VENETIA et HISTRIA
La Regio X augustea, delimitata a Ν dalle Alpi, a S dal Po, a O dalla valle dell'Oglio, a E dal fiume Arsa, comprendeva una vasta area dell'Italia nord-orientale corrispondente al territorio delle attuali regioni Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, al quale si aggiungevano a O una parte dell'odierna Lombardia orientale (provincie di Brescia, Cremona, Mantova) e a E la penisola dell'Istria, oggi entro i confini della Slovenia e della Croazia.
1) Zona occidentale (Lombardia orientale). - Il settore occidentale della provincia di Cremona - che si distende da E a O, in fregio ai corsi del Po e dell'Adda - apparteneva in età romana all’ager Bergomensis e per questo motivo il Cremasco e il Soncinese devono considerarsi, con la stessa Bergomum, parte della Regio XI. In epoca tardoantica Bergamo fu assegnata alla V. et H. nell'ambito della riforma dioclezianea che, con l'innovativa struttura della diocesi annonaria, incise particolarmente sull'assetto dell'Italia settentrionale elaborato in funzione di più saldi stanziamenti militari per la difesa dei confini d'Italia.
I confini antichi del territorio mantovano erano più limitati della provincia odierna: la pertica centuriata di Viadana, a S dell'Oglio, oggi in provincia di Mantova sembra fosse collegata, per orientamento e modulo, all'ager Cremonensis, al pari di Bòzzolo e Sabbioneta. Una villa romana è stata rilevata in località Casale Zaffanella di Viadana. A NE appartenevano all'agro bresciano i territori di Castiglione delle Stiviere, di Castel Goffredo e di Asola. A E, come sembrano testimoniare i limiti delle diocesi medievali, il confine dell'agro mantovano doveva più a meno essere come l'attuale; ma a S, da dove il Po segna una grande ansa verso N fino all'imboccatura del Secchia, le terre all'interno dell'ansa appartenevano probabilmente a Regium Lepidi, e quindi alla Regio VIII (Aemilia); lo stesso vale, a E del Secchia, per Poggio Rusco e Sermide dipendenti da Mutina. La testimonianza di Tacito prova che l'area di Ostiglia, oggi mantovana, apparteneva alla pertica di Verona (Hist.,III, 9: «... inter Hostiliam, vicum Veronensium et paludes Tartari fluminis ...»).
A N, le terre a O del Garda, di cultura cenomàne, di cui Brescia (v.) era l'insediamento più importante (Liv., xxxii, 30, 6: caput gentium), furono tradizionalmente considerate come facenti parte della cultura veneta; anche in età tardoantica esse dovettero rimanere, malgrado i continui spostamenti di confine, alla provincia della V. et H., cui fu poi aggiunta, probabilmente a partire dai primi anni del IV sec. d.C., anche Bergamo. Tale spostamento amministrativo si deduce dalla dedica del miliare di Verdello (CIL, V, 8044), posto dalla Venetia regio in onore di Valentiniano e Valente. Il grande asse viario della Postumia aveva permesso di inserire il territorio bresciano in una fitta rete di comunicazioni.
Preistoria e protostoria. - La documentazione lombarda del Paleolitico è scarsa, mentre notevolmente vasto e ben articolato è il quadro del Mesolitico. Ai limiti occidentali dell'area in esame si colloca il Museo Civico Archeologico di Castelleone di Cremona, dove si conservano numerosi attrezzi in selce da considerare tra le più antiche testimonianze della presenza umana nel territorio. Altri rinvenimenti di pianura, non distanti dalla confluenza dell'Oglio nel Po, provengono da Buscoldo, Beiforte di Gazzuolo e S. Michele di Marcaría. L'ubicazione dei reperti ai margini di terrazzi fluviali affacciantisi su notevoli corsi d'acqua, è tipica non solo per i bivacchi mesolitici, ma anche per gli insediamenti neolitici. Le stazioni del Mesolitico lombardo rivelano la presenza di gruppi umani più sedentari e dediti all'industria su selce che si raccoglievano ai lati dei bacini intermorenici (Provaglio d'Iseo e torbiera omonima; Abbadia San Vigilio nel Mantovano; Lonato, località Case Vecchie). Il Neolitico, con l'introduzione dell'agricoltura nella pianura centro-orientale dalla fine del V millennio a.C., è ben rappresentato dai rinvenimenti di Campo Ceresole nel Mantovano, la cui industria litica e le cui ceramiche si inquadrano bene nella c.d. cultura del Vho; vasi tipici di questa cultura, modellati a mano e cotti su grandi falò, sono conservati nell'Antiquarium Platina di Piadena, insieme con figurine fittili femminili bicefale dagli attributi sessuali particolarmente sviluppati. Successivamente al Neolitico Medio, in cui si diffuse la c.d. cultura dei vasi a bocca quadrata (IV millennio a.C.), il territorio a S del Garda è interessato dai ritrovamenti del sepolcreto eneolitico di Remedello, che dà il nome alla cultura (tombe e corredi nel Museo Archeologico di Reggio Emilia e nel Museo L. Pigorini di Roma). Alla cultura di Remedello seguono le numerose stazioni della prima Età del Bronzo da attribuire alla nuova cultura di Polada (dal luogo dei trovamenti nel comune di Lonato) caratterizzata da abitati palafitticoli dove era praticata l'agricoltura stanziale. Tra il vasellame si distingue, per il Bronzo più antico (1800-1300 a.C. c.a), la particolare tipologia delle tazze col manico a gomito (Polada) e, per il Bronzo Medio e Recente (1600-1200 a.C. c.a), quella delle tazze con manici a corna di bue e decorazione incisa: entrambe sono attestate nelle stazioni palafitticole di Lagazzi di Vho e di Castellaro (Antiquarium di Piadena). La seconda ha restituito anche stampi in pietra per la fusione dei metalli. L'orizzonte cronologico del Bronzo Finale (XII-XI sec. a.C.) è stato di recente individuato in un abitato che occupava un terrazzo sulla sinistra del Chiese a Casalmoro, al confine tra le Provincie di Brescia e di Mantova. Qui, entro una quarantina di pozzetti per lo scarico dei rifiuti, giacevano materiali ceramici e bronzei cronologicamente omogenei. Le scodelle a orlo rientrante si confrontano con quelle di Fontanella Mantovana (Mantova, Palazzo Ducale), mentre tra i bronzi è significativa la presenza di fibule ad arco semplice con due nodi e ad arco con doppia piegatura e coppia di nodi, che rivelano precisi legami con il mondo protoveneto (in questa fase probabilmente i «Protoveneti» si erano spinti a O, oltre il Mincio). La Valcamonica nel corso del I millennio a.C. dimostra, in particolare nel settore centro-settentrionale di Breno, Nadro e Capo di Ponte, un'evoluzione culturale costantemente orientata verso il mondo retico della Val d'Adige e in modo specifico una mancanza di rapporti con l'area celtica golasecchiana della seconda Età del Ferro. Da Capo di Ponte si accede al Parco Nazionale delle incisioni rupestri, con oltre una ventina di zone di concentrazione di rocce istoriate, in cui si riscontra una grandissima varietà di tecniche, di stili e di contenuti. Vi si possono riconoscere due epoche principali: la prima, dal Neolitico a tutta l'Età del Bronzo, è distinta da figure schematiche isolate o giustapposte a formare composizioni di valore soprattutto simbolico; la seconda esprime un'arte più descrittiva e narrativa che si diffonde nell'Età del Ferro. Le incisioni di questa età si attribuiscono ai Camuni che hanno dato il nome alla valle e che secondo Strabone (IV, 6, 8) erano Reti, mentre secondo Plinio (Nat. hist., III, 130-134) erano Euganei. Lo sviluppo delle figurazioni incise su roccia è stato suddiviso in quattro principali periodi stilistici: il geometrico-lineare, con numerose raffigurazioni di duelli, sfilate di guerrieri e cacce al cervo (ma nelle rocce di Seradina compaiono anche figure di cavalieri che permettono di attribuire questa prima fase ai secoli IX-Vili a.C., nei quali l'arte del cavalcare fu introdotta in Italia e in Europa centrale dal Mediterraneo centrale); il protonaturalistico (VII-V sec. a.C.) documentato sulla Grande Roccia di Naquane, dove le immagini si sovrappongono intenzionalmente o sono di dimensioni superiori alla nor-
ma, nella precisa volontà di raffigurare personaggi eccezionali in posizione stante (il «guerriero etrusco», immagine del dio Cernunnos); il naturalistico (fine V-IV sec. a.C.), in cui si assiste a un arricchimento del repertorio dei motivi con l'introduzione di scene di lavoro, di aratura con coppie di animali aggiogati, e di trasporto con carri a quattro ruote (immagini di labirinti a Naquane, a I Verdi e a Zurla rimandano al carosello equestre noto nel mondo etrusco arcaico - brocca della Tragliatella di Cerveteri - e conosciuto anche dai Romani con il nome di ludus Troiae); lo stile tardo (III-I sec. a.C.), segnato dall'impoverimento dei temi e da un progressivo ritorno a un'arte schematica, con la sopravvivenza del motivo del duello e dei guerrieri che sollevano in alto le armi. L'arte rupestre camuna sparisce rapidamente con la conquista romana della valle da parte di Druso nel 16 a.C. Poiché il duello e la caccia al cervo sono le immagini ossessivamente più ripetute, si ritiene di interpretare le incisioni come offerte alla divinità da parte di giovani guerrieri che, nell'ambito di una società pluristratificata, esercitavano lo scontro fisico con altri giovani e la caccia al cervo - animale «totemico» per eccellenza in queste zone alpine - come principali riti di iniziazione per il passaggio alla condizione di guerrieri e di adulti. Più a S, la prima Età del Ferro nella Lombardia orientale (VIII-VII sec. a.C.) lascia intravedere nelle recenti scoperte di S.Martino presso Gavardo, del Monte Pelàdolo presso Virle e della Rocchetta di Manerba caratteristiche culturali distinte sia da Golasecca sia da Este. I ritrovamenti sembrano addensarsi tra la fascia collinare ai piedi delle Prealpi e il limite superiore della pianura e permettono di scorgere nella zona un orientamento verso l'area culturale retica. Nella pianura a S dei Laghi d'Iseo e di Garda fino al corso del Po i recuperi sono stati più sporadici, a eccezione della necropoli scavata a Remedello Sotto nel secolo scorso: coppe e vasi di tipo buccheroide, nonché grandi olle su sostegno dotate di baccellature lungo la spalla, le cui forme, certamente derivate dall'Etruria di età orientalizzante, testimoniano già in quest'epoca dei legami commerciali con gruppi di Etruschi. Nel V sec. a.C, è documentata lungo il corso del Mincio, una vera e propria colonizzazione etrusca: dai quattro siti di Mantova, del Forcello di Bagnolo S.Vito, di Castellazzo della Garolda e di Bòzzolo provengono vasi attici a figure rosse e a vernice nera, ma soprattutto importanti iscrizioni etruschesu ceramica, anche se la maggior parte di esse è costituita da poche lettere. Al Forcello l'abitato, occupato in tre fasi distinte, si estendeva per 16 ha, e le pareti delle case, di pianta non riconoscibile, avevano un'intelaiatura lignea intrecciata di canne e riempita di argilla. Il centro ha restituito cospicui materiali d'importazione, tra cui, oltre alla ceramica attica a figure rosse di periodo protoclassico e classico, vasetti di pasta vitrea policroma e anfore commerciali come la corinzia Β e la chiota. Qui è stata rinvenuta la ciotola con l'iscrizione di Anthus Markes, il primo cisalpino, si può dire, dotato di nome e casato. Con lo sviluppo dell'organismo politico etrusco nella pianura padana, Mantova e gli altri centri sul Mincio acquisirono un ruolo strategico fondamentale sia come punto di confluenza delle rotte provenienti dai centri portuali di Spina, di Adria e - attraverso Bologna - dall'Etruria interna, sia come punto di partenza della via che, attraverso Brescia e Bergamo, conduceva a Como e al mondo transalpino centro-europeo.
Circa l'ingresso di popolazioni celtiche in Italia settentrionale si tende oggi a rivalutare la cronologia del VI sec. suggerita da Tito Livio, ma è indubbio che si verificò anche un sovrapporsi e una successione di migrazioni per due o tre generazioni. Solo più tardi queste popolazioni si stabilizzarono nei rispettivi distretti cisalpini. Le cattive relazioni dei Cenomani (insediatisi nel territorio di Brescia e costituiti soprattutto da contingenti immigrati) con i loro vicini occidentali Insubri (che rappresentano un prolungamento della facies di Golasecca) dipendono forse dal fatto che le rispettive origini erano molto differenti. I Cenomani si distinguono dalle altre tribù celtiche della penisola per essere stati quasi sempre alleati dei Romani, contribuendo anche alla loro vittoria contro gli Insubri (197 a.C., battaglia sul Mincio: Liv., XXXII, 30, 13). Le testimonianze archeologiche di questa gente, che, come dice Polibio (II, 17), parlava una lingua diversa, ma aveva costumi e abitudini simili ai Veneti, si concentrano nella pianura a S di Brescia e Verona, tra l'Oglio e l'Adige. I materiali del Bresciano e la necropoli di Carzaghetto (Mantova) permettono di delineare l'articolato quadro della loro cultura tra la fine del IV e tutto il III sec. a.C., termini in cui va compreso anche il ricco corredo della tomba di Castiglione delle Stiviere. Le tombe di Carzaghetto, recuperate dal 1970 a seguito di scavi regolari (Mantova, Palazzo Ducale; Asola, Museo Civico) pur appartenendo al pieno III sec., rivelano una totale assenza di elementi di tradizione etrusco-italica e conservano tradizioni profondamente celtiche nell'armamento dei guerrieri e nelle parures di gioielli che caratterizzano il costume femminile. Nelle tombe 22 e 28 un torques di bronzo è associato ad anelli d'argento e a fusaiole fittili, dimostrando la destinazione funerarî a femminile di questo ornamento, diffuso anche nel Bresciano con esemplari a filo attorcigliato d'argento e a nodo asimmetrico (da Carpenedolo). Nelle tombe dei guerrieri di Carzaghetto non sono stati trovati elmi, ma spade isolate o spade con lance e scudi deposti sui corpi. Il sepolcro di Castiglione delle Stiviere ha, invece, restituito la più ricca tomba gallica del III sec. a.C. a Ν del Po (il corredo, subito disperso dopo il ritrovamento, prima del 1914, fu solo in parte recuperato; Mantova, Palazzo Ducale): con una serie di oggetti da «simposio» (padella, brocca, «fiasche da pellegrino», barilotto in bronzo, ecc.) nella tomba erano stati deposti anche un candelabro di fabbrica etrusca, i frammenti di un elmo configurato a uccello e alcune lamine ornamentali di bronzo sbalzato, parti di un oggetto ritenuto, non senza incertezze, una tromba militare celtica (carnyx). Altre importanti necropoli cenomane di epoca più recente (II-I sec. a.C.) sono state scavate nel Veronese a Casalandri di Isola Rizza e a Valeggio sul Mincio, ai confini con il Mantovano. A Valeggio l'assenza di armi rivela un aspetto fondamentale della trasformazione in senso romano delle comunità celtiche transpadane, che sembrano aver così rinunciato alla loro identità etnica e tribale per adeguarsi alla nuova realtà della romanizzazione. A tale momento va probabilmente riferito il noto gruppo di dischi d'argento decorati a sbalzo da Manerbio sul Mella (Museo Romano di Brescia) ormai concordemente datati al I sec. a.C.: si tratta di una serie di falere (due grandi e dodici piccole), di guarnizioni laterali e di catenelle pertinenti alla bardatura di due cavalli. La decorazione, in cui figurano teste umane di forma ovoide (nelle falere piccole), la tríscele (nelle due di maggiori dimensioni) e teste di caproni molto stilizzate nelle bande a lamella, rimanda al gusto artistico tipico di prodotti coevi dell'area danubiana. La estraneità di questi pezzi anche ai più tardi aspetti della cultura cenomane rende difficile esprimere ipotesi sulle ragioni della loro presenza in Transpadana nella piena età della romanizzazione. Potrebbe trattarsi dell'occultamento di un piccolo bottino forse sottratto dall'esercito romano nel corso della vittoriosa campagna contro Dalmati, Pannoni, lapidi (e altri popoli della Germania e della Gallia), per la quale Augusto celebrò un trionfo nel 29 a.C. (Dio Cass., LI, 21, 5).
Età romana e tardoantica. - Il ritrovamento di alcuni elmi di legionari romani (Museo Civico di Cremona) è una prova archeologica degli scontri tra Romani e Insubri sui luoghi dove i consoli M. Claudio Marcello e G. Cornelio Scipione Calvo assediarono, nel 222 a.C., Acerrae, caposaldo insubre a protezione di Mediolanum (Pol., II, 34), da localizzare presso l'odierna Pizzighettone sull'Adda, non lontano da Cremona. Uno degli elmi conserva sotto il paranuca l'iscrizione con il nome del proprietario e l'indicazione del peso: M(arco) Patolcio Ar(untis) l(iberto) p(ondo) ( octo). Qualche anfora da trasporto e pochi altri reperti nel Museo di Pizzighettone sono le sole testimonianze della Acerrae romana, il cui sito preciso non è ancora stato identificato. A coronamento delle vittorie contro i Celti Transpadani i Romani decisero nel 218 a.C. la deduzione delle colonie latine di Piacenza e Cremona, rispettivamente nei territori ostili degli Anari e degli Insubri, per controllare i Galli appena pacificati (Liv., XXXI, 48, 7). Le due nuove città, travolte dalla ribellione suscitata dall'invasione annibalica - Piacenza venne distrutta da Amilcare, mentre Cremona riuscì a resistere - poterono essere rinforzate con l'invio di nuovi contingenti di coloni soltanto nel 190 a.C.
L'agro e la città di Cremona (v. vol. II, p. 926) presentano orientamenti diversi a causa dei problemi imposti dalla regolamentazione di una così vasta superficie agricola in rapporto a una modesta area cittadina. L'impianto urbano sembra riflettere l'influsso dell'accampamento romano nello schema generale della bipartizione, nella direzione dei decumani, e della tripartizione, nella direzione dei cardini, anche se il disegno perimetrale dovette probabilmente adattarsi ai tratti morfologici naturali del terreno. Il tracciato della cinta cittadina è abbastanza sicuro a Ν lungo il fossato Cremonella (Via Virgilio, Via Battisti), a O (Via Manna, Via Cesari), a S (Via Tibaldi). In Via Manna e in Via Battisti sono stati scoperti indizi di presenza di mura, che le fonti dicono imponenti (Tac., Hist., III, 20, 30), probabilmente ricostruite dopo le distruzioni del 69 d.C. e utilizzate fino al grande incendio del 1113. Si era in un primo momento pensato, in base al racconto di Tacito ( Hist., III, 30), che la città avesse sviluppato a E, oltre Via Solferino, un quartiere residenziale suburbano tra la fine del I sec. a.C. e gli inizî del secolo seguente. Scavi recenti hanno individuato in questa zona edifici repubblicani e del I-II sec. d.C.: nel cortiletto del Torrazzo un edificio di notevoli proporzioni, risalente agli inizî del I sec. a.C., era probabilmente destinato a funzioni pubbliche (presenza di rocchi di colonna in cotto), ruolo mantenuto anche in una successiva fase del IV e V sec. d.C., attestata da un mosaico, ora all'interno del Battistero, da una lucerna e da un balsamarlo vitreo. L'area da Via Solferino fino a Via Antica Porta Marzia e a Via Aselli doveva perciò far parte di un ampliamento della città verso E, forse di età augustea; l'area extra moenia della chiesa di S. Lorenzo sorgeva su una necropoli tardo-repubblicana a fianco della Via Postumia, che si caratterizzava per l'uso di letti funebri in osso lavorato. La basilica, le cui vicende edilizîe si datano a partire dall'età paleocristiana, ospita il Laboratorio di restauro dei mosaici romani; ne è prevista l'utilizzazione come Museo Archeologico di Cremona e del suo territorio. I mosaici di cui è ricco il museo provengono tutti dal settore settentrionale della città romana, oltre la Via Cavallotti che ricalca il decumano massimo, in una zona residenziale. I resti di due mosaici, l'uno a tessere bianche, nere, rosa e gialle, l'altro a tessere bianche e nere e a motivi geometrici e floreali del II sec. avanzato, sono stati lasciati presso la Banca del Monte in Via Guarnieri del Gesù. Altri mosaici più antichi di circa un secolo sono stati rinvenuti (1974) in Via Plasio, da dove provengono anche i frammenti di una o forse di due statue virili in terracotta di grande importanza per la loro datazione alla prima metà del II sec. a.C. Stilisticamente i resti di queste sculture fittili sono da assegnare alla mano esperta di un artista urbano, certamente fatto giungere a Cremona per plasmare statue votive a tutto tondo come ex voto in un santuario o come donario «eroico» in un luogo aperto al pubblico o in un edificio civile. Corre quasi parallelo alla Via Solferino, orientata in direzione NOSE, l'ampio tratto di strada selciata larga più di m 7,20, comprese le crepidines su entrambi i lati, che è conservato in vista sotto la Camera di Commercio. In altri punti della città (Piazza della Pace) si sono riconosciute le tracce dell'antica rete stradale romana. Un brillante recupero appare la convincente ricostruzione come arma pesante da getto (catapulta) proposta sui frammenti metallici siglati con il marchio della Legio IV Macedonica, che partecipò alla guerra civile dalla parte dei Vitelliani (Tac., Hist., III, 22). Rinvenuti in città, i pezzi erano comunemente ritenuti parti della cassaforte della legione. Il Museo Civico «Ala Ponzone» conserva una piccola galleria di ritratti imperiali e un monumentale capitello composito.
Nel territorio a Ν di Cremona, nel Municipio di Corte dei Frati, sono esposti una grande piroga monossile e materiali ceramici dell'Età del Bronzo. Sulle rive dell'Oglio (Roccafranca, Robecco sull'Oglio, Canneto sull'Oglio) sono stati indagati sepolcreti romani concentrati lungo il corso del fiume, divenuto in età tardoantica una via di comunicazione più sicura delle strade normali. Resti di una villa rustica romana con mosaici pavimentali a motivi floreali sono riutilizzati nell'abside di un sacello di età longobarda a S. Maria della Senigola presso Pescarolo. Da Cappella dei Picenardi va ricordato inoltre un ritratto bronzeo di privato (rinvenuto e venduto al Museo del Louvre nel 1894), la cui alta qualità rivela la presenza nella zona di artisti di ottimo livello, partecipi, in età cesariana, della cultura artistica tipica del naturalismo ellenistico. Reperti di vario genere dell'Età del Bronzo, gallici e romani sono ospitati in una piccola sezione del Museo della Civiltà Contadina di Isola Dovarese. A Piadena l’Antiquarium Platina, oltre ai già menzionati reperti, accoglie testimonianze dell'Età del Bronzo (utensili, armi, una collana di grani d'ambra, oggetti per la tessitura, da villaggi terramaricoli); la donazione Locatelli consiste in vasi e bronzi protovillanoviani da Fontanella Grazioli; delle necropoli galliche e gallo-romane di Piadena sono importanti le armi e le cesoie in ferro, insieme con la tipica ceramica. Il museo offre anche un'abbondante documentazione dei ritrovamenti e degli scavi della vicina Bedriacum (v. calvatone). Con il secondo triumvirato (40 a.C.) questo territorio subì una seconda parcellazione agraria imposta da ragioni politiche, che rispettò l'orientamento dell'antica, ma mutò molto probabilmente le misure degli appezzamenti. La nuova centuriazione occupò un'area superiore alla precedente, sconfinando notevolmente a E per la valorizzazione di nuove terre da assegnare ai veterani. In un qualche modo cominciò allora il declino militare delle vie Brixiana e Postumia.
Come si è già accennato, negli ultimi anni importanti ritrovamenti hanno confermato per l'epoca classica l'occupazione etrusca di Mantova (v.) e soprattutto del suo territorio. Qui, lungo le rive del Mincio, deve essere avvenuta una vera e propria colonizzazione di gruppi etruschi a cominciare molto probabilmente dagli ultimi anni del VI sec. a.C., come sembrano dimostrare le fibule a sanguisuga e ad arco serpeggiante raccolte in superficie al Castellazzo della Garolda, ma dopo arature profonde. Gli scavi più estesi sono stati compiuti al Forcello di Bagnolo S.Vito, dove è stato portato alla luce un grosso terrapieno che fungeva da aggere, all'interno del quale si addensavano le abitazioni. Le fondazioni erano gettate con impasti di sabbia e materiale calcareo, mentre pavimenti e pareti erano composti con canne e argilla indurita dal fuoco. Ceramiche importate (kỳlikes, skỳphoi e kàntharoi di tipo Saint-Valentin) e innumerevoli manufatti di terracotta, di osso, di pietra, di ambra, di ferro, di bronzo, di piombo e d'argento (fibule, pendagli, spilloni, ecc.) illustrano la varietà dei commerci e la ricchezza del sito, cui conferiva importanza soprattutto la produzione di derrate alimentari e la posizione favorevole dal punto di vista commerciale. Le stesse caratteristiche aveva l'abitato di Castellazzo della Garolda. Dopo il fiorire dell'epoca etrusca il territorio mantovano fu occupato dai Cenomani con una rete insediativa più o meno fitta di modesti abitati rurali situati a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro. La documentazione gallica è concentrata nella fase più avanzata della romanizzazione (I sec. a.C.), quando le precedenti differenze etnico-culturali erano ormai venute meno. Durante quest'epoca l'agro centuriato mantovano, ai margini del quale erano già stati spostati i precedenti abitanti Celti, fu interessato da una nuova e proterva operazione di esproprio di veterani, «conquistatori» nei confronti dei precedenti antichi coloni. Le tracce di tali eventi, noti dalle fonti letterarie (Plin., Nat. hist., III, 130; Verg., Ecl., IX, 26 ss.; Verg., Georg., II, 198), sono ampiamente riscontrabili sul terreno che fu riparcellizzato secondo i nuovi moduli del contiguo ager Cremonensis. Notevoli edifici sono stati individuati presso Cavriana e Solferino, una villa era a Castellaro Lagusello, in una zona dotata anche di ricche necropoli, i cui corredi si trovano nell'Antiquarium Comunale di Cavriana, che espone anche abbondanti materiali neolitici e dell'Età del Bronzo. Nel Museo di Gazoldo degli Ippoliti sono state allestite ricostruzioni dell'assetto del territorio in epoca romana (Via Postumia, centuriazione) e in età preistorica (terramara di Bellanda: materiali ai musei di Mantova, di Reggio Emilia e al Museo Pigorini di Roma). Il vicus romano era posto sul decumano massimo della centuriazione, che aveva un orientamento diverso dalla Postumia; due miliari trovati ad Asola e a Casoldo hanno suggerito che in questa direzione probabilmente correva una strada che congiungeva direttamente Cremona a Verona senza passare per Bedriacum. Molti indizî dell'esistenza di ville rustiche costellano anche i bordi dell'area centuriata, dove peraltro non dovevano essere trascurate le attività agricole, che un calendario rustico inciso su mattone, non anteriore al 27 a.C., testimonia a Guidizzolo (al Museo Civico Romano di Brescia). Da Bigarello provengono una statuetta marmorea di Asklepios e forse una di Igea, che con altri frammenti scultorei doveva far parte della decorazione di una villa rustica.
Presso Goito, in frazione Sacca, è stata recentemente scavata un'area cimiteriale longobarda con tombe ricche di utensili, armi e ornamenti decorati con eleganti agemine. La necropoli di Goito è una delle maggiori di quest'epoca trovate in Italia. Le tombe erano ordinatamente poste presso il tracciato della Postumia a dimostrazione della perenne vitalità e della funzione aggregativa svolta dell'antico percorso. Le sculture e i materiali provenienti dal territorio, che ancora fanno parte delle imponenti collezioni del Palazzo Ducale di Mantova, saranno ospitati, insieme con altri importanti reperti provenienti da quest'area, in un nuovo Museo Archeologico Nazionale in allestimento nella recuperata sede dell'ex-Mercato dei Bozzoli. Vi saranno sistemati anche i varî frammenti architettonici e scultorei, riferibili a più monumenti funerarî di età augustea, reimpiegati nel muro tardoromano che rinforzava un tratto della cinta urbana presso il Seminario Vescovile. Di uno di questi è stata recentemente proposta una ricostruzione architettonica che lo assimila alle note tipologie di Bologna e di Sarsina. Nel duomo di Mantova è da sempre conservato un sarcofago «a porte di città» che fu certamente trasportato da Roma per un funzionario cisalpino del IV sec.d.C. Al III secolo risalgono invece i sarcofagi di Pomponesco e di Casalmoro, caratteristici modelli cisalpini della produzione ravennate, l'uno con fronte corniciata, l'altro con complessa ornamentazione architettonica. In una nicchia esterna della torre campanaria del duomo di Mantova è stata da poco riscoperta una bella testa femminile di ispirazione classicheggiante, che, per i tratti eleganti del volto, per la presenza sul capo di una benda e di un diadema, e infine per gli orecchini testimoniati dai fori del trapano, dimostra di provenire da una statua molto probabilmente innalzata a un membro divinizzato della famiglia imperiale giulio- claudia.
Il magnifico ambiente naturale che, a oriente di Brescia, giunge fino ad abbracciare le rive occidentali e meridionali del Benaco, poté favorire in età imperiale romana con le sue straordinarie opportunità itinerarie e produttive (agricoltura, pesca) il fiorire di una continuità insediativa variamente composta da ville residenziali e da piccoli nuclei urbani che si prolungò ininterrottamente dalla fine del I sec. a.C. all'avanzato V sec. d.C. Presso Brescia possiamo ricordare a questo proposito il lussuoso impianto della villa suburbana di S. Rocchino (II sec. d.C.) a Ν del castello, composta da almeno nove ambienti. Il pavimento a mosaico policromo di un grande vano, che si affacciava a S sul peristilio con una grande apertura, aveva un disegno a ottagoni con fiori stilizzati. Al centro una fila di maschere ed eroti circondava una complessa scena paesistica di cui resta una figura di anziano che si accinge a salire su una barca davanti a un tempietto. Il quadro sembra alludere a un episodio del Rudens di Plauto. Il mosaico, ora collocato nella cella centrale del Capitolium di Brescia, è il poco che resta di questa lussuosa e raffinata villa. Sulle rive del Benaco si possono ricordare il castello di Soiano, che sorge sulle strutture di una villa romana, e, oltre Maderno, dove sono le imposte in pietra di un ponte su cui passava la strada romana, il paese di Toscolano, probabile centro dei Benacenses. Qui, in località Capra, un'altra villa presenta ambienti che si aprono su un lungo corridoio con pavimenti a mosaico riferibili a due differenti fasi, geometrici bianchi e neri di età flavia, policromi con trecce e motivi floreali, di età severiana; la villa era provvista di servizi e di collegamenti con il lago. Anche Salò fu in età romana un insediamento di una qualche importanza, come testimoniano ritrovamenti di necropoli in varie località dei dintorni. I corredi sono divisi tra il museo di Gavardo (materiali dalla preistoria all'età romana) e il museo di Salò allestito presso il Palazzo Comunale. Qui è anche l'esemplare, rarissimo fuori di Roma, di una stele marmorea di eques singularis recuperata a Barbarano, nella cui decorazione a tre fasce compare in alto il defunto su klìne, al centro il suo ritratto entro medaglione, in basso ancora il defunto a cavallo che brandisce una lancia, seguito da un assistente che gli porge l'elmo di tipo frigio. Sono oggi nella provincia di Brescia le località di Lonato, di Desenzano (v. vol. III, pp. 79-80) e di Sirmione (v.), che in antico dovevano appartenere, come tutta la sponda meridionale del lago di Garda, al municipium di Verona. A S di Lonato, lungo la direttrice di Castiglione delle Stiviere, è stato recentemente scavato un complesso di sei fornaci per la cottura di tegole e laterizi (cinque sono state ricoperte a causa di gravi problemi di statica). Nei pressi erano altre strutture per il rimessaggio dei laterizi e molti scarti da utilizzare per il rifacimento delle fornaci. La fornace maggiore, di pianta circolare e dotata di arco di accesso alla camera di combustione, sovrastato da un arco minore di scarico, è stata restaurata e inserita in un Antiquarium, dove sono stati sistemati pannelli, disegni e fotografie che illustrano il restauro dell'edificio e il funzionamento delle fornaci antiche. Un plastico in scala 1:20 permette di individuare i dettagli funzionali interni. Il piano di cottura era costituito da mattoni forati, molto regolari, sorretti da un sistema a doppie archeggiature. Anche la villa romana di Desenzano ha visto di recente diversi interventi di restauro, cui si è aggiunto un efficace studio critico intorno alla fase tardoantica e alla decorazione scultorea. Datato all'età augustea il primo impianto, un secondo intervento sulle strutture è stato riferito alla metà del I sec. d.C. (lacerto di intonaco nero). Dopo una seconda ristrutturazione verso la fine del I sec. d.C., il complesso subì le più vistose trasformazioni nel corso del IV sec., quando il settore NE fu occupato da un'aula con funzioni termali. L'assetto architettonico e decorativo fu completamente rinnovato con una ricca decorazione musiva policroma in un progetto di percorso che si sviluppava da un vestibolo ottagonale sul lago, attraverso un peristilio quadrato e un'atrio a forcipe, fino alla conclusione di una fastosa aula a tre absidi, che doveva essere allestita per funzioni conviviali con stibadia ricurvi posti entro tre absidi concatenate. Dietro le absidi si trovava il raccolto viridarium a nove nicchie, attraversato da un euripus. I nuovi scavi hanno accertato che tra il IV e il V sec. il settore della grande sala absidata dietro il peristilio fu rialzato in funzione di un nuovo complesso di rappresentanza che non è escluso potesse essere connesso alla costruzione di una basilica cristiana. L'apparato statuario, ritrovato in frammenti nel sotterraneo del peristilio, è rilevante. La quasi totalità delle statue, ora parzialmente ricomposte, appare prodotta entro il II sec. d.C., ma rimase in uso nella villa anche nel IV e nel V sec., testimoniando ancora una volta del gusto antiquario dell'epoca. La superficie ben conservata delle sculture permette di asserire che tutti i pezzi si trovavano al coperto entro portici e nicchie, anche se probabilmente concentrati nel settore dell'aula absidata e del viridarium. Tra le sculture spicca per qualità artistica la delicata testa di un adolescente databile tra l'età traianea e la prima età adrianea. L'uso in molte di esse del marmo di Vezza d'Oglio indirizza a localizzare a Brescia più che a Verona la maggior parte di queste sculture. Nel Castello Scaligero di Sirmione è allestito un consistente lapidario romano e medievale. Gli ultimi scavi e restauri alla villa romana della zona archeologica delle Grotte di Catullo hanno permesso di scoprire nello strato di preparazione del pavimento e nel sottostante strato di livellamento dell'ambiente 73 alcuni frammenti ceramici ben databili all'età augusteo-tiberiana (frammento di coppa tipo Sarius Surus, di coppetta a pareti sottili, ecc.), che confermano la cronologia già proposta per la costruzione della villa. Sotto la pavimentazione che copriva le cisterne sono state individuate condutture in piombo per la raccolta dell'acqua piovana. Le cisterne, gli intonaci dipinti e un muro di fortificazione tardoantico sono stati restaurati e consolidati.
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(F. Rebecchi)
2) Zona Settentrionale (Trentino Alto-Adige). - Nella sistemazione amministrativa imperiale augustea la regione non fu compresa in un'unica realtà giuridico-amministrativa ma divenne, al contrario, una tipica terra di confine.
La sua porzione più ampia, quella meridionale, fu inserita infatti nella Regio X, aggregata però a quattro diversi municipi: Feltre (Feltria), Verona, Brescia (Brixia), Trento (Tridentum). La Val Venosta, con le sue convalli, venne a far parte della Rezia, mentre la Val Pusteria, e, probabilmente, la Val di Fassa, furono assegnate al Norico.
Il processo di romanizzazione, promanante non solo dal centro dell'impero, ma anche dai territori danubiani, ricevette un notevole impulso a partire dall'età augustea.
L'economia, volta in gran parte al consumo interno, e nella quale l'agricoltura doveva avere un'incidenza minore, era di tipo silvo-pastorale.
In campo artigianale dovevano esistere piccole fornaci per la produzione dei materiali edilizî, frutto delle innovazioni tecnologiche introdotte dai Romani (calce e cotto: tegole, coppi, mattoni), e di vasellame domestico, officine per la produzione di utensili di uso quotidiano e modesti oggetti d'ornamento.
La presenza della Via Claudia Augustea fa supporre un certo sviluppo di un'economia ruotante attorno ai posti di sosta, di ristoro, di cambio di cavalli, all'attività di trasporto e commercio. Come tutta l'area alpina, anche la regione atesina fu inoltre terreno fertile di arruolamento per gli eserciti di Roma schierati sul limes danubiano.
A differenza di Tridentum, nelle valli, non solo quelle più interne, le comunità locali sembrano invece perpetuare i modelli socio-economici protostorici; anche gli abitati non si trasformano conformemente ai nuovi canoni urbanistici provenienti dall'esterno.
Continuano infatti, secondo la tradizione retica, gli aggregati spontanei di più edifici, in pietra e legno - ora però dotati della calce quale legante e, talora, del cotto per la copertura del tetto - di dimensioni solitamente medio-piccole, col pianoterra incassato nel terreno, corridoio d'ingresso con funzione di atrio e due soli locali, uno con focolare aperto, destinato a cucina, scarsamente arredati. Edifici che nel corso dei secoli tendono ad ampliarsi fino ad assumere piante complesse, ma sempre compatte, con l'aggiunta di nuovi ambienti, taluni destinati ad attività lavorative, con la presenza di più nuclei famigliari.
Queste costruzioni erano circondate da spazi aperti, di collegamento o utilizzati per lo sfruttamento agricolo e per l'allevamento degli animali da carne (cortili, orti, campi, prati, viottoli). Siamo in presenza, sostanzialmente, del maso di montagna, tipologia edilizia che nella regione durerà sino ai giorni nostri.
Nelle aree più aperte, climaticamente più favorite, viene però ben presto a collocarsi un'altra realtà economico- rurale, figlia diretta degli influssi culturali promananti dalla penisola italica: la villa.
Recenti indagini archeologiche hanno messo in luce i resti di ampie costruzioni dotate di murature in pietra e calce spesso intonacate, talora affrescate, in cui è testimoniato l'ampio uso di tegole e coppi, di pavimenti in battuto di calce o cocciopesto, di impianti idrici e di scarico in cotto 0 pietra, nonché di impianti, seppur ridotti, di riscaldamento. Non mancano, anche se limitate, testimonianze di pavimenti musivi.
Questa modalità di insediamento trovò la sua maggiore applicazione nella piccola piana, dell'estensione di 10 km2 c.a, adiacente al lago di Garda, a Ν di esso, fra i centri attuali di Riva e Arco. In quest'area, soggetta già in età augustea a un intervento di microcenturiazione (l'unico, per ora, documentato in regione), numerosi sono i complessi edilizî pertinenti a ville di ampie dimensioni, anche oltre 4.000 m2, con la presenza sia della pars urbana sia di quella rustica e fructuaria. Di essi, purtroppo, causa il secolare, intenso sfruttamento agricolo della zona, ci rimangono i resti limitati alle fondazioni 0 ai primi corsi di murature.
Le necropoli risultano solitamente modeste, di dimensioni piuttosto limitate, ma utilizzate assai a lungo nel tempo. Sono documentati entrambi i riti funebri con la tomba solitamente costituita da pozzetti quadrangolari con pareti in pietra o laterizio; non mancano però quelle alla cappuccina in tegoloni. Verso la fine dell'impero si ha la prevalenza delle inumazioni, con scarso corredo, nella nuda terra. Tipica dell'area alpina risulta l'usanza di seppellire i neonati in adiacenza o all'interno delle case.
Con riferimento alle manifestazioni artistiche, la regione, in analogia a quanto avviene in tutto il territorio alpino, salvo qualche eccezione, non offre testimonianze di particolare valore. La scultura colta è rappresentata da pochissime opere provenienti sostanzialmente da Trento e dal territorio benacense, frutto senz'altro di importazione.
La decorazione architettonica dei principali monumenti pubblici di Trento, i pavimenti musivi e gli affreschi che arricchivano le sue case private o le ville sparse nel territorio furono senz'altro realizzati in loco da maestranze specializzate provenienti da fuori.
Anche i prodotti di artigianato artistico di una certa qualità (bronzetti, vetri, gioielli, piccola plastica in cotto, vasellame fine da mensa) erano importati dall'esterno.
Come il capoluogo, Trento, anche la regione conosce il periodo di maggior floridità nei primi due secoli dell'impero, periodo in cui si registra il massimo sviluppo degli insediamenti, secondo quanto si evince anche dagli scavi archeologici. Nel corso di tutto il III sec. la regione acquisterà un importante ruolo strategico-militare, come testimoniano alcune epigrafi e numerosi miliari ritrovati nella valle dell'Adige e in Val Pusteria. Le invasioni alemanne degli anni 260-275 semineranno terrore e distruzione, denunciati dalle tracce di incendi in diverse località e dall'occultamento di tesoretti monetali. Un momento di temporanea parziale ripresa economica sembra quello assicurato dall'età costantiniana ma via via che ci si avvicina al crollo dell'impero, che nella regione alpina si avrà con le invasioni dei Visigoti di Alarico (402) e degli Ostrogoti di Radagaiso (410), anche questa regione non potrà non seguirne le sorti.
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(G. Ciurletti)
3) Zona Centrale (Veneto). - La parte centrale della Regio X comprendeva popolazioni diverse. I Veneti, secondo alcune fonti antiche originari dell'Asia Minore, si estendevano dal Po fin oltre la Livenza, penetrando a O nei territori dei Galli Cenomani sino alla sponda orientale del Garda, a Ν in quello dei Reti (identificabili forse con gli Euganei, primi abitatori del Veneto) e verso E nel territorio dei Carni. In questo ambito si sviluppò, dall'VIII agli inizî del II sec. a.C., la cultura paleoveneta, sostanzialmente unitaria nelle manifestazioni archeologiche (v. vol. I, p. 375, s.v. Atestina, Civiltà), diversificata invece per i fatti linguistici: il venetico, lingua di struttura indoeuropea, è attestato a cominciare dal VI sec. a.C. dalle iscrizioni preromane in alfabeto etruscoide del Veneto centrale, mentre dalle aree di Trento, Bolzano, Verona, Feltre e, marginalmente, di Vicenza e di Treviso, provengono iscrizioni retiche. Aspetti tipici della cultura paleoveneta sono la modestia degli insediamenti, l'abbondanza delle stipi votive, che spesso continuano fino all'età romana, la ricca produzione artigianale fittile e bronzea, testimoniata dai corredi delle tombe a incinerazione.
La massima espressione artistica della cultura paleoveneta è rappresentata dai bronzi, soprattutto dalle situle in lamina sbalzata. Ricerche e studi recenti hanno messo in evidenza gli aspetti peculiari che, all'interno di questa unità di base, distinguono la produzione delle varie località, a cominciare da Este e Padova (v.), i due centri più antichi e più importanti; a Este appare collegato il Veneto sud-occidentale, a Padova il Veneto orientale. Si individua anche una facies veneto-alpina, rappresentata da Montebelluna, Mei e altre località fra il Brenta e il Piave e una cultura, tipica degli abitati d'altura del vicentino e della Lessinia, più legata al mondo retico.
Per la cronologia del materiale paleoveneto viene considerata ancora sostanzialmente valida la suddivisione in quattro periodi di A. Prosdocimi, articolata ora in più precise partizioni interne che ne permettono il confronto con le coeve culture settentrionali. Alla fase antica, che comprende il I, il II e, in parte, il III periodo atestino, dall'VIII sec. alla fine del V sec. a.C., è da premettere una fase precedente a quella di Este, documentata soprattutto dalle necropoli e dagli abitati protovillanoviani di Frattesina di Fratta Polesine e di Montagnana, per la quale si è proposto il termine di «protoveneto». La fase finale, il IV periodo atestino, mostra il progressivo impoverimento della cultura propriamente paleoveneta, che risente di influenze etrusche, celtiche e poi romane.
La penetrazione romana nel Veneto avvenne gradualmente e pacificamente. Già nel III sec. a.C. rapporti amichevoli univano Romani e Veneti, accomunati nella difesa contro i Galli; rapporti che si fecero sempre più intensi nel II sec. a.C. per la presenza stabile di Romani e Latini fra le popolazioni locali e per il crescente riconoscimento da parte dei Veneti dell'autorità dello stato romano. È del 174 a.C. l'intervento del console M. Emilio Lepido chiamato a Padova per sedare le controversie generate da una guerra civile; nella seconda metà del secolo i proconsoli L. Cecilio Metello e S. Attilio Sarano pongono, per ordine del senato, cippi di confine fra il territorio atestino e patavino e tra quello atestino e vicentino; nel 132 a.C. il console P. Popillio Lenate conduce da Rimini ad Adria la Via Popillia, che ha prosecuzione nel 131 con la Via Annia la quale da Adria, per Padova e Altino, giunge ad Aquileia, attraversando tutto il territorio veneto, come già nel 148 a.C. la Via Postumia, condotta da Genova ad Aquileia. Imposizioni di confini e tracciati di strade significano il passaggio da regime di alleanze a regime di governo romano.
La documentazione archeologica di questa fase è praticamente assente nelle città, perché distrutta dal successivo sviluppo urbano, e rilevabile solo dai materiali dei corredi funerarî , delle stipi votive, dei tesoretti, dove è chiaro il graduale trapasso da onomastica e tipologia venete a quelle romane. La consistenza degli insediamenti paleoveneti è deducibile solo indirettamente: a Padova per l'irregolarità dell'impianto urbano romano, evidentemente condizionato dal preesistente abitato, ad Altino dal tracciato della Via Annia, che mostra una sensibile variazione di percorso nell'area occupata dal nucleo veneto.
La piena romanizzazione del Veneto avviene alla fine dell'età repubblicana con la concessione del diritto latino nell'89 a.C. e con quella del diritto romano, avvenuta fra il 49 e 42 a.C.; è in quest'epoca che divengono municipi i principali centri del Veneto: Adria (v.), Padova, Vicenza, Verona (v.), Altino, Treviso, Asolo, Oderzo (v.), Feltre, Belluno. Le uniche colonie sono Concordia (v.), fondata intorno al 40 a.C., ed Este, in cui vennero stanziati militari nel 31 a.C., dopo la battaglia di Azio. Risale .certamente alla metà del I sec. a.C. la costruzione degli impianti urbani di Verona e di Padova; è da supporre che anche Vicenza e Oderzo, poste sulla Via Postumia come Verona, abbiano avuto sistemazione urbana nel medesimo periodo. Appare più tardo, invece, lo sviluppo dei centri pedemontani di Asolo, Feltre, Belluno. Diversa era la situazione di Adria: porto di grande importanza sul mare a cui diede il nome, sede di scambi e di commerci tra Mediterraneo orientale e valle padana, dovette avere singolare rilevanza nel Veneto fin dal VI secolo a.C. grazie ai consistenti apporti culturali ed etnici di genti evolute, come l'etrusca e la greca. Ma l'aspetto urbano di Adria preromana e di Adria romana è pressoché ignoto; l'importanza del centro è deducibile solo dagli oggetti dei corredi tombali e dell'arredo urbano.
Dall'età augustea a tutto il I sec. d.C. le città del Veneto hanno un periodo di grande fioritura, arricchendosi di imponenti opere pubbliche, delle quali però, con l'eccezione di Verona, rimane ben poco. Contemporaneamente avviene la sistemazione del territorio, con la centuriazione delle campagne (tuttora evidentissima sul terreno quella a NO di Padova e dalla fotografia aerea quella di Adria), con grandi opere idrauliche nelle Valli Grandi Veronesi e nel Polesine, con la creazione di nuove strade di collegamento fra i varî centri; fra queste la Claudia Augusta da Altino al Danubio, tracciata da Druso nel 15 a.C. e terminata dall'imperatore Claudio nel 49 d.C., elemento determinante assieme alle vie endolagunari per il grande sviluppo commerciale del centro di Altino. La floridezza e la sicurezza di quest'epoca è dimostrata dalla diffusione di ville e di case rustiche in tutto il Veneto e dall'espansione delle città al di fuori delle mura che a volte, come a Verona e ad Altino, vengono abbattute a neppure cento anni dalla loro erezione.
Anche la documentazione proveniente dalle necropoli è particolarmente ricca e abbondante nel I sec. d.C.: monumenti funerarî e statue, stele iscritte, segnacoli e corredi danno direttamente una testimonianza molto ampia e varia della produzione artigianale e indirettamente, attraverso le iscrizioni funerarie, delle componenti etniche e dell'organizzazione sociale delle varie località. Nel II sec. d.C. comincia a manifestarsi una notevole crisi economica, che si accentua nel III e nel IV sec., e che è da attribuire alla decadenza delle correnti di traffico con le Provincie d'oltralpe e all'insicurezza politica causata dall'indebolirsi della difesa sui confini alpini. Già nel 265 Gallieno deve provvedere a ricostruire la cinta difensiva di Verona, utilizzando non solo nuovi materiali di cava ma anche molti elementi di edifici e di monumenti funerarî precedenti. In questo periodo di decadenza generale, in cui nelle città sono pressoché assenti le grandi opere pubbliche e si riscontrano solo modeste ristrutturazioni di abitazioni, solo Concordia, insieme a Verona, manifesta ancora una considerevole vitalità, che sembra anche per essa dovuta alla presenza di consistenti contingenti di truppe, testimoniate dalle numerose iscrizioni funerarie di militari dal II al V sec., quando Concordia diventa sede di una fabbrica di frecce. Persistenza di vita si manifesta anche nelle campagne, dove le grandi ville rustiche, al centro di un fundus, dimostrano di essere autosufficienti a lungo, come le ville del Veronese che presentano frequentazione continua a volte fino all'alto medioevo. Ad aumentare la crisi sociale ed economica contribuirono sensibilmente gravi dissesti territoriali lungo la fascia costiera, causati dall'innalzamento eustatico del mare verificatosi agli inizî del III sec.; ne furono danneggiati i transiti e i commerci lungo la Via Annia e compromessa la stessa esistenza del municipio di Altino. Benché molti miliari del III e del IV sec. documentino la frequenza delle opere di manutenzione dell’Annia, questa dovette essere gradualmente abbandonata in favore delle Vie endolagunari, più sicure anche perché al riparo dalle invasioni barbariche; ciò fu determinante in epoca altomedioevale per lo sviluppo dei centri costieri e lagunari di Eraclea (v.), lesolo, Malamocco, Rialto e, infine, Venezia.
Quanto rimane dei grandi monumenti pubblici romani e della scultura urbana del Veneto non mostra caratteristiche provinciali locali, perché tipologie costruttive, tecniche e stile di lavorazione rientrano nei canoni e nello spirito dell'arte romana coeva. E ciò non può stupire perché la massima espressione artistica paleoveneta, quella dei bronzi sbalzati, all'epoca della romanizzazione era già da molto tempo in decadenza.
Verona, dove sono ancora in vista imponenti monumenti pubblici, è l'unica città di cui è certo il regolare impianto urbano e in cui è stata sicuramente ubicata la sola struttura templare finora individuata nel Veneto, il Capitolium di modulo vitruviano. Del tempietto dei Dioscuri, esistente a Este, rimangono infatti solo alcuni elementi decorativi in terracotta, di chiaro influsso centro-italico. È sempre Verona la città che ha restituito il maggiore numero di statue di provenienza cittadina, espressioni di arte «colta», perfettamente inquadrabili nella produzione dei primi due secoli dell'impero. Analoghe considerazioni si possono fare anche per le altre sculture trovate nel Veneto, non molte, ma pregevoli come quelle di Concordia, i ritratti femminili di Padova, le statue che ornavano la scena del teatro di Berga a Vicenza. A questi cicli di sculture, noti da tempo, si sono recentemente aggiunti una statua acefala di Esculapio, da Feltre, e alcuni ritratti da Altino che, pur provenienti dalle necropoli, rientrano certamente nel filone dell'arte colta. Della bronzistica è rimasta praticamente solo la minore: anche in questo campo spicca Verona, probabile centro produttore, con esemplari numerosi e di gran pregio; notevoli per numero e per qualità anche i bronzetti di Concordia e qualche altro da Oderzo e da Este. Si può affermare che l'evoluzione dei modelli urbani si è propagata nel Veneto senza ritardi sensibili: così nell'architettura monumentale, nella scultura, nel mosaico, nella pittura (per quanto ne rimane), nella stessa produzione d'uso domestico. Per le arti minori è importante la documentazione offerta da Adria, sia per i vetri, molti d'importazione, sia per le ceramiche fini da mensa, di fabbrica locale, con marchio. Singolarmente scarsi in tutto il Veneto il vasellame d'argento e le oreficerie. Una testimonianza molto ampia e varia della produzione artigianale lapidea è data dai reperti delle necropoli, concentrati soprattutto nel I sec. d.C. Statue, stele, segnacoli funerarî, dalle tipologie spesso specifiche delle singole aree, sono indice di un artigianato locale di buon livello, accomunato da caratteri stilistici evidenti: linearità, rigidezza e durezza di forme con cui viene tradotto, semplificato, il modello colto al quale queste opere spesso si ispirano'. Questa produzione, che quasi sempre dal punto di vista formale è ben inferiore a quella ufficiale, ha una spontaneità e una freschezza di espressione che non fa rimpiangere la tradizionale classicità. Non trascurabile è anche la persistenza, più che di stile, di tipologie etrusco-italiche; unite all'onomastica delle iscrizioni funerarî e forniscono, p.es. ad Altino, un dato storico significativo sulla presenza e sulla consistenza di genti centro-italiche nel Veneto romano.
Altra importante influenza esterna, non mediata da Roma, è quella proveniente dall'Oriente mediterraneo, testimoniata sia da vetri e ceramiche di importazione di particolare pregio, sia da tipologie di monumenti funerarî, quali i grandi monumenti a edicola e gli altari cilindrici, questi diffusi soprattutto ad Altino ma presenti anche in altre necropoli venete. Fin da età arcaica, come mostrano l'insediamento di Frattesina e il successivo centro di Adria, la costa dell'Adriatico settentrionale si rivelò un insostituibile punto di transito tra l'area padana ed europea e i centri di produzione del Mediterraneo orientale. Questa funzione non solo di scambi commerciali ma anche di reciproche influenze culturali, continuate in età romana dalla stessa Adria, da Altino, Concordia e Aquileia, fu assunta poi da Venezia già nell'età altomedievale.
Bibl.: Per notizie su scavi e rinvenimenti in particolare Archeologia Veneta, dal 1978 e Quaderni di Archeologia del Veneto, dal 1985. In generale: C. Anti, I teatri della decima regione augustea, in Cisalpina, I, Milano 1959, pp. 263-274; G. Sena Chiesa, Le stele funerarî e a ritratti di Altino, in Memorie. Istituto veneto scienze, lettere e arti, XXXIII, I, i960; AA.VV., Mostra dell'arte delle situle dal Po al Danubio, Firenze 1961; R. Pittioni, in RE, IX, 1962, cc. 303-314, s.v. Italien, Urgeschichte', P. Gazzola, Ponti romani, I. Ponte Pietra a Verona, Firenze 1963; AA.VV., Arte e civiltà romana nell'Italia Settentrionale dalla repubblica alla tetrarchia, I, Bologna 1964; II, Bologna 1965; B. M. Scarfì, Altino ( Venezia). Le iscrizioni funerarî e romane provenienti dagli scavi 1965-1969 e da rinvenimenti sporadici, in AttiVenezia, CXXVIII, 1969-70, pp. 207-289; L. Bosio, Itinerari e strade della Venetia romana, Padova 1970; G. Fogolari, B. M. 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altino (v. vol. I, p. 289). Scavi e rinvenimenti recenti hanno provato che il municipio romano di Altino è sviluppato su un preesistente insediamento paleoveneto, di cui rimangono scarse tracce, ma che è testimoniato da tombe databili dalla fine del VII al II sec. a.C. Le campagne di scavo che, dal 1964 si conducono annualmente ad Altino, hanno delimitato con sufficiente esattezza l'area della città, scoperto il molo di un porto-canale in corrispondenza dell'ingresso della Via Annia da S, una porta urbica a N, una piccola area dei quartieri d'abitazione NE. Ricchissimi di risultati gli scavi delle necropoli settentrionali lungo l’Annia, lungo un'altra via extraurbana che doveva condurre a Oderzo e lungo una strada di raccordo tra queste due vie. Le più di duemila tombe scavate sono per la quasi totalità a incinerazione e databili al I sec. d.C. Più che i corredi funerarî, generalmente modesti anche se non manca qualche bel vaso vitreo, di eccezionale importanza e abbondanza sono i resti dei recinti e dei monumenti funerarî , le iscrizioni, i segnacoli in pietra delle tombe, di varia tipologia e di buona esecuzione, fra i quali sono particolarmente da notare i numerosi altari ottagonali e cilindrici, e alcuni bei ritratti, appartenenti a statue funerarie perdute.
Il piccolo museo di Altino, inaugurato nel i960, è ormai del tutto insufficiente; sono state già acquistate due grandi e antiche case rurali dove verrà esposto il nuovo allestimento.
Bibl.: G. Sena Chiesa, Le stele funerarie a ritratti di Altino, in Memorie. Istituto veneto scienze, lettere e arti, XXXIII, i, i960; B. M. Scarfì, Altino ( Venezia). Le iscrizioni funerarie romane provenienti dagli scavi 1965-1969 e da rinvenimenti sporadici, in AttiVenezia, CXXVIII, 1969-70, pp. 207-289; Β. M. Scarfì, A. L. Prosdocimi, Stele paleoveneta proveniente da Altino ( Venezia), in StEtr, XL, 1972, pp. 189-198; Β. M. Scarfì, Una «tabella defixionis» da Altino ( Venezia), in Epigraphica, XXXIV, 1972,; pp. 55-68; F. Sartori, Un nuovo seviro altinate in un'amia funeraria di Musestre, in AquilNost, XLV-XLVI, 1974-1975, cc. 199-208; Β. M. Scarfì, Vaso invetriato azzurro da Altino, ibid., cc. 409-420; P. Croce Da Villa, Osservazioni sulla ceramica grigia di Altino, ibid., L, 1979, cc. 257-292; ead., Mosaico altinate con cantharus, in Archeologia Veneta, III, 1980, pp. 97-104; P. Zamarchi Grassi, Mosaico altinate con pantera, in AquilNost, LI, 1981, cc. 217-236; M. Tombolani, Altino e la laguna di Venezia nella protostoria, in Le origini di Venezia. Simposio italo-polacco, Venezia 1981, pp. 91-94; M. Tirelli, Cinque stele funerarie provenienti dagli scavi di Altino, in Archeologia Veneta, V, 1982, pp. 135-142; G. L. Ravagnan, Le lucerne con marchi di fabbrica di Altino, in AquilNost, LIV, 1983, cc. 49-112; M. Tirelli, Altino. Cento anni di ricerche archeologiche ( 1883-1983), in Archeologia Veneta, VI, 1983, pp. 149-161; M. Tombolani, Altino e il Veneto orientale, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 831-846; G. L. Ravagnan, La «terra sigillata» con bollo di Altino, in AquilNost, LVI, 1985, cc. 165-312; Β. M. Scarfì, M. Tombolani, Altino preromana e romana, Quarto di Altino 1985 (con bibl. completa); M. Tombolani, Materiali tipo La Tene da Altino ( Venezia), in Celti ed Etruschi nell'Italia centro-settentrionale dal V sec. a.C. alla romanizzazione, Bologna 1987, pp. 171-189; id., Altino, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 309-344.
asolo (v. vol. I, p. 724). - Rimangono ancora incerte l'ubicazione dell'abitato paleoveneto e l'ampiezza del municipio romano, per il quale non è documentata finora l'esistenza di mura. Poiché le aree delle necropoli romane sono lungo il probabile percorso della Via Aurelia, che univa Padova ad Asolo, e sulle pendici del Monte Ricco, il centro romano sembra corrispondere a quello attuale. Scavi in corso all'interno della rocca, posta sul Monte Ricco, hanno portato in luce lacerti pavimentali musivi di una basilica cristiana del VI secolo.
Bibl.: C. Anti, I teatri della decima regione augustea, in Cisalpina, I, Milano 1959) pp. 268-269; L. Bosio, Itinerari e strade della Venetia romana, Padova I970, pp. 121-126; P. Furlanetto, Asolo, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 425-439.
Belluno (v. vol. Il, p. 48). - Fra le nuove testimonianze paleovenete nel territorio di Belluno le più importanti sono la stipe votiva di Lagole di Calalzo e la necropoli a «circoli» di Mei. Belluno romana è ancora scarsamente nota: nell'area della città attuale, nella piccola penisola alluvionale delimitata dal Piave e dal torrente Ardo, si sono scoperti pavimenti a mosaico e in cocciopesto e resti di murature. Nel 1970 presso Porta Dante, che sembra corrispondere al limite settentrionale dell'abitato, furono trovati, reimpiegati nelle mura medioevali, un capitello corinzio e varie iscrizioni, fra cui un'ara dedicata alla Iuventus.
Bibl.: G. Fogolari, Le tombe a piccoli «circoli» di Mei, in Atti del primo simposio intemazionale di protostoria italiana, Roma 1969, pp. 77-85; ead., La protostoria delle Venezie, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, IV, Roma 1975, pp. 117-124; F. Sartori, Note di epigrafia e prosopografia bellunesi, in Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore, XLVII, 215-216, 1976, pp. 41-64; M. S. Bassignano, Iuventus divina e gens sacra Iuventutis a Belluno, ibid., XLVII, 217, 1976, pp. 121-127; L. Calzavara Capuis, La zona pedemontana tra Brenta e Piave e il Cadore, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 847-866; P. Zanovello, I territori alpini, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 443-449.
corte cavanella di loreo. - In base alle distanze indicate nell’Itinerarium Antonini e nella Tabula Peutingeriana fra le stazioni del percorso costiero da Ravenna ad Altino, è molto probabile l'identificazione della località, posta 18 km a NE di Adria, con la mansio Fossis. Qui è stata scoperta una villa rustica romana, più volte ristrutturata dal I al IV sec. d.C., con darsena coperta (in veneziano: cavana) collegata con l'Adige per mezzo di un canale.
Bibl.: M. De Min, Loreo ( RO), in AquilNost, LIII, 1981, cc. 249-251; AA.VV., L'antico Polesine. Testimonianze archeologiche e paleoambientali, Padova 1986, passim·, L. Sanesi Mastrocinque, L'insediamento di Corte Cavanella di Loreo, in II Veneto nell'età romana, ii, Verona 1987, pp. 293-300.
este (v. vol. III, p. 461). - Si sono moltiplicati negli ultimi anni studi analitici e di sintesi sulla civiltà atestina, di cui Este rimane il centro principale benché siano numerose e importanti le scoperte avvenute in altre località del Veneto. Si è ripreso lo scavo della necropoli settentrionale nell'area della Casa di Ricovero, dove si sono trovate centodieci tombe databili dall'VIII al II sec. a.C. Este romana è limitata alla parte occidentale della cittadina attuale; il suo centro monumentale sembra ubicabile presso la Chiesa della Salute. In quest'area gli scavi hanno messo in luce strade basolate fiancheggiate da case e da fondazioni lapidee di almeno un edificio pubblico (basilica?), a cui appartengono accurati elementi architettonici databili alla prima metà del I sec. d.C. Nell'area del nuovo ospedale si scoprirono (1978-1980) resti di insulae attribuibili all'impianto della colonia dedotta a Este dopo la battaglia di Azio (3I a.C.), sovrapposte a strutture di edifici in muratura anche di età paleoveneta.
Il Museo Nazionale Atestino, chiuso per dissesti statici nel 1979, è riaperto dal 1984 con nuovo allestimento di tutte le collezioni.
Bibl.: G. Bermond Montanari, Monumenti funerarî atestini, in RIA, XVII, I959> ΡΡ- 111-145; AA.VV., Mostra dell'arte delle situle del Po al Danubio, Firenze 1961; R. Pittioni, in RE, Suppl. IX, 1962, cc. 303-313, e 336-338, s.v. Italien, Urgeschichte·, Ο. H. Frey, Die Entstehung der Situlenkunst, Berlino 1969; AA.VV., Studi sulla cronologia delle civiltà di Este e Golasecca, Firenze 1975; G. Fogolari, Protostoria delle Venezie, in Popoli e Civiltà dell'Italia antica, IV, Roma 1975, pp. 63-222; AA.VV., Este e la civiltà paleoveneta a cento anni dalle prime scoperte, in Atti dell'XI Convegno di Studi Etruschi ed Italici, Firenze 1980; E. Baggio Bemardoni, Scavo dell'Ospedale Civile di Este ( Padova). Nota preliminare, in Archeologia Veneta, IV, 1981, pp. 99-114; M. S. Bassignano, Un «curator aquarum» in un'epigrafe atestina, in Atti e Memorie dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti, XLIV, 1981-82, pp. 267-276; E. Zerbinati, Edizione Archeologica della Carta d'Italia, Foglio 64: Rovigo, Firenze 1982; A. M. Chieco Bianchi, L. Calzavara Capuis, Este I. Catalogo delle necropoli Casa di Ricovero, Muletti Prosdocimi e Alfonsi, I-II, Roma 1984; A. M. Chieco Bianchi, Este, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 693-724; E. Di Filippo Balestrazzi, Il rilievo di Argenidas e il culto dei Dioscuri ad Este, in Nuovi studi Maffeiani, Verona 1985, pp. 33-53; E. Baggio Bemardoni, Este, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 219-253.
feltre (v. vol. III, p. 615). - Scavi e indagini recenti mostrano che lo sviluppo urbano di Feltre, certamente dovuto alla sua favorevole ubicazione tra l'area alpina e la pianura veneto-orientale, ha interessato non solo la zona ai piedi del colle, ma anche il versante meridionale di quello, con strutture disposte a livelli diversi; è ancora incerta l'ampiezza e la planimetria della città. È da accertare se le grandi lastre di calcare, sottostanti Piazza Maggiore, sul colle, appartengano alla pavimentazione del foro. Un'ampia area archeologica, di cui è ultimata la sistemazione, si trova al di sotto della Piazza del Duomo: lungo una strada basolata sono grandi aule con pavimenti a mosaico e in opus sectile; la scoperta di una statua marmorea acefala di Esculapio potrebbe confermare la destinazione cultuale del complesso, che fu in uso fino a età tardoantica.
Bibl.: P. Lopreato, Feltre, in AquilNost, XLVII, 1976, c. 254; M. Rigoni, Feltre. Via Cornarotta, ibid., XLIX, 1978, cc. 255-256; B. M. Scarfì, Scavi e scoperte nel Veneto nel triennio 1979-1981, in OpuscFin, III, 1986, pp. 54-55; ead., L'ambiente romano dagli scavi del Veneto, in Aquileia nella «Venetia et Histria» (Antichità Altoadriatiche, XXVIII), Udine 1986, pp. 339-340; M. Rigoni, Feltre, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 449-452.
Frattesina di Fratta Polesine. - L'abitato protovillanoviano di Frattesina, posto 16 km a SO di Rovigo presso un antico ramo del Po, fu scoperto casualmente nel 1967. Ha un'estensione di c.a 800x200 m e lo spessore degli strati archeologici raggiunge i 2 m. Le centinaia di manufatti, provenienti dai livelli della tarda Età del Bronzo (XI-X sec. a.C.) finora indagati e dalle raccolte di superficie, dimostrano che a Frattesina si producevano oggetti di ceramica, bronzo, osso, corno, pasta vitrea e si importava ceramica micenea, avorio, uova di struzzo, ambra. Le necropoli a incenerazione sono a S dell'abitato; le tombe sinora scavate sono c.a 200, databili dal X al XI sec. a.C.
Bibl.: G. F. Bellintani, C. Perette, R. Peretto, La stazione preistorica di Frattesina di Fratta Polesine. Notizie preliminari sul materiale raccolto in superficie, in Padusa, IV, 2-3, 1968, pp. 5-20 (questo articolo e quelli successivi su Frattesina fino al 1984 sono riediti in AA.VV., Preistoria e protostoria nel Polesine, in Padusa, XX, 1984, p. 3 ss!). Inoltre: M. De Min, Frattesina di Fratta Polesine ( RO). L'abitato e la necropoli protovillanoviani, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 651-660; M. De Min, e. Gerhardingher, Frattesina di Fratta Polesine. L'abitato protostorico, in L'antico Polesine. Testimonianze archeologiche e paleoambientali, Padova 1986, pp. 118-141; M. De Min, Frattesina di Fratta Polesine. La necropoli protostorica, ibid., pp. 143-169.
jesolo ( Equilum). - Località presso la costa adriatica, fra il Sile e il Piave, nell'agro del municipio romano di Altino; divenne sede episcopale nel IX sec. È ancora incerta la sua origine romana, perché i varí monumenti lapidei d'età romana provenienti da Jesolo appaiono di tipologia altinate o aquileiese e dovettero essere usati nell'Alto Medioevo come materiale da costruzione. Nell'area della Cattedrale di S. Maria, dell'XI sec., si sono scoperte una basilica con nartece del VII sec. e una più antica aula paleocristiana.
Bibl.: L.-Conton, Le antichità romane delia Cava Zuccherina, in Ateneo Veneto, XXXIV, 1911, pp. 43- 68; G. Brusin, Ara-ossuario di provenienza aquileiese trovata a Jesolo, ibid., CXXXIII, 1942, pp. 131-135; F. Sartori, Una dedica di magistrì ed altre iscrizioni romane da Jesolo (Venezia), in AttiVenezia, CXVI, 1957- 58, pp. 241-263; M. Tombolarli, Rinvenimenti archeologici di età romana nel territorio di Jesolo, in Studi Jesolani ( Antichità Altoadriatiche, XXVII), Udine 1985, pp. 73-90; G. Cuscito, La basilica paleocristiana di Jesolo, ibid., pp. 187-210.
MONTAGNANA. - Posta 10 km a O di Este, è probabilmente da identificare con Forum Alieni, citato da Tacito (Hist., III, 6) per un episodio della guerra civile del 69 d.C. e, successivamente, con Anneianum, stazione viaria riportata nell'Itinerarium Antonini. Non vi è finora alcuna documentazione archeologica all'interno delle mura medioevali di Montagnana, mentre è abbondante la documentazione, proveniente dall'agro, di insediamenti e necropoli databili dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro, fino all'epoca romana; di particolare rilievo la scoperta di un recinto funerario del I sec. d.C. appartenente alla gens Vassidia.
Bibl.: A. Giacomelli, Notizie e ricerche per la storia di Montagnana e del suo territorio dalle origini al mille di Cristo, Vicenza 1976; AA.VV., Forum Alieni ( Quaderni di Storia Montagnanese), I, 1978; M. De Min, A. M. Bietti Sestieri, I ritrovamenti protostorici di Montagnana, in Atti della XII Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1979, pp. 205-219; M. De Min, Una tomba romana da Montagnana con skyphos in ceramica invetriata, in AquilNost, LUI, 1982, cc. 237-260; ead., Montagnana ( PD). L'abitato protostorico di Borgo San Zeno, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 642-650; E. Zerbinati, Il territorio atestino, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 241-251; C. Balista, E. Bianchin Citton, Montagnana Borgo S. Zeno, indagine geoarcheologica, in QuadVen, III, 1987, pp. 11-19.
Montebelluna. - Posta all'imboccatura della valle del Piave, sulle pendici del Montello, Montebelluna appare il centro paleoveneto di maggior importanza dopo Este e Padova, a giudicare dalla consistenza delle due necropoli di S. Maria in Colle e di Posmon, che hanno il massimo sviluppo nel III periodo atestino, dalla fine del VI alla metà del IV sec. a.C. Il centro romano, che apparteneva o al municipio di Asolo o a quello di Treviso, è testimoniato soprattutto dalle necropoli, ubicate nell'area di quelle paleovenete.
Bibl.: G. Fogolari, Dischi bronzei figurati di Treviso, in BdA, XLI, 1956, pp. i-io; R. Binotto, Storia di Montebelluna e del suo comprensorio, Montebelluna 1970; G. Fogolari, La protostoria delle Venezie, in Popoli e civiltà dell'Italia Antica, IV, Roma 1975, pp. 117-119; L. Calzavara, La zona pedemontana tra Brenta e Piave e il Cadore, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 847-866.
S. Basilio di ariano polesine . - È da ubicare in questa località, posta c.a 20 km a SE di Adria, la mansio Radriani o Hadriani riportata nella Tabula Peutingeriana sulla via endolagunare fra Ravenna e Altino. Del nucleo abitato è stata scavata parzialmente una villa rustica romana, attiva dalla fine del I sec. a.C. al V sec. d.C. Poco a O del nucleo d'età romana, nei pressi del Po di Goro e del cordone litoraneo d'età arcaica, è stato scoperto un insediamento del VI-V sec. a.C.
Bibl.: U. Dalle Mulle, 5. Basilio di Ariano Polesine. Scavo nell'area di un insediamento romano, in Padusa, XII, 1976, pp. 154-160; A. Toniolo, L'insediamento di S. Basilio di Ariano Polesine, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 301-308; M. De Min, L'abitato arcaico di San Basilio, in Gli Etruschi a nord del Po, II, Mantova 1987, pp. 84-91.
Treviso (v. vol. VII, p. 980). - Scavi recenti hanno dimostrato l'esistenza di stanziamenti a partire dall'Età del Bronzo, non solo nel territorio, ma anche nell'area urbana di Treviso. Rimangono ancora di scarso rilievo le testimonianze del municipio romano, assegnato alla tribù Claudia; qualche tratto di baso- lato stradale e pochi lacerti di pavimenti musivi non permettono ancora una ricostruzione sufficientemente sicura dell'impianto urbano. La scoperta in Via Canoniche di una sala rotonda (battistero?) circondata da sette esedre, con mosaico figurato della prima metà del IV sec. d.C., sembra attestare una certa vitalità di Treviso in epoca tardoantica.
Bibl.: M. S. Bassignano, Un nuovo quattuorviro I.D. a Treviso, in AquilNost, XLV-XLVI, 1974-1975, cc. 194- 198; G. Leonardi, Treviso, in StEtr, XL VI, 1976, pp. 434-437; M. Borda, Ceramiche e terrecotte greche magno-greche e italiche del Museo Civico di Treviso, Treviso 1976; V. Galliazzo, Bronzi romani del Museo Civico di Treviso, Roma, 1979; A. Zaccaria Ruggiu, Le lucerne fittili del Museo Civico di Treviso, Roma 1980; L. Bertacchi, Architettura e mosaico. Treviso, in Da Aquileia a Venezia, Milano 1980, pp. 332- 333; M. E. Gerhardinger, Presenze protostoriche nel territorio compreso fra Brenta e Livenza, in Padusa, XVII. 1981, pp. 59-80; V. Galliazzo, Sculture greche e romane del Museo Civico di Treviso, Roma 1982; P. Furlanetto. Treviso, in Misurare la terra: centuriazioni e coloni nel mondo romano. Il caso veneto, Modena 1984, pp. 172-177; A. Malizia, Treviso, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 347-356.
Venezia (v. vol. VII, p. 1128). - Dal 1982 si conducono indagini stratigrafiche in ambito lagunare e nella stessa Venezia per contribuire con dati archeologici alle ricerche relative alla genesi della città. Al Lido si sono poste in luce le fondazioni della chiesa di S. Nicolò, a tre navate con absidi semicircolari, risalente all'epoca del doge Domenico Contarini (1043-1071); rimangono lacerti del pavimento musivo e frammenti dei mosaici parietali. A Torcello un saggio stratigrafico ha dimostrato che il primo livello antropizzato dell'isola risale al VI sec.; è documentato da frammenti di anfore altomedioevali frammisti a fascine, usate per costipamento del terreno, e a palizzate d'arginatura di un canale. A Venezia sono in corso saggi presso le absidi di S. Pietro in Castello; il livello più antico finora raggiunto è del VI sec. e, come a Torcello, è documentato da frammenti ceramici e resti di strutture lignee.
I quattro cavalli di S. Marco, i più celebri fra i monumenti antichi di grande valore artistico che Venezia conserva, sono stati oggetto di studi multidisciplinari e di un accurato restauro. Si è ritenuto opportuno, per assicurarne la conservazione, collocarli nel Museo della Basilica e porre al loro posto, sopra il portale centrale di S. Marco, copie di bronzo eseguite per punti. Rimane controversa la loro datazione, che oscilla fra il IV sec. a.C. e il III-IV sec. d.C.
Anche il Leone della Piazzetta, calato dalla colonna per rendere possibile il restauro del capitello, fu sottoposto ad analisi e studi multidisciplinari, che accertarono l'esistenza di cinque successivi interventi di ristrutturazione eseguiti tra l'età tardoantica (IV-VI sec. d.C.) e la fine del 1800. Le parti originali della scultura, e cioè testa, petto, parti della schiena, del ventre, delle gambe anteriori e posteriori sembra appartengano all'imponente statua di un grifo a testa di leone, attribuibile a officina greco-orientale del IV-III sec. a.C. L'ottimo stato di conservazione della statua ne permise il ritorno sulla colonna del molo.
Bibl.: AA.VV., Mostra storica della Laguna Veneta, Venezia 1970; AA.VV., Torcello, Scavi 1961-1962, Roma 1977; AA.VV., Le origini di Venezia. Simposio italo-polacco, Venezia 1981; M. Tombolani, Venezia: scavo nell'area dell'antica chiesa di S. Nicolò del Lido, in AquilNost, LIV, 1983, cc. 346-348; id., Torcello ( Venezia). Saggio stratigrafico e prospezioni archeologiche nell'area della Cattedrale di S. Maria Assunta, ibid., cc. 351-352; W. Dorigo, Venezia. Origini, I-III, Milano 1983. - Cavalli di S. Marco: F. Magi, La data dei cavalli di S. Marco, in RendPontAcc, XLIII, 1970-71, pp. 187-201; G. Becatti, Interrogativi sui problemi dei cavalli di S. Marco, ibid., pp. 203-206; F. Magi, Ancora sulla da- ta dei cavalli di S. Marco, ibid., XLIV, 1972, pp. 209-217; AA.VV., I cavalli di S. Marco (cat.), Venezia 1977, a cui seguirono i cataloghi delle mostre tenute a Londra (1979), New York (1980), Città del Messico (1980-81), Parigi (1981), Milano (1981), Berlino (1982); V. Galliazzo, I cavalli di S. Marco, Treviso 1981. - Tesoro di S. Marco: AA.VV., Il tesoro di S. Marco, Milano 1986.
Leone della Piazzetta: AA.VV., Il leone di Venezia, Venezia 1990.
Museo Archeologico: R. Kabus-Jahn, Die Grimanische Figurengruppe in Venedig ( AntPl, XI), Berlino 1972; L. Beschi, Antichità cretesi a Venezia, in ASA- tene, L-LI, 1972-1973, pp. 479-502; G. Traversari, Sculture del V-IV sec. a.C. del Museo Archeologico di Venezia, Venezia 1973; M. Perry, Cardinal Domenico Grimani's Legacy of Ancient Art to Venice, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLI, 1978, pp. 215-244; ead., A Renaissance Showplace of Art: the Palazzo Grimani at Santa Maria Formosa, Venice, in Apollo, 1981, pp. 215-221; R. Polacco, Marmi e mosaici paleocristiani e altomedievali del Museo Archeologico di Venezia, Roma 1981; L. Beschi, La Nike di Hierapytna, opera di Damokrates di Itanos, in RendLinc, XL, 1986, pp. 131-144; G. Traversari, La statuaria ellenistica del Museo Archeologico di Venezia, Roma 1986.
Vicenza (v. vol. VII, p. 1162). - Rimangono ancora ignoti il tipo di insediamento e l'espansione di Vicenza paleoveneta e del primo centro romano, che dovette svilupparsi lungo il percorso della Via Postumia. Il tracciato delle mura di età tardo-repubblicana, di cui è noto un solo tratto, i tracciati delle strade urbane, rinvenuti soprattutto nel passato e non esattamente orientabili, gli scarsi resti di pavimenti, non forniscono finora dati assolutamente probanti per confermare il già supposto impianto regolare di Vicenza. Ricerche recenti confermano invece l'ubicazione del foro nell'area di Piazza dei Signori.
Bibl.: G. Tosi, Osservazioni sul Criptoportico di Vicenza, in Venetia, III, Padova 1975, pp. 143-156; V. Galliazzo, Sculture greche e romane del Museo Civico di Vicenza, Treviso 1976; id., Capitelli del Museo Comunale di Vicenza, in AquilNost, XLVIII, 1977, cc. 49-72; M. G. Maioli, Il Duomo di Vicenza: risultati dei saggi di scavo nella cripta, ibid., cc. 209-236; H. Roth, Venetische Exvoto-Täfelchen aus Vicenza, Corso Palladio, in Germania, LVI, I, 1978, pp. 172-189; I. Favaretto, Rilettura dei disegni palladiani del teatro di Berga alla luce delle nuove ricerche archeologiche, in Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura A. Palladio, XXI, 1979, pp. 99-111; G. P. Marchini, Vicenza romana. Storia, topografia, monumenti, Verona 1979; AA.VV., La Basilica dei santi Felice e Fortunato in Vicenza, I-II, Vicenza 1979; A. Bruttomesso, Materiali per lo studio di Vicenza paleoveneta, in A Ven, VI, 1983, pp. 7-29; G. Fogolari, Il nucleo urbano di Vicenza, in II Veneto nell'antichità. Preistoria e protostoria, II, Verona 1984, pp. 745-752; AA.VV., Storia di Vicenza. Il territorio, la preistoria, l'età romana, I, Vicenza 1987; M. Rigoni, Vicenza, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 109-133.
(B. M. Scarfi)
4) Zona Orientale (Friuli Venezia Giulia). - Le prime testimonianze della presenza dell'uomo nell'attuale territorio della regione Friuli Venezia Giulia risalgono al Paleolitico Superiore: resti più consistenti sono stati trovati nelle grotte del Carso (Riparo di Visogliano, Grotta S. Leonardo, Grotta Pocala: qui, peraltro, alcuni reperti di età romana fanno pensare a un uso delle grotte stesse come rifugi fino a tale periodo), mentre alcuni ritrovamenti documentano una frequentazione durante il Mesolitico nella Valle del Natisone. Tuttavia la presenza umana si fa più consistente nel Neo-eneolitico documentata da numerosi reperti litici e da una prima produzione di ceramica a decorazione impressa con il caratteristico vaso «con bocca quadrata» (Azzano Decimo). È da notare che la produzione litica continua fino all'Età del Bronzo, alla quale si riferiscono ritrovamenti in strato (S. Vito al Tagliamento e Ponte S. Quirino).
All'Età del Bronzo Antico sono attribuite le prime attestazioni di abitati (Ponte S. Quirino) con le tipiche forme di centri fortificati (XV-XIV sec. a.C.). Con la «cultura dei castellieri» si diffondono anche le tombe a tumulo (Selvis di Remanzacco), oggi quasi del tutto sparite. Già al Medio Bronzo si può datare la prima apparizione di armi, evidentemente segno di un grande cambiamento, di uno sviluppo socio-economico che è noto soprattutto attraverso i ripostigli (Castions di Strada, Muscoli). In effetti, tra Bronzo Medio e Tardo, intorno al 1000 a.C., secondo alcuni studiosi si noterebbe una cesura, poco prima quindi della grande ripresa dell'Età del Bronzo Finale, con luoghi di ritrovamento sempre più fitti e il generale diffondersi della «cultura dei castellieri» sia in altura sia in zona pianeggiante: è il momento in cui inizia la formazione delle etnie. Il Friuli diventa quello che si chiama «ponte tra Occidente e Oriente», ma in un certo senso anche tra l'Europa centro-settentrionale e il Mediterraneo, in particolare le coste adriatiche. Grande importanza dovettero avere le vie dell'ambra e quella del sale: quest'ultima collegava l'importante centro di Hallstatt, nell'attuale Austria, con la regione nord-adriatica attraverso il passo del Monte Croce Cárnico. L'importanza di questo commercio può essere misurata sulla base di alcuni ritrovamenti straordinari, come oggetti d'oro etruschi (Sedegliano) o due vasi dauni provenienti dalla Puglia (Pizzughi) rinvenuti nei castellieri.
Per quanto riguarda i castellieri, si distinguono essenzialmente due aree: la prima, quella dell'area carsica tra Livenza e Isonzo, si può considerare come cerniera tra la cultura del Veneto euganeo e gli abitati fortificati della Venezia Giulia e dell'Istria. Qui, varî castellieri formano sistemi di difesa, principalmente nella Valle del Natisone, nella Valle dell'Isonzo e di Doberdò; inoltre sono state osservate piccole linee difensive nelle zone prealpine e in pianura. La seconda area è più a N, nell'alto Friuli: sono noti abitati fortificati più piccoli rispetto al tipo carsico, con muri a secco. I castellieri veri e propri vengono distinti in abitati su rialzo naturale (di origine alluvionale o morenica) o su terrapieno artificiale; sono inoltre collocati nei pressi di corsi d'acqua (Gradisca di Spilimbergo, sulla destra del Tagliamento, Rive d'Arcano presso S. Daniele, Castions di Strada, S. Giovanni di Casarsa, Ponte S. Quirino). Posizioni particolarmente ricercate dovevano essere quelle vicine alla confluenza di due fiumi. L'aspetto esteriore dei castellieri varia da forme circolari a forme romboidali o rettangolari. Pochi esempî sono ora conservati in pianura (come anche poche tombe a tumulo), a causa di profonde alterazioni nel terreno dovute a operazioni di riordino fondiario: tra quelli noti si possono menzionare Sedegliano, Savalons e Balleriano. Il territorio di ogni castelliere era legato all'economia principale, che doveva essere quella della pastorizia, mentre l'area interna dei castellieri stessi era in genere occupata dalle strutture d'un villaggio; in qualche caso sembra però che si possa riconoscere una pura funzione di rifugio. Uno dei castellieri più importanti e meglio indagati è quello di Pozzuolo del Friuli: i suoi più antichi reperti fanno pensare a una frequentazione del sito fin dall'Età del Bronzo, anche se la cinta può essere datata tra Bronzo Finale ed Età del Ferro. Il Castelliere di Pozzuolo costituisce, al tempo stesso, anche un esempio di insediamento che si è protratto con continuità fino a epoca romana, come attesta un gruppo di tombe appartenenti con molta probabilità a una villa rustica. Vi sono stati scavati i fondi di capanne delle abitazioni, impianti artigianali (in particolare per la lavorazione del bronzo) e magazzini per derrate alimentari a forma di grandi buche nel terreno. Probabilmente vi possono già essere distinte aree di specializzazione a partire dal VII secolo. Notevoli i ritrovamenti di armi e di un'iscrizione preromana (paleoveneta?). I periodi più fiorenti sono l'VIII-VI secolo ( = Atestino II) e il V-IV secolo ( = Atestino III), quest'ultimo definito come «koinè adriatica».
Parlando di koinè è importante sottolineare l'esistenza di elementi sempre più consistenti riferibili alla cultura venetica mentre risultano ancora assai sporadiche le tracce della presenza celtica. Rarissime sono infatti le testimonianze che si possono attualmente assegnare all'influsso celtico: oltre ad alcuni reperti da Fagagna, da S. Daniele e a un torques da S. Canziano del Carso, va segnalato il recupero a Lauco (Carnia) di tre cuspidi di lancia e di una spada in ferro di tipo La Tène (La Tène C2), databili agli inizî del II sec. a.C. Recenti ricerche linguistiche hanno dimostrato la sostanziale assenza di elementi celtici nei toponimi, mentre ne restano alcune tracce nei nomi fisici.
A partire dal IV sec. si assiste a un graduale spopolamento di tutta l'area friulana, contemporaneamente ai primi contatti con i romani. Tale decadenza è stata osservata nel castelliere di Pozzuolo del Friuli, dove tuttavia c'è continuità di vita - a livello di sussistenza - fino alla definitiva annessione al territorio di Aquileia, quando l'area è caratterizzata dalla presenza di una villa rustica. Più frequente che in pianura era la continuità abitativa nei centri fortificati in montagna, in aree romanizzate molto lentamente (non prima del I sec. d.C.) come nel caso di Invillino-Ibligo, Cesclans, Ragogna, centri che rifiorirono dal Basso Impero in poi.
Con la colonizzazione romana, che si apre con la fondazione di Aquileia (v.) nell'estremità orientale della laguna nord-adriatica (181 a.C.), si avvia una trasformazione nell'organizzazione del territorio. Il grande territorio aquileiese si sviluppa verso il Norico: conosciamo in particolare due vie principali che portano al Regnum Noricum, ma si ha notizia anche di una via piuttosto antica verso il Carso triestino che raggiungeva con un percorso terrestre la vicina Istria (una testimonianza archeologica ed epigrafica del periodo repubblicano si è rinvenuta a Prepotto, tra i resti attribuibili a una stazione doganale). Evidentemente, le vie più antiche provenivano da O, dalla vicina area veneta: una prima via consolare costruita da Emilio Lepido avrebbe collegato il territorio romano con la prima colonia in area friulana fin dal 170 a.C. 0 poco prima; archeologicamente attestate sono però soltanto la Via Postumia, costruita nel 148 a.C., e la Via Annia tracciata secondo alcuni nel 153 a.C., secondo altri nel 133 a.C. Tuttavia, non sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferibili a centri minori, stationes o ville rustiche o altre strutture rurali del II o della prima metà del I sec. a.C.; invece possono essere segnalati ritrovamenti di quel periodo non lontani da Aquileia, appartenenti certamente a strutture extraurbane interpretabili come santuari (p.es. alle foci del Timavo, forse nell'adiacente località di Monastero, oppure presso Aquileia). Evidentemente, al momento della colonizzazione, la regione doveva essere caratterizzata da boschi estesi e da aree incolte adatte per la pastorizia, anche se non mancano studiosi che pensano a una notevole attività agricola nei territori di alcuni castellieri già in età protostorica. Ne sarebbero una prova i c.d. vasi-silos per la conservazione di derrate alimentari, trovati p.es. a Pozzuolo del Friuli. Ma in realtà bisogna pensare piuttosto a un sistema di agricoltura arcaico su spazi molto limitati; gran parte dell'area conquistata dai Romani doveva essere costituita da terreno ancora incolto. Da un lato sembra probabile che la conversione da un sistema economico basato sulla pastorizia a uno basato sull'agricoltura dovesse essere piuttosto lenta: dall'altro lato, l'economia pastorale è rimasta radicata nell'area altoadriatica fino al periodo tardoantico, come documentano numerose testimonianze letterarie, epigrafiche e archeologiche.
Le prime ville rustiche appaiono quindi soltanto con la colonizzazione cesariana e triumvirale (Iulia Concordia, Forum Iulii, Iulium Carnicum, Tergeste) e con le assegnazioni viritane di Filippi e poi di Azio.
Nello stesso periodo viene elaborato un caratteristico tipo di anfora, nota come Dressel 6 (c.d. istriana), prodotta nelle fornaci del territorio aquileiese e usata per il commercio del vino, mentre la stessa anfora sulla costa istriana doveva servire prevalentemente per il trasporto dell'olio. Il recente ritrovamento di una fornace contenente questo tipo di anfora a Locavaz, nella zona orientale del territorio di Aquileia, ha permesso infine di localizzare la produzione anche in area friulana. Contemporaneamente si sviluppò tutta una serie di centri industriali e artigianali, in cui veniva prodotta su larga scala la terra sigillata nord-italica, che sostituiva la precedente ceramica a vernice nera prodotta localmente e imitava la terra sigillata dell'Italia centrale. Accanto venivano però prodotti anche dei tipi influenzati da modelli ellenistico-orientali.
Per quanto riguarda le tipologie di ville presenti in regione, esse possono essere divise grosso modo in due tipi: le ville dell'entroterra, delle quali rimangono ora poche tracce a causa del già citato riassetto fondiario e dei conseguenti massicci lavori di livellamento, e le villae maritimae sulla costa rocciosa del litorale giuliano. Le prime attestazioni sembrano databili al 3°-4° venticinquennio del I sec. a.C. anche per le sedi più lontane dalle città, come le ville di Vidulis e di Coseano; ma i rinvenimenti archeologici mostrano una certa consistenza soltanto a partire dall'età giulio-claudia.
Nel corso del II e III sec. d.C. la vita nelle fattorie sembra impoverita (sempre a giudicare dalla documentazione archeologica). Mancano anfore e ceramica fine d'importazione e, in generale, suppellettili di lusso; ma l'assenza di indizi di abbandono nei siti scavati e la presenza di ceramica comune attribuibile a questo periodo critico fanno pensare, più che a un'interruzione a causa della crisi economica in Italia, a una continuità d'uso probabilmente con una gestione (e forse anche produzione) diversa, finalizzata per lo più all'autoconsumo.
Finalmente, al termine del III e nei primi anni del IV sec. sembra che facciano ritorno nelle ville rustiche i ricchi padroni che se ne erano allontanati: nelle ville stesse, infatti, sono attestate fasi di ristrutturazione, con la creazione di nuove parti residenziali; absidate e mosaicate. Per quanto riguarda i reperti, si nota una massiccia importazione di anfore e ceramica fine dai grossi centri di produzione africani e una loro diffusione fino ai siti più lontani.
Le villae maritimae invece sorgono immediatamente come vere e proprie ville di lusso. Anch'esse hanno subito delle trasformazioni già verso la fine del I sec. d.C., come dimostrano soprattutto gli esempi istriani. I porti collegati con le splendide ville istriane, da Cassiodoro (Var., XII, 2) confrontate con quelle di Baia, indicano che vi si svolgeva anche un'attività commerciale. Almeno a tale uso fa pensare una barca piuttosto grande trovata nel porto di una villa a Monfalcone. In effetti, oltre agli allevamenti ittici, vi si trovano anche torculari, depositi di anfore, grandi magazzini e fulloniche. La villa più ricca finora nota della costa giuliana (scavata in gran parte nell'800) si trova poco a Ν di Trieste (Barcola). La villa, in cui si sono riconosciute tre principali fasi edilizie, comprendeva due imponenti corpi, uno dei quali dotato di un grande emiciclo rivolto verso il mare. Vi sono stati recuperati numerosi mosaici (in gran parte risalenti alla fine del I sec. a.C.) e una statua di Diadumeno, opera di una bottega eccellente, forse urbana. Alcuni pavimenti sono stati rifatti in età neroniana. Di particolare interesse è una villa vicino al mare, che non appartiene però alla tipologia della «villa maritima», nei pressi delle cave di calcare ad Aurisina (v.), sfruttate soprattutto nel I sec. a.C. I reperti rivelano un livello di vita molto alto e collocano la frequentazione dalla metà del I sec. a.C. fino al periodo tiberiano, quando la villa stessa è stata, come sembra, abbandonata definitivamente. La sua funzione è stata vista in rapporto con l'estrazione della pietra: anzi, era questa forse la sede del conductor delle cave.
Una funzione particolare poteva avere anche un complesso architettonico presso l'acquedotto Randaccio a Duino, dove l'istallazione di grandi terme (con vicino un acquedotto) fa pensare che forse non si trattava di una semplice villa rustica. Il complesso è stato interpretato come mansio con terme, forse in rapporto con le vicine foci del Timavo (cfr. Plin., Nat. hist., II, 103, 225 e 229; III, 18, 127 e 26, 151; XIV, 6, 60).
Una situazione simile si ha probabilmente anche nel caso delle terme di Monfalcone, al margine SE del Lisert, che potrebbero essere state anche parte di un santuario extraurbano. Sicuramente, invece, era un luogo di culto extraurbano di notevole importanza il santuario alle foci del Timavo: luogo legato al mito di Diomede, dove venivano venerate più divinità, tra cui certamente il dio fluviale detto appunto Timavo (ricordato in varie iscrizioni di' Aquileia), Saturno e Spes Augusta. Da una notizia di Plinio ( Nat. hist., III, 129) sappiamo inoltre che qui fu posta una statua del console T. Sempronio Tuditano, trionfatore sui Carni (129 a.C.). Allo stesso personaggio si riferisce inoltre la base di un monumento rinvenuta a Duino: la base sembra però troppo grande per una sola statua. Questo problema si pone in relazione con la discussione che si è sviluppata attorno a un altro prezioso documento, l'iscrizione aquileiese di Tuditano, il c.d. pseudoelogio, dove si accenna a qualche opera (una lacuna ha cancellato la parola) eretta dal console al Timavo.
Per quanto riguarda l'urbanistica, va osservato che non ci sono modelli comuni per le varie città in regione. Le situazioni delle quattro fondazioni romane in quello che è il territorio dell'attuale Friuli-Venezia Giulia, in effetti, sono molto diverse una dall'altra. Evidentemente, una colonia latina della prima metà del II sec. a.C. come Aquileia si distingue nettamente da una piccola colonia (o da un municipio) di età cesariana come Trieste (v.), sorta presumibilmente sul luogo di un castelliere, o da centri minori come quello di Forum Iulii (Cividale), al margine della pianura friulana, e quello di Iulium Carnicum, la città più settentrionale dell'Italia, nelle Alpi Carniche (Zuglio, v.). Recenti indagini archeologiche condotte in quest'ultimo centro hanno consentito di acquisire nuovi importanti dati sia sulle fasi del foro in età imperiale sia sull'assetto dell'area in età tardorepubblicana (fase del vicus) e in epoca tardoantica-altomedievale, quando il complesso perse le sue funzioni. Al di là di un confronto piuttosto generico tra il foro di Aquileia (fase severiana) e quello di Zuglio, ambedue circondati da tabernae e con la basilica che occupa il lato corto meridionale del foro, non è possibile vedere rapporti urbanistici o semplicemente di forme architettoniche tra le varie città, anche a causa della scarsezza dei dati di scavo.
Pochi resti insediativi e architettonici si segnalano nei centri minori, mentre alcuni ritrovamenti sono attribuiti all'insediamento militare noto con l'indicazione ad Tricesimum, presso l'attuale Gemona, e a una situazione doganale sulla strada per Virunum (nel Norico) all'ingresso del Val Canale (l'attuale Camporosso), identificata ora con la mansio di Larice ora con la statio Bilachiniensis. La scarsità di resti monumentali viene peraltro compensata da un cospicuo numero di stele funerarie di grandi dimensioni che rivelano l'esistenza di un gruppo di committenti facoltosi, situazione confrontabile - ma un po' più modesta - con i ricchi resti della necropoli di Sempeter nella Pannonia occidentale, insediamento forse doganale sulla via dell'ambra.
Nel periodo tardoantico, con la rifioritura delle ville rustiche legate ovviamente a potentiores e grandi proprietà terriere, si diffondono anche i luoghi del culto cristiano. Molte delle sale absidate nelle ville sono state interpretate - analogamente alle grandi sale absidate nelle domus aquileiesi - come oratori e in generale sale adibite al culto cristiano. Il fenomeno si diffonde in modo particolare attorno ai grandi centri come Aquileia, il Castrum di Grado, Trieste, Forum Iulii (e naturalmente la vicina Iulia Concordia) ed è da vedere in rapporto con essi (di particolare interesse la basilica martiriale che sorge all'interno di una grande villa di proprietà dei Cantii, in una località chiamata Aquae Gradatae, l'attuale S. Canzian d'Isonzo). La diffusione del cristianesimo in tutto il territorio friulano, rilevabile attraverso numerosi ritrovamenti archeologici, segue un ritmo molto veloce; la mappa delle pievi in regione, particolarmente fitta già nel V sec. d.C., documenta una distribuzione capillare fino agli insediamenti più lontani.
È opinione comune che i frequenti centri fortificati con annesse strutture architettoniche per il culto cristiano (p.es. Invillino) abbiano le loro origini nelle strutture vicaniche. La maggior parte dei castella tardoantichi sorge però sopra una struttura prediale (certamente molto più diffusa di quella dei villaggi all'inizio del IV sec.), anche là dove il nucleo abitato, per motivi di sicurezza, veniva trasferito su una vicina collina (p.es. le ville di Vidulis e Coseano furono «abbandonate» e «spostate» a S. Daniele).
Un discorso a parte va invece fatto per i castella lungo il limes tardoantico. Essi si trovano per lo più in siti di cui si conoscono anche resti protostorici; la loro funzione doveva essere prevalentemente difensiva.
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(M. Verzár Bass)
5) Istria. - La penisola istriana, tra la regione di Trieste a O e il Quarnero a E, protetta a Ν dalla catena montuosa dei Monti della Vena (Cicarija), era abitata già nel Paleolitico (San Daniele-Sandalja presso Pola), nel Neolitico (Pradisel, Lerne), nell'Età del Bronzo (Monte Codo- gno, Monte Orsino) e del Ferro (Nesazio, Pizzughi, Pola), quando già si può parlare degli Histri, la popolazione preromana di formazione culturale illirico-venetica. La loro cultura materiale dimostra il mantenimento di contatti culturali ed economici con le regioni dell'Adriatico occidentale (Venetia, Apulia), con l'Etruria, con la Magna Grecia e la Grecia da una parte, con l'arco alpino orientale (arte delle situle) dall'altra. Proviene da Nesazio un gruppo di sculture a tutto tondo (figure di cavalli, cavalieri, atleti e divinità) e di rilievi geometrici su lastre (spirali, meandri, ecc.) che illustra probabilmente il riflesso, attraverso la penisola italica, dell'arte arcaica greca (VI-V sec. a.C.): erano riutilizzate nella necropoli preromana.
Conquistata nel 177 a.C., l'Istria venne sottoposta a lenta e graduale romanizzazione dopo la fondazione delle colonie di Trieste (v.) (54 a.C.) e Pola (ν.) (46-42 a.C.), dei municipi di Parenzo (30 a.C. - successivamente colonia di Tiberio) e Nesazio (presso Pula/Pola, municipio dei Flavi). Una parte della penisola, fino al fiume Arsa, venne inclusa nell'augustea Regio X, mentre la zona orientale faceva parte della provincia Dalmatia, con i municipi di Alvona e Flanona (Labin/Albona e Plomin/Fianona). La viabilità terrestre, conosciuta nelle linee generali, ma non nei dettagli, è costituita da due rotte principali: la c.d. Via Flavia (Aquileia-Trieste-Parenzo-Pola), e la strada orientale (da Pola a Nesazio e successivamente lungo la costa orientale attraverso il passo del Monte Maggiore fino all'odierna Rijeka/Fiume). La maggior parte dei traffici si svolgeva però lungo le rotte marittime attraverso gli scali principali (Pola, Parenzo) e i numerosi porticcioli nelle insenature della costa.
La zona dell'Istria che faceva parte dell'Italia venne divisa, entro i limiti dei territori delle colonie di Pola e Parentium, in lotti rettangolari (centuriatio) i quali rappresentavano la base per il sistema prediale con possedimenti medio-grandi. Nell'Istria sono quasi trecento i siti archeologici del tipo villa rustica. Ne sono stati esplorati una ventina, e su questa base si distinguono tre tipi di edifici: ville lussuose, palazzi con funzione prevalentemente di villeggiatura; ville produttive con vani di abitazione, edifici cioè con funzioni al tempo stesso di produzione e di svago (otium); edifici di carattere esclusivamente produttivo. A parte un folto gruppo di tali località esplorate fino alla fine dell'ultima guerra, illustrano questi edifici rurali le ville di Sorna presso Poreč/Parenzo (villa lussuosa con vani disposti attorno a due cortili, con mosaici e affreschi, e con terme annesse, situata sull'istmo di una penisola), Katoro, presso Umago (villa lussuosa con mosaici), Cervera Porto, presso Parenzo (villa produttiva con impianto di fornace e con macchinari per la produzione dell'olio d'oliva), Barbariga presso Fazana/Fasana (impianto produttivo per la produzione dell'olio d'oliva con una ventina di torchi), il c.d. Castrum sull'isola di Brijuni-Brioni (villa produttiva con peristilio, sulla quale sorse nella tarda antichità un insediamento fortificato).
A parte le necropoli della colonia di Pola, molto ben documentate, sono state recentemente esplorate due necropoli a Buzet/Pinguente e una necropoli presso Kringa-Corridico con tombe a incinerazione, e poi alcune tombe singole (Kavran/Cavrano, Sikici, Vareski, Karpinjan/Carpignano) d'epoca classica (incinerazione) e tardoantica (inumazione, tombe «a pozzetto» e sotto tumuli di pietre). Una parte di una necropoli, tardoantica è stata rinvenuta nella località Burle presso Medulin/Medolino, con quasi quaranta tombe a inumazione.
Abbastanza rari sono in Istria i rinvenimenti di tombe con monumenti funerarî in situ. Alcuni rinvenimenti nei dintorni di Pola illustrano l'architettura funeraria monumentale (mausolei), mentre molto più numerose sono le tombe singole con iscrizioni funerarie. Alcuni monumenti d'arte figurativa e iscrizioni sono stati recentemente rinvenuti, sempre riutilizzati, o comunque senza il contesto originario.
I rinvenimenti di monumenti funerarî , epigrafi o iscrizioni con rilievi decorativi, sono numerosi in prossimità delle due città principali {Pola e Parentium), ma meno attestati attorno gli abitati urbani minori (Piquentum, Nesactium, Alvona, Flanona), rari nelle zone agrarie, e in questi casi solitamente sparsi in corrispondenza con la fisionomia del paesaggio nell'antichità. Da notare la densità di un gruppo di monumenti romani (iscrizioni e rilievi) nella zona interna dell'Istria (Pinguente, Roc/Rozzo, Draguc/Draguccio, Pazin/Pisino), fuori del territorio delle due colonie, dove traspare nelle iscrizioni una sopravvivenza dell'onomastica autoctona preromana (Abalicus, Laevicus, Moliavis, Turicus, Hospita, Mocolica, Ovia, Pepa, Volginia). Nello stesso tempo sono documentate, in un gruppo consistente di iscrizioni votive rinvenute sia nella parte italica sia in quella liburnica dell'Istria, divinità dal nome preromano (Boria, Histria, Ika, Iria, Iutossica, Nebres, Melosocus, Sentona, Trita).
La cultura materiale di età romana indica una chiara appartenenza dell'Istria alla sfera economica norditalica: le anfore olearie prodotte e smerciate da questa regione appartengono all'area altoadriatica e padana; la ceramica comune veniva importata quasi tutta dall'Italia (Campana B, terra sigillata, terra nigra, lucerne), mentre era quasi senza importanza la produzione locale; il vetro veniva importato dalla regione di Aquileia, benché si possa ipotizzare l'esistenza di laboratori anche in Istria meridionale (presenza di sabbie silicee quale materia prima). In Istria esistevano delle cave di pietra (calcare istriano) usate per l'estrazione di materiale da costruzione, prevalentemente per uso locale, ma impiegato anche nelle regioni limitrofe (Veneto, Emilia). La ricchezza economica dell'Istria si basava sulla produzione dell'olio d'oliva (famoso per la qualità e la quantità, cfr. Plin., Nat. hist., XI, 8), del vino, del pesce e dei frutti di mare. Nelle regioni interne, dedite prevalentemente alla pastorizia, si produceva la lana.
La struttura sociale ricostruibile dall'analisi complessiva delle fonti storiche e archeologiche indica una romanizzazione, graduale e lenta, delle1 popolazioni autoctone a opera dei proprietari terrieri che erano attivi politicamente nelle città, ma controllavano economicamente parte del territorio con il sistema delle clientele: sono numerose le iscrizioni di liberti di grandi famiglie italiche nelle zone rurali dell'Istria (Calpurnii, Laecanii, Settidii, ecc.). Non sono rare le testimonianze epigrafiche di servi e coloni rurali, indice del carattere prevalentemente agrario della penisola.
Per la tarda antichità le fonti indicano una graduale restrizione delle attività economiche: in diversi ambiti si nota una regressione verso un'autarchia economica e culturale, ma la vita continua. Risparmiata dalle invasioni barbariche, l'Istria entra così nella fase di transizione verso il Medioevo.
Bibl.: J. Fischer, Die vorrömische Skulpturen von Nesactium, in HambBeitrA, XI, 1984, pp. 9-98; S. Gabrovec, Κ. Mihovilić, Istarska grupa, in Praistorija jugoslavenskih zemalja, 5. Željezno doba, Sarajevo 1987, pp. 193-338; V. Jurkić, Portreti na nadgrobnim stelama zbirke antickog odjela Arheoloikog muzeja Istre u Pulì («Ritratti sulle stele sepolcrali nella collezione della sezione per l'evo antico del Museo archeologico dell'Istria a Pola»), in Jadri Zbor, Vili, 1970-1972, pp. 352-382; V. Jurkić-Girardi, Arte plastica del culto come determinante l'esigenza dei culti romani e sincretici nella regione istriana, in Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, V, 1974, pp. 7-33; R. Matijašić, Roman Rural Architecture in the Territory of Colonia Iulia Pola, in AJA, LXXXVI, 1982, pp. 53-64; R. Matijašić, Buzetski Silvan - novi nalaz iz sjeverne Is tre («Il Silvano di Piguente - un nuovo ritrovamento dall'Istria settentrionale»), in A Ves, XXXVI, 1985, pp. 187-194.
(R. Matijašić)