Venezia
Città del Veneto, capoluogo della regione, posta al centro dell’omonima laguna. L’origine della città è collegata alle invasioni barbariche, che, fra il sec. 5° e il 7°, devastarono l’Italia settentrionale, e soprattutto alla pressione dei longobardi. Questi eventi intensificarono la migrazione di genti di terraferma in cerca di riparo nelle isole della laguna. Qui si organizzò il ducato bizantino della V., dipendente dall’esarcato di Ravenna. Il crollo di quest’ultimo, nel 751, affrettò il processo di svincolo delle isole lagunari dal dominio di Bisanzio e il loro costituirsi a vita autonoma. Fu fra il sec. 9° e il 10° che nel cuore della laguna venne costituita la civitas, che fu prima civitas Rivoalti, poi civitas Venetiarum. A V. giunse nell’828 la reliquia di s. Marco Evangelista (trafugata ad Alessandria d’Egitto), proclamato patrono della nuova città, insieme al precedente, s. Teodoro, e qui, gradualmente, tra il sec. 9° e il 10°, venne ordinandosi l’unità territoriale e politica del ducato autonomo. I rapporti esterni vennero regolati secondo il Trattato franco-bizantino di Aquisgrana (811-814), poi confluito nell’840 nel pactum Lotharii, più volte rinnovato, in seguito, dagli imperatori occidentali; e la città fiorì rapidamente – nonostante aspre lotte interne di famiglie – grazie al movimento commerciale che a essa faceva capo. La fortuna di V. fu dovuta infatti all’intenso traffico mediterraneo (specialmente con Bisanzio e con l’Oriente), che essa poté svolgere accaparrandosi un monopolio commerciale fruttuosissimo. Proprio la necessità di avere via libera e sicura condusse i veneziani alle prime spedizioni armate, nel 9° sec., contro slavi e saraceni; e poi, nel 1000, alla spedizione in Dalmazia, da cui il doge Pietro Orseolo II tornò col titolo di dux Dalmatiae, dopo aver ottenuto dalla comunità dalmata promessa di fedeltà e di collaborazione contro gli slavi (più tardi il doge di V. assumerà anche il titolo di duca della Croazia). Da allora, l’ascesa fu continua. Nel corso del sec. 11° fu assicurato il dominio dell’Adriatico: la flotta veneziana appoggiò i bizantini (1081-85) nella guerra contro i normanni di Roberto il Guiscardo, ottenendo in cambio (1082) da Alessio Comneno la Bolla d’oro che concedeva grandissimi privilegi al commercio veneziano. Nel sec. 12° furono gettate le basi dell’impero in Levante, mediante la partecipazione alle crociate, con l’acquisto di scali ed empori; fondamentale fu il pactum Warmundi (dal nome del patriarca di Gerusalemme) concesso nel 1123 ai veneziani dalle autorità del regno di Gerusalemme, che estendeva i loro privilegi a tutte le città del regno. L’ascesa della città in Oriente culminò con la quarta crociata: grazie a essa il doge Enrico Dandolo ottenne (1202) il riacquisto di Zara e, dopo la conquista di Costantinopoli e la fondazione dell’impero latino d’Oriente (1204), domini tali, in Morea, nelle isole dell’arcipelago e a Candia, da fare di V. la vera padrona dell’Oriente sino alla caduta dell’impero latino e al Trattato di Ninfeo (1261). Proprio questa fortunata espansione doveva determinare il conflitto fra V. e Genova per la supremazia nel Mediterraneo, destinato a durare sino alla fine del sec. 14°. Dapprima (1256-70) l’urto rimase localizzato in Oriente, poi dall’Egeo si spostò nell’Adriatico culminando nella guerra di Chioggia (1378-81): i genovesi presero Chioggia, ma i veneziani riuscirono poi a sconfiggere la flotta genovese e la Pace di Torino del 1381 pose fine al conflitto. Questo stesso periodo aveva visto, all’interno, mutamenti di fondamentale importanza, determinati dalle leggi del doge Pietro Gradenigo (1297 e 1299), note sotto il nome di serrata del Maggior consiglio, e dalle repressioni di rivolte di alcune famiglie aristocratiche: congiura di Baiamonte Tiepolo e Marco Querini (1310), congiura di Marino Faliero (1355). Con la fine del sec. 14° si entrò in una nuova fase della politica veneziana, caratterizzata dall’espansione in terraferma. Già in precedenza V. aveva effettuato conquiste nel retroterra veneto (Treviso) e nella costa istriana, suscitando le ire del re d’Ungheria e dei da Carrara, signori di Padova, che, nella guerra di Chioggia avevano stretto alleanza con Genova. Ma solo dopo il Trattato di Torino V. perseguì una politica di sistematica penetrazione nel proprio retroterra. La politica di espansione territoriale nella pianura padana e, di conseguenza, l’urto con Milano, e la difesa del dominio in Oriente contro i turchi furono i due motivi centrali della storia veneziana dalla fine del sec. 14° all’inizio del sec. 16°. Conquistate Padova e Verona (1404-05), acquistata definitivamente, dopo alterne vicende, la Dalmazia, V. si impossessò anche del patriarcato di Aquileia (1418-20); poi, entrata in lotta con Filippo Maria Visconti, con la Pace di Ferrara (1428) ottenne Brescia e Bergamo, nel 1447 Crema, e con la Pace di Bagnolo il Polesine di Rovigo (1484); da ultimo estese la sua influenza sulle città pugliesi (Otranto, Brindisi, Trani, Monopoli) e sulla Romagna nel 1504. L’espansione allarmò i potentati italiani, e non solo. Sollecitati da papa Giulio II le si schierarono contro nella Lega di Cambrai anche Massimiliano d’Asburgo e il re di Francia Luigi XII, desideroso di recuperare le terre milanesi in mano ai veneziani. La battaglia di Agnadello del 14 maggio 1509, con la vittoria francese, seguita (1510) da quella di Polesella, segnò la fine dell’espansione veneziana. V. reagì al duro colpo e seppe approfittare dei contrasti fra i suoi nemici per salvare in massima parte il suo Stato di terraferma che riuscì a recuperare in un decennio, ma la grande politica era finita. S’impegnò ancora nella difesa del confine di terraferma orientale (guerra di Gradisca, contro l’Austria, 1616-17) e in Oriente dove, sino all’inizio del sec. 18°, V. fu ancora il grande avversario dei turchi, nonostante la perdita della Morea (1540), di Cipro (1569-73) e di Candia, dopo una più che ventennale lotta (1645-69). Negli ultimi decenni del sec. 17° F. Morosini riconquistava la Morea (1684, Pace di Carlowitz 1699), che comunque V. avrebbe poi dovuto cedere, con quanto possedeva ancora nell’Egeo, con la Pace di Passarowitz (1718). Un’ultima impresa militare si ebbe nella seconda metà del sec. 18° con le vittorie di A. Emo sui Barbareschi, ma ormai la potenza veneziana era finita; per gli europei del sec. 18°, la città diventò soprattutto un polo di attrazione culturale. Con il Trattato di Campoformio (1797), V. fu ceduta da Napoleone all’Austria e cessò anche di esistere come Stato indipendente. Nel 1848, dopo la notizia della rivoluzione di Vienna, V. si ribellò all’oppressione austriaca. In seguito alle forti agitazioni popolari furono cacciati gli austriaci (22 marzo) e si formò un governo provvisorio, guidato da D. Manin, che deliberò la fusione di V. con il regno di Sardegna. La sconfitta di Custoza (23-25 luglio) e poi l’armistizio Salasco (9 ag.) provocarono nuovi tumulti nella popolazione, spingendo Manin a proclamare la repubblica e a organizzare la difesa della città. Stretto un blocco intorno a V., gli austriaci intensificarono l’assedio dopo la disfatta piemontese a Novara (1849); la città resistette strenuamente fino al 23 ag., quando fu costretta a capitolare. V. tornò quindi sotto il dominio dell’Austria fino al 1866, quando fu annessa al regno d’Italia. Dopo l’unità V. si è riorganizzata puntando sulla formazione di una moderna base industriale a Porto Marghera, sulla razionalizzazione del centro storico, sul lancio turistico, oggi determinante per l’economia della città, insieme con le funzioni amministrative, mentre i quartieri di terraferma si stanno riconvertendo dall’industria pesante (cantieristica, petrolchimica) al terziario. Del comune cittadino fanno parte gli insediamenti disseminati nella laguna, nonché Mestre (rilevante per le funzioni industriali e commerciali), Marghera (industrie, porto, ricerca) e altre espansioni di terraferma, nel complesso assai più popolose del centro antico, dove la popolazione si è drasticamente ridotta.
I domini veneziani «da mar» comprendevano, oltre ai possessi del Levante, anche quelli adriatici. In questa parte la penetrazione cominciò dalla Dalmazia (sec. 11°), e si estese poi all’Istria e al litorale albanese. Imponendo a queste terre la propria protezione militare, V. ne rispettò gli istituti amministrativi e politici, sotto il controllo di propri funzionari investiti dei gradi di duca o conte a vita. Solo tra i secc. 12° e 13°, V. iniziò a imporvi un dominio diretto. Questo accadde prima in Istria che in Dalmazia, dove si incontrò tenace resistenza. Le trasformazioni furono del resto graduali e solo nel sec. 14°, di fronte alla minacciosa pressione ungherese, V. si preoccupò di raggiungere un’organizzazione militare unitaria dei domini di Dalmazia. In Oriente i primi stanziamenti veneziani furono successivi alla prima crociata e si fissarono sulle coste siriache e palestinesi (San Giovanni d’Acri, Giaffa, Sidone, Tripoli di Siria, Tiro ecc.), per poi estendersi alle isole Egee, a Costantinopoli e sulle coste del Mar Nero. Per tutto il sec. 12° si trattava però ancora di colonie unicamente commerciali: ogni colonia, retta o dagli stessi mercanti o da un ufficiale (console o bailo o podestà) designato dal governo della madrepatria, era modellata sugli ordinamenti veneziani e beneficiava di foro privilegiato, di esenzioni fiscali, e anche di una zona extraterritoriale costituita da una o più contrade e di scali nel porto (in alcuni casi aveva addirittura la proprietà di una parte del porto). Con la quarta crociata (1204) la situazione cambiò: il doge di Venezia divenne il signore della «quarta parte e mezza» dell’impero bizantino e, anche se la repubblica non riuscì a mantenere sotto il suo effettivo controllo un territorio così vasto, si formò allora un vero dominio coloniale veneziano in Oriente. Le colonie commerciali si trasformarono in colonie territoriali, almeno in una gran parte del bacino dell’Egeo, anche se sopravvissero stabilimenti semplicemente commerciali, in territorio politicamente dipendente da altre autorità, per es. a Costantinopoli, ad Aleppo, in Egitto. Accanto a essi sorsero le vere e proprie colonie, possesso territoriale di V., da lei sola dipendenti: così l’isola di Candia, le isole dell’Egeo, alcuni punti della terraferma greca. Queste colonie furono amministrate da V. in duplice modo: le più importanti strategicamente furono amministrate direttamente dalla repubblica con un proprio governatore (come a Candia, a Negroponte nell’Eubea ecc.); le altre invece furono concesse, con investitura, a sudditi veneziani (così Nasso ai Sanudo, Andro ai Dandolo, Serifo e Chio ai Ghisi, Stampalia ai Querini, Cerigo ai Venier, Santorino ai Barozzi, ecc.). Tra la fine del sec. 14° e il principio del 15°, la crescente pressione dei turchi costrinse V. a estendere sempre più il suo dominio diretto, riscattando e riassorbendo le signorie feudali; impose anche la creazione di un comando unico militare, con la nomina dei provveditori generali. Ma in realtà il dominio coloniale di V. non ebbe mai unità di governo: diviso in una molteplicità di frammenti, senza continuità territoriale, mancò sempre di coesione interna. E questo spiega come nel sec. 15°, quando la potenza turca, penetrata nel continente europeo e stabilitasi saldamente con l’occupazione di Costantinopoli (1453), cominciò a premere sui domini veneziani dell’Egeo, il crollo veneziano fu rapido. Salvi rimasero solo i grossi baluardi: Candia, la Morea e Cipro (annessa da V. nel 1482 e ordinata a somiglianza di tutti gli altri domini direttamente sottoposti alla repubblica), dove V. concentrò le difese avanzate per proteggere le proprie linee di traffico. Allora il dominio coloniale veneziano divenne omogeneo e ben controllato dal potere centrale: provveditori generali (Dalmazia e Istria), provveditori straordinari (Albania e isole del Levante), duca di Candia, provveditore di Cipro, provveditore della Morea raccolsero nelle loro mani negli ultimi secoli, e fino a che restarono in possesso di V., questi territori. Ma l’unità era stata raggiunta quando V. cominciava ad accusare la sua grande crisi.
L’ordinamento politico-amministrativo veneziano ha le origini prime nelle strutture romane ereditate dai bizantini. Il doge non è che il dux romano-bizantino, dal 584 dipendente dall’esarca d’Italia, che diventa poi, con l’allentarsi dei rapporti con Bisanzio, di designazione locale. La concio o placitum, l’assemblea generale dei cittadini, era l’istituzione centrale del ducato. Il doge era assistito nell’esercizio ordinario del potere da un ristretto numero di dignitari civili, soprattutto designati per competenza tecnico-giuridica. Accanto a questi sedevano nel placito, a fianco del doge, anche i dignitari ecclesiastici. Alla fine del sec. 9° la dignità ducale divenne elettiva: i primi chiari sintomi del cambiamento si registrarono nell’887, quando fu designato Pietro I Candiano. Il doge uscente, Giovanni II Particiaco, che, malato, aveva lasciato il potere, legittimò tale scelta trasmettendo al neoeletto le insegne ducali (spada, scettro, seggio). Dopo pochi mesi, morto in battaglia Candiano, Giovanni autorizzò infine il popolo veneziano a scegliersi direttamente il nuovo doge, che fu Pietro Tribuno. Da allora, la concio mantenne il diritto di intervenire in modo decisivo nell’elezione ducale: la nomina della carica del doge, di conseguenza, cambiò profondamente. Nel 1143 (o poco prima) apparve il consilium sapientium istituito dal doge Pietro Polani: consiglio con funzioni legislative, esso costituiva il primo passo verso l’ordinamento comunale. Dal 1187 è accertata la costituzione di un altro consiglio denominato Minore per distinguerlo da quello Maggiore dei sapienti. La legge del 1207 precisò che i due consigli, quello Maggiore e quello Minore, dovevano risultare l’uno di sei membri rappresentanti i sestieri, l’altro di trentacinque, eletti con precise procedure. Dall’anno 1223 è ricordato il consiglio dei Quaranta (o Quarantia) e dall’anno 1230 circa il consiglio dei Pregadi (o Rogati), i quali godevano di piena autonomia, l’uno per il bene e il vantaggio del comune, l’altro per il regolamento di materie economiche. Ma poi invalse la pratica della riunione di due o di tutti i consigli per la discussione di materie di comune competenza, e il Maggior consiglio diventò il centro di attrazione di tutti gli altri. In tal modo la composizione del massimo organo, nel terzo decennio del sec. 13°, diventò sempre più complessa e per il numero dei membri e per la qualità di questi e per le funzioni esercitate. In seguito all’aggregazione in un unico corpo di consigli distinti, che senza perdere la propria individualità furono assorbiti, di fatto e di nome, dal Maggior consiglio, questo risultò composto di due ordini di membri, di quelli elettivi e di quelli di diritto: gli uni designati attraverso la procedura del 1207 dai tre elettori ed elevati (prima del 1282) da 35 a 100; gli altri per privilegio a essi riconosciuto, o come membri dei consigli collaterali o come deputati all’ordine magistratuale. Ma il perpetuarsi e il rinnovarsi annualmente nelle stesse persone e persino nelle stesse famiglie delle funzioni dello Stato o come pubblici ufficiali oppure come membri di consigli, e pertanto come membri dell’assemblea sovrana, creavano a vantaggio di esse un privilegio e infine un diritto. È questa la genesi del patriziato che si affermò a partire dal sec. 14° attraverso l’appartenenza al Maggior consiglio, tramite la quale tende a trasformarsi in una casta. Un passaggio importante in questo senso fu sancito dalle leggi della fine del sec. 13°, conosciute sotto il nome di serrata del Maggior consiglio, e da quelle del principio del sec. 14° che, codificando la condizione di fatto già esistente, con la progressiva eliminazione della procedura elettorale, finirono col trasformare in ereditaria l’appartenenza al grande consesso, cui potevano far parte solo i membri di quelle famiglie che già avevano partecipato all’attività di quelle istituzioni. Mentre, tra la fine del sec. 13° e il principio del 14°, era perfezionata la struttura del Maggior consiglio, come corpo sovrano ereditario, veniva insieme precisata la prerogativa della elezione ducale, sottratta completamente all’assemblea popolare. In pari tempo la funzione politica del Maggior consiglio andava rapidamente declinando e restringendosi per aumento d’influenza di altri corpi. Così il consiglio dei Pregadi, o Senato, cominciò presto a esercitare, accanto alle funzioni amministrative, anche funzioni politiche per delega del Maggior consiglio e dalla fine del sec. 13° si aggregò il consiglio dei Quaranta per l’esercizio delle funzioni politico-amministrative. E, a mano a mano che per delega del Maggior consiglio il consiglio dei Pregadi assumeva l’esercizio effettivo di molte prerogative già spettanti al primo, ai suoi membri ordinari si aggiungevano membri straordinari (la zonta). Lo presiedeva il doge; alle sedute partecipava la signoria, che era composta dal doge, da 6 consiglieri (Minor consiglio) e dai tre capi dei Quaranta. Nei Pregadi entrava anche il consiglio dei Dieci istituito nel 1310 per giudicare i colpevoli della congiura di Marco Querini e di Baiamonte Tiepolo. Nel sec. 14° il consiglio dei Pregadi aveva ormai assorbito le principali funzioni spettanti al Maggior consiglio; fu allora numericamente aumentato fino a 240 membri. Poi nei secc. 15° e 16° analogo processo si verificò per il consiglio dei Dieci: l’influenza politica di questo tese a sovrapporsi a quella dei Pregadi, fino a che il contrasto fra i due corpi divenne così intenso da provocare un conflitto di competenza. Nel 1586 ai Pregadi furono restituite tutte le funzioni che erano state usurpate dai Dieci. Questi trovarono però un rafforzamento della loro competenza politico-giudiziaria con l’istituzione collaterale nel loro seno dei tre inquisitori di Stato. Elemento tipico della struttura istituzionale fu il distacco, la radicale disparità di diritti fra il patriziato, che godeva moralmente e materialmente di ogni privilegio di governo nella vita dello Stato, e tutti gli altri, cittadini veneziani e sudditi, anche nobili, del dominio, che solo in occasione di straordinarie aggregazioni al patriziato (sec. 16°), poterono godere di pieni diritti politici nella Serenissima Repubblica.