VENETO (XXXV, p. 48; App. II, 11, p. 1096; III, 11, p. 1076)
Negli ultimi anni il V. è stato funestato da alcune calamità che hanno apportato danni notevoli.
Un evento drammatico, che commosse il mondo intero per la sua singolarità e l'ampiezza delle conseguenze, avvenne il 9 ottobre 1963, quando una frana di grandi proporzioni, staccatasi dal monte Toc, precipitò nel bacino artificiale del Vajont; il materiale caduto sollevò un'ondata di oltre 200 m che, dopo aver lambito gli abitati di Erto, Casso e S. Martino, posti a monte, si abbatté sulla diga asportandone la parte superiore; quindi s'incanalò nella profonda gola del Vajont, raggiungendo la sottostante Valle del Piave e cancellando in pochi minuti il grosso centro di Longarone e altri abitati minori. La catastrofe, che provocò circa 1300 morti ed ebbe una logica conseguenza penale, tendente ad appurare l'esistenza di eventuali responsabilità, provocò anche vistose modificazioni nel paesaggio. Il lago artificiale, formato in seguito alla costruzione della diga a poco più di un chilometro dallo sbocco del torrente Vajont nella valle del Piave, si è trasformato in un lago naturale di sbarramento per frana; si è formata in altezza una grossa nicchia di distacco, mentre la parte centrale della frana ha prevalentemente aderito alla morfologia precedente, creando però alcune contropendenze, come per es. nel solco del rio Massalezza. I numerosi studi effettuati successivamente hanno posto in evidenza una serie di cause, alcune delle quali tuttora scarsamente conosciute, che in concomitanza avrebbero condotto alla catastrofe; dall'insieme sembra di poter concludere che le caratteristiche strutturali hanno certamente assunto importanza in rapporno ad altre circostanze sia naturali che indotte, per cui il fenomeno non poteva essere previsto e valutato precedentemente in sede di studio e di progettazione della diga, mentre forse il disastro poteva essere limitato nelle nefaste conseguenze umane, qualora fosse stata valutata l'importanza di certi eventi osservati in precedenza localmente e che, considerati a posteriori, appaiono molto indicativi.
Le piogge eccezionali dei primi giorni del novembre 1966 provocarono forti dissesti e alluvionamenti laddove il suolo, scarsamente permeabile, non favorì l'assorbimento dell'acqua e inoltre dove esistevano depositi detritici di natura diversa; le frane furono numerose nell'Agordino, nello Zoldano, nelle valli del Cordévole, del Maè, del Mis, del Piave, del Leogra, dell'Agno, in parte del bacino dell'Alpago. Risulta difficile tuttavia citare ogni luogo interessato al dissesto, poiché il fenomeno interessò variamente un'area molto estesa; il V. occidentale per es. risultò meno colpito non solo in rapporto alla minore precipitazione, ma anche per l'esistenza di una serie di bacini scolmatori. Le conseguenze del disastro furono di natura diversa; strade e ponti distrutti, opere di difesa lungo il cordone litoraneo di Venezia demolite, abitati anche molto popolosi, come Latisana, Motta di Livenza, sommersi. L'entità dei danni in qualche caso fu tale da consigliare l'abbandono di qualche insediamento come avvenne per California di Gosaldo (Belluno) e per qualche nucleo nei comuni di Tambre e Puos d'Alpago. L'agricoltura risentì fortemente degli effetti dell'alluvione, sia nelle parti medie e inferiori delle valli, per l'accumulo di materiale alluvionale, sia dove le inondazioni avvennero ad opera dell'acqua marina.
Popolazione. - La popolazione residente nella regione nel complesso è in aumento con 4.115.091 unità nel 1971 e 4.338.292 unità nel 1978; non in tutte le province si notano i medesimi aumenti; quelle di Belluno e di Rovigo presentano infatti lievi variazioni di popolazione. L'incremento è costituito sia dal saldo naturale positivo che da quello sociale; il saldo sociale si può dire che nella regione sia stato per lungo tempo negativo e anzi il contributo all'emigrazione, nella forma sia interna che estera, è stato tradizionalmente elevato. Solo dal 1969 ha cominciato a profilarsi un'inversione della tendenza con il modesto saldo di + 0,6‰, valore che nel 1974 è salito a + 3‰. La provincia di Rovigo ha presentato un'evoluzione positiva in questo campo solo nel 1974. Altra modificazione in campo migratorio è quella della direzione dei flussi che attualmente risultano orientati prevalentemente verso l'interno, con una più spiccata direzione verso il triangolo industriale. Nelle immigrazioni non risulta alcuna provenienza particolarmente marcata. L'incremento naturale è lievemente aumentato (6,0 ‰ nel 1974) in rapporto specie alla diminuzione del tasso di mortalità, essendo il tasso di natalità medio intorno al 15,6%o; le due province di Belluno e di Rovigo hanno a tale proposito valori rispettivamente di 13,4%o e 14,0%o. All'interno della regione la popolazione manifesta una certa tendenza all'urbanizzazione che è particolarmente apprezzabile nei comuni limitrofi ai capoluoghi; fra le città capoluogo si distingue Padova con un indice di urbanizzazione del 42%, mentre Venezia e Rovigo sembrano mostrare un certo regresso di urbanizzazione.
Condizioni economiche. - La popolazione attiva nel 1971 risultava costituita da 1504 migliaia di unità e nel 1974 da 1545 migliaia, di cui 30.000 unità non occupate; circa il 70% della popolazione attiva è maschile. Nell'ambito dei vari settori di attività si registra una diminuzione maschile in agricoltura e un consistente aumento nel settore terziario; la componente attiva femminile è rimasta invariata in agricoltura, è aumentata lievemente nel settore secondario e piuttosto massicciamente in altre attività.
L'agricoltura mantiene sempre il primato nel quadro economico del V. e prospetta un progressivo incremento nell'insieme delle produzioni. Il frumento coltivato su una superficie complessiva di 193.800 ha (1977) ha dato una produzione media di 37,3 q/ha, il mais una produzione media per ha di 74 q (superf. 300.400 ha); risulta anche notevolmente aumentata la superficie destinata alla coltura di orzo connessa con l'allevamento del bestiame, mentre per il riso si delinea una certa tendenza al regresso come anche per le coltivazioni industriali della barbabietola da zucchero e del tabacco. Le cause del fenomeno sono molteplici, ma forse preminente è la carenza di manodopera in particolari e limitati periodi dell'anno. Settori in espansione sono quelli della frutta e dell'uva.
L'allevamento, appoggiato su una consistente produzione foraggera, è notevolmente importante con un complesso di circa 1.200.000 capi bovini e una serie di allevamenti minori fra cui spicca quello dei suini (700.000 capi).
Per l'industria, che presenta alcuni poli consistenti come Marghera, bisogna considerare il periodo che va fino al 1971, nel quale la produzione rivela una curva tendenzialmente di progresso, specie per il settore tessile e dell'abbigliamento, quello meccanico e quello calzaturiero. Dal 1971 ogni settore industriale risulta in flessione e con un diagramma pressoché equivalente nel quale l'indice dei costi presenta una curva ascendente, mentre entrambi gl'indici, della produzione e delle vendite, sono discendenti. Gli scambi import-export risultano negativi nel complesso regionale, ma gli effetti della profonda crisi economica già in atto da alcuni anni inquinano fortemente l'analisi della situazione; lo stesso movimento del porto industriale di Venezia viene a scomparire nel complesso della valutazione, in quanto serve importanti complessi industriali che hanno sede legale in altre regioni.
Il porto di Venezia, che per posizione subisce la diretta concorrenza del sistema portuale di Trieste, nonché dei porti iugoslavi, ha un movimento articolato su tre componenti: porto commerciale (cereali, semi oleosi, combustibili solidi), che ha un movimento annuale di 473 migliaia di t (1974); porto industriale, utilizzato per lo sbarco delle materie prime e l'imbarco dei prodotti finiti o semi lavorati delle industrie circostanti (movimento 1974: 1361 migliaia di t); porto petroli, molto attivo, il cui movimento è rappresentato per metà da olii minerali grezzi e per il resto da prodotto raffinato proveniente dalla Sicilia (movimento 1974: 13.456 migliaia di t). È da rilevare che l'attività di questa parte del porto di Venezia è stata posta più volte in discussione per le conseguenze negative che può avere nei confronti del grave problema di Venezia lagunare; l'applicazione della legge per la salvaguardia della città ne prevede la progressiva eliminazione.
Il settore turistico è indubbiamente molto attivo nella regione che, offrendo differenti tipi di soggiorno, montano, balneare, lacuale, termale, in centri storici, ha una capacità attrattiva su una clientela molto varia per ceto sociale e per nazionalità. Nel 1971 gli arrivi ammontavano a circa 5 milioni per un totale di 38 milioni di presenze; nel 1975 l'ammontare degli arrivi e delle presenze è stato rispettivamente di 5.184.000 e di 42.200.000; gli stranieri hanno una marcata incidenza sul complesso del movimento turistico. Gli esercizi alberghieri risultano in complesso circa 4500 per un totale di 171.150 letti, ma soltanto il 46% sul totale degli esercizi resta aperto tutto l'anno; da questo dato scaturisce che il fenomeno turistico è in buona parte concentrato in alcuni mesi, quelli estivi, e genera pertanto una serie di squilibri nell'adeguamento e nell'utilizzazione delle strutture, ma nel complesso offre un apporto economico valutabile in circa 571 miliardi di lire. Il massiccio sviluppo turistico ha portato alla ribalta il problema della creazione dei parchi naturali del Monte Baldo e del Cansiglio e tutta una serie di provvedimenti necessari per limitare l'inquinamento delle acque marine e lacuali.
Nella regione sono in esercizio 550 km di autostrade. Il trasporto aereo usufruisce nel V. di tre aeroporti, Venezia-Tessera, Treviso, Villafranca, che nel complesso degli ultimi due anni registrano una diminuzione di trasporto passeggeri e un aumento di merci, costituite da importazioni di prodotti agricolo-alimentari ed esportazioni di manufatti. La flessione dei passeggeri è legata alla situazione economica generale, ai costi ma indubbiamente anche al poco rapido collegamento a terra degli areoporti con le principali città della regione e con le più interessanti aree turistiche.
Preistoria e Archeologia. - La trattazione di questi argomenti comprende, per ragioni di contiguità storica e topografica, anche la parte relativa al Friuli-Venezia Giulia. Anche per queste regioni, come per altre dell'Italia settentrionale, le maggiori scoperte di questi ultimi anni riguardano la preistoria e la protostoria. Accurati scavi, per lo più stratigrafici, compiuti in varie zone, hanno non poco ampliato le nostre conoscenze anzitutto del Paleolitico. Se infatti sono ancora abbastanza rari gli strumenti dell'inferiore di tipo chelleano, acheuleano e clactoniano trovati a Quinzano (Verona) e sui monti Lessini, assai più abbondanti sono quelli del Paleolitico medio scoperti nella Grotta A di Ponte di Veia, nei ripari di roccia Tagliente e Mezzana (Verona), ma soprattutto nelle grotte del Broion e di San Bernardino sui monti Berici, nonché nel Carso triestino (Grotta delle Trincee, Grotta Benussi, Grotta azzurra di Samatorza). È una serie imponente di materiale musteriano di vario tipo apparso al di sotto del più scarso materiale del Paleolitico superiore. Di particolare importanza la scoperta di una tomba epigravettiana con graffiti dal riparo Tagliente (v. fig.), raro per non dire unico esempio di arte paleolitica nelle Venezie. Anche i colli Euganei hanno offerto un ricco strato musteriano al di sopra di qualche probabile traccia del Paleolitico inferiore. Le terre che nel periodo di transizione dal Pleistocene all'Olocene (che è l'attuale) emergono sempre più numerose dal grande golfo che occupava la pianura padana, favoriscono l'accrescersi della popolazione e lo sviluppo di una civiltà più progredita, la neolitica, in cui si fondano i primi villaggi su palafitte.
Sotto questo aspetto sono molto importanti gli scavi eseguiti nella valle di Fimon in località Molino Casarotto (Vicenza), che hanno portato al ritrovamento di capanne a pianta rettangolare su pali, con evidenti tracce di successive ricostruzioni e con strutture lignee intonacate all'interno (scavi Broglio, 1969-1972). Essi risalgono secondo la prova del carbonio intorno ai 4000 anni a. Cristo. Notevoli anche gli scavi ripresi sulla Rocca di Rivoli, che hanno messo in luce una prima serie del più antico Neolitico: asce, scalpelli, bulini in pietra non più solo scheggiati, ma levigati. Negli strati successivi, come nella citata valle di Fimon, compaiono anche qui le scodelle a bocca quadrata con incisioni a zig-zag, caratteristiche di una cultura originale, secondo le più recenti ipotesi, della valle del Po, pur con notevoli influenze balcanico-danubiane. Esse appaiono pure nella grotta di Bocca Lorenza (Vicenza) e in altre località tipiche del passaggio dal Neolitico all'Eneolitico, periodo cui pure sono assegnati i ritrovamenti alla stazione di Colombare di Negrar (scavi Zorzi, 1953) e la parte superiore della menzionata stazione di Quinzano che per di più presenta i resti di una vera e propria necropoli col rito dell'inumazione a cadavere rannicchiato. Stazioni consimili sono poi tornate in luce nella Grotta della Galleria a E di Trieste, nel Friuli (stazioni di Palù alle sorgenti della Livenza, materiale raccolto presso San vito del Tagliamento) e nel Padovano (Castelnuovo di Teolo).
L'Eneolitico non offre una vera e propria frattura con l'età successiva del Bronzo se non l'apparire sempre più frequente di oggetti di questo materiale, conseguenza di rapporti più intensi con i grandi focolari di civiltà dell'Oriente mediterraneo e con i luoghi della stessa Italia dove esistevano giacimenti minerari. Vengono invece diminuendo gl'influssi della civiltà balcanico-danubiana. Della prima età del Bronzo è la stazione trovata in località Sabbionara (comune di Garda) che rientra nel quadro della cultura detta di Polada, la più nota e la più diffusa in questa età nell'Italia settentrionale, pur con notevoli varianti regionali nella zona berico-euganea e nel Veronese (Gazzo veronese). Caratteristiche le abitazioni palafitticole: le più antiche sono quelle di Peschiera di cui di recente sono tornati in luce altri elementi nei vicini Bordi Pacengo, Cisano e Lazise. Ulteriori chiarimenti sono poi venuti dagli scavi e dagli studi diretti da A. Aspes e L. Fasani nell'esplorazione di Franzine Nuove di Villa Bartolomea. Sono tutti grossi centri di produzione metallurgica che naturalmente cambiano le condizioni socio-economiche delle popolazioni di tipo agricolo-pastorale. E il cambiamento si spiega per il fatto di trovarsi lungo la valle dell'Adige, in contatto con le fonti transalpine che le approvvigionavano di materie prime, fenomeno che dura sino al 13°-12° secolo a. Cristo. Introducono invece già nel tardo Bronzo la tipica palafitta fluviale venuta in luce a S di Valeggio (Verona) in un isolotto e le molte altre citate dallo Zorzi. Meno nota ci è la regione veronese sud-orientale dove ricorrono manifestazioni culturali che si ricollegano all'ambiente terramaricolo emiliano (Tombola di Cerea) e ad altri aspetti dell'età del Bronzo. Le due zone sarebbero grosso modo separate dal corso del Tartaro.
Sia per variazioni ambientali sia per profondi mutamenti etnici, all'inizio dell'età del Ferro si ha l'abbandono di una vasta area della zona orientale e la progressiva comparsa di abitati sulle alture, quindi la decadenza del centro di Peschiera e nuovi insediamenti come Oppeano (da cui già venne il celebre elmo ora al Museo archeologico di Firenze), Rivoli, S. Briccio di Lavagna. Certo è difficile distinguere una fase protovillanoviana da una fase paleoveneta, anche perché le recenti ricerche dimostrano sempre più chiaramente che anche Verona e la sua provincia costituiscono un territorio integrante dei Veneti. A questo si aggiunge la cresciuta importanza di vecchi centri paleoveneti quale Padova, e la scoperta di nuovi quale Fratta Polesine.
I primi ritrovamenti di questa civiltà avvennero, com'è noto, or è un secolo, a Este, quindi la ricerca archeologica si era a lungo concentrata su questa città. Ma la scelta di Este-Padova quali sedi dell'XI Congresso di Studi Etruschi e Italici nel 1976 e la conseguente organizzazione di una specifica mostra sull'età preromana a Padova si è dimostrata felicissima anche perché ha coinciso con la felice scoperta di un materiale di primissimo piano nello stesso centro cittadino (area dello stabilimento Pilsen) e in zona periferica lungo il canale del Piovego, cosa che ha permesso una visione sintetico-evolutiva di una società dalle oscure origini, malamente distinguibili dal protovillanoviano (risalente cioè alla seconda metà del 2° millennio a. C.), all'integrazione nello stato romano. Né va dimenticato il contemporaneo riordino del ricchissimo Museo di Este anche se, come bene ha osservato il Sartori, non ne risulta diminuita la sostanziale modestia rispetto alle altre civiltà contemporanee nella penisola. Gli stessi rapporti sinora ambigui fra i Veneti e Roma non ne risultano del tutto chiariti. Le ricerche infine condotte nell'abitato protostorico di Fratta Polesine hanno offerto un ulteriore chiarimento alla facies protovillanoviana o paleoveneta datata tra l'11° e il 10° secolo, cioè leggermente anteriore alla fase iniziale di Este.
Altri centri paleoveneti sono stati scoperti e ristudiati di recente: Baldaria presso Colonia Veneta, Gazzo Veronese, Cerea, Povegliano, ma soprattutto Vicenza con il gruppo di preziose laminette votive scoperte nel centro della città. Buoni ultimi Altino, Oderzo e Concordia. Fuori della Venezia Euganea stanno la zona veneto-plavense con centri di Montebelluna e Mel con le caratteristiche tombe a circolo e la zona veneto-alpina con la stazione di Lagole presso Calalzo, un luogo ricco di acque salutari, perciò adatto a costruirvi un santuario dedicato, sembra, alla dea Ecate, del cui edificio non si è trovata traccia, ma dove è affiorata una serie di figurette bronzee e di oggetti per l'uso delle acque con iscrizioni (circa 150) che fanno di Lagole il centro più ricco in questo campo dopo Este.
Adria, in territorio veneto, ha una sua posizione tutta particolare, tanto che della sua veneticità ancora si discute. La più recente studiosa del problema, la Fogolari, accetta una presenza di Paleoveneti costituenti il nucleo preponderante della popolazione. Non si esclude però certo la possibilità di apporti transadriatici. La stessa varietà delle iscrizioni graffite sui vasi (una cinquantina tra venetiche, etrusco-venetiche, latino-venetiche) mostra la complessità dei suoi reperti. Vedi tav. f. t.
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