Venezuela
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Geografia umana ed economica
di Alessia Salaris
Stato dell'America Meridionale. Secondo fonti ufficiali, la popolazione (23.054.210 ab. al censimento del 2001) nel 2006 era pari a 25.730.000 ab., concentrati prevalentemente nelle aree urbane delle regioni settentrionali del Paese, tra cui quella di Caracas (1.700.000 ab. la città, quasi 5 milioni le stime dell'agglomerato urbano). Complessivamente la popolazione urbana era pari a circa l'88% del totale (2004), mentre la densità superava di poco i 28 ab./ km2. Le tendenze demografiche sono quelle tipiche dei Paesi in via di sviluppo, con un tasso di natalità ancora elevato (21,8‰ al 2006) e una mortalità modesta (5,1‰). Oltre un terzo della popolazione ha meno di 18 anni, tuttavia è in atto un processo di invecchiamento abbastanza rapido. L'economia venezuelana è fortemente collegata allo sfruttamento degli ingenti giacimenti petroliferi, che ha portato il V. ad attestarsi come nono Paese al mondo nel 2005 per consistenza delle riserve petrolifere; il settore petrolifero rappresenta circa un terzo del PIL e oltre l'80% delle esportazioni (2003). L'elevato prezzo del petrolio negli ultimi anni ha contribuito a sostenere l'andamento del PIL che, dopo il biennio 2002-03 contraddistinto da una crisi legata a problemi di instabilità interna, ha fatto registrare nel 2004 una crescita record del 17,3%, in parte riconfermata anche nel 2005 (+9,4%).
La disoccupazione, pur se in calo (circa il 10% al 2006), e l'elevata inflazione, oltre che la dipendenza dal settore petrolifero, rappresentano problemi strutturali dell'economia venezuelana. Il Paese può, tuttavia, contare anche su numerose altre risorse (gas naturale, ferro, bauxite, carbone, diamanti e oro). Fra le attività extrapetrolifere, figurano i comparti della metallurgia e siderurgia, quello tessile e dei mezzi di trasporto. Nonostante il rilevante patrimonio naturalistico, il turismo è poco sviluppato. Il V. è ancora caratterizzato da rilevanti squilibri territoriali e sociali (circa la metà delle famiglie è sotto la soglia di povertà), a cui il governo presieduto da H. Chávez Frías (in carica dal 1999 e rieletto nel 2006) sta cercando di porre rimedio con una politica di stampo socialista. Sul piano internazionale, il V. è particolarmente attivo, in chiave antistatunitense e antiliberista, per l'integrazione economica dei Paesi dell'America Latina.
Storia
All'indomani del referendum sulla nuova Costituzione (dic. 1999), approvata dal 71,4% dei votanti (ma con la partecipazione di appena il 45,3% degli elettori), il presidente H. Chávez Frías dava corso all'applicazione di una serie di misure destinate a dare concretezza al suo progetto di 'rivoluzione bolivariana': tra quelle più significative (a cui, peraltro, non furono risparmiate critiche) la nomina di diversi esponenti del suo entourage alla guida di importanti istituzioni statali (Tribunale supremo di giustizia, Revisione dei conti, Banca centrale). In linea con l'orientamento ideologico del presidente, il Paese ricevette la nuova denominazione di República Bolivariana de Venezuela.
Sciolta nel gennaio 2000 l'Asamblea Nacional Costituente, in luglio si tennero contemporaneamente le elezioni presidenziali e quelle per il nuovo Parlamento unicamerale (la Asamblea Nacional), che videro entrambe la partecipazione di poco più del 53% degli elettori. Alle prime Chávez ottenne il 59,8% dei voti; al suo principale antagonista, F. Arias Cárdenas (uno dei quattro capi militari protagonisti del golpe del 1992), andò il 37,5%. Alle elezioni legislative ottennero 105 dei 165 seggi complessivi i partiti che sostenevano Chávez, dei quali i principali erano il Movimiento V República (MVR, fondato da Chávez nel 1998; 44,4% dei voti, 93 seggi) e il Movimiento al Socialismo (MAS; 5%, 6 seggi); ne ottennero 60 i partiti di opposizione, i più importanti dei quali erano Acción Democrática (AD; 16,1%, 33 seggi), Proyecto Venezuela (PRVZL; 6,9%, 6 seggi) e il Comité de Organización Política Electoral Independiente (COPEI; 5,1%, 6 seggi). L'Asamblea Nacional si riunì per la prima volta in agosto.
I poteri di Chávez furono notevolmente ampliati da una legge (nov.) che, per la durata di un anno, gli conferiva la facoltà di emanare decreti in una serie di ambiti, dalla finanza pubblica alla riforma agraria, senza dibattito legislativo. Nello stesso mese il governo stabilì di sottoporre a referendum la sua proposta di sospendere dal loro incarico per un periodo della durata di sei mesi i leader della maggiore centrale sindacale del Paese, la Confederación de Trabajadores de Venezuela (CTV, controllata dall'opposizione), in base ad accuse di corruzione e comportamento antidemocratico. La proposta si aggiudicò il 65% dei consensi al referendum (3 dic.), che tuttavia fu invalidato per la bassa affluenza di votanti (il 23%).
L'ormai critica situazione economica e la politica autoritaria del presidente accrebbero intanto il malcontento nella popolazione, che tra il febbraio e il maggio del 2001 arrivò a sfociare in una serie di scioperi (insegnanti e lavoratori del settore del petrolio e di quello dell'acciaio). La maggioranza stessa a sostegno del presidente mostrava segni di crisi: in ottobre il MAS tolse l'appoggio al governo. Inoltre l'applicazione delle due leggi che consentivano al governo di espropriare le terre considerate improduttive e di aumentare i canoni di concessione imposti alle aziende petrolifere private provocarono la dura reazione della CTV e anche dell'associazione degli imprenditori venezuelani, Fedecámaras (Federación de Cámaras y Asociaciones de Comercio y Producción de Venezuela), che indissero scioperi, generali (11 dic.) e settoriali (8 marzo 2002 nell'industria petrolifera), e promossero manifestazioni di strada, spesso accompagnate da violenze (dic. 2001, genn. e marzo 2002). Dato che queste iniziative non avevano ottenuto alcun risultato, il 9 aprile 2002 le due organizzazioni dichiararono uno sciopero generale a tempo indeterminato, mentre l'11 varie centinaia di migliaia di persone marciavano sul palazzo presidenziale, chiedendo le dimissioni di Chávez e scontrandosi con i sostenitori del presidente e con le forze di sicurezza (vi furono in totale 20 morti e un centinaio di feriti da colpi di arma da fuoco). La situazione precipitò il 12, quando, prendendo a pretesto gli scontri del giorno precedente, un gruppo di militari arrestò Chávez all'interno del palazzo presidenziale, confinandolo poi nella base navale dell'isola di La Orchila, e ne decretò la destituzione, nominando presidente ad interim P. Carmona Estanga (leader di Fedecámaras); questi dissolse l'Asamblea Nacional e il Tribunale supremo di giustizia, dichiarò nulla la Costituzione 'bolivariana' e revocò tutti i decreti presidenziali emessi a partire dal novembre 2000. Condannato da diversi Paesi dell'America Latina, ma non dagli Stati Uniti, il golpe suscitò un'immediata reazione in V., da parte sia della popolazione, che il 13 aprile si scontrò con i militari golpisti lasciando sul terreno ben 23 morti, sia, soprattutto, di numerosi ufficiali dell'esercito fedeli al presidente deposto, che il giorno stesso attaccarono la base di La Orchila e lo liberarono. Nel frattempo Carmona era stato costretto, a causa delle proteste di altri Paesi latinoamericani, a riconvocare l'Asamblea Nacional, che dichiarò illegale il suo mandato; quindi, pressato anche dalle minacce dei militari lealisti di attaccare il palazzo presidenziale, la sera del 13 si dimise. Il 14 Chávez ritornò al suo posto.
Nei mesi successivi la crisi politica continuò ad acuirsi: l'opposizione - unitasi nella Coordinadora Democrática, CD - organizzò nuove manifestazioni, accompagnate da violenti scontri (maggio e giugno), e un altro sciopero generale di 24 ore (21 ott.), avanzando pressanti richieste affinché fossero convocate elezioni legislative e presidenziali anticipate. Il 22 e 23 ottobre vi fu un altro tentativo abortito di golpe militare. Il 2 dicembre ebbe inizio uno sciopero generale che si protrasse per ben nove settimane ed ebbe gravi ripercussioni sull'economia del V., in particolare sull'industria del petrolio. Nel novembre 2003 la CD presentò una petizione con 3,6 milioni di firme: la petizione richiedeva un referendum di revoca del mandato presidenziale di Chávez. Dopo una lunga battaglia legale e politica (che vide anche violente manifestazioni di strada, con un bilancio di 14 morti), nel maggio 2004 il Consejo Nacional Electoral (CNE) ne dichiarò validi 2,4 milioni, il minimo necessario che era richiesto dalla Costituzione, e il governo venne quindi costretto a convocare il referendum. La consultazione (in cui votò il 69,9% degli elettori) si tenne nell'agosto 2004, e la proposta di revoca fu bocciata a larga maggioranza (59,2%).
Il risultato del referendum fu un duro colpo per l'opposizione; la CD, divisa sul da farsi, prima perse alcune delle sue componenti e poi si sciolse, e l'ascendente di Chávez sulla popolazione, soprattutto sulle sue fasce più povere, si accrebbe: alle elezioni regionali (ott.) il MVR e i piccoli partiti suoi alleati si assicuravano il controllo di 20 dei 23 estados. La popolarità del MVR ricevette un'ulteriore conferma alle elezioni legislative del dicembre 2005, alle quali però i cinque maggiori partiti dell'opposizione avevano rifiutato di prendere parte, affermando che il CNE favoriva i candidati governativi e che la segretezza del voto non era garantita. Seppure con un'altissima percentuale di astensioni (74,7%), le elezioni assegnarono al MVR (che nei collegi uninominali si era presentato insieme ai piccoli partiti alleati, sotto la denominazione Unión de Vencedores Electorales, UVE) l'85% dei voti e 161 seggi su 167; agli altri partiti favorevoli al presidente andarono il 14,5% dei voti e i restanti 6 seggi, mentre i pochi partiti di opposizione presentatisi ottennero appena lo 0,5% e nessun seggio. Avendo ottenuto ben oltre i due terzi dei seggi, il MVR era di conseguenza in grado di modificare la Costituzione.
Nel 2005-06 procedette a grandi passi il progetto di 'statalizzazione' del Paese, sia nell'ambito della proprietà agraria, con l'espropriazione dei latifondi improduttivi, sia nei settori petrolifero e minerario, con la revoca delle concessioni a compagnie straniere finalizzate all'estrazione di oro e diamanti.
Alle elezioni presidenziali del dicembre 2006, alle quali l'opposizione decise di partecipare e in cui votò il 74,7% degli elettori, Chávez sconfisse con il 62,9% dei voti il suo principale antagonista, M. Rosales (36,9%), candidato dell'opposizione. Nel gennaio 2007 il presidente rese pubblica la sua intenzione di portare il V., nel corso dei successivi sei anni, verso un'economia socialista: un programma il cui primo passo avrebbe dovuto essere la nazionalizzazione delle principali imprese elettriche e di telecomunicazione private.
Nei primi anni del 21° sec. i rapporti tra V. e USA furono segnati da un deterioramento. Nel 2000 Chávez rifiutò l'autorizzazione a sorvolare il Paese agli aerei statunitensi usati per la repressione del traffico di stupefacenti; i contrasti tra il presidente venezuelano e quello statunitense G.W. Bush furono poi esacerbati dalle relazioni amichevoli che Chávez intratteneva con il governo cubano, dalla sua aperta condanna dell'invasione dell'Irāq (2003), e dalla firma da parte del V. di accordi commerciali e culturali con Cina, India, Irān e Russia (2001), militari con la Russia (2005 e 2006) e petroliferi con Cina (2004), India (2005) e Irān (2006). *
bibliografia
Venezuela: Hugo Chávez and the decline of an exceptional democracy, ed. S. Ellner, M. Tinker Salas, Lanham (MD) 2006.