Venezia
"Salvare Venezia. Save Venice"
Strategie d'intervento per la laguna e la città
di Paolo Costa
15 marzo
Il Consiglio dei ministri rilancia il piano per salvaguardare Venezia, dando il via libera a un nuovo progetto complessivo che riguarda le dighe mobili e altri interventi diffusi, quali il rialzo delle rive e il rinforzo dei litorali. Particolare valore, anche simbolico, assumono i lavori di innalzamento del selciato in corrispondenza di Piazza San Marco, l'area che rappresenta il 'cuore' della città e che più di ogni altra è soggetta al fenomeno dell'acqua alta.
Salvaguardia e sviluppo
"Salvare Venezia. Save Venice". Fu il grido, l'imperativo, perfino lo slogan che riecheggiò nel mondo intero all'indomani della drammatica mareggiata del 4 novembre 1966 che, anche al di là degli incalcolabili danni materiali, assunse un valore simbolico. Quel giorno, infatti, nel quadro di una tragica ondata di maltempo che costellò l'Italia di vittime e di danni al patrimonio artistico, Venezia e gli altri centri storici lagunari furono sommersi per molte ore: infrante in più punti le difese a mare, le acque dell'Adriatico irruppero in laguna e la marea sfiorò i 2 m sopra il livello medio.
Emerse allora la consapevolezza che la sopravvivenza stessa della città non sarebbe mai più stata certa se non si fosse intervenuti per difenderla. Non era certo, questa, una novità nella ultramillenaria storia di Venezia: per conservare vitale la laguna, la Serenissima aveva attuato interventi colossali, di gravoso impegno tecnico e finanziario, prima - a cominciare dal 1324 fino al Seicento - con i 'tagli' per deviare dalla laguna le foci dei fiumi i cui sedimenti minacciavano di interrarla (ma insieme rafforzando le difese a mare), per poi giungere, a metà Settecento, alla costruzione delle colossali scogliere artificiali, i 'murazzi', per evitare il rischio opposto, quello dell'irruzione del mare.
La strategia di intervento fu prontamente definita avvalendosi del Rapporto su Venezia che l'UNESCO predispose nel 1969. In esso, l'analisi dei mali della città - ma anche delle sue potenzialità - fu compiuta a 360 gradi: dai pericoli delle mareggiate ai guasti determinati dall'inquinamento delle acque e dell'aria, dalle dinamiche demografiche di impoverimento del centro storico al degrado del patrimonio architettonico e artistico ai rischi della subsidenza e dell'eustatismo. Grazie all'allarme dell'UNESCO e alla sua opera di coordinamento, sorsero in tutto il mondo i Comitati privati per Venezia, i cui compiti primari sarebbero stati la tutela e il restauro di monumenti e di opere d'arte, che tuttora proseguono con risultati confortanti.
Il Rapporto dell'UNESCO confortò quanti da tempo andavano affermando che salvare Venezia non poteva significare soltanto preservarla dall'assalto delle acque alte, ma tramandarla come città abitata, viva e vissuta, capitale della cultura e centro direzionale: obiettivi che, sia pure in un clima culturale meno raffinato, erano già stati discussi ed elaborati in un grande Convegno internazionale promosso dal Comune e dalla Fondazione Cini nel 1962.
Il carattere unitario e sistemico della salvaguardia di Venezia - e di tutto il territorio gravitante sulla laguna - e quindi l'interconnessione e l'interdipendenza dei vari problemi, furono sanciti, sia pure in termini ancora elementari, dalla legge speciale che il Parlamento italiano approvò nel 1973, riconoscendo la salvaguardia come "problema di preminente interesse nazionale" e affermando che "la Repubblica garantisce la salvaguardia dell'ambiente paesistico, storico, archeologico ed artistico della città di Venezia e della sua laguna, ne tutela l'equilibrio idraulico, ne preserva l'ambiente dall'inquinamento atmosferico e delle acque e ne assicura la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione".
Nella definizione degli ambiti di competenza e nella relativa ripartizione, lo Stato riservò a sé le opere per la difesa dal mare e la salvaguardia della laguna, mentre alla Regione veniva affidata la tutela dagli inquinamenti delle acque, agli enti locali gli interventi di restauro e di risanamento conservativo. Nella successiva individuazione degli obiettivi, il quadro unitario degli interventi fu definito "nel rispetto delle esigenze di salvaguardia ambientale e di progresso economico", poi riassunto nello slogan "salvaguardia e sviluppo". Il primo degli obiettivi riguardava il problema della salvaguardia fisica e della difesa dal mare, ed era così prospettato: "l'abbattimento delle acque alte nei centri storici entro limiti tali da non turbare la funzionalità del sistema portuale, lo svolgimento delle attività quotidiane della popolazione e la difesa degli stessi centri dalle mareggiate di più forte e pericolosa entità".
In seguito, lo Stato italiano affidava a un concessionario - il Consorzio Venezia Nuova, appositamente costituito da un pool di imprese generali di costruzione nazionali e regionali - i settori di propria competenza, indicando al primo punto "studi, progettazioni, sperimentazioni ed opere volte al riequilibrio idrogeologico della laguna, all'arresto e all'inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all'eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all'attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa, con interventi localizzati, delle 'insulae' dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle 'acque alte' eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolazione delle maree, nel rispetto delle caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità" (caratteristiche, queste ultime, indicate prima in un ordine del giorno del Consiglio comunale di Venezia e quindi sancite da un voto del Consiglio superiore dei Lavori pubblici). A conferma della visione sistemica e quindi della strategia unitaria per la salvaguardia fisica della città, le opere di regolazione delle maree venivano anche collegate (e in un certo senso subordinate) a una serie di altri interventi, come l'adeguamento e il rinforzo dei moli foranei alle bocche lagunari, il ripristino della morfologia lagunare, l'arresto del processo di degrado della laguna, la difesa dei litorali, la sostituzione del traffico petrolifero in laguna, l'apertura delle valli da pesca all'espansione delle maree.
Nel 1984, per guidare l'attuazione degli interventi, veniva istituito un Comitato, costituito dal presidente del Consiglio dei ministri, dai ministri dei Lavori pubblici, dei Beni culturali e ambientali, della Marina mercantile, per l'Ecologia, per la Ricerca scientifica, dal presidente della Regione, dai sindaci di Venezia e di Chioggia, da due rappresentanti degli altri Comuni. Segretario del Comitato è il presidente del Magistrato alle acque, cui sono affidati compiti di indirizzo, coordinamento e controllo degli interventi.
Mose sì, Mose no
Dal 1966 l'attività dello Stato, della Regione, del Comune di Venezia e degli altri enti pubblici, ma anche quella di enti, istituti, associazioni privati, è proseguita su tutta la variegata gamma di obiettivi, pur con le difficoltà frapposte dal mutare delle situazioni, spesso rapido e incontrollato: ma l'attenzione del mondo intero è sempre rimasta sostanzialmente concentrata sul problema della difesa dalle alte maree, a più riprese attualizzata da eventi eccezionali che hanno colpito Venezia e la laguna, per fortuna senza le catastrofiche conseguenze di quell'anno. In un primo tempo la soluzione fu individuata in restringimenti fissi con opere mobili di sbarramento sui varchi per la navigazione, poi in sole opere mobili, costituite da una serie modulare di paratoie a spinte di galleggiamento accostate l'una all'altra, incernierate sul fondo e tra loro indipendenti, con le quali chiudere i canali di bocca tutte le volte che la marea supera un dato livello, allora fissato in 100 cm rispetto allo zero mareografico di Punta della Salute.
Una di queste paratoie - chiamata 'modulo sperimentale elettromeccanico', in sigla MoSE (e quindi, comunemente chiamata Mose) - è stata realizzata e sperimentata alla Bocca di porto di Lido. La paratoia, in lamiera di acciaio saldata, è costituita da un cassone a sezione rettangolare lungo 17 m, largo 20 m, con uno spessore di 3,5 m, e un peso di circa 200 t. Il suo nome è stato popolarmente assegnato per estensione all'intero progetto, ed è per questo che il lungo e impegnativo dibattito, tuttora in corso, è stato sinteticamente chiamato "Mose sì, Mose no". Una volta ancora, due fronti si sono contrapposti in città, quello dei fautori delle barriere mobili e quello dei sostenitori di interventi alternativi: da quelli per la modifica delle bocche di porto e dei canali lagunari a quelli per il rialzo dei selciati, ritenuti sufficienti a ridurre gli effetti negativi dell'acqua alta. Una volta ancora, perché ciò è già ripetutamente accaduto nella storia di Venezia, quando si sono dovute assumere decisioni importanti: in quest'ultimo secolo per la localizzazione del porto industriale in gronda lagunare o per la costruzione del ponte automobilistico translagunare, che ha definitivamente sancito la connessione di Venezia con la terraferma e la fine della sua insularità.
Ma del resto, proprio in materia di salvaguardia della laguna, è rimasta famosa ed esemplare la disputa, agli inizi del glorioso Cinquecento, tra il proto del Magistrato alle Acque, Cristoforo Sabbadino, progettista dei più importanti interventi idraulici, e il patrizio riformatore Alvise Cornaro, imprenditore agricolo e pioniere delle bonifiche: il primo, grande difensore della laguna, voleva subordinata alla sua difesa qualsiasi politica territoriale, mentre il secondo mirava ogni strategia, anche sulla laguna, in funzione della terraferma, nella quale egli vedeva i futuri destini della Repubblica Serenissima.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi. E non varrà la pena oggi, per le difese a mare, ripercorrere la ultraventennale travagliata storia di una contrapposizione e di una polemica nelle quali gli aspetti tecnici si sono fusi - e confusi - con logiche di schieramento politico e si sono rivestiti di motivazioni ideali (più spesso, ideologiche) che non hanno certo favorito la maturazione di una decisione il più possibile condivisa. Converrà soffermarsi invece sui fatti accaduti proprio tra la fine del 2000 e gli inizi del 2001 e che hanno segnato una svolta radicale nel processo decisionale, per di più recuperando quella visione unitaria e quella strategia sistemica che erano state accantonate nella contrapposizione sterile "fare-non fare".
L'acqua alta
Occorre però fare un passo indietro per fissare chiaramente i nuovi termini del problema. Cominciando con lo smentire un ricorrente ingiusto luogo comune: che a Venezia, cioè, dalla mareggiata del 1966 a oggi "non si è fatto niente". Non è vero. Anzi, molto è stato fatto, con un finanziamento della comunità nazionale superiore a 10.000 miliardi. La città oggi è in condizioni di maggiore sicurezza e di preparazione: basti ricordare che con i lavori già compiuti sulle difese a mare è scongiurato il rischio mortale corso allora; in più parti di Venezia e delle isole gli interventi diffusi stanno assicurando la protezione locale almeno a fronte delle acque alte più frequenti, quelle medio-basse; le reti di servizi (energia elettrica, telefono, gas) sono state messe in sicurezza, così come hanno fatto i privati per gli impianti negli ambienti di lavoro (e in quasi tutte le case) e per le merci nei negozi; è stato istituito un efficace servizio di previsione, di informazione e di allertamento, ed è stata realizzata una rete di passerelle lunga 4 km sui più importanti percorsi. I disagi non sono scomparsi ma la situazione odierna è totalmente diversa da quella del 1966. Non si dimentichi, infine, il risultato del blocco degli emungimenti d'acqua dal sottosuolo, che in pochi decenni aveva prodotto una subsidenza superiore ai 10 cm, ora fermata.
Tutto questo consente oggi a Venezia di ridurre a disagi quelli che, un tempo, erano pericoli nel caso di marea medio-alta e di limitare i danni in caso di marea eccezionale, almeno fino a una quota attorno ai 130 cm. Se però la marea supera questa quota, come è successo il 6 novembre 2000, danni e disagi diventano nuovamente pesanti; e se dovesse ripetersi un evento come quello del 4 novembre 1966, essi sarebbero di drammatica gravità. Di qui, la necessità - sostanzialmente condivisa da tutti - di accelerare e concludere il processo decisionale sui progetti di difesa.
Va inoltre ricordato un altro aspetto del problema, spesso ignorato. Al di là dei danni immediati, l'acqua alta incide pesantemente sull'accesso alla città e sulla mobilità interna, contribuendo quindi alla scelta di abbandono degli insediamenti di attività produttive pubbliche e private, le quali già soffrono per i problemi di accessibilità e le difficoltà nel trasporto, che oggi si configurano come vincoli strutturali non soltanto per lo sviluppo ma per lo stesso mantenimento delle attività nella città storica. Bisogna dire chiaramente che l'effetto dell'accumulo della quotidiana inaccessibilità relativa da trasporto con le acque alte fa intravedere prospettive molto preoccupanti per l'intera base economica veneziana: ogni giorno si annotano segnali sempre più allarmanti in questa direzione. E anche se i veneziani reagiscono con molta tenacia, il ripetersi del fenomeno li logora: molti parlano di 'umiliazione', 'avvilimento', 'scoramento'. Non è monetizzabile, ma il grave danno delle acque alte sotto il profilo psicologico non può essere sottovalutato, perché ne va della 'tenuta' dell'anima stessa della città.
È d'obbligo ancora segnalare che un analogo e grave handicap alla vita della città, finora causato dalle basse maree, è invece avviato a soluzione con il 'progetto integrato rii' e lo scavo dei fanghi dal fondo dei canali per il ripristino di adeguate quote di navigabilità, scavo ripreso dall'Amministrazione comunale negli ultimi anni, dopo decenni di abbandono, e che ormai si configura come una gigantesca operazione costante di manutenzione ordinaria dei rii, di consolidamento delle rive e delle fondazioni, di restauro dei ponti, di sistemazione razionale dei sottoservizi, di rialzo dei selciati, operazione affidata a un'apposita società per azioni, Insula. La rete di circa 50 km di rii è un sistema di comunicazione e di trasporto indispensabile per la vita della città; ed è attraverso questa rete che si assicura il vitale processo di diluizione e smaltimento degli scarichi grazie al flusso ricorrente delle maree.
Interventi diffusi e locali
Tutto questo, per meglio far rilevare che non si tratta di dire sì o no al Mose, visto come la grande opera capace da sola di compiere miracoli. Il sistema di barriere mobili sarà solo un 'pezzo', per quanto fondamentale, di un più vasto e complesso sistema di difesa, che dovrà misurarsi, oltretutto, con i nuovi - anche se ancora non del tutto precisi - scenari rispetto ai prossimi mutamenti climatici e ai conseguenti effetti sul livello dei mari, e in particolare sul livello dell'Alto Adriatico. La decisione del Consiglio dei ministri del marzo 2001, che recepisce sostanzialmente le indicazioni maturate anche sulla base di un profondo confronto in città e in Consiglio comunale, nasce dalla convinzione acquisita - anche in considerazione degli scenari sull'innalzamento medio del mare in conseguenza dei cambiamenti climatici - che non vi sia alternatività tra gli interventi 'diffusi', quelli 'locali' e le opere mobili alle bocche.
Gli interventi diffusi e locali non sono da soli capaci di difendere Venezia dalle acque alte ma, contribuendo ad abbattere le punte di marea, aiutano a ridurre il numero delle volte che si dovrà ricorrere alle chiusure mobili. Ne consegue che, con indubbi benefici sul ricambio d'acqua naturale mare-laguna, prima di passare alla definitiva progettazione esecutiva delle opere mobili, si deve procedere in modo contestuale a far avanzare la progettazione degli interventi necessari a ottimizzare il ricambio mare-laguna, alla riattivazione dei dinamismi naturali della laguna, al contrasto delle azioni direttamente distruttive dell'ambiente lagunare, nonché continuare con gli interventi di rialzo locale, ove possibile; il progetto delle opere mobili - che nel frattempo è ovviamente 'invecchiato' e che richiede quindi di essere rivisto e aggiornato - andrà insomma integrato con l'insieme di interventi collaterali locali e diffusi, compresa la ricalibratura delle bocche di porto, e i relativi nuovi passi di progettazione andranno avanti in parallelo. L'importanza della decisione sta proprio in questo: l'aver affermato - o riaffermato, se si vuole - che i grandi obiettivi, la difesa degli abitati dalle acque alte e il riequilibrio della morfologia lagunare sono contestuali e non alternativi. Ciò significa poter andare avanti senza più 'guerre di religione'.
L'area di Piazza San Marco
All'interno di questa strategia, si situa il più importante progetto di difesa locale, un progetto di straordinario valore simbolico, pari all'importanza concreta: quello per il rialzo del selciato dell'area marciana, e soprattutto del suo cuore, la Piazza San Marco, la zona più pregiata e più conosciuta, l'immagine che identifica Venezia stessa, ma anche la più bassa della città (il portone centrale della Basilica è situato ad appena poco più di 60 cm sul medio mare), e che viene pressoché interamente allagata con un livello di 100 cm di marea, il che accade in media sette volte all'anno.
Nel 2000 la marea ha superato 200 volte il livello di 60 cm sul medio mare, quello in cui l'acqua comincia a lambire il nartece e l'ingresso della Basilica, e ha superato 81 volte il livello di 80 cm, allagando quindi altrettante volte gran parte di Piazza San Marco, con un ovvio effetto di immagine che colpisce l'opinione pubblica mondiale in maniera anche sproporzionata rispetto all'effettivo impatto di quell'alta marea sulla vita della città storica, che per il 96% è situata a un livello superiore.
Tre sono i modi attraverso cui l'acqua invade la Piazza: per sormonto delle rive; per filtrazione dal sottosuolo; per risalita attraverso i tombini. Il progetto predisposto dal Ministero dei Lavori pubblici attraverso il Magistrato alle Acque-Consorzio Venezia Nuova risponde, in modo integrato, sia alla necessità di proteggere l'area di San Marco dagli allagamenti sia a quella, che si profila altrettanto urgente, di realizzare un restauro completo della pavimentazione e un riassetto generale del sottosuolo.
Come spiega la relazione che accompagna il progetto, la messa a punto delle soluzioni operative, avvenuta dopo il confronto tra alternative diverse, è proceduta secondo principi progettuali che imponevano di non modificare la quota della Piazza e di non alterare in alcun modo l'attuale assetto statico degli edifici sulla piazza, lasciando inalterati i rapporti che si sono determinati tra terreni di fondazione, presenza di acqua nel sottosuolo, sollecitazioni prodotte dal peso stesso degli edifici.
Rispetto alle acque alte, per contrastare l'allagamento per sormonto si rialzeranno fino a 100 cm soltanto il Molo sul Bacino - per un fronte di 170 m - e la pavimentazione retrostante, ricreando in tal modo la pendenza necessaria per il naturale deflusso delle acque in laguna.
Per evitare l'allagamento per risalita dai tombini e per filtrazione, invece, si procederà a isolare l'antica rete di cunicoli sotterranei dall'acqua che risale dai rii e dagli spazi acquei che circondano l'insula. Contemporaneamente sarà predisposto il nuovo sistema di collettamento delle acque piovane attraverso un'apposita rete di condotti. La rete sarà collegata a una stazione di sollevamento, da installare ai Giardini reali, per consentire il deflusso dell'acqua in laguna in caso di alta marea. Nell'ambito di questi lavori si provvederà anche alla razionalizzazione delle reti dei sottoservizi, unificando i tracciati delle linee esistenti lungo percorsi prestabiliti.
Oltre al riassetto del sottosuolo, per bloccare possibili fenomeni di filtrazione dell'acqua non localizzabili, e quindi non direttamente controllabili, è stata studiata un'eventuale, ulteriore, misura cautelativa. Si prevede di disporre una membrana impermeabile di bentonite (composto argilloso) sotto alla pavimentazione delle aree pubbliche a quota inferiore a 100 cm e sotto il nartece della basilica. La membrana sarà connessa agli edifici situati ai lati della Piazza e della Piazzetta San Marco (Procuratie, Biblioteca Marciana, Palazzo Ducale, ecc.) o alle aree adiacenti già situate a livello di sicurezza. Sopra alla bentonite verranno collocati sabbia e gli originari 'masegni' di trachite, opportunamente restaurati, in modo da creare uno strato con spessore e peso calcolati in modo da contrastare la spinta dell'acqua dal basso.
La necessità della membrana di bentonite sarà accertata al termine della prima fase dei lavori, che interessa il molo sul bacino. Dopo il restauro della riva e l'intercettazione provvisoria degli scarichi si potrà infatti verificare se e in che misura vi sia ancora filtrazione di acqua attraverso la muratura e il terreno.
Contestualmente ai lavori sul suolo pubblico, la protezione dell'area marciana richiede anche interventi per difendere fino a 100 cm gli esercizi commerciali - in totale 42 - situati al piano terra delle Procuratie vecchie, mediante 'vasche di tenuta' con membrane impermeabili o rialzi delle pavimentazioni.
In considerazione dell'importanza dell'area marciana, della sua posizione strategica e della sua valenza turistica, l'intero programma di lavori - che durerà circa cinque anni - si svolgerà in modo da non chiudere mai la Piazza, per non impedire il passaggio, e ridurre al minimo i disagi. Si procederà, infatti, attraverso un unico cantiere che opererà di volta in volta su una singola area di circa 400 m2, mentre la recinzione sarà tale da rendere sempre visibili le lavorazioni in corso.
Rivitalizzare la città
Il recupero dell'area marciana, integrato nel quadro degli interventi di salvaguardia della città lagunare, non deve distrarre però da altri aspetti della vita di Venezia. Dopo l'acqua alta eccezionale del 4 novembre 1966, il pericolo per la sopravvivenza stessa della città storica ha attratto ogni attenzione, lasciando in secondo piano la questione di quale potesse essere la naturale evoluzione socioeconomica di Venezia. L'ipotesi prevalente di 'sviluppo' è venuta a coincidere con l'idea della sopravvivenza stessa di Venezia come monumento e, a lungo, è sembrato trascurabile il fatto che a Venezia operasse una comunità sottoposta a stimoli e sollecitazioni analoghi a quelli che agiscono in altre città italiane.
In tale ottica, a partire dagli anni Sessanta, furono riviste o abbandonate ipotesi di sviluppo che potessero interferire con i progetti di salvaguardia della città, senza peraltro che venissero approntati progetti alternativi, compatibili ed ecosostenibili. A oggi, il grave ritardo nella realizzazione delle grandi opere di protezione dalle maree è parallelo alle conseguenze di un mancato sviluppo, che è a sua volta divenuto un fronte dell'emergenza del 'problema Venezia'.
La salvaguardia fisica è necessità prioritaria e strategica per Venezia. Ma non è tutto: a nulla infatti varrebbe la pura difesa fisica, se non fosse destinata a una città rivitalizzata sotto il profilo sociale ed economico, a una città abitata, viva e vitale, e ritornata a una vita 'normale'. Già il rapporto dell'UNESCO annotava con preoccupazione il crescente depauperamento numerico e il costante invecchiamento della popolazione e si interrogava sul futuro sia della capacità di edilizia residenziale sia delle attività produttive nella città storica. Il calo della popolazione - che con termine di richiamo biblico è stato definito esodo - ha colpito Venezia, come gli altri centri storici italiani (e non soltanto italiani), ed è stato causato soprattutto dal problema della casa, a Venezia più pesante che altrove, anche per la reale assenza di aree edificabili.
Ma le conseguenze sono state in gran parte diverse dalle altre città: la soluzione di continuità tra la città insulare e la sua terraferma comporta anche una radicale trasformazione dei modi di vivere, dall'andare a piedi all'andare in macchina, tanto per dirla con parole semplici, che innesca meccanismi di cesura psicologica prima ancora che fisica e quindi determina spinte al 'non ritorno'. Ogni giorno, in realtà, giungono a Venezia dal suo hinterland decine di migliaia di pendolari. E questo pendolarismo rende di fatto - almeno di giorno - la popolazione presente in città ben più numerosa dei suoi residenti, anche senza parlare del flusso turistico, e sottolineando invece la presenza degli studenti universitari, stanziali e pendolari.
Il decremento e l'invecchiamento della popolazione hanno pesantemente influito sulla rete commerciale, con un calo quantitativo della domanda e una diminuzione della sua complessità, che si sono sommati al vorticoso aumento della diversa richiesta del turismo pendolare, con una vistosa trasformazione del sistema dei negozi e dei pubblici esercizi, e un rialzo dei prezzi che pesa non poco sul vivere a Venezia. L'intervento diretto del Comune - un migliaio di nuovi alloggi pubblici, tra recuperi, acquisizioni, nuove costruzioni - e quello indiretto, con contributi finanziari ai restauri del patrimonio residenziale privato - che ha soddisfatto circa 185 domande - consentono oggi di fronteggiare meglio il fenomeno, pur non potendo competere con il mercato delle seconde case e con quello dell'affitto temporaneo a turisti e a studenti.
Se si aggiungono gli interventi di ristrutturazione di edifici monumentali a uso pubblico, a cominciare dai musei, e quelli per la sistemazione delle scuole, si può tranquillamente affermare che Venezia è oggi la città più restaurata del mondo. Ma tutto questo non basta. Venezia soffre ancora - oltre al problema delle acque alte - di due gravi handicap: il primo è l'emarginazione nella quale si è trovata nell'era della grande fabbrica, che l'ha estraniata dai processi di sviluppo del territorio regionale, ponendola in una situazione di 'ritardo' e confinandola nel solo ruolo di meta turistica, sempre più di massa (e quindi sempre meno di qualità); il secondo è costituito dagli oggettivi ostacoli strutturali nell'accessibilità al centro storico, nei collegamenti con la terraferma, nella mobilità interna, che stanno impedendo il salto di scala nella qualità della vita e nello sviluppo competitivo.
Storicamente, Venezia ha sempre cercato il modo per ovviare alla propria insularità e al conseguente possibile isolamento. Per secoli ha sfruttato il rapporto privilegiato con il mare, trasformando in opportunità quello che nasceva come limite; oggi, l'esperienza può essere ripetuta e traslata grazie alle possibilità offerte dalla società dell'informazione. I canali informatici sono in grado di far superare le difficoltà legate ai tempi lunghi di Venezia. Inoltre, l'apertura internazionale della città, la sua tradizione commerciale, la vocazione alla comunicazione rendono Venezia un terreno fertile, ideale per lo sviluppo di nuove attività tecnologiche.
Perché le potenzialità legate allo sviluppo di una Venezia digitale prendano corpo, non è possibile tuttavia immaginare che si determini una naturale convergenza tra le dinamiche della nuova economia e l'evoluzione del sistema economico locale: tali potenzialità possono essere colte soltanto nell'ambito di un progetto collettivo, che definisca quali siano i nuovi profili professionali e le nuove realtà imprenditoriali capaci di valorizzare le molte specificità di Venezia. Si tratterà di turismo, di servizi, di rielaborazione culturale, di attività da sviluppare con l'appoggio e il sostegno di forze economiche e politiche garanti di un piano di rilancio a livello internazionale.
Nell'attuale fase di passaggio dalla società industriale alla società del sapere, tutto il 'sistema urbano' di Venezia - d'acqua e di terra, antico e nuovo, e quindi la città storica e Mestre - trova (o ritrova) oggi evidenti possibilità e prospettive, insperate fino a poco fa, per ritornare a essere competitivo, nello scenario della nuova società dell'informazione, e nei nuovi processi di integrazione mondiale dell'economia, in particolare quella digitale. Per questo, sono da gestire nel miglior modo possibile le potenzialità e le opportunità sia del centro storico (si pensi soltanto al grande complesso dell'Arsenale), sia in terraferma (a cominciare dalla risorsa della 'nuova' Marghera da risanare, in cui lo sviluppo industriale sia compatibile con l'ecosistema).
Venezia, nel suo insieme, è ideale piattaforma logistica di tutto il Nord-Est per collegare le vaste aree industrializzate dell'Europa ai mercati e ai fornitori di materie prime dell'Est, del Medio Oriente, dell'Africa settentrionale. All'interno del progetto, ogni parte del territorio dovrà valorizzare le proprie specifiche potenzialità: per es., Venezia, nel settore della cultura, come luogo non solo di immagine, ma di ricerca, di sperimentazione, di innovazione, e nel settore del turismo di qualità; Marghera con il recupero e il riutilizzo delle aree e con produzioni legate alle nuove tecnologie, alla ricerca, all'immateriale; Mestre con un ruolo di snodo nel sistema commerciale ma anche quale spazio per attività terziarie pregiate, e per la ricerca e la produzione della cultura contemporanea.
Rimuovere gli handicap
Per raggiungere questi obiettivi - e con essi la salvezza di Venezia anche per le generazioni future - occorre prima di tutto rimuovere quegli ostacoli strutturali e infrastrutturali che costituiscono dei pesanti handicap, capaci di impedire il salto di scala del sistema urbano veneziano nella qualità della vita e nello sviluppo competitivo. In terraferma, il nodo da sciogliere è quello dal mancato collegamento fra i tronchi autostradali, per liberare la mobilità dell'intero Nord-Est e di un'ancor più vasta area del paese dalla 'strozzatura' della tangenziale di Mestre, separando così anche i flussi di attraversamento da quelli locali.
Fondamentale per la vitalità del sistema urbano - per la mobilità delle persone e delle merci, come per la localizzazione nella città storica delle attività produttive terziarie e direzionali - è il miglioramento dei collegamenti tra le diverse parti del territorio, soprattutto riducendo i tempi di percorrenza tra gli insediamenti lagunari e gli insediamenti di terraferma. Un sistema pubblico di trasporto veloce tra Venezia e Mestre - con l'utilizzo di tutte le tecnologie più appropriate, dal tram veloce alla sublagunare - che garantisca rapide ed efficienti connessioni con i nuovi luoghi dello sviluppo e renda concreta l'integrazione tra la città lagunare e la terraferma, varrà anche a sostenere le ragioni dello 'stare assieme' tra le diverse parti della città. E, sollevando il centro storico dalla penalizzazione dei lunghi tempi di percorrenza e dalla barriera - psicologica prima ancora che fisica - dell'isolamento, contribuirà a rendere 'interessante' la residenza nella città insulare, oggi sconfitta dalla concorrenza della terraferma.
L'altro grande problema da risolvere è la mancanza di una base economica adeguata, che dovrà essere creata al più presto per rispondere alle richieste della nuova fase postindustriale, e dovrà essere competitiva su scala europea, assicurando lavoro e reddito all'intera area veneziana nel lungo periodo. Dal porto all'aeroporto, dalle aree dismesse di Porto Marghera all'Arsenale, dal Parco scientifico e tecnologico alle isole della laguna, Venezia oggi può contare su grandi potenzialità da sfruttare e su nuove opportunità da cogliere: è necessario che tanto gli enti pubblici quanto gli imprenditori privati operino in modo da creare le condizioni affinché gli attori economici nazionali e internazionali - a cominciare da quelli operanti nell'ambito delle nuove forme di economia dell'immateriale - trovino convenienza a insediarsi a Venezia.
Bisogna raggiungere in tempi brevi una 'massa critica' per competere con gli altri sistemi urbani su scala europea e mondiale: la creazione di un'adeguata base economica richiede, in primis, una revisione dell'intervento speciale, per passare dal sostegno finanziario dell'Italia a interventi dell'Europa (e, in prospettiva, del mondo intero) per lo sviluppo della città.
Città di cultura e di turismo
Venezia è città di cultura, ricca di biblioteche e di archivi, oltre che di musei e di monumenti; è sede di università vivaci, di fondazioni prestigiose, di associazioni attive, oltre che di mostre e di festival; ha un'intensa e qualificata attività teatrale e musicale. È un centro moderno di ricerca e di produzione, oltre che un'incomparabile 'vetrina'. Nei grandi eventi come nell'attività quotidiana - straordinariamente ricco è il programma di conferenze, spettacoli, film, convegni, concerti, mostre - Venezia svolge un vero 'servizio' per tutto il mondo, quale capitale internazionale della cultura, e quindi crocevia di conoscenze ed espressioni diverse, spazio di dialogo e di incontro. L'impegno al recupero e all'ampliamento dell'offerta culturale cittadina, a cominciare dalla ristrutturazione funzionale di antiche sedi, è tra le priorità della pubblica amministrazione: il 2001 ha visto la riapertura del secentesco Teatro Malibran - nell'attesa del completamento dei riavviati lavori di ricostruzione del Teatro La Fenice - e del Museo del Settecento Veneziano a Ca' Rezzonico, mentre è prossima alla riapertura Ca' Pesaro con il Museo d'arte moderna; ma ha visto anche l'inaugurazione del Centro Culturale Candiani a Mestre, che sarà il centro motore di un sistema organico di produzione e di offerta delle nuove e più avanzate espressioni artistiche, nell'ambiente giovane, dinamico e vivace della terraferma veneziana.
Un altro 'servizio' per tutto il mondo Venezia lo svolge con l'offerta ai turisti del proprio patrimonio storico e di una rete commerciale di altissima qualità e di meritata fama. Il turismo dovrà continuare a rimanere una componente fondamentale della vita e dell'economia di Venezia. Anzi, dovrà sempre più connotarsi come una grande risorsa da mettere a disposizione dell'intera città. Negli ultimi anni, grandi investitori privati hanno ripreso a scommettere su Venezia con lo sguardo rivolto al turismo 'di qualità'. Da una parte si deve quindi puntare a riqualificare il comparto con una più attenta presenza nello scenario internazionale e con politiche differenziate per meglio rispondere alle diverse esigenze delle diverse tipologie del turismo (per es., al turismo congressuale, al turismo nautico, al turismo naturalista ecc.). Dall'altra parte si devono regolare in modo più equilibrato i flussi turistici, sia realizzando i terminal e differenziando gli accessi alla città storica, sia incentivando le prenotazioni con l'utilizzo delle più avanzate tecnologie e con l'offerta di speciali 'pacchetti', sia diffondendo il turismo anche in zone di una Venezia ingiustamente ritenuta 'minore'.
È certo che i turisti devono aspettarsi di sostenere, sia pur parzialmente, l'onere per i servizi di cui fruiscono e per contribuire al mantenimento del patrimonio delle città storiche, ma una tassa d'ingresso non ha senso. Il controllo dei flussi turistici andrà dunque attuato attraverso un sistema di prenotazioni che utilizzi le nuove tecnologie; bisogna poi pensare a offrire soluzioni economicamente più vantaggiose a chi viene a Venezia prenotando. La proposta di una card turistica - già avviata in fase sperimentale e prossima al lancio - potrà costituire la mossa vincente per assicurare ai turisti la migliore qualità della visita, attenuando per i veneziani gli impatti e i disagi dei grandi affollamenti.
"Salvare Venezia, Save Venice" significa oggi riproporla come città viva e vissuta, abitata e frequentata, sede di attività produttive, centro direzionale, capitale di cultura, grande meta del turismo, al sicuro dalla minaccia del mare, in una laguna risanata e pulita, una città resa 'più vicina' alla terraferma e con essa più integrata. Punto di partenza di questo ambizioso - ma non impossibile - disegno è la consapevolezza di una realtà profondamente, radicalmente, mutata rispetto ai giorni della mareggiata del 4 novembre 1966.
Venezia è patrimonio del mondo. Spetta ai veneziani conservare questo patrimonio e insieme cogliere le nuove grandi opportunità e potenzialità della loro città. E però, spetta al Parlamento italiano ma anche all'Unione Europea e al mondo intero, contribuire a conservare il 'bene' Venezia e a tramandarlo alle generazioni future, non più soltanto come 'monumento' ma anche come città viva e attiva. A tutti coloro che, in ogni parte del mondo, considerano Venezia come un patrimonio anche loro, Venezia può oggi chiedere di valutare quale contributo essi possano dare per aiutarla a sostenere la fatica e i costi - e a condividere la responsabilità ma anche l'onore e l'orgoglio - della salvezza di tanto patrimonio.
La configurazione geografica e i poli urbani
La laguna
Venezia è posta al centro dell'omonima laguna, con la quale è da sempre in simbiosi ambientale e socioeconomica: un rapporto particolarissimo, per cui non vi sono elementi della struttura urbanistica ed edilizia o delle attività della città che non risultino più o meno direttamente condizionati dalla presenza dell'acqua.
La laguna di Venezia, compresa tra l'antica foce del Piave a nord e la foce del Brenta a sud, si estende parallelamente alla costa per circa 52 km, con una larghezza compresa tra gli 8 e i 14 km, per una superficie complessiva di 552 km2. Sul bordo esterno presenta una sottile striscia di sabbia, o 'tombolo', su cui si aprono tre bocche (di Chioggia, di Malamocco e di Lido), che la mettono in comunicazione con il mare; la morfologia di questo ambito è stata profondamente modificata dall'intervento dell'uomo, non solo con la progressiva colonizzazione, ma anche con l'approfondimento delle bocche, per permettere l'accesso delle grandi navi alle zone portuali di Venezia e Porto Marghera, e il loro imbrigliamento mediante lunghi moli, le dighe foranee. Nel bordo interno, verso l'entroterra, la laguna è delimitata dal suo bacino scolante, un'area pianeggiante solcata dai corsi d'acqua che vi si riversano.
Il paesaggio delle acque interne è il prodotto dell'azione di erosione e di deposito operata da due forze antagoniste, da un lato il mare con l'azione delle maree, dall'altro i fiumi che interrano i fondali con fanghi e detriti. Il flusso delle maree ha scavato i fondali della 'laguna viva' (la parte dove l'effetto della marea è intenso, contrapposta alla 'laguna morta'), costruendo la rete dei canali utilizzati per la navigazione interna a causa della loro maggiore profondità rispetto ai 50 cm del valore medio. L'accumulo di detriti di sabbia e argilla portati dal fiumi o dal mare, invece, ha determinato la formazione di 'velme', vere e proprie isole di fango, sommerse durante l'alta marea e affioranti durante la bassa, e di 'barene', isolotti acquitrinosi e con una bassa vegetazione palustre emergenti a fior d'acqua.
Nella parte centrale della laguna, dove le acque diventano più profonde, si trova una serie di isole urbanizzate e modificate dal lavoro dell'uomo. L'antropizzazione ha richiesto fin dalle origini difficili interventi di modifica ambientale: innalzamento dei bordi degli isolotti più idonei all'insediamento con graticci di vimini, legname e banchine di pietra; riempimento e sopraelevazione dei fondali a fior d'acqua per trasformarli in terraferma, ampliando in tal modo la superficie edificabile; consolidamento dei suoli fangosi con impiego delle tecniche dei palafitticoli, fissando al suolo migliaia di pali che fuori dal contatto dell'aria induriscono come cemento.
Il movimento delle acque della laguna è regolato dalle maree che, con l'alternarsi del flusso e del riflusso, sommergono o fanno affiorare le sponde più basse delle barene e le velme, modificando in tal modo il paesaggio e la sua percezione visiva. In particolari condizioni meteorologiche, quando durante l'alta marea soffia anche il vento di scirocco o vi sono burrasche nell'Adriatico, si verifica l'acqua alta: allora la laguna si rigonfia fino a coprire interamente le barene, invadendo la rete di canali e le zone più basse degli abitati. La frequenza e l'entità del fenomeno (che per convenzione viene misurato in riferimento al livello medio del mare del 1897, misurato a Punta della Salute) sono notevolmente aumentate nel corso del tempo: se all'inizio del 20° secolo Piazza San Marco era coperta dall'acqua 3-4 volte l'anno, ora si allaga in media 40-50 volte, con punte anche nettamente superiori (101 volte nel 1996; 81 volte nel 2000; l'altezza massima raggiunta è stata +194 cm, durante l'alluvione del 4 novembre 1966). Questo aumento è dovuto all'incidenza di un insieme di fattori, derivati dall'attività umana, fra i quali la subsidenza, cioè lo sprofondamento dovuto al pompaggio di acque per scopi industriali e allo sgonfiamento degli strati superiori connesso all'estrazione del metano nel delta del Po, e la progressiva riduzione della superficie lagunare, dovuta soprattutto alla bonifica di barene per ottenere terreni agricoli e all'arginatura di specchi d'acqua per ricavare valli da pesca.
In generale, la subsidenza, la riduzione del bacino, le escavazioni dei canali per ottenere percorsi rettilinei più idonei alla navigazione, le modificazioni del regime sedimentario e l'erosione delle maree (la cui azione disgregatrice è nettamente cresciuta, non essendoci più l'apporto dei sedimenti fluviali, per la diversione dei fiumi dal bacino scolante, e quello dei fanghi dall'Adriatico per l'ostacolo opposto dalle dighe foranee), l'eustatismo (cioè l'aumento del livello del mare per modificazioni climatiche della Terra), il moto ondoso dei natanti e l'eccessivo apporto di prodotti nutrienti e inquinanti di origine agricola, industriale e civile, hanno modificato tutto l'ecosistema lagunare facendo prevalere gli specchi d'acqua più profondi e inquinati a discapito delle barene e dei canali minori. Il fenomeno è ormai così evidente da far apparire molte zone della laguna, in particolare quella centrale, maggiormente battuta dal moto ondoso, come un braccio di mare.
La struttura urbana
L'insediamento storico di Venezia, suddiviso in sei zone o sestieri (Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Marco, San Polo e Santa Croce), si articola su un complesso di 120 isole, profondamente artificializzate e consolidate da un'intensa opera palafitticola e di copertura lapidea, assiepate attorno alla doppia ansa della via d'acqua principale, il Canal Grande, che rappresenta l'elemento organizzatore di una fitta rete di 177 canali minori ('rii').
L'agglomerato urbano rivela una forte continuità storica, mostrandosi come un massa compatta densamente edificata su lotti allungati, attestati sui canali direttamente o attraverso la mediazione di percorsi pedonali ('rive' e 'fondamente'), e attraversata da un fitto reticolo di 'calli' e 'campi' (le vie e le piazze della tipica toponomastica veneziana). L'acqua ne è comunque il connettivo essenziale.
La struttura urbana premoderna, con i suoi poli, appare tuttora chiaramente leggibile, sebbene modificata nelle destinazioni funzionali. Il complesso costituito da Piazza San Marco, delimitata dalle cinquecentesche Procuratie, e dalla contigua piazzetta omonima ha rappresentato per secoli il centro politico e amministrativo della città, avente come sede civile il Palazzo Ducale, fondato nel 9° secolo e completamente ricostruito fra il 14° e il 15° secolo, e come sede religiosa la Basilica Marciana, anch'essa fondata nel 9° secolo e poi interamente riedificata nell'11° secolo.
Rialto, simboleggiato dal ponte edificato nel 1591 al posto di quello ligneo in sito dal 1180, è stato sempre il motore economico e commerciale della Repubblica, come testimoniano le numerose storiche botteghe, ma anche i toponimi dei palazzi limitrofi (per es., il Fondaco dei Tedeschi, che era la sede dei mercanti nordeuropei, e le Fabbriche Nuove, dove avevano sede le Magistra-ture giudicanti in affari commerciali) e delle rive adiacenti (per es., la Riva del Carbon e la Riva del Vin, dove venivano venduti quei prodotti); oggi vi permane il mercato alimentare, testimoniato dai toponimi Naranzeria, Erberia, Pescaria, Beccarie e Ruga dei Speziali, mentre nulla resta delle funzioni finanziarie e assicurative, se non i toponimi di Sotoportego del Banco Giro e Calle de la Sicurtà. È al porto di Rialto che facevano capo le complesse operazioni economiche della Serenissima. Qui lo Stato, retto da un'oligarchia di grandi mercanti e banchieri, sorvegliava gli scambi e le intermediazioni d'affari; organizzava i viaggi marittimi in convogli ('mude') per il Levante (Siria e Libano), il Mar Nero, Alessandria d'Egitto, l'Africa, il sud della Francia, le Fiandre, decidendone i calendari; sovrintendeva al deposito, ai noli e alla riesportazione delle merci che affluivano sulla piazza veneziana.
Il Canal Grande connette idealmente e fisicamente questi due poli dell'attività urbana, con la sua doppia cortina di grandiosi palazzi signorili (tra cui la Ca' da Mosto, la Ca' d'Oro, il palazzo Grimani, il palazzo Grassi) e di splendide chiese (come Santa Maria della Salute).
Ma la vocazione marinara di Venezia e il suo diretto rapporto con l'acqua si esprimono compiutamente nell'Arsenale, vasta area nella parte orientale della città, destinata un tempo alla costruzione e manutenzione delle navi; proteso verso il mare, l'Arsenale rappresentava la vera porta d'ingresso alla città. Iniziato forse nel 1104, fu ingrandito una prima volta nel 1304, quando fu cinto di mura e fornito di una nuova grande darsena e di nuovi scali e officine di cordami: veniva così completato il cosiddetto Arsenale Vecchio. L'Arsenale Nuovo e quello Novissimo furono aggiunti rispettivamente nel 1325 e nel 1473, epoca in cui questo era il cantiere meglio attrezzato, più vasto e moderno operante in Europa. Ingrandimenti successivi del 1531 ('riparto alle galeazze') e del 1564 portarono l'area complessiva a 260.000 m2, comprendenti le officine, la corderia ('tana'), le velerie, gli scali scoperti e coperti, le tre darsene, le sale d'arte. Vi si mettevano in opera le galere tonde da mercato (fino a 250 t) e le navi lunghe da guerra, che avvalendosi del doppio sistema della vela e dei remi, d'ideazione veneziana, assicuravano la regolarità della navigazione. Il dinamico quadro dell'Arsenale in piena attività è descritto da Dante: "Quale ne l'arzanà de' Viniziani / bolle l'inverno la tenace pece […] chi fa suo legno novo e chi ristoppa / le coste a quel che più vïaggi fece; / chi ribatte da proda e chi da poppa; / altri fa remi e altri volge sarte…" (Inferno XXI, 8-14). Ancora agli inizi del Seicento Galileo, allora dottore all'Università di Padova, si recava di frequente all'Arsenale dove "tra gli 'artefici' ce n'erano alcuni 'peritissimi' e di 'finissimo discorso', e dalla loro voce poteva apprendere particolari sui più ingegnosi procedimenti costruttivi dell'epoca".
La realtà veneziana lagunare, tuttavia, non è assimilabile al solo centro storico: intorno a esso esiste tutta una costellazione di insediamenti (insulari e non) che viene convenzionalmente identificata con la denominazione di 'estuario'. Tali insediamenti furono contraddistinti fin dalle origini da quei caratteri di autonomia e di specializzazione, che in passato ne hanno decretato la fortuna e che invece, successivamente, ne hanno comportato il lento abbandono. Le isole minori della laguna erano, nel 1850, una settantina: circa la metà è completamente scomparsa (come le favolose Ammiana e Costanziaca), inghiottita dalle dinamiche idrauliche; altre (come Torcello) lasciano solo intravedere gli antichi fasti; la maggior parte, comunque, è in stato di completo abbandono (come l'antico centro di Poveglia, o il complesso delle isole 'ospedaliere' e 'militari'). Vi sono, però, anche importanti esempi di vitalità, come Murano (dove si coltiva l'arte del vetro fin dal 1295, anno in cui tutte le fornaci furono quivi segregate per limitare i pericoli di incendio) e Burano (famosa per i suoi merletti fin dal 16° secolo). Diversa appare la condizione dei litorali che separano la laguna dal Mare Adriatico: il Lido di Venezia, dall'apertura del primo stabilimento balneare avvenuta nel 1857, è diventato uno dei centri del turismo internazionale. Analogamente il Litorale del Cavallino dalla metà del secolo scorso è meta ambita dai campeggiatori di tutto il mondo, pur non rinunciando alla sua tradizionale vocazione orticola.
Storia di Venezia: da Regina del mare a città dipendente
I domini 'da mar'
L'origine di Venezia è collegata alle invasioni barbariche del 5°-7° secolo, e in particolare alla pressione dei Longobardi. Quando questi, nella prima metà del 7° secolo, si impadronirono dei capisaldi del sistema difensivo bizantino (Oderzo, Padova, Altino), i superstiti si rifugiarono nelle isole della laguna, già abitata, seppure in modo limitato, dal 5° secolo, quando le popolazioni di terraferma vi avevano cercato scampo dalle incursioni dei Visigoti e degli Unni. Si organizzò allora il ducato bizantino della Venezia, dipendente dall'esarcato di Ravenna, di cui furono capitali dapprima Civitas nova, poi chiamata Eraclea, nella laguna di Oderzo, poi Malamocco. A capo dello Stato era il doge (termine che deriva dal dux romano-bizantino), in un primo tempo di nomina imperiale, poi eletto dall'assemblea generale dei cittadini. Secondo la tradizione, il primo doge eletto fu, nel 697, Paoluccio Anafesto.
La particolare condizione geografica di Venezia la salvaguardò dalle aspre lotte che per tutto l'Alto Medioevo lacerarono le città della terraferma e, al tempo stesso, ne condizionò la formazione urbanistica, caratterizzata da un insieme di nuclei costituito da un insieme di isolette, separate l'una dall'altra da canali o da superfici acquee: ogni isoletta si organizzò attorno al suo campo, la piazza centrale, con la sua chiesa. Ai limiti orientale e occidentale della città, due chiese risalenti al 7° secolo, San Pietro di Castello e San Nicolo dei Mendicoli nel sestiere di Dorsoduro, testimoniano che già in età così antica Venezia aveva un'estensione pari pressappoco a quella attuale.
L'opposizione del ducato alle leggi iconoclastiche di Leone Isaurico e poi il crollo dell'esarcato di Ravenna (751), che portò all'abbandono a sé stessi dei ducati bizantini in Italia, accelerarono lo svincolamento delle isole lagunari dal dominio di Bisanzio e il loro costituirsi a vita autonoma. Alla fine dell'8° secolo, dopo aver respinto un tentativo di conquista da parte di Pipino, re d'Italia, gli abitanti della laguna trasferirono la loro capitale dal lido di Malamocco all'isola di Rialto, più centrale e sicura. Qui, fra il 9° e il 10° secolo, veniva costituita la civitas, che fu prima civitas Rivoalti poi civitas Venetiarum. Partendo da Rialto, la città si infittì progressivamente di costruzioni, che colmarono parzialmente gli spazi acquei fra le varie isole, fino a ridurli agli attuali canali. L'urbanizzazione fu più spiccata lungo i bordi delle isole che si affacciano sul Canal Grande e sul bacino di San Marco. Nell'828 qui fu trasportata da Alessandria d'Egitto la reliquia di s. Marco Evangelista, proclamato patrono della città.
Intanto, mentre l'Europa centro-occidentale era ancora in fase assai arretrata, la primitiva comunità di pescatori e salinari, e poi di battellieri impegnati a trasferire merci orientali attraverso i fiumi dell'Italia settentrionale oltre Pavia, si trasformava in una nazione marinara dedita a lucrose attività mercantili svolte in regime di quasi monopolio soprattutto con Bisanzio e l'Oriente.
La necessità di disporre di rotte libere e sicure portò i veneziani a spedizioni armate contro slavi e saraceni e poi in Dalmazia; da qui la penetrazione si estese all'Istria, poi discese lungo il litorale albanese, finché nel corso dell'11° secolo Venezia arrivò ad assicurarsi il controllo di tutto l'Adriatico. A tale riguardo fondamentale risultò l'appoggio fornito ai bizantini nella guerra contro i normanni di Roberto il Guiscardo: in cambio i veneziani, nel 1082, ottennero dall'imperatore Alessio Comneno la Bolla d'Oro, che concedeva grandissimi privilegi al loro commercio. Tutti i traffici marittimi esercitati nell'Adriatico dovevano passare per il porto di Venezia, e le dogane e le imposte sugli scambi vennero a costituire una cospicua entrata per lo Stato. Simbolo della crescente potenza della Repubblica è la basilica di San Marco, che fu ricostruita fra il 1063 e il 1094, in splendide forme bizantineggianti e con un ricchissimo apparato decorativo.
In Oriente i primi stanziamenti veneziani furono successivi alla prima crociata (12° secolo) e si fissarono, con scali ed empori, sulle coste siriache e palestinesi (Giaffa, Sidone, Tiro, San Giovanni d'Acri ecc.). L'espansione fu favorita dal pactum Warmundi, così chiamato dal nome del patriarca di Gerusalemme: concesso ai veneziani nel 1123, estendeva i loro privilegi a tutte le città del regno di Gerusalemme. L'ascesa della città in Oriente culminò con la quarta crociata e la fondazione dell'Impero Latino d'Oriente (1204-61), quando il doge di Venezia divenne signore della 'quarta parte e mezza' dell'impero bizantino. Si costituì allora un vero dominio coloniale veneziano in Oriente. I possessi in Morea (Peloponneso), nelle isole egee, a Candia (Creta) e sulle coste del Mar Nero, fecero di Venezia la vera arbitra dell'Oriente. Le 'mude' intensificarono i loro percorsi in un reticolo sempre più denso di linee marittime.
Alla base del successo economico di Venezia erano la perfetta organizzazione amministrativa e la stabilità delle istituzioni politiche. Al vertice dello Stato era il doge, assistito dal Consiglio dei Dieci e dai circa 2000 membri del Maggior Consiglio, dai quali il doge e i suoi consiglieri erano eletti. Nel 1297 la cosiddetta 'serrata del Maggior Consiglio' ne limitò la partecipazione a una minoranza di famiglie nobili, trasformando la struttura del governo della Repubblica in un'oligarchia ereditaria.
I guadagni provenienti dai traffici commerciali si traducevano in un'intensa attività edilizia. Non avendo la città nuovo terreno a disposizione su cui espandersi, vennero rifatti e sopraelevati gli edifici, aumentati i percorsi pedonali con la posa di nuovi ponti e fondamenta. È la nascita della città di pietra e marmo destinata, da allora in poi, a suscitare stupore e ammirazione nei visitatori. Fra il 13° e il 14° secolo vennero fondate chiese grandiose, fra cui quelle degli ordini mendicanti, Santa Maria Gloriosa dei Frari e Santi Giovanni e Paolo, e iniziò la ricostruzione del Palazzo Ducale.
Con il 13° secolo, le colonie veneziane, che fino ad allora avevano avuto carattere unicamente commerciale, si trasformarono in colonie territoriali, soprattutto nel bacino dell'Egeo, anche se sopravvissero stabilimenti semplicemente mercantili. I domini territoriali furono governati da Venezia in duplice modo: quelli strategicamente più importanti erano amministrati direttamente dalla Repubblica tramite un proprio governatore; gli altri venivano concessi con investitura a sudditi veneziani. Questo sistema cominciò a subire modificazioni alla fine del 14° secolo, quando la crescente pressione dei turchi costrinse Venezia a estendere sempre più il suo dominio diretto, riscattando e riassorbendo le signorie feudali. Ma in realtà il dominio coloniale di Venezia non ebbe mai unità di governo: diviso in una molteplicità di frammenti, senza continuità territoriale, mancò sempre di coesione interna. Più che un impero territoriale, fu un impero economico, caratterizzato da diversi elementi: conquista di basi strategiche cruciali, subordinazione delle economie più deboli, egemonia dei traffici internazionali, attrazione e gestione di capitali. Venezia guidava l'economia di una vastissima area geografica non solo per la sua attività commerciale e i suoi velieri, ma anche per l'esigenza degli operatori economici di altre nazioni di confluire a Venezia quale centro del mercato mondiale. All'apogeo della potenza veneziana, infatti, tutte le linee di navigazione erano in attività simultaneamente - galere di Siria, di Levante, di Tana e Romania, d'Alessandria, d'Acque Morte in Francia, delle Fiandre, di Barberia -, praticando anche il cabotaggio di porto in porto. Le mude erano interdipendenti e le merci portate dalle une erano riprese dalle altre, secondo calendari prestabiliti, nei magazzini della Dogana da Mar. Così i trasporti veneziani formavano un sistema continuo e l'andirivieni delle navi rappresentava il circuito più rapido che esistesse per la rotazione di capitali mercantili.
I domini 'da terra'
La fortunata espansione di Venezia in Oriente determinò il suo conflitto con Genova per la supremazia nel Mediterraneo. Dapprima, fra il 1256 e il 1270, l'urto rimase localizzato in Oriente, poi dall'Egeo si spostò nell'Adriatico, fino al conflitto decisivo del 1378-81, quando i genovesi, entrati nell'Adriatico, presero Chioggia bloccando Venezia; alla guerra pose fine, dopo la riconquista di Chioggia e la sconfitta della flotta genovese, la pace di Torino, che coincise con l'entrata in una nuova fase della storia veneziana, fase chiamata della 'politica di terraferma'. Da allora, infatti, Venezia perseguì una sistematica penetrazione nel retroterra veneto, giungendo rapidamente al Mincio ed entrando in conflitto con i duchi di Milano. Il nuovo orientamento politico aveva caratteri di necessità: il bisogno di assicurare più ampio respiro alla città verso Occidente, e la possibilità di trarre uomini e mezzi da possedimenti sulla terraferma per poter fronteggiare le aggressioni dei turchi a Oriente.
La politica di espansione territoriale in Italia e l'urto con Milano - conflitto che costituisce una specie di linea direttiva della storia italiana del secolo 15° e l'asse intorno a cui si organizzano alleanze e rivalità degli altri Stati italiani - e la difesa dei domini orientali sono i due motivi centrali della storia veneziana dalla fine del secolo 14° all'inizio del 16°. Con l'avanzata in terraferma Venezia si assicurò il possesso di Padova e Verona e del patriarcato di Aquileia; poi, entrata in lotta con Filippo Maria Visconti, ottenne Brescia e Bergamo, Crema, il Polesine di Rovigo; da ultimo estese la sua influenza sulle città pugliesi (Otranto, Brindisi, Trani, Monopoli) e sulla Romagna (1504). Venezia appariva 'formidolosa', temibile per tutti i potentati, e sembrò aspirare alla 'monarchia d'Italia'. Sollecitato da papa Giulio II, si formò allora lo schieramento antiveneziano di quasi tutte le forze politiche europee nella lega di Cambrai, finché le battaglie di Agnadello e Polesella (1510) posero fine alla fase dell'espansione territoriale veneziana. Intanto la scoperta dell'America spostava il baricentro dell'Europa verso la Spagna e il Portogallo e Venezia, tagliata fuori dalle rotte atlantiche, vedeva sensibilmente ridotto il volume dei suoi affari.
In Oriente continuava il conflitto contro i turchi, che dopo l'occupazione di Costantinopoli (1453) premevano con crescente insistenza sui domini veneziani. La Repubblica prese parte da protagonista alla battaglia di Lepanto (1571), investita del ruolo di 'baluardo di tutta la cristianità', ma non riuscì a evitare che alle perdite di Negroponte, delle Sporadi, di Lemno, Argo, Croia, Scutari, facessero seguito quelle di Cipro (1573) e di altri possedimenti e scali nell'Egeo e nel Peloponneso.
Nonostante la crisi imminente, Venezia conobbe nel 16° secolo una stagione di grande rinnovamento edilizio, conseguenza anche di un sensibile incremento demografico (prima della grande pestilenza del 1575, la popolazione toccò il traguardo massimo di 175.000 abitanti). In seguito a un grande incendio che colpì Rialto nel 1513, fu interamente ristrutturata quella zona della città, con l'edificazione di strutture quali il palazzo dei Camerlenghi e quello dei Dieci Savi, e la posa del nuovo ponte. A Piazza San Marco furono costruite, a partire dal 1514, le Procuratie Vecchie e, dal 1582, le Procuratie Nuove, dal 1537 la Zecca e la Libreria; sulla sponda opposta del bacino, furono realizzate dal Palladio, 'proto della basilica', cioè direttore dei lavori pubblici veneziani, dal 1570 al 1580, le due grandi chiese periferiche del Redentore e di San Giorgio Maggiore. Per tutto il Cinquecento, inoltre, le famiglie nobili fecero a gara nel farsi erigere grandiosi palazzi sul Canal Grande, che sempre più andò configurandosi come un corso acqueo monumentale.
Nel 17° secolo Venezia fu impegnata nella difesa dei suoi confini di terraferma (guerra di Gradisca contro l'Austria, 1615-17), ma soprattutto in altre guerre contro i turchi che ebbero come conseguenza, nel 1671, la perdita di Candia, inadeguatamente compensata dall'acquisto di territori in Dalmazia e dalla temporanea riconquista della Morea. Dopo la pace di Passarowitz (1718), che obbligò la Serenissima alla restituzione della Morea e di tutti i possessi 'da mar', rimasero alla Repubblica solo le isole Ionie.
Era così del tutto cessata la potenza di Venezia sul mare, ma al declino commerciale e politico la città reagì diventando, per gli europei del 18° secolo, un polo di attrazione culturale, famoso per le feste, gli spettacoli, le piacevolezze di un turismo d'élite ante litteram. A questa stagione di una Repubblica aristocratica sopravvissuta a sé stessa pose fine il trattato di Campoformio (1797), con il quale Venezia fu ceduta da Napoleone all'Austria, cessando di esistere come Stato autonomo.
La città dall'Ottocento a oggi
Con la perdita dell'indipendenza e poi con l'annessione al Regno d'Italia (nel 1866, in seguito alla guerra austro-prussiana e alla sconfitta degli austriaci a Sadowa), Venezia con la sua laguna diveniva una 'porzione indifferenziata' all'interno di un organismo statale, che in generale si mostrò indifferente alla specificità della sua morfologia, mentre si presentava l'aggravante di una rivoluzione industriale che accelerava i processi di sviluppo e di modifica ambientale. L'unità della laguna, mantenuta dalle accorte politiche della Repubblica, veniva disaggregata a causa di insediamenti e attività in conflitto con il suo equilibrio.
La geografia urbana ed economica di Venezia trova un riferimento importante, nonché una cesura, nella data del 4 gennaio 1846, quando vi giunse il primo treno attraverso un ponte ferroviario translagunare (che diverrà anche automobilistico nel 1933), cancellandone l'insularità. Sempre in epoca austriaca furono costruiti i ponti, in ferro, dell'Accademia (1854) e degli Scalzi (1858) e fu realizzata la stazione ferroviaria di Santa Lucia (1865).
Dopo l'Unità, l'ampliamento delle attività portuali alla Giudecca e l'insediamento di impianti industriali provocarono un ulteriore spostamento del baricentro della città da oriente a occidente, dal mare alla terra. Tra il 1919 e il 1922 prese corpo la prima zona industriale di Porto Marghera, annessa al nuovo porto commerciale, con l'escavazione di un canale e la realizzazione di una città-giardino operaia. Nel 1926 Marghera e Mestre furono unite amministrativamente a Venezia, con la quale vennero a costituire un unico comune.
Da allora, la terraferma, divenuta sede di uno dei maggiori agglomerati italiani di industria pesante, è stato il polo dello sviluppo economico e demografico di Venezia. In particolare Mestre, favorita dalle più facili comunicazioni di terraferma e dalla presenza dell'aeroporto intenazionale Marco Polo, ha progressivamente sottratto a Venezia attività direzionali a servizio della provincia, della regione, del porto, incentivando il fenomeno dell'emigrazione dal centro storico. Qui, nella seconda metà del 20° secolo, la diminuzione della popolazione residente ha assunto proporzioni sempre più preoccupanti: dalle 175.000 unità nel 1951 gli abitanti sono scesi a meno di 70.000, contro i più di 180.000 della terraferma. Questo progressivo svuotamento, che in certe aree ha permesso azioni speculative e in certe altre ha determinato uno stato di completo abbandono, comporta il rischio di una trasformazione in senso 'museale' della città, totalmente preda dell'attività turistica. Oggi infatti Venezia vive essenzialmente di turismo, richiamato, oltre che dal suo eccezionale patrimonio architettonico e artistico, da eventi culturali di importanza internazionale, primi fra tutti la Biennale d'Arte e il Festival del Cinema, e da manifestazioni folcloristiche, come il Carnevale.
Precedenti storici della difesa della laguna
La difesa della laguna per il mantenimento dell'egemonia sul mare fu un problema di vitale importanza nei secoli della Repubblica. Un editto del Cinquecento recita: "La città dei Veneti, fondata sulle acque per la Divina Provvidenza, che la difendono come fossero mura […]. Chiunque avrà osato recar danno alle pubbliche acque, sarà giudicato come nemico della patria. Questo editto sia valido in perpetuo". Si sviluppò allora una scienza idraulica che elaborò un progetto complessivo e unitario per la salvaguardia della laguna, coadiuvato dall'istituzione di un Magistrato delle acque.
Un primo elemento di squilibrio era dovuto all'interramento progressivo che ostacolava l'accesso delle navi. Per evitare l'insabbiamento della laguna e l'eccessivo accumulo dei detriti portati dai fiumi del Padovano e Trevigiano, gli ingegneri della Serenissima, dopo l'annessione dei territori circostanti, misero a punto un imponente piano di diversione fluviale che prevedeva lo spostamento del corso dei fiumi all'esterno della laguna, deviandone le foci o a sud di Chioggia o a nord di Iesolo, ai confini del bacino. Già un primo isolato intervento, nel 1330, aveva deviato con un argine la foce del Brenta, che con i suoi detriti rischiava di impaludare un sestiere della città favorendo anche l'insorgenza di manifestazioni epidemiche come la malaria. Nel Cinquecento, con opere ben più imponenti, furono effettuati la diversione del Bacchiglione e il taglio del Po a Porto Viro, che deviò definitivamente il fiume verso sud dando origine al delta attuale. Ancora ai primi del Seicento, il taglio 'novissimo' del Brenta unificava la sua foce con quella del Bacchiglione; altri interventi interessarono il Piave e il Sile.
Un secondo aspetto affrontato dai tecnici della Repubblica fu quello delle maree, il cui sopravvento poteva mettere in pericolo il fragile equilibrio della laguna. Cristoforo Sabbatino, il più grande idraulico del Cinquecento, osservando il livello del mare durante l'alta marea, annotava che questa "va crescendo secondo che 'l va restringendo la laguna e crescerà fino a che l'acqua della laguna se farà una istessa con quella de il mar [… ] questo non potrà causarsi senza la ruina di questa città". Per assicurare la libera espansione della maree, utili al drenaggio dei canali, ed evitare al tempo stesso l'acqua alta, si dovevano mantenere inalterati lo spazio e la superficie complessiva della laguna. La Repubblica soppresse alcune saline, aprì nuovi canali, proibì opere di bonifica delle aree paludose attorno ai bordi e soprattutto fissò, materialmente con cippi, la conterminazione lagunare, il perimetro entro cui era vietato qualsiasi intervento di modifica. Al Settecento risale il consolidamento del fronte litoraneo con i 'murazzi in pietre e muratura'.