VENDOME
VENDÔME (lat. Vindocinum)
Cittadina della Francia settentrionale (dip. Loir-et-Cher), sviluppatasi intorno alla Trinité, importante abbazia benedettina fondata nel 1033 da Giorgio Martello, conte di V., consacrata nel 1040 e posta sotto diretta dipendenza del papato nel 1056.
Della chiesa del sec. 11° si conservano solo i due bracci del transetto; il capocroce venne interamente ricostruito a partire dalla fine del sec. 13°, quindi i lavori procedettero verso O con la costruzione del corpo longitudinale; la facciata occidentale è un capolavoro del gotico flamboyant e a O di essa si conserva un campanile eretto nel primo quarto del 12° secolo.A complemento della celebre vetrata detta della Vergine di V., eseguita verso il 1140-1150, un'importante serie di vetrate della fine del sec. 13° occupa le finestre alte del coro. Nella chiesa si conservano inoltre alcuni stalli medievali, mentre è andato perduto il monumento dedicato alla santa Lacrima, rinomata reliquia dell'abbazia.Nella parte sud della sala capitolare, ricostruita nel sec. 14°, sono stati portati alla luce, nel 1972, frammenti di pitture di eccezionale qualità per esecuzione e conservazione. Le analisi di laboratorio lasciano pensare che si tratti di un vero e proprio affresco, eseguito su un sottile intonaco, ricco di calce, sopra il quale sarebbero stati stesi, senza altro legante della pura acqua, pigmenti minerali, come le ocre rosse e gialle, i verdi, il nero e il lapislazzuli. Si è potuta altresì osservare la straordinaria perizia dell'esecuzione nella complessa sovrapposizione dei toni e nella posa rapida e sicura delle lumeggiature a bianco di calce. Queste pitture costituiscono una delle rarissime testimonianze dell'uso di una vera tecnica dell'affresco in Francia nell'11° secolo.Sono state individuate alcune affinità stilistiche con le pitture della chiesa di Saint-Savin-sur-Gartempe (v.): in particolare si è osservato l'uso di uno stesso repertorio di convenzioni grafiche, soprattutto nel trattamento dei piedi, delle mani e dei volti. Ma gli affreschi di V. si distinguono rispetto ad altri cicli conservati nella Francia occidentale per la distribuzione della decorazione sulla parete, giacché elementi architettonici dipinti scandiscono il ciclo narrativo in quadri distinti.Lo studio dei fondi e dei colori ha parimenti consentito di scoprire dettagli che si trovano esclusivamente nei due cicli di V. e di Saint-Savin-sur-Gartempe. Queste analogie costituiscono altrettante prove di una strettissima relazione tra lo stile delle pitture del portico e della tribuna di quest'ultima chiesa e i dipinti di V., al punto che è possibile ipotizzare un'esecuzione quasi contemporanea.I grandi cicli decorativi dipinti a Tours nella seconda metà del sec. 11° ebbero sicuramente un ruolo primario nella genesi di questo stile, ma solo grazie agli studi iconografici e storici è possibile datare più precisamente gli affreschi di V. intorno al 1096.L'unico registro dipinto è composto da cinque scene relative alle apparizioni di Cristo dopo la Risurrezione. Da sinistra a destra, si riconoscono: la Cena in Emmaus, l'episodio del lago di Tiberiade - distinto in due momenti, la Pesca miracolosa e l'Investitura di s. Pietro in cattedra -, e poi, probabilmente, la Missione degli apostoli e l'Ascensione.Particolari insoliti negli schemi iconografici e nella scelta dei soggetti indicano, come chiave di lettura, gli scritti pervenuti dell'abate Geoffroy di V. (1093-1132). Nella rappresentazione della Cena in Emmaus (Lc. 24, 13-35) la singolarità è costituita dal gesto di Cristo che eleva solennemente un mezzo pane spezzato. Questa immagine, che si riferisce all'Eucaristia, costituisce molto probabilmente una risposta visiva alle posizioni di Berengario di Tours (m. nel 1088), che aveva sviluppato una diatriba sulla transustanziazione (Montclos, 1971). L'abate Geoffroy prese parte alla disputa e scrisse il Tractatus de corpore et sanguine Domini Iesu Christi (PL, CLVII, coll. 213-214), rivolto a confutare quelle tesi.Nella scena della Pesca miracolosa sul lago di Tiberiade (Gv. 21, 1-9), nella quale Pietro cammina sulle acque andando incontro a Cristo risuscitato apparso sulla riva, un unico elemento si discosta dalla narrazione evangelica e contrasta con l'iconografia tradizionale: si tratta della rappresentazione, nella barca, di dieci apostoli in luogo dei sette citati nel testo di Giovanni. Ancora una volta la spiegazione di questo numero è data dagli scritti di Geoffroy di V. (Ep., I, 7; PL, CLVII, col. 42), dove viene sviluppato il tema della barca di Pietro, dalla quale Giuda è assente, quale immagine simbolica della Chiesa.Tale concezione ecclesiologica è peraltro illustrata nella successiva scena dell'Investitura di Pietro (Gv. 21, 15-19), che denuncia anch'essa il diretto intervento dell'abate. L'immagine della cattedra, simbolo dell'autorità del vescovo e in particolare di s. Pietro, si colloca con molta pertinenza nel contesto della lotta per le investiture, allorché gli abati erano considerati quali successori di Pietro. Si sa che Geoffroy si dimostrò un accanito difensore dell'autorità papale ereditata da Pietro: l'immagine dell'apostolo in cattedra costituiva quindi un'esaltazione della figura di Pietro e contemporaneamente della figura del pontefice, suo successore alla guida del gregge, custode della tradizione istituita da Cristo. La data del soggiorno a V. di Urbano II - tra il 19 febbraio e il 3 marzo 1096 - coincide esattamente con quella in cui veniva appunto celebrata la festa della Cathedra sancti Petri (22 febbraio). È quindi del tutto possibile che gli affreschi siano stati eseguiti in occasione della solenne cerimonia pontificale.Le due ultime scene sono di più complessa identificazione. La quarta, che descrive una delle apparizioni di Cristo a un gruppo di apostoli, dovrebbe essere la Missione affidata agli apostoli (Mt. 28, 16-20). I discepoli sono posti simmetricamente ai due lati di Cristo e la figura di s. Pietro alla sua destra è posta in risalto. L'ultima scena rappresenta probabilmente l'Ascensione di Cristo.Attraverso queste immagini, l'abate Geoffroy di V., probabile committente del ciclo, esprimeva la difesa della causa romana, manifestando la propria visione di una cristianità unita sotto la guida del capo e pastore che sedeva a Roma sul trono di Pietro. Grazie agli illuminanti studi di Toubert (1990), queste pitture possono essere lette come una testimonianza esemplare della diretta influenza esercitata dalla riforma gregoriana sull'iconografia dell'11° e 12° secolo.
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