendite effettuate, ad es., nell’ambito dell’amministrazione delle grandi imprese in crisi, della liquidazione coatta amministrativa o del concordato preventivo, essendo tali atti preordinati alla soddisfazione dei creditori, pur nell’ambito di programmi stabiliti all’interno di procedimenti di natura amministrativa o volti a prevenire il fallimento.
Anche l’aggiudicazione provvisoria è circondata da una certa stabilità a norma dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., a garanzia, in questo caso, non dell’effetto acquisitivo della vendita forzata, bensì di un atto della fase liquidativa dell’espropriazione (v. supra, § 2.3). Si tratta di una norma avente un ambito di applicazione assai più circoscritto di quelle contenute nel codice civile; difatti, tale disposizione d’interpretazione autentica (Cass., S.U., 30.11.2006, n. 25507, in Corr. giur., 2007, 349) ha chiarito che gli effetti dell’atto in discorso rimangono fermi all’interno del processo espropriativo, pur ove si verifichi (anche prima dell’emissione del decreto di trasferimento) la sua estinzione, a cui è equiparabile la chiusura del fallimento (nel senso dell’inopponibilità all’aggiudicatario della chiusura del fallimento, già prima dell’entrata in vigore di quest’ultima disposizione, Cass., 13.7.2004, n. 12969). In base alla stessa disposizione, l’aggiudicazione provvisoria determina altresì il sopraggiungere dell’improcedibilità dell’istanza di conversione del pignoramento.
Artt. 491-595, 599-604, 615-632 c.p.c.; artt. 159-187 bis disp. att. c.p.c.; artt. 2919-2929 c.c.; artt. 104 ter-108 ter l. fall. (r.d. 16.3.1942, n. 267).
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