VENERE (Venus)
Divinità romana; non però, in Roma, molto antica, come dimostra l'assenza del suo nome nell'antico calendario romano e nei più vetusti documenti riferentisi al culto.
Il nome di Venus si rivela per altro genuinamente italico; ciò che ci permette di ritenere che la sua introduzione in Roma dalle vicine contrade dell'Italia centrale debba farsi risalire ad età assai remota. Questo sembra anche confermato dall'antichissimo uso del verbo venerari, adoperato in espressioni di significato religioso con lo stesso valore del greco χαρίζεσϑαι, ad indicare cioè il compimento di azioni grate agli dei e tali quindi da richiamare il favore di essi su chi le compie. E infatti sembra certo che la parola stessa venus sia stata usata in origine con lo stesso significato del greco χάρις, a esprimere la bellezza della natura feconda. Tale concetto, seguendo un processo comune alle antiche religioni italiche - si concretò ben presto nella figura di una dea, la dea della bellezza della natura, della natura primaverile.
Siffatto processo non si svolse dunque in Roma, ma certamente nelle regioni limitrofe: tanto che possiamo indicare nel Lazio stesso il centro dal quale Roma trasse più probabilmente il suo culto di Venere. Conosciamo due antichi e famosi santuarî di Venere: l'uno sorgeva nelle immediate vicinanze di Ardea, l'altro si trovava nel territorio fra questa città e Lavinio. In quest'ultimo la dea era venerata con l'epiteto di Fruti (forse da frutex, o da Frutii, nome, probabilmente, di un'antica divinità della natura immedesimata poi con Venere), e riguardata comune a tutti o a gran parte dei populi latini: tale centro religioso si trovava peraltro sotto la tutela di Ardea. Se ravviciniamo questi due elementi di fatto con la notizia che, nel 217 a. C., per espiare i prodigi allora verificatisi, si credé opportuno sacrificare anche alla Venere di Ardea (Livio, XXII,1, 19), si è indotti a concludere che, secondo ogni probabilità, il culto romano di Venere fu di provenienza ardeatina.
I due primi templi che vennero eretti in Roma alla nuova dea sorsero, l'uno presso il bosco sacro di Libitina, l'altro nelle vicinanze del Circo Massimo: il giorno anniversario della dedicazione era per tutti e due lo stesso, e cioè il 19 agosto, il giorno delle Vinalia rustica. Del primo si ignora l'anno della fondazione, del secondo sappiamo che ne fu incominciata la costruzione nell'anno 295 a. C. e che esso venne dedicato qualche anno più tardi. L'ubicazione del primo tempio fu causa della rapida identificazione di V. con Libitina.
La scelta del giorno medesimo delle Vinalie rustiche per la consacrazione dei due più antichi templi romani di V. ci rimanda al significato originario e alla natura di questa divinità italica: V. infatti, in quanto impersonava e proteggeva il fiorire della natura, venne riguardata come protettrice dei giardini e degli orti. Tale aspetto della dea non si eclissò mai del tutto: sic te amat quae custodit ortum. Venus, si legge in un'epigrafe (Corp. Inscr. Lat., IV, 2776); ed esso rimase anzi sempre quello genuino della divinità italica, anche quando il suo nome passò a designare, come ora diremo, la greca Afrodite. S'intende pertanto come da protettrice degli orti e dei giardini a patrona della viticoltura fosse breve il passo. Si serba notizia anche di un culto latino di Venere equestre; tale culto sarebbe penetrato anche in Roma, se coglie nel segno un'ipotesi che riconosce la dea nella statua di una donna a cavallo, che si mostrava nella parte alta della Via Sacra, di faccia al tempio di Giove Statore, e che era forse dedicata a Venere Cluilia o Cloacina, cui era affidata la protezione della cloaca massima.
Tutti questi aspetti originarî e indigeni di V. passarono in seconda linea, quando il nome della dea fu assunto dalla nuova divinità greca, Afrodite, accolta nella religione di Roma. Non è difficile riconoscere il luogo di provenienza di questo culto greco. L'Afrodite ricevuta in Roma fu quella del santuario siciliano del monte Erice: santuario ben noto in tutto il Mediterraneo occidentale e che i soldati romani impararono bene a conoscere nella lunga e faticosa guerriglia condotta nella parte occidentale dell'isola contro i provetti mercenarî di Amilcare Barca A Roma si riconosceva infatti concordemente questo santuario come la patria d'origine del culto romano di Venere, e si designò la dea con l'epiteto di Erucina (Erycina).
Al tempo della seconda guerra punica risalgono le più antiche testimonianze del culto di Venere Ericina in Roma. Nel lettisternio ordinato dai libri sibillini nel 217 a. C., comparisce Venere accoppiata con Marte; e in quello stesso anno le fu votato dal dittatore Q. Fabio Massimo un tempio sul Campidoglio, dedicato poi due anni più tardi. Anche più importante fu un secondo tempio della dea, eretto, verso il 181, dinnanzi alla Porta Collina e dedicato nel giorno delle Vinalia priora (23 aprile).
Nel 114 a. C., infine, per espiare l'incesto commesso da tre vestali, fu dedicato un terzo tempio alla dea, che vi fu venerata con l'epiteto di Verticordia; epiteto che traduceva quello di Αποστροϕία della greca Afrodite: nel giorno anniversario della sua dedicazione (1° aprile), si celebravano dalle matrone le Veneralia.
Delle forme del culto praticato in questi templi sappiamo ben poco; ma possiamo esser certi che esso vi si svolgeva secondo il rito greco, come alle rappresentazioni dell'arte greca erano ispirate le immagini della divinità che vi erano fatte oggetto di venerazione: riti assai lascivi erano praticati nei due santuarî della Venere Ericina, a differenza del culto della Verticordia, al quale partecipavano invece propriamente le matrone.
Nell'ultimo secolo della repubblica, il culto ufficiale di Venere andò gradatamente crescendo d'importanza in seguito al significato politico che la dea assunse quando i potenti dittatori e i capi della repubblica, in questo periodo, scelsero Venere a divinità loro protettrice. Fu primo Silla, l'uomo che volle ascrivere la sua straordinaria fortuna alla protezione di Venere; tanto che egli tradusse il cognome di Felix, che da sé stesso si diede, con l'epiteto greco 'Επαϕρόδιτος, e introdusse il culto di Venus Felix, rappresentata con gli attributi della Fortuna e della Felicitas, come la conosciamo da parecchie figurazioni della cosiddetta Venere Pompeiana, la divinità protettrice della colonia sillana di Pompei (Colonia Veneria Cornelia).
Della Venere Felice di Silla è diretta derivazione la Venus Victrix; onorata da Pompeo, il quale le fece edificare un tempietto sulla sommità del suo famoso teatro. Tanto la Venere Felice come la Venere Vincitrice dovevano presto però restare eclissate dalla Venus Genetrix, il cui culto fu introdotto da Giulio Cesare. L'introduzione del culto ericino in Roma, in connessione con la localizzazione della saga di Enea nel Lazio e col consolidarsi della leggenda delle origini troiane di Roma, fece sì che alcune genti romane, e massimamente quella dei Giulî, che potevano vantare la discendenza troiana, riconoscessero Venere come capostipite e patrona delle loro famiglie. Di qui il culto di Cesare per la Venere Genitrice, alla quale il grande dittatore fece erigere un tempio nel centro del suo Foro e che fu riguardata fin d'ora come progenitrice della gente Giulia, del pari che Marte - già suo compagno nel lettisternio del 217 - come padre di Romolo, fu considerato il progenitore del popolo romano. Venere e Marte costituirono così una nuova coppia divina della religione ufficiale dell'impero.
Il tempio di Venere Genitrice fu consacrato il 26 settembre dell'anno 46; l'inaugurazione venne celebrata con giuochi, che si ripeterono poi, sotto Augusto, ogni anno, dal 20 al 30 luglio (ludi Victoriae Caesaris).
Il culto di Venere Genitrice fiorì fino a che si mantenne al potere la dinastia dei Giulio-Claudî, la progenies Veneris; poi il tempio cesariano ricostruito, venne nuovamente dedicato da Traiano nel 113, secondo ci apprendono i fasti ostiensi, quando questo imperatore volle associati nel nuovo templum Urbis da lui fatto edificare, i culti di Venere e di Roma.
Nell'arte romana, non esiste, si può dire, un tipo tradizionale di Venere, che non sia ripetizione o derivazione delle rappresentazioni greche di Afrodite (v. pertanto questa voce). Rappresentazioni della Venere romana, indipendenti dall'arte greca, sono tuttavia quelle serbateci da parecchie monete col tipo della Venere Ericina o Genitrice e da alcune figurazioni (statuarie o dipinte) della Venere pompeiana (Venus Felix) e della Venere del doppio tempio di Adriano.
Bibl.: L. Preller-H. Jordan, Römische Mythologie, 3ª ed., Berlino 1881-83, I, 436 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 288 segg.; id., De Veneris simulacris Romanis, in Gesammelte Abhandlungen, Monaco 1904, pp. 1-62; J. Toutain, Les cultes païens dans l'Empire romain, Parigi 1903-07, I, p. 384 segg.; G. Wissowa, in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mythologie, VI, coll. 183 segg.