Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Da Padova lo stile rinascimentale centro-italiano giunge a Venezia attraverso l’influenza di Andrea Mantegna. Nelle botteghe di Jacopo Bellini e Antonio Vivarini si formano gli artisti che caratterizzano la pittura veneziana del Quattrocento: Gentile e Giovanni Bellini, Bartolomeo e Alvise Vivarini. A questi si aggiunge un pittore dell’entroterra: Giovanni Battista Cima da Conegliano.
Jacopo Bellini e Antonio Vivarini
Lo stile rinascimentale, dalla Firenze di Masaccio, Brunelleschi e Donatello, giunge nel Veneto e conosce la sua prima formulazione non nella città lagunare, bensì a Padova. Donatello soggiorna in questa città per circa dieci anni (1444-1453), lasciandovi testimonianze importanti quali l’altare bronzeo della basilica di Sant’Antonio e il monumento equestre al Gattamelata nello spazio prospiciente l’edificio sacro. Questo linguaggio, di un realismo a volte crudo, è di fondamentale importanza per Andrea Mantegna, il primo artista rinascimentale del Nord Italia. In lui lo stile donatelliano trova una sintesi con la cultura umanistica della città, nutrita dall’antico studio universitario.
Venezia invece non sembra cogliere le occasioni d’incontro con il nuovo linguaggio, costituite dalla presenza in città di Paolo Uccello tra il 1425 e il 1430, e dal breve soggiorno di Andrea del Castagno nel 1442. Altro motivo di resistenza era certamente la persistenza della cultura bizantina, la cui preziosità e astrazione si riscontrano ancora nel linguaggio tardo-gotico di Jacopo Bellini e Antonio Vivarini, le due personalità artistiche di maggiore spicco. Entrambi questi artisti, in circostanze diverse, entrano in contatto con Mantegna.
Il primo cerca di promuovere un sodalizio fra l’artista e la propria bottega, in cui sono impegnati i figli Gentile (1430 ca.-1507) e Giovanni (1431 ca.-1516), facendogli sposare la figlia Nicolosia nel 1453. Il secondo invece dà inizio, fra il 1447 e il 1450, insieme al suo socio Giovanni D’Alemagna (1411 ca. - 1450), alla decorazione della volta della cappella Ovetari nella chiesa padovana degli Eremitani, dove si manifesta il genio precoce di Andrea Mantegna. Sia Jacopo Bellini che Antonio Vivarini non sanno reagire in maniera adeguata all’impatto con il nuovo linguaggio rinascimentale.
Il loro modo di porsi è sostanzialmente opposto: Jacopo, attraverso il suo interesse per il mondo classico, aggiorna il suo stile, seppure timidamente, su quelle novità – lo testimonia la Madonna col Bambino benedicente (Lovere, Galleria Tadini), più plastica e naturalistica, con il libro in primo piano utilizzato per suggerire la dimensione spaziale. Antonio Vivarini sembra invece irrigidirsi su posizioni conservatrici con una sovrabbondanza di elementi decorativi e rigidità delle figure.
Gentile Bellini
In parallelo al rinnovamento della pittura veneta introdotto da Giovanni Bellini, anche il più anziano fratello Gentile accoglie alcune delle novità padovane. Insieme a Vittore Carpaccio coltiva una vena narrativa tipicamente veneziana. Essa si differenzia dagli esempi analoghi dell’Italia centrale per il supporto (grandi tele e non affreschi, date le condizioni climatiche della città), per lo sviluppo a fregio delle scene lungo le pareti e, soprattutto, per il suo essere destinata non alle chiese ma a confraternite laiche poste sotto il diretto controllo della Repubblica. Ciò comporta che i soggetti di carattere religioso siano spesso connotati da implicazioni sociali, a volte di propaganda politica celebrativa delle istituzioni della Serenissima. Il più importante di questi cicli, quello che decorava la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, è perduto, distrutto da un incendio nel 1577 poco tempo dopo il suo completamento.
Dei cicli narrativi di Gentile Bellini si conservano solo quelli eseguiti fra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento per due delle maggiori confraternite veneziane: la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista (Miracoli della reliquia della Vera Croce), la Scuola Grande di San Marco (sette scene della vita del santo). Rimasto incompiuto alla sua morte, questo secondo ciclo viene portato a compimento dal fratello Giovanni e da altri artisti. Nella grande tela con la Processione in piazza San Marco (Venezia, Gallerie dell’Accademia) per la prima delle due Scuole, datata 1496, Gentile mostra la sua abilità nel dispiegare la coralità della scena, entro cui l’evento miracoloso quasi scompare. L’artista rappresenta una società veneziana governata dall’armonia, in cui ogni classe sociale sfila ordinatamente in piazza San Marco, e si segnala per la capacità di creare una rappresentazione credibile e al tempo stesso idealizzata della città.
Gentile Bellini è anche ritrattista. Nel 1479 viene inviato a Costantinopoli al seguito di una missione diplomatica presso la corte del sultano Maometto II. Il ritratto del sultano eseguito da Gentile si conserva alla National Gallery di Londra. La sua abilità di ritrattista sta nell’acuta caratterizzazione fisionomica, resa attraverso dettagli naturalistici, che non impedisce tuttavia di conferire alla figura di profilo un icastico distacco, come nel Ritratto del doge Giovanni Mocenigo (Venezia, Museo Correr).
Bartolomeo e Alvise Vivarini
Nella pittura religiosa emergono come protagonisti Bartolomeo e Alvise Vivarini.
Bartolomeo è il primo a proporre, a metà degli anni Sessanta, un modello di pala d’altare in forma di sacra conversazione entro uno spazio unificato (Madonna col Bambino e santi del 1465, Napoli, Museo di Capodimonte), in anticipo su Giovanni Bellini.
Tuttavia, la persistenza dei caratteri tardo-gotici appare evidenti nella mancanza di coerenza spaziale, oltre che nella diversa scala di grandezza della Madonna col Bambino, mentre lo sfoggio di elementi tratti dall’antico che caratterizza Mantegna è qui soltanto pretesto decorativo.
Alvise Vivarini, figlio di Antonio e nipote di Bartolomeo, riesce a conciliare, nel periodo più felice della sua produzione artistica, le forme incise e smaltate tratte da Bartolomeo con le novità introdotte in laguna da Antonello da Messina, cui egli guarderà con costante interesse.
Si vedano i ritratti, come quello di gentiluomo firmato e datato 1497 (Londra, National Gallery), e le pale d’altare come quella già a Berlino (Kaiser Friedrich Museum, distrutta nel 1945), che richiama il capolavoro realizzato da Antonello per la chiesa veneziana di San Cassiano nel 1474 (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Alvise inoltre propone alcune soluzioni iconografiche innovative come nella Resurrezione per la chiesa veneziana di San Giovanni in Bragora (1497-1498 ca.).
Giovanni Battista Cima da Conegliano
Sull’altare maggiore della chiesa veneziana di San Giovanni in Bragora campeggia anche la pala realizzata da Giovanni Battista Cima da Conegliano raffigurante il Battesimo di Cristo, dove il classicismo delle figure e il bellissimo paesaggio in profondità danno vita a uno dei testi figurativi tra i più alti della pittura veneziana di fine Quattrocento.
Di poco successiva è un’altra pala raffigurante San Giovanni Battista e quattro santi, eseguita su commissione della famiglia Saraceno dal Zio per il primo altare a destra della chiesa della Madonna dell’Orto. L’artista sfrutta intelligentemente la posizione decentrata del dipinto, ambientando le figure in un’architettura in rovina che, orientandosi diagonalmente verso l’ingresso, si accorda con il punto di vista di chi entra nella chiesa. Cima da Conegliano è l’artista che rinnova maggiormente, nel corso degli anni Novanta del Quattrocento, la tipologia della sacra conversazione, precedendo Giovanni Bellini nella subordinazione dell’elemento architettonico all’ambientazione naturalistica, fino ad abolirlo completamente nella Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Ludovico di Tolosa (Venezia, Gallerie dell’Accademia).
La volumetria compatta delle figure e la luce limpida e chiara ne fanno uno degli artisti più seducenti del primo Rinascimento veneziano, lontano tuttavia dal nuovo classicismo cinquescentesco di Giorgione.