VENDITA
. Storia. - Nella sua struttura sociale di scambio fra una cosa e un prezzo, la vendita risale, più che ogni altra contrattazione, ai primordî della civiltà umana. Vero è che la vendita vera e propria è stata preceduta dal baratto, o permuta. Ma non è esatto che l'idea di vendita si sia differenziata solo in seguito all'invenzione della moneta; anzi, in tempi primitivi, l'idea della vendita fu suggerita dalla pubblica offerta di merci ai consumatori, per quanto varie fossero le cose che costoro davano in corrispettivo. In ogni modo, un regolamento preciso dell'istituto non lo conosciamo che per ambienti ove già era stato adottato un comune denominatore degli scambî, sia pure nella forma di metallo non coniato (verghe d'oro, o masse informi d'argento e di rame).
Diritti orientali e diritto greco. - Nel mondo assiro-babilonese, di di cui possediamo numerosi documenti a partire dal III millennio a. C., l'idea dominante è quella della vendita che noi diremmo a contanti, dove il passaggio della proprietà della merce è l'effetto del pagamento del prezzo, mentre non esiste un contratto che possa obbligare le parti al reciproco trasferimento: tutti i documenti sono perciò redatti come se il pagamento fosse contestuale. L'accreditamento del prezzo e la vendita a pagamento anticipato si fanno mediante appositi contratti, che non sono neppur ricordati nello scritto relativo alla vendita: nel primo caso, il prezzo è considerato come oggetto di un prestito (o deposito) fatto dal venditore al compratore; nel secondo caso, è il compratore che figura come mutuante. Nel mondo egiziano, che applica spesso gli stessi mezzi, la posizione di chi vende a credito è rinforzata dal sistema della duplice documentazione: si redige uno "scritto per danaro", che dà la proprietà come trasferita e il prezzo come pagato; ma il venditore conserva il diritto di rivendicare la cosa finché non abbia rilasciato al compratore lo "scritto di abbandono", e s'intende che questo secondo atto non veniva compiuto se anche una parte del prezzo era ancora dovuta.
L'idea della vendita a contanti domina anche il diritto greco, dove anzi il concetto della reciproca "surrogazione" fra cosa e prezzo ebbe le applicazioni più decise; anche qui, documenti di mutuo e duplici ducumentazioni servono al fine di accreditare il prezzo o la cosa. Ma nelle città greche e nelle monarchie ellenistiche fu inoltre largamente praticato l'istituto (di origine, a quanto sembra, ebraica) dell'arra (ἀρραβών): il versamento di questa dava alle parti un reciproco affidamento circa una vendita a contanti da farsi in un secondo tempo, ma non già in quanto fosse causa dell'obbligazione di trasferire la cosa o il prezzo, bensì in quanto l'arra stessa era vincolata, nel senso di andar persa in caso di resipiscenza del compratore e di dover essere restituita in un multiplo se era il venditore a pentirsi. Il mondo greco ha dato inoltre speciale sviluppo alla pubblicítà della vendita immobiliare (e di schiavi). Accanto alla forma primitiva, che consisteva nel consegnare ai vicini piccole monete in ricordo e simbolo del prezzo al cui pagamento avevano assistito, era usato il pubblico bando della vendita divisata, o la denuncia preventiva ai magistrati cittadini: negli ambienti più progrediti si tenevano pubblici registri o albi, nei quali era fissato lo stato della proprietà terriera coi suoi mutamenti e con le ipoteche che la gravavano.
Diritto romano. - A Roma stessa, la vendita non ebbe nei primi tempi forma giuridica se non nella struttura di scambio immediato. La forma, che d'altronde si applicava solo a quelle cose pretiosiores che si chiamavano res mancipi, è la notissima mancipatio. Essa consiste in una dichiarazione solenne fatta dal compratore circa il proprio acquisto, toccando la cosa o un suo simbolo, in presenza del venditore e di cinque testimonî: la dichiarazione si chiudeva con la menzione dell'aes rude (bronzo non coniato) che serviva da prezzo, e della stadera nella quale veniva pesato subito dopo. In massima, la proprietà passava al compratore col compimento dell'atto: se il venditore non era proprietario, o se l'atto era affetto da un vizio di forma, occorreva che il compratore possedesse la cosa due anni, se immobile, uno, se mobile: durante lo stesso periodo, il venditore era tenuto a prestargli la sua auctoritas, o assistenza, contro l'altrui rivendicazione. Se la cosa era nec mancipi, lo scambio si compiva da mano a mano, mediante semplice tradizione: la legge delle XII Tavole accennava appena al fatto che anche qui, se il venditore non era proprietario, occorreva all'acquisto del compratore il godimento di un anno.
È assai controverso il problema dei modi in cui nell'epoca di cui parliamo si sarà provveduto ad accreditare all'occorrenza l'una o l'altra trasmissione. Probabilmente, ha servito allo scopo la stipulazione; tuttavia l'unilateralità di questo contratto ha dovuto presentare notevoli difficoltà nell'adattamento a un affare così intimamente bilaterale come la compravendita.
Comunque, è certo che in fine del sec. III a. C. le esigenze del commercio internazionale fecero nascere il contratto consensuale di compravendita, accessibile così ai Romani come agli stranieri: in questo senso, la vendita fu annoverata fra i contratti dello ius gentium, e protetta in un primo tempo soltanto nel tribunale del pretore peregrino; ma, riconosciuti i vantaggi dell'istituto, lo si praticò ben presto anche nei rapporti fra Romani, e il pretore urbano accolse nel suo editto le relative azioni giudiziarie. L'appartenenza allo ius gentium non significa, né qui né altrove, imitazione pedissequa d'istituti stranieri: pur tendendo a regolare i contratti del commercio internazionale in modo da garantire dappertutto ai contraenti una protezione uniforme, ogni stato organizzò tale protezione in conformità del suo genio giuridico. Così la vendita romana risultò totalmente dissimile dagl'istituti orientali e greci.
Le caratteristiche essenziali del contratto romano sono da un canto la mancanza di formalità, per modo che le volontà delle parti possano esprimersi a voce o per iscritto, oralmente o a segni, scambiandosi le dichiarazioni personalmente o a mezzo di un nuncius; dall'altro la semplice obbligatorietà, la quale implica che per il trasferimento della cosa e del prezzo occorrano in seguito appositi atti traslativi. Soltanto in età postclassica questi caratteri si vennero obliterando, per influenza dei diritti ellenistici e orientali: nei testi più recenti della compilazione giustinianea, e in specie nelle costituzioni di Giustiniano stesso, si tende a fissare per la vendita immobiliare l'obbligo della scrittura; a confondere la scrittura contrattuale con la tradizione ufficialmente richiesta per trasmettere la proprietà; a considerare le arre alla maniera greca, cioè come modi di recedere dal contratto (arrhae poenintentiales).
Elementi della vendita sono la cosa e il prezzo. La prima, merx in senso generico, può essere determinata sia nella sua individualità sia nell'appartenenza a un dato gruppo (ad es., 10 anfore di vino della mia cantina): per quanto non si trovi mai esplicitamente esclusa la vera e propria vendita di genere, nessun esempio sicuro se ne riscontra nella larga casistica delle fonti, e ciò fa pensare che per attuare un negozio di questa natura si ricorresse anche in epoca avanzata alla stipulazione. Si possono vendere, negli stessi limiti di determinatezza, anche le cose future, sia sotto la condizione che vengano in essere (cosiddetta emptio rei speratae) sia trasferendo al compratore l'alea (cosiddetta emptio spei). Possono essere oggetto di compravendita anche cose incorporali, per es., i diritti su cose altrui (costituiti o da costituire), i crediti, le eredità già deferite.
Quanto al prezzo, sorse in principio dell'impero una controversia fra le due scuole dei sabiniani e dei proculiani; ritenendo i primi che qualsiasi cosa potesse aver funzione di prezzo rispetto a qualsiasi altra, ritenendo invece i secondi che non si avesse vendita senza danaro. Ma la teoria sabiniana, inconciliabile con la fondamentale diversità che vedremo fra le obbligazioni del compratore e del venditore, fu presto abbandonata anche dai seguaci della scuola. Altro requisito del prezzo è di esser certo: la determinazione può esser fatta anche con riferimento a una circostanza estranea oggettivamente sicura, ma non può esser lasciata all'arbitrio di una delle parti né di un terzo. Quanto all'esigenza del giusto prezzo, si presentò allo spirito dei classici soltanto nel senso di evitare che sotto nome di vendita passassero donazioni vietate (massime quelle fra marito e moglie); altrimenti essi pensavano che occorreva lasciare libere entrambe le parti nello studio di ricavare dal contratto il massimo utile.
Una riforma giustinianea s'ispirò al principio che il prezzo dovesse esser giusto: il principio fu però attuato solo riguardo agl'immobili e a profitto del venditore, nel senso di accordargli un'azione di rescissione se la casa o il fondo gli fosse stato pagato meno della metà del giusto (laesio enormis: v. lesione).
I problemi più delicati riguardano le obbligazioni del venditore (quanto al compratore, tutto si riduce a trasferire la proprietà delle monete). I giuristi, infatti, insistono con particolare energia nell'escludere che il venditore sia tenuto a trasmettere la proprietà della cosa, anzi nel negare il carattere di vendita a una convenzione con la quale si prenda nettamente l'impegno di trasferire la proprietà: obbligo del venditore è piuttosto di trasferire al compratore il possesso e impegnarsi a garantirlo contro l'evizione fino a quando l'usucapione non sia compiuta. La conseguenza evidente è la validità della vendita di cose altrui. L'ulteriore conseguenza, che nei riguardi della cosa mancipi venduta il venditore non sia tenuto a farne mancipatio né in iure cessio, risulta più o meno implicita, dal punto di vista del puro diritto, in varî passi delle fonti.
Del resto, non è difficile rendersi conto di questo singolare regime. La vendita è un contratto dello ius gentium, nato dai rapporti fra Romani e stranieri; ma gli atti solenni richiesti in Roma per il trasferimento della proprietà sulle res mancipi non erano accessibili ai peregrini, ed era quindi necessario che l'obbligo del venditore si limitasse al trasferimento del pacifico possesso. Anche quando il nuovo contratto è stato accolto nei rapporti fra Romani, nulla imponeva di modificarne la struttura: infatti, i Romani potevano sempre ricorrere, se volevano, alle vecchie mancipazioni e stipulazioni, con le quali si trasmetteva contro un prezzo la proprietà o ci s'impegnava a trasferirla. L'idea di fare della mancipatio un modo di esecuzione della compravendita consensuale, in modo da cumulare i vantaggi dell'uno e dell'altro istituto, è un'escogitazione della giurisprudenza pratica, senza influenza sulla netta distinzione che il diritto puro faceva fra i diversi modi di comprare e vendere.
Se della cosa nec mancipi si era fatta la tradizione o della cosa mancipi (per speciale accordo delle parti) la mancipatio o in iure cessio, e se il venditore era proprietario e romane ambe le parti, la proprietà passava immediatamente. Secondo l'opinione di molti romanisti, ciò si può affermare, nonostante l'attestazione contraria di un passo delle Istituzioni giustinianee (II, 1, de rer. div., 41), il quale escluderebbe il passaggio della proprietà quando il compratore non avesse pagato il prezzo.
Per far valere le obbligazioni reciproche, competeva al compratore l'actio empti, al venditore l'actio venditi; azioni, l'una e l'altra, di buona fede, ove il giudice era invitato a valutare tutto ciò che il convenuto fosse tenuto a dare o fare ex fide bona. Questa duttilità dei poteri del giudice ha permesso di far penetrare nel dominio dell'a. empti anche pretese per le quali erano originariamente apprestati tutt'altri mezzi giudiziarî. Così in specie per quanto riguarda la garanzia contro l'evizione.
Nel più antico diritto, questa garanzia era, come si è detto, conseguenza automatica della mancipatio. Il mancipatio accipiens che non avesse ancora usucapito poteva, se chiamato in giudizio da un terzo rivendicante, chiamare in causa il mancipio dans, e questo era tenuto a subire il processo in proprio nome. Se il venditore si rifiutava a intervenire o soccombeva nella lite, era tenuto a versare al compratore il doppio del prezzo ricevuto.
Di fronte al dilagare delle applicazioni fittizie della mancipatio, le XII Tavole disposero che questa obligatio auctoritatis sorgesse solo in caso di effettivo pagamento della cosa mancipata.
Nel regime del contratto consensuale, che non imponeva in massima la mancipatio, l'assunzione della garanzia per evizione era compresa fra gli obblighi del venditore, nel senso ch'egli era tenuto a fare in proposito una solenne promessa. I formularî di stipulazione predisposti a questo scopo erano molteplici; ma nei primi secoli dell'impero la stipulazione più diffusa era la stipulatio duplae, con la quale il venditore si obbligava senz'altro a pagare il doppio del prezzo se l'evento deprecato si verificasse.
È chiaro che, se il venditore si rifiutava a prestare la garanzia con una delle apposite stipulazioni, il compratore poteva citarlo in giudizio con l'a. empti; intervenuta la stipulazione di garanzia, spettava invece al compratore evitto l'actio ex stipulatu. Per conseguenza, il compratore che non avesse provveduto in tempo a farsi garantire non avrebbe a rigore potuto pretendere nulla. Ma più tardi si ammise che, non avendo il venditore adempiuto all'obbligo di prestare la garanzia, doveva pur risarcire al compratore evitto il danno derivatogli da tale mancanza; il che vuol dire che con l'azione contrattuale (a. empti) si poté ottenere press'a poco ciò che si sarebbe ottenuto in base all'una o all'altra delle stipulazioni abituali. È molto discusso il criterio in base al quale l'indennizzo era calcolato in questo caso. L'obbligo di garantire contro l'evizione può essere escluso da un patto apposito (pactum de non praestanda evictione): questo non ha tuttavia nessun effetto se l'evizione dipende dal fatto del venditore stesso.
Anche il regime della garanzia per i vizî occulti della cosa venduta si è venuto formando per diverse vie. Per ogni ordine di cose, le esplicite dichiarazioni del venditore all'atto della mancipatio o gl'impegni da lui assunti con apposite stipulazioni attribuivano al compratore azioni giudiziarie: per lo più, le garanzie per l'evizione e per i vizî si fondevano nella ricordata stip. duplae. Ma per le vendite di schiavi e di animali gli edili curuli imposero al venditore esplicite dichiarazioni, e per il caso che queste risultassero false o che si riscontrassero vizî non previsti diedero al compratore la scelta fra due azioni: la redibitoria, con cui otteneva di riprendere il prezzo restituendo la cosa, e l'estimatoria, o quanti minoris, con cui otteneva una somma corrispondente al deprezzamento. È per altro tendenza della giurisprudenza classica, parallela a quella già notata in tema di evizione, di comprendere entro certi limiti anche la materia dei vizî nell'ambito dell'azione contrattuale (a. empti).
A parte queste garanzie, che impongono al venditore una responsabilità meramente oggettiva (sia o non sia al corrente dell'alienità e dei vizî della cosa), egli risponde, per la sua conservazione fino al momento della tradizione, anche della custodia; nel senso che è tenuto a indenizzare il compratore non solo se la cosa sia perita o si sia smarrita per colpa sua, ma anche se altri l'abbia rubata presso di lui. Se invece la cosa perisce per forza maggiore, per es., in caso di morte naturale del servo o di vino andato a male, le fonti affermano che il rischio appartiene al compratore (periculum est emptoris), e che questo è dunque egualmente tenuto a pagare il prezzo. Vero è che scrittori autorevoli hanno attribuito al diritto classico l'opposto principio che il rischio passi con la tradizione, e considerato la massima posta nelle fonti come un'innovazione giustinianea; ma la tesi non sembra appoggiata a una solida dimostrazione esegetica.
Accenniamo infine ad alcune clausole contrattuali dirette a sospendere o risolvere in date ipotesi gli effetti della vendita: l'in diem addictio, per cui la vendita si ha per non fatta se il venditore riceve entro un certo termine una migliore offerta; la lex commissoria, per cui lo stesso risultato si verifica se il compratore non paga il prezzo nel termine fissato; il pactum displicentiae, che autorizza il compratore a recedere dal contratto se dopo un certo periodo di prova non sia contento della cosa.
Diritto germanico e diritto comune. - Nel Medioevo, le idee romane circa la vendita s'incontrano e frammischiano con le tendenze importate dal mondo germanico.
Gl'inizî erano stati anche qui molto simili a quelli che abbiamo visti per l'antichità orientale e classica: vendita solenne a contanti, eseguita nell'assemblea popolare (in mallo) e più tardi in presenza di un gruppo di cittadini che la rappresenta, ma pur sempre in luogo pubblico. Solo con l'andar del tempo questa forma fu sostituita dalla scrittura. Il principio del contemporaneo trasferimento della cosa e del prezzo subì peraltro in varî paesi una degenerazione che gli antichi non avevano conosciuta, cioè la trasformazioiie della vendita in contratto reale, che si perfezionava con il trasferimento della cosa (sicché una vera e propria obbligazione gravava soltanto sul compratore).
Ma in generale anche il diritto germanico vedeva nella vendita due operazioni nettamente distinte, l'accordo e l'ensaisinement, il secondo dei quali può entro certi limiti paragonarsi alla tradizione romana. La differenza è in ciò: che, mentre in diritto romano (salve certe tendenze giustinianee non tradotte in precise norme giuridiche) la tradizione è in massima una consegna materiale della cosa venduta, l'ensaisinement germanico, detto anche vêture o vest et devest, è essenzialmente una finzione, operata mediante una grande varietà di simboli, e più tardi mediante la presentazione delle parti davanti all'autorità giudiziaria o mediante la consegna del documento.
Dopo la ricezione del diritto romano, la tendenza a far coincidere la tradizione voluta dal Corpus iuris con la saisine si espresse (salvo per i beni feudali che richiedevano una solenne investitura) in nuovi e delicati accorgimenti. Fra essi il più usato fu la cosiddetta "clausola di constituto" o "di precario", in forza della quale il venditore si costituiva, al momento del contratto, detentore dell'immobile già suo, come rappresentante del compratore nel possesso che fin da questo momento gli era trasmesso. Questa pratica, favorita dai glossatori e postglossatori, non poteva non tradursi nell'opinione che fosse una mera pedanteria quella di richiedere, in aggiunta al consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo, un atto di disposizione sulla proprietà: fra gli scrittori francesi del sec. XVIII si riteneva che la clausola di constituto, se non era stata scritta, si dovesse considerar sottintesa. Allo stesso risultato arrivavano i giusnaturalisti, come il Grozio e il Pufendorf, per i quali il principio che la proprietà si trasferisse con il semplice consenso rispondeva a un'esigenza di ragione. Il nuovo punto di vista trionfava nel Codice Napoleone (art. 1583, cfr. 1448 cod. civ. ital.).
La progressiva affermazione del passaggio della proprietà con il consenso delle parti non poteva scompagnarsi da provvedimenti destinati a dar pubblicità alle vendite, specialmente immobiliari. Ancora nei secoli XI e XII, la formalità più usata a questo scopo consisteva in un proclama della pubblica autorità perché tutti quelli che avevano diritti da far valere sull'immobile venduto si presentassero entro un certo termine, spirato il quale, nessuna azione poteva essere intentata contro l'acquirente. Più spesso furono adoperati ai fini della pubblicità i varî sistemi di registrazione, anche se originariamente disposti per altri scopi, ad es. di assicurare il pagamento dell'imposta fondiaria o di far luogo al diritto di retratto spettante ai parenti o ai vicini: del resto, già nel sec. XIII s'introduceva in Venezia il magistrato dell'esaminador, la cui funzione principale era di dare data certa ai trasferimenti immobiliari, e nelle più recenti leggi della repubblica di Venezia, come negli statuti fiorentini, la tendenza a impedire mediante liste ufficiali di possesso la duplice alienazione degl'immobili aveva adeguata soddisfazione. Il moderno sistema della trascrizione è peraltro di origine francese.
Fra le materie che ebbero nell'epoca intermedia le più scrupolose cure della dottrina e della pratica va indicato l'istituto - risalente, come si è detto, a Giustiniano - della lesione enorme. Accanto a una rara tendenza a ridurne l'applicazione, ammettendo ad es. che alla rescissione si potesse far luogo soltanto per venditori costretti da dolorose necessità economiche, si ebbero molteplici tendenze estensive: sia nel senso di riconoscere una lesione anche nel compratore che avesse pagato un prezzo troppo alto, sia di porre come limite non la metà del giusto prezzo ma i due terzi o addirittura il vero valore della cosa: perfino l'originaria limitazione alle vendite immobiliari, per verità non abbastanza nettamente rilevata nelle fonti romane, fu spesso rinnegata. Furono inoltre interminabili le discussioni circa la giustificazione del rimedio, che alcuni riconnettevano a un vizio della volontà e altri a un'esigenza di giustizia commutativa, con grande varietà di conseguenze. La tendenza alla protezione del venditore divenne così prepotente, che i compratori arrivarono a pretendere in ogni contratto una clausola salvatoria, in virtù della quale la parte del valore della cosa non coperta dal prezzo dovesse considerarsi come donata: frode fieramente combattuta dalla giurisprudenza, ed espressamente vietata anche nei codici francese e italiano (art. 1684 codice Napoleone, 1529 codice civ. ital.).
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Diritto romano. - A. Bechmann, Der Kauf nach gemeinem R., voll. 3, Erlangen 1876-1905; O. Gradenwitz, Interpretazioni ed interpolazioni, in Bull. Istituto diritto rom., II (1889), p. 14 segg.; C. Arnò, La teoria del periculum rei venditae, in Giur. ital., 1897, parte 4ª, p. 209 segg. (con molti altri contributi in varie raccolte); E. Rabel, Die Haftung des Verkäufers wegen Mangels im Recht, Lipsia 1902; id., Gefahrtragung beim Kauf, in Ztschr. Sav.-Stift., XLII (1921), p. 543 segg.; F. Haymann, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache, Berlino 1912; id., Periculum est emptoris, in Ztschr. Sav.-Stift., XLI (1920), p. 44 segg.; id., Zur Klassizität des per. empt., ibid., XLVIII (1928), p. 314 segg.; F. Pringsheim, Der Kauf mit fremden Geld, Lipsia 1916; id., Eigentumsübergang beim Kauf, in Zeitschr. Sav.-Stift., L (1930), p. 333 segg.; S. Solazzi, L'origine storica della rescissione per lesione enorme, in Bull. cit., XXXI (1921), p. 51 segg.; C. Longo, Sulla in diem addictio e sulla lex commissoria, ibid., XXXI (1921), p. 40 segg.; P.-F. Girard, Mélanges de dr. rom., II, Parigi 1923; Ch. Appleton, Les risques dans la vente et les fausses interpolations, in Rev. hist. de dr., 1926, p. 375 segg.; 1927, p. 195 segg.; id., A l'époque classique le transfert de la propriété de la chose vendue et livrée était-il subordonné en règle au paiement du prix?, ibid., 1928, p. 11 segg.; E. Seckel e E. Levy, Die Gefahrtragung beim Kauf im klass. röm. R., in Ztschr. Sav.-Stift., XLVII (1927), p. 39 segg.; E. Carusi, Sull'arra della vendita in dir. giustinianeo, in Studî Bonfante, Milano 1930, IV, p. 503 segg.; R. Monier, La garantie contre les vices cachés dans la vente rom., Parigi 1930; F. Wieacker, Lex commissoria, Erfüllungszwang und Widerruf im röm. Kaufrecht, Berlino 1932; M. Bussmann, L'obligation de délivrance du vendeur en dr. rom. class., Losanna 1933; G. G. Archi, Il trasferimento della proprietà nella compravendita rom., Padova 1934; V. Scialoja, La l. 16 Dig. de condictione causa data 12,4 e l'obbligo di trasferire la proprietà nella vendita rom. (1907), in Studi giur., II, Roma 1934, p. 247 segg.; E. Levy, Zu den Rückttrittsvorbehalten des römischen Kaufs, in Symbolae Friburgenses in honorem O. Lenel, Berlino 1935, p. 108 segg.; E. Albertario, Iustum pretium e iusta aestimatio (1921), in Studi di dir. rom., III, Milano 1936, p. 401 segg.; id., Il momento del trasferimento della proprietà nella compravendita (1929), ibid., III, Milano 1936, p. 425 segg.; Ph. Meylan, Le paiement du prix et le transfert de la propriété de la chose vendue en dr. rom. class., in St. Bonfante cit., I, p. 441 segg.; M. Ricca-Barberis, L'evizione obbligo-limite del venditore romano, ibid., II, p. 127 segg.
Diritto germanico e diritto comune. - H. Aubépin, Origines et progrès en France du droit coutumier, féodal et privé, sur la nature des ventes etc., in Rev. crit. de législ. et de jurispr., XIV (1859), pp. 177 segg.; 339 segg.; H. Brunner, Carta und Notitia, in Commentationes in hon. Th. Mommseni, Berlino 1877, p. 370 segg.; R. Sohm, Geschichte der Auflassung, in Festgabe Thöl, Strasburgo 1879, p. 81 segg.; J. Biermann, Tradito ficta, Stoccarda 1891; W. Simeka, De la lésion dans la vente et dans le partage en dr. rom., dans l'ancien droit français et dans le droit actuel, Aix 1892; P. Viollet, Histoire du dr. civil français, 2ª ed., Parigi 1893, p. 604 segg.; A. Pertile, storia del dir. ital., 2ª ed., IV, Torino 1893, p. 236 segg., 554 segg.
Diritto italiano vigente. - La compravendita è quel contratto per cui una persona, il venditore, si obbliga a dare una cosa a un'altra persona, il compratore, e questa si obbliga a pagarne il prezzo. Dalla compravendita va tenuta distinta la promessa bilaterale di vendita, la quale è la promessa di una parte di vendere, di un'altra di comperare, reciprocamente accettate, per cui ambedue sono tenute a prestare il consenso per la stipulazione del contratto a pena di risarcire il danno. Il contratto di compravendita ha efficacia reale, cioè trasferisce la proprietà della cosa. Questa deve essere in commercio, suscettibile di alienazione, e può essere pure una universalità di cose, ad es. un'azienda commerciale, e anche una cosa incorporale, come un diritto. La cessione di un credito o di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo è considerata nel codice civile italiano come una specie della vendita (art. 1538). Il contratto, riguardo alle obbligazioni che ne derivano, è perfetto quando le parti sono d'accordo sulla cosa e sul prezzo, nonché sugli altri patti ai quali avessero inteso subordinare il loro consenso.
Di regola ognuno, che sia capace di contrattare, può comperare o vendere. Ma a chi amministra beni altrui è vietato di acquistare beni dalla persona amministrata; ai magistrati e loro collaboratori di farsi cessionarî di liti, ragioni e azioni litigiose di competenza dell'autorità giudiziaria di cui fanno parte; agli avvocati e procuratori di fare con i loro clienti contratto alcuno di vendita sulle cose comprese nelle cause alle quali prestano il loro patrocinio.
La vendita o cessione di un credito comprende gli accessorî del credito stesso, come le cauzioni, i privilegi e le ipoteche; salvo patto diverso, non comprende le rendite e gl'interessi scaduti. Nella vendita di un corpo certo e determinato, se al tempo della conclusione del contratto la cosa è interamente perita, non esiste vendita; se ne fosse perita una parte, il compratore può scegliere fra il recedere dal contratto o il domandare la parte rimasta, facendone determinare il prezzo mediante stima proporzionale. La vendita di cosa altrui come propria è annullabile e la nullità può essere opposta solo dal compratore. Se questi ignorava che la cosa era d'altri, ha diritto al risarcimento del danno. Invece la vendita commerciale di cosa altrui è dichiarata valida (art. 59 cod. di comm.), ma nel senso che il venditore è obbligato a farne l'acquisto e la consegna al compratore; diversamente sarà tenuto a risarcire il danno.
La forma scritta, scrittura privata o atto pubblico, è richiesta per la esistenza del contratto, quando oggetto ne sia un bene immobile, un diritto capace d'ipoteca, una nave. Se la vendita ha per oggetto una cosa mobile per un prezzo superiore a lire duemila, è necessario lo scritto al fine di provare il contratto. In certi rami di commercio lo scritto privato, che prova la compravendita di derrate a termine, assume il nome di stabilito (contratto stabilito). Talvolta all'indicazione del nome del compratore si aggiunge la clausola all'ordine e in tal caso la girata del titolo serve a trasmettere ad altri i diritti derivanti dal contratto. Le spese della vendita sono a carico del compratore. Affinché la vendita di un bene immobile sia efficace di fronte a ogni terzo, l'atto deve essere trascritto (v. trascrizione). Fra due acquirenti della medesima cosa mobile ne acquista la proprietà chi per primo ne ricevette il possesso in buona fede con la consegna. La cessione di un diritto ha effetto verso i terzi dopo fatta l'intimazione al debitore della seguita cessione ovvero quando il debitore abbia accettato la cessione medesima con atto autentico.
Il prezzo deve essere convenuto in una somma di denaro almeno per la parte maggiore; diversamente si avrebbe permuta e non compravendita. Tuttavia, se il compratore eseguisce il contratto dando al venditore, che vi consente, un'altra cosa anziché denaro, la compravendita non si trasforma per ciò in una permuta. Il prezzo deve essere reale, cioè non fittizio o simulato. La misura del prezzo può essere rimessa all'arbitrio di un terzo, scelto dalle parti nell'atto stesso della vendita, ovvero da scegliersi successivamente d'accordo dalle parti o, nel difetto, dal pretore o dal giudice conciliatore del luogo della conclusione del contratto, o del domicilio o della residenza di una delle parti. Si può pattuire che il prezzo sia quello risultante da una certa mercuriale. La compravendita commerciale è valida se le parti hanno convenuto un modo qualsiasi per determinare il prezzo; è valida la vendita fatta per il giusto prezzo, per il prezzo corrente. Se il terzo eletto dalle parti non vuole o non può accettare l'incarico di determinare il prezzo, e le parti non si accordano nella nomina di altra persona, provvederà alla nomina l'autorità giudiziaria.
Talvolta all'atto della conclusione del contratto il compratore consegna al venditore una caparra. Se il compratore non adempirà le sue obbligazioni, il venditore, che non preferisca ottenere l'esecuzione del contiatto, potrà tenere la caparra ricevuta.
Il trasferimento della proprietà e del rischio e pericolo della cosa avviene nel momento stesso della conclusione del contratto, quando la compravendita ha per oggetto un corpo certo e determinato o anche una quantità di cose vendute in massa (per aversionem). Ma molto frequente, soprattutto nel commercio, è la vendita di cose determinate per il genere cui esse appartengono, anziché individualmente. In tale specie di vendita il trasferimento della proprietà e del rischio e pericolo avviene nel momento in cui la cosa è determinata individualmente d'accordo dalle parti, per effetto della consegna al compratore o allo speditore o al vettore, o della numerazione, misurazione o pesatura. Se la vendita ha per oggetto due o più cose determinate, ma dedotte in modo alternativo, l'acquisto della proprietà avviene per effetto della scelta. Nella vendita delle cose delle quali si usa fare l'assaggio prima della compera, come vino, olio o altre derrate, il compratore non è obbligato se non quando le ha assaggiate e riconosciute della qualità pattuita. La vendita con il patto della prova si presume conclusa sotto condizione sospensiva. Se la cosa perisce durante la prova, senza colpa del compratore, il perimento è a carico del venditore. La vendita di merci che sono in viaggio sopra una nave o devono essere trasportate mediante una nave designata, s'intende sottoposta alla condizione sospensiva del felice arrivo della nave medesima (art. 62-66 cod. di comm.). Nel patto di riscatto, per cui il venditore si riserva la facoltà di riavere la cosa mediante la restituzione del prezzo capitale e il rimborso delle spese (e tale patto può essere stipulato al massimo per cinque anni), si ha una condizione risolutiva, il cui verificarsi è rimesso alla volontà del venditore. Questi può promuovere l'azione anche contro il terzo acquirente. Nella vendita di cosa futura la proprietà si acquista con il sorgere della cosa. Nella vendita di cosa sperata, ad esempio del raccolto di un determinato prodotto, si ha come non concluso il contratto se il raccolto manchi del tutto. Ma se le parti intesero concludere un contratto aleatorio (emptio spei), il compratore deve pagare il prezzo in ogni caso. Il trasferimento della proprietà avviene all'atto del consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo, pure quando per patto il venditore ha facoltà di risolvere il contratto, se entro un certo termine un terzo offrirà un maggior prezzo. Parimenti, allorché al venditore è attribuito il diritto di essere preferito, a parità di condizioni, a ogni altro, a cui il compratore volesse rivendere la cosa. Il trasferimento della proprietà può verificarsi in un tempo successivo alla conclusione del contratto quando, nella vendita a rate, si pattuisca la riserva della proprietà fino al pagamento integrale del prezzo.
Le obbligazioni principali del venditore sono quelle di consegnare la cosa venduta e di garantirla. Il venditore deve custodire la cosa fino alla consegna e deve consegnarla con i frutti che essa ha prodotto dopo la vendita e le accessioni e pertinenze, cioè deve metterla in possesso del compratore. La consegna può essere reale ovvero simbolica o fittizia. È assai frequente in commercio la consegna delle merci mediante i titoli che le rappresentano (polizza di carico, lettera di vettura, fede di deposito). La cosa deve consegnarsi nel luogo fissato nel contratto o, in mancanza, in quello in cui era al momento della vendita o al domicilio del venditore. Deve consegnarsi nella quantità stipulata. Per la vendita di un immobile valgono norme particolari nel caso di differenza tra la misura pattuita e quella reale e nell'ipotesi che la vendita sia fatta a corpo e non a misura (art. 1473-1479 cod. cir.). Nella vendita commerciale a termine di merci, dedotte in contratto per specie, qualità e quantità, il venditore non è liberato dall'obbligo di consegnarle alla scadenza del termine per il fatto che siano perite le merci a sua disposizione al tempo della conclusione del contratto o che egli si era procacciate in seguito. Neppure è liberato il venditore, qualora sia stato impedito per qualsiasi causa l'invio o l'arrivo delle merci, che dovevano servirgli per eseguire il contratto; il venditore è liberato solo quando non possa consegnare puntualmente la merce per cause generali, estranee alla sua azienda, a lui non imputabili. Il venditore può rifiutare la consegna della cosa, se il compratore non ne paga il prezzo. Non è tenuto alla consegna ancorché avesse accordata una dilazione al pagamento, se dopo la vendita il compratore cada in stato di fallimento o d'insolvenza. Nella vendita o cessione di un credito o altro diritto il possesso, come dice la legge, si trasferisce mediante la consegna del documento che prova il credito o l'altro diritto ceduto. Le spese della consegna sono a carico del venditore.
La garanzia che il venditore deve prestare al compratore ha un duplice obietto, cioè il pacifico possesso della cosa venduta e la sua immunità da vizî o difetti occulti. Chi vende una cosa deve garantire il compratore contro le cause giuridiche, in via di principio preesistenti al contratto, le quali possono turbarlo nel suo pacifico godimento o possesso. Si ha evizione quando per effetto di sentenza divenuta cosa giudicata il compratore sia privato in tutto o in parte del possesso della cosa da parte del terzo proprietario o sia costretto a subire sulla cosa stessa l'esercizio di diritti reali spettanti a terzi e non dichiarati nel contratto (v. evizione).
Il venditore deve garantire anche l'immunità della cosa da vizî o difetti occulti. È necessario distinguere l'ipotesi di merce viziata o difettosa dall'ipotesi di merce essenzialmente diversa da quella pattuita a motivo di errore sulla sua identità, perché in questo secondo caso non si sarebbe formato l'accordo sull'oggetto del contratto. Se il venditore consegna una cosa diversa da quella convenuta ovvero dal campione, o deficiente nella quantità, egli sarà inadempiente e al compratore spetterà l'azione per la risoluzione del contratto. Qualora il compratore avesse supposta erroneamente l'esistenza di una qualità sostanziale nella cosa oggetto del contratto, gli spetterebbe l'azione di nullità per errore. L'azione redibitoria suppone l'esistenza nella cosa, al momento del trasferimento del rischio e pericolo, di vizî o difetti occulti e rilevanti. Occulto è quel vizio che il compratore non scoprì, malgrado la comune diligenza, allorché concluse il contratto. È rilevante il vizio che rende la cosa non idonea all'uso cui è destinata o ne diminuisce l'uso in guisa che, se il compratore ne avesse avuto conoscenza, o non avrebbe comperata la cosa o avrebbe offerto un prezzo minore. Nella compravendita commerciale il compratore di merci o derrate che gli provengono da una piazza diversa da quella nella quale le riceve, deve denunciare al venditore il vizio apparente (tale all'esame della merce, ma ignoto nel momento della conclusione del contratto) entro due giorni, di regola, dal ricevimento effettivo della merce, e il visio occulto entro due giorni da che esso fu scoperto. Il compratore ha la scelta fra la risoluzione del contratto con la restituzione del prezzo o la diminuzione di questo. Se il venditore non conosceva l'esistenza del vizio non è tenuto a risarcire il danno sofferto dal compratore, ma soltanto al rimborso delle spese da lui sostenute per causa della vendita. L'azione redibitoria deve essere esercitata entro il termine di un anno dalla consegna, se oggetto della compravendita sono beni immobili; di quaranta giorni se sono animali, e per vizî determinati da usi locali; di tre mesi, se altre cose mobili, salvo che usi particolari stabiliscano un termine maggiore o minore. La garanzia contro i vizî o difetti occulti è esclusa nelle vendite giudiziali. Chi cede un credito o altro diritto, deve garantirne la sussistenza al tempo della cessione; risponde della solvenza del debitore quando ne abbia assunto l'obbligo, e per la concorrenza del prezzo riscosso. Se fu promessa la garanzia della solvenza e non ne fu convenuta la durata, la garanzia s'intende limitata a un anno dalla cessione del credito scaduto, ovvero dalla scadenza del credito non ancora scaduto.
Obbligazione principale del compratore è quella di pagare il prezzo convenuto nel tempo e nel luogo pattuiti; in mancanza di patto, nel tempo e nel luogo in cui deve farsi la consegna della cosa. Deve pagare anche gl'interessi, se la cosa venduta e consegnata prima del pagamento produce frutti o altri proventi. Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, se corra pericolo di perdere in tutto o in parte la cosa, essendo molestato o avendo fondato timore di essere molestato nel pacifico godimento da un'azione ipotecaria o rivendicatoria.
Il compratore con il patto di riscatto esercita tutte le ragioni del suo venditore. La prescrizione decorre a favore di lui tanto contro il vero proprietario, quanto contro coloro che pretendessero di avere ragioni o ipoteche sopra la cosa venduta. Egli può opporre il beneficio dell'escussione ai creditori del suo venditore (art. 1521).
Nella compravendita fra piazze lontane le banche sogliono intervenire per anticipare al venditore il prezzo dovuto dal compratore, cautelandosi per il rimborso da questo mediante il possesso dei titoli che rappresentano la merce in viaggio e della polizza di assicurazione (compravendite contro apertura di credito o mediante rimborso di banca).
Può avvenire che il compratore consegni una cambiale per il prezzo. Più spesso la cambiale non sarà data e ricevuta in luogo di pagamento (pro soluto), ma allo scopo di assicurare meglio al venditore la riscossione del prezzo (pro solvendo); perciò l'obbligo del compratore non si estinguerà se non in seguito all'effettivo pagamento.
Nella vendita di beni immobili, eccettuata quella ai pubblici incanti, il codice civile concede al venditore di richiedere entro due anni dalla vendita la rescissione del contratto quando l'immobile sia stato venduto per un prezzo inferiore alla metà del giusto valore secondo perizia. Ammessa la rescissione, il compratore ha la scelta fra restituire la cosa con i frutti dal giorno della domanda, o ritenerla pagando il supplemento al giusto prezzo con gl'interessi (v: lesione).
A garanzia dell'adempimento degli obblighi che derivano dal contratto, il venditore di un bene immobile ha ipoteca legale sull'immobile stesso.
Al venditore di macchine d'importante valore impiegate nell'industria agricola o manifatturiera è concesso un privilegio sulla macchina stessa nel fallimento del compratore per il credito del prezzo, nei limiti e alle condizioni stabilite dall'art. 773, n. 3 del cod. di comm.
Se il compratore non adempie le proprie obbligazioni, il venditore può costringerlo all'adempimento o domandare la risoluzione del contratto. Nella vendita di cosa mobile il contratto si scioglie di diritto e non occorre sentenza del giudice, ove il compratore prima della scadenza del termine stabilito per la consegna della cosa non si presenti per riceverla o anche presentandosi non ne offra contemporaneamente il prezzo, salvo che per il pagamento di questo fosse convenuta una maggiore dilazione. Inoltre, il venditore che abbia consegnata la cosa al compratore senza concedergli dilazione al pagamento, in mancanza di questo può rivendicare la cosa stessa, in possesso del compratore, o impedirne la rivendita, purché proponga l'azione entro quindici giorni dalla consegna e la cosa sia nello stato medesimo in cui era al momento di quella e salvo il privilegio accordato al locatore della casa o del fondo. Nella compravendita commerciale la risoluzione di diritto è concessa anche a favore del compratore. Se è stabilito un termine unico per la consegna della cosa e per il pagamento del prezzo e una parte faccia inutilmente all'altra prima della scadenza l'offerta della sua prestazione, nei modi usati in commercio, la compravendita è risolta di diritto. La risoluzione della vendita di una cosa immobile non avviene di pieno diritto, ma solo per pronuncia del giudice, e non pregiudica i terzi che abbiano acquistato diritti sull'immobile avanti la trascrizione della domanda di risoluzione e abbiano trascritto il loro acquisto.
Nella vendita commerciale di cosa mobile il venditore può depositare la cosa venduta in un luogo di pubblico deposito o presso un'accreditata casa di commercio, per conto e a spesa del compratore inadempiente. Il venditore o il compratore ha facoltà, rispettivamente, di fare vendere o fare comperare la cosa a mezzo di un pubblico ufficiale autorizzato a tale specie di atti, per conto e a spese della parte inadempiente (esecuzione coattiva).
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