venire
Verbo ad alta frequenza, con oltre 670 occorrenze distribuite in modo uniforme in tutte le opere, compreso il Fiore (nel Detto compare una sola volta). L'ampiezza della documentazione e il frequente ripetersi di accezioni, di sintagmi e di stilemi identici consentono di escludere dalla registrazione luoghi privi di particolare significato; d'altra parte, l'esigenza di offrire un quadro più che sia possibile ampio della ricca varietà di usi cui il verbo si rende disponibile, suggerisce l'opportunità di dare rilievo, oltre che ai valori semantici, ai costrutti sintattici e ai tempi dell'opera dantesca ai quali v. risulta più frequentemente legato; occorre appena far presente che, in tal modo, alcuni esempi potrebbero essere esaminati sotto un angolatura diversa da quella che verrà proposta.
1. Quanto alla morfologia, prevalgono le forme con palatalizzazione della consonante del tema: si hanno così vegno e vegnono all'ind. pres., vegne (accanto a venghi, II singol.), vegna (accanto a venga, III singol.) e vegnano al cong. pres., vegnendo (accanto a venendo) al gerundio. Nella III singol. indic. pres. la forma con tonica scempia vene prevale in poesia su quella dittongata viene, ed è anzi l'unica attestata in rima nella Commedia, dove per altro non ricorre mai nel corpo del verso (cfr. Petrocchi, Introduzione 421). Altre particolarità non si discostano da usi comuni alla coniugazione del tempo; così si hanno venia per la I e III singol. dell'imperf. ind. (per la I anche veniva), veniano e venieno per la III plur. dello stesso tempo, venisse alla I singol. dell'imperf. cong. (per la III singol. venesse adottata dalla '21, ma non dal Petrocchi, in luogo di venisse, in If I 46, v. Petrocchi ad l.).
2. La definizione del valore fondamentale del verbo (" recarsi in un luogo o da una persona ") è offerta in Vn XXV 2 venire [dice]... moto locale, e poiché localmente mobile per sé... [è] solamente corpo, l'uso più proprio si ha quando v. predica sostantivi indicanti persone (Cv IV XIII 12 Cesare di notte a la casetta del pescatore Amiclas venne; Pg XX 67 Carlo venne in Italia), animali (Rime dubbie XXX 7 la cornacchia... nel consiglio venne; Pg VIII 39 lo serpente... verrà vie via), veicoli (Pg XXIX 108 un carro... al collo d'un grifon tirato venne), un'arma da getto (Pd XVII 27 saetta previsti vien più lenta) e corpi celesti dotati di movimento (Cv III V 18 lo cerchio dove sono li Garamanti... vede [il sole] partire da sé e venire verso [la città chiamata] Maria novanta e uno die). Con ugual proprietà ricorre con riferimento ad altri oggetti in movimento: If XXVI 76 Poi che la fiamma fu venuta quivi...; Pg II 17 m'apparve... / un lume per lo mar venir... ratto; può essere usato anche a proposito di entità astratte personificate: Vn XXIII 9 Dolcissima Morte, vieni a me; Rime LXXII 8 vidi Amore, che venia / vestito di novo; XLVIII 12 io che m'appello umile sonetto, / davanti al tuo cospetto / vegno.
Più esattamente, v. esprime un movimento di avvicinamento e si contrappone quindi ad ‛ andare ', che esprime invece un movimento di allontanamento dalla persona che parla. In qualche caso questa contrapposizione è esplicita: If VIII 89 Vien tu solo, e quei sen vada; Pg II 51 ed el sen gì, come venne, veloce; i due verbi possono anche esprimere movimento che si svolge in direzione inversa (III 65 Andiamo in là, ch'ei vegnon piano; XXVI 46) o un movimento alternato e ripetuto nei due sensi: Fiore XV 6 Venga il valletto e vada, a sua comanda; analogamente, in senso figurato: CXCII 3 come 'l danaio venia, così n'andava (i denari, come " erano guadagnati ", così " erano spesi ").
In particolare, quando il soggetto è di prima persona, s'intende che il movimento espresso da v. è diretto verso il luogo dov'è (o va, o sarà) la persona alla quale si parla: Vn XIV 2 Perché semo noi venuti a queste donne?; Pg II 64 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, / per altra via; XXVIII 83 i' venni presta / ad ogne tua question. Se il verbo è di seconda persona, s'intende il luogo stesso dov'è la persona stessa che parla: If XXIII 92 al collegio / de l'ipocriti tristi se' venuto; Pg I 48 è mutato in ciel novo consiglio, / che, dannati, venite a le mie grotte? Se il verbo è di terza persona, si puo intendere sia il luogo dov'è la persona che parla (If III 82 Ed ecco verso noi venir per nave / un vecchio, bianco per antico pelo), sia quello della persona della quale si parla: Cv IV V 6 Enea venne di Troia in Italia; Pd XXVII 11 quella che pria venne / incominciò a farsi più vivace; Fiore XVIII 9 I' vo' che vegna, / e basci il fior che tanto gli è 'n piacere.
Con maggior frequenza di quanto non accada nell'italiano moderno, anche a prescindere dai casi in cui indica un moto che si svolge nell'aria (If V 86 uscir de la schiera ov' è Dido, / a noi venendo per l'aere maligno) o sull'acqua (VIII 16 io vidi una nave piccioletta / venir per l'acqua verso noi), assume accezioni più limitate: " avvicinarsi " (If V 78 tu allor li priega / per quello amor che i mena, ed ei verranno; XV 118, XVI 57, XXI 91 Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto; Pg XII 92, XIX 43, XXVI 29, Pd XXV 107 vid' io lo schiarato splendore / venire a' due che si volgieno a nota); " arrivare ", " giungere " (If III 16 Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto / che tu vedrai le genti dolorose; VII 44 vegnono a' due punti del cerchio / dove colpa contraria li dispaia; XVII 34, XXI 3, XXVI 107 eravam vecchi e tardi / quando venimmo a quella foce stretta / dov' Ercule segnò li suoi riguardi; Pg IV 17, VII 38, XXX 6 qual temon gira per venire a porto; Vn III 10 2, Cv IV XII 15); " recarsi " (Vn XIV 1 questa gentilissima venne in parte ove molte donne gentili erano adunate; Cv III V 12 [ai Garamanti] venne Catone col popolo di Roma, la segnoria di Cesare fuggendo); " camminare " (lf XV 17 incontrammo d'anime una schiera / che venian lungo l'argine; XXIII 71 per lo peso quella gente stanca / venìa sì pian, che noi...; Pg III 60, XV 121 se' venuto più che mezza lega / velando li occhi e con le gambe avvolte; in particolare: XIII 79 Virgilio mi venìa da quella banda / de la cornice onde cader si puote, " camminava ", stando, rispetto a me, da quel lato della cornice, ecc.; XXXIII 19); " incedere ", " venire avanti " (If XVIII 83 Guarda quel grande che vene, / e per dolor non par lagrime spanda; IV 89); " venire a visitare " (Fiore CLXXVII 9 E quando un altro vien, gli faccia segno / ched ella sia crudelmente crucciata; CXCVI 7).
Pari latitudine di accezioni ha quando il soggetto è un nome di cosa, e quindi l'uso è più estensivo: Cv II IX 7 se la cera avesse spirito da temere, più temerebbe di venire [" di essere esposta " ] a lo raggio del sole che non farebbe la pietra; If XXXIV 124 la terra, che pria di qua si sporse, / per paura di lui fé del mar velo, / e venne [" si spostò " ] a l'emisperio nostro (con riferimento al fatto che la terra, per fuggire dal contatto con Lucifero, si spostò dall'emisfero australe a quello boreale); nel castello di Gelosia le porte caditoie... venian per condotto di canali (Fiore XXVIII 13), " si muovevano " lungo alcune scanalature.
Abbastanza frequente è la forma rafforzata ‛ venirsene ' o ‛ venirne '. Oltre che nel valore proprio di v. (Rime LXXII 1 Un dì si venne a me Malinconia; Pg II 40 quei sen venne a riva), essa è usata nelle accezioni di " avvicinarsi " (lf XVII 8 quella sozza imagine di froda / sen venne, e arrivò la testa e'l busto; cfr. v. 5 accennolle che venisse a proda), " andare ", " recarsi " (Fiore CXCIX 11 all'uscio... / ben chetamente tu te ne verrai) e " venir via ": Pg IV 137 Vienne omai; vedi ch' è tocco / meridïan dal sole.
3. Gli esempi di uso assoluto sono naturalmente frequentissimi, anche perché v. spesso ricorre a proposito del viaggio di D. nell'aldilà; per tutti saranno sufficienti due, assai noti: If IV 17 Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare esser conforto?; Pg IX 55 quando l'anima tua dentro dormia / ... venne una donna e disse: " I' son Lucia... ". Più interessano alcuni casi in cui il verbo cade al congiuntivo con valore esortativo e ottativo o all'imperativo. Per esprimere l'auspicio che una persona, attualmente lontana, venga dove si trova la persona che parla: If IX 52 Vegna Medusa, sì 'l farem di smalto; XVII 72 Vegna 'l cavalier sovrano, / che recherà la tasca con tre becchi (e s'intende " venga all'Inferno ", " sia dannato "; altri esempi dello stesso uso in XIX 77 e 82); Vn XXIII 27 79 Vieni, ché 'l cor te chiede (in un'invocazione alla morte). In inviti a riprendere il cammino: Pg XXVII 32 Pon giù omai, pon giù ogne temenza; / volgiti in qua e vieni: entra sicuro !; XIX 35. Rispondendo all'invito a riprendere il cammino: V 19 Che potea io ridir, se non " Io vegno "?
In numerosi casi compare l'infinito retto da un verbum sentiendi come ‛ vedere ' (Vn XXIV 3 io vidi venire verso me una gentile donna; If V 48 vid' io venir, traendo guai, / ombre portate da la detta briga; XXI 80, XXIII 35, ecc.) e ‛ sentire ' (XIII 112 colui che venire / sente 'l porco... a la sua posta), o da ‛ fare ' causativo: Vn XXXI 10 26 l'etterno sire / ... fella di qua giù a sé venire; If XXVII 99 e 103; Pg XXVII 137 li occhi belli / che, lagrimando, a te venir mi fenno; Fiore CXCVII 9. Vada qui anche Vn XXI 1 per lei si sveglia questo Amore, e... là ove non è in potenzia, ella, mirabilemente operando, lo fa venire, " lo suscita " . In Rime LIX 6 venir è retto da mi laghi, " mi lasci ", " mi dia modo di " .
Nell'una o nell'altra delle accezioni finora illustrate (o anche assumendone altre e diverse), il verbo è determinato dai complementi che regge.
Il moto a luogo può essere espresso mediante un avverbio, come qua (Cv I I 13, If XXVI 68, Fiore CXLIII 13), qui (Pg II 111), quivi (If XVIII 112), qua entro (II 87), -vi (v. 31), là (Pg IX 94), là dove (If V 26); così nella descrizione della metamorfosi di Buoso Donati da serpente in uomo, di troppa matera ch' in là venne / uscir li orecchi (XXV 125), cioè dalla carne del muso " spostatasi " verso le tempie si formarono le orecchie. Quando il complemento è formato da un pronome, la preposizione reggente è sempre ‛ a ': Vn XXXII 1 venne a me uno, lo quale... è amico a me; Rime LXXXV 11 non v'arrestate, ma venite a lei; If II 118 venni a te così com'ella volse; IV 83 vidi quattro grand'ombre a noi venire; Fiore XXVII 4 Gelosia... / sì fé gridar... / ch' a lei venisse [" che venisse in suo aiuto " ] ciascun buon mazzone; e così in molti altri casi. La reggenza con ‛ a ' è costante anche quando il complemento è un nome proprio (If XXXI 113 venimmo ad Anteo; Pd XVII 1 venne a Climenè; Fiore XVII 2 venn'a Bellaccoglienza). Invece, com'è possibile notare nei due esempi di If II 101 Lucia.., venne alloco dov' i' era, e V 28 Io venni in loco d'ogne luce muto, con i nomi comuni la reggenza con ‛ a ' si alterna con quella con ‛ in ', senza apprezzabile differenza di significato, anche se, in qualche caso, la reggenza con ‛ in ' sembra alludere più a ingresso che non ad avvicinamento. Tra l'altro, v. è attestato con i seguenti complementi: al grande arbore (Pg XXIV 113), a casa d'amico (Rime CIV 17), al fine ove si parte / lo secondo giron dal terzo (If XIV 4), a l'ostel (Fiore CLXXXVIII 9), al piè d'un nobile castello (If IV 106), a la porta (IX 89), al guasto ponte (XXIV 19), al porto (Cv IV XXVIII 11), a proda (If XVII 5), al punto dove si digrada (VI 114); e inoltre, Pg XXV 109 E già venuto a l'ultima tortura / s'era per noi (si noti l'uso impersonale passivo, secondo il latino); Cv III XV 18 tutti al suo cospetto venire non potete (con un sostantivo astratto). La costruzione con ‛ in ' si ha sempre quando il sostantivo è ‛ parte ' (If VIII 80, IV 151, Pg XXVII 128) e in If XIII 19 tu verrai ne l'orribil sabbione; rafforzato: venimmo in su l'argine quarto (XIX 40); Venimmo poi in sul lito diserto (Pg I 130); e così in If XXIV 41. Un interessante caso di distinzione semantica si ha in If I 126 [Dio] non vuol che 'n sua città per me si vegna, che " da me ", Virgilio, " si salga " in cielo (cioè che Virgilio accompagni D. oltre il Purgatorio), diverso da la prima volta ch' a città venisti (Pd XVI 144), allorquando tu, Buondelmonte, " immigrasti " dalla campagna in Firenze.
Un cenno particolare meritano le perifrasi usate per indicare l'ascesa di un beato o di D. in cielo: v. a le beate genti (If I 119); da martiro / e da essilio... a questa pace (Pd X 129); al ciel (XVIII 32); a questo gioco (XX 117); d'Egitto ... in Ierusalemme (XXV 56); al divino da l'umano, / a l'etterno dal tempo (XXXI 38).
Il complemento di moto da luogo è espresso dall'avverbio onde (Vn XXII 9 3, Rime LXX 1, Pg XIV 13; ecc.), da ne (Fiore LXX 12 E non ha guari ch' i' ne son venuto) e da sostantivi o pronomi retti dalle preposizioni ‛ da ' o ‛ di ': Vn IX 5 io vegno da quella donna; 11 10 Io vegno di lontana parte; XXII 11 domando queste donne se vegnono da lei; Cv IV XXVIII 5 viene di lungo cammino; If I 74 venne di Troia; II 71 vegno del loco ove tornar disio; ecc. Un'ambiguità è colta dal Mattalia in Pd XV 113 Bellincion Berti vid'io andar cinto / di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio / la donna sua sanza 'l viso dipinto; gli altri commentatori non si soffermano sul passo, evidentemente interpretandolo " allontanarsi, tornare dallo specchio "; per il Mattalia, invece, la frase o potrebbe intendersi dell'avvicinarsi materiale della donna a suo marito, o del venir dell'immagine riflessa dallo specchio.
Esempi di v. seguito da complemento di moto per luogo si hanno in If V 84 Quali colombe... / vegnon per l'aere, dal voler portate; Pg XVI 39 venni qui per l'infernale ambascia; ecc.; si notino inoltre V 23 E 'ntanto per la costa di traverso / venivan genti; If XX 8, Pd XXII 132, nei quali, più che di un complemento di moto per luogo, potrebbe trattarsi di un complemento di moto in luogo circoscritto. Se il sintagma finale è retto da ‛ tra ', l'espressione può assumere valori diversi: in Pg VIII 100 Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia, indica il luogo entro il quale si svolge il movimento; in XXX 8 la gente verace, / venuta prima tra 'l grifone ed esso, la posizione intermedia tra il grifone e i sette candelabri (esso) occupata dai 24 seniori; infine, in una locuzione di substrato proverbiale (If XXII 58 Tra male gatte era venuto 'l sorco) esprime in senso figurato un momento della vicenda di Ciampolo, caduto, per sua sventura, in possesso dei diavoli.
4. L'accostamento di avverbi e preposizioni determina e specifica il significato fondamentale del verbo, talora conferendogli accezioni più circoscritte.
Con ‛ appresso ' vale " seguire ", " procedere dietro a uno " (Pg XXIX 65 Genti vid' io allor... / venire appresso; III 92, XXIX 92), o anche " venir dopo " nell'ordine temporale (Cv IV VII 7 Viene alcuno da l'una parte de la campagna... Viene un altro appresso costui...); in Fiore CLXXXV 4 [se] l'un con teco in camera sia, / e l'altro viene appresso san dimora, le connotazioni spaziale e temporale sono entrambe presenti. Con ‛ presso a ' (preposizione) vale " accostarsi ": Cv IV XXVIII 12 lo buono mercatante... quando viene presso al suo porto, essamina lo suo procaccio. L'avverbio ‛ prima ' sottolinea l'anteriorità della venuta del soggetto rispetto a quella di altri: If XXV 150 quel che sol, di tre compagni / che venner prima, non era mutato; Vn XXIV 4 (due volte). È " girare " (Pd XXI 139 D'intorno a questa vennero e fermarsi) o " circondare " (Rime CIV 1 Tre donne intorno al cor mi son venute) quando è accompagnato da ‛ dintorno ' o ‛ intorno '. La combinazione con ‛ sopra ' o ‛ di sopra ' esprime l'idea del punto terminale del moto, in If XI 3 venimmo sopra più crudele stipa (D. e Virgilio son giunti sull'orlo del sesto cerchio, in posizione eminente rispetto al fondo nel quale si stipano i dannati) e in XVI 121 El disse a me: " Tosto verrà di sopra / ciò ch'io attendo... ", cioè nelle parole con le quali Virgilio avverte D. che Gerione sta per " salire " dal fondo all'orlo del pozzo.
‛ V. sotto ' indica l'atto di giungere in una posizione posta più in basso rispetto a quella occupata dall'osservatore: If XXV 35 tre spiriti venner sotto noi (naturalmente sotto non è avverbio determinante vien ma preposizione reggente quei sassi, in Pg X 119 disviticchia / col viso quel che vien sotto a quei sassi: e sono i superbi che " camminano " schiacciati da un masso). ‛ V. sù (suso) ' è " salire ": Pg IX 87 Guardate che 'l venir sù non vi nòi, e 60 come 'l dì fu chiaro, / sen venne suso (in particolare, in XXI 29 e Pd XXV 35 con riferimento all'ascesa di D. alla montagna del Purgatorio e in Paradiso); in senso figurato vale " crescere in potenza " (XVI 118 L'oltracotata schiatta [degli Adimari]... / già venia sù, ma di picciola gente); e così, come preposizione, in Fiore LXX 4 per venire al di su di quel cagnone, " per sconfiggere " Malabocca. Al contrario, ‛ v. giù (qua giù, giuso) ' è " scendere ", con riferimento alla discesa di D. all'Inferno (If XXXIII 11 Io non so chi tu se' né per che modo / venuto se' qua giù; altro esempio al v. 136) o alla dannazione di un'anima: XXVII 115 Venir se ne dee giù tra' miei meschini (così il diavolo dice a s. Francesco a proposito di Guido da Montefeltro); di cosa, compare nella descrizione del corso dell'Arno verso la parte bassa della valle: Pg XIV 46 Botoli trova poi, venendo giuso (" scendendo; discesa materiale, e metaforica: aggravamento di vizi ": Mattalia). In combinazione con ‛ avanti ', ‛ davanti ', dinanzi ', ‛ innanzi ' (sia avverbi che preposizioni) si hanno i significati di " avvicinarsi " (Fiore XX 9 Vien' avanti e bascia 'l flore), " precedere " (If IV 87 colui... / che vien dinanzi ai tre sì come sire / ... è Omero), " venire al cospetto " (V 8 quando l'anima mal nata / li vieti dinanzi, tutta si confessa). Il valore di " procedere " si ha quando v. è accompagnato da ‛ diritto ' (avverbio o aggettivo): Cv IV VI 4 ‛ auieo '... cominciando da l'A, ne l'U... si rivolve, e viene diritto per l'I ne l'E; altre volte, in senso proprio o figurato, indica un moto che si svolge in linea retta, senza deviazioni: Fiore CCX 2 Vergogna... sì se ne vien dritta ver Diletto; Rime dubbie XVII 2 [Amore] vien dritto a l'uom per mezzo de la faccia. È " farsi avanti ", " avanzare ", con ‛ oltre ': If XXI 121 Libicocco vegn' oltre; Pd XXX 7 vien la chiarissima ancella / del sol più oltre. Unito a ‛ dietro ' (‛ dietro a ', ‛ retro ', ‛ di retro a ') vale " seguire " (If III 55 dietro le venia... lunga tratta / di gente; XIV 140 fa che di retro a me vegne), " inseguire " (XXIII 17 ei ne verranno dietro più crudeli / che 'l cane a quella lievre ch' elli acceffa), " camminare stando alle spalle di altri " (Pg XXI 10 ci apparve un'ombra, e dietro a noi venìa), " seguire, come effetto " nell'ordine temporale (Pd IX 6 pianto / giusto verrà di retro ai vostri danni) e, al figurato, " imitare ", " seguire i precetti di uno " (Pg V 13 Vien dietro a me, e lascia dir le genti; If XIX 93). Più puntualmente, ‛ v. retro ', ‛ di retro a ' o ‛ da ' esprime l'idea di un moto compiuto da una persona collocata dietro a un'altra; in tal modo il sintagma, oltre che " seguire " in senso locale (Pg XVIII 113) o locale e temporale nello stesso tempo (XXIX 63), può significare " avanzare, essendo l'ultimo in una schiera " (v. 144 vidi... di retro da tutti un vecchio solo / venir), " porsi a camminare per ultimo " (XXVII 47 [Virgilio] dentro al foco innanzi mi si mise, / pregando Stazio che venisse retro) o anche " provenire da una posizione arretrata rispetto ad altri ": XXIII 20 di retro a noi, più tosto mota, / venendo e trapassando ci ammirava / d'anime turba. Si noti inoltre If XX 14 in dietro venir li convenia, dove si allude al fatto che gl'indovini, avendo la testa travolta verso le spalle, sono costretti a " camminare a ritroso " . ‛ V. dentro ' è " entrare " (Fiore XVI 9) e ‛ v. fuori ' è " uscire " (Pg XXVII 57). In Pd V 101 traggonsi i pesci a ciò che vien di fori il sintagma indica quanto, dall'esterno della peschiera, " è gettato " ai pesci; in un contesto figurato, la stessa locuzione compare in un passo allusivo all'impossibilità, per chi rivolga tutto il proprio pensiero a un solo oggetto, di percepire ciò che è effetto d'impressioni prodotte " da cose sensibili esterne ": qui fu la mente mia sì ristretta / dentro da sé, che di fuor non venia / cosa che fosse allor da lei ricetta (Pg XVII 23). ‛ V. contra ' (If I 46, Fiore CCVII 1), ‛ contro ' (CCIX 1) e ‛ 'ncontro ' (If I 59) contiene sempre l'idea che il moto del soggetto è suggerito da un'intenzione ostile nei confronti della persona verso cui il soggetto stesso si dirige. Invece, il semplice atto di " accostarsi ", " avvicinarsi ", è espresso da ‛ v. verso (ver, inver) ': Vn XXIV 8 10 io vidi monna Vanna e monna Bice / venire inver lo loco là ' V ' io era; If XVI 7 Venian ver' noi, e ciascuna gridava: / " Sòstati... "; Pg II 37 come più e più verso noi venne / l'uccel divino, più chiaro appariva; ecc. E si noti la differenza fra due espressioni apparentemente simili: in If XVIII 26 i peccatori / ...ci venien verso 'l volto, si indica che i ruffiani si muovevano in direzione opposta ai due poeti, venendo loro incontro; invece la traccia / che venìa verso noi (v. 80) è la schiera dei seduttori, i quali si avvicinano a D. e Virgilio ma camminando nella loro stessa direzione. Vada qui anche Vn XXIV 7 3 vidi venir da lungi Amore.
Altre volte, la combinazione di v. con un aggettivo, un participio passato, un avverbio di maniera o una locuzione avverbiale consente di esprimere una particolare modalità del soggetto, quali la posizione occupata in una schiera, un suo modo di essere (e in questo caso il verbo acquista un valore assai vicino a quello di " essere ", pur conservando l'idea del moto), o altro: Fiore LXXIX 1 Madonna Oziosa venne la primiera; Rime dubbie XXVII 5 perché venisti così acconcia; If XII 19 non vene / ammaestrato da la tua sorella; Pg XXIX 84 ventiquattro seniori... / coronati venien di fiordaliso; If XXVI 52 quel foto... vien... diviso / di sopra; Pg XII 94 a questo invito vegnon [" accedono " ] molto radi; XIX 79 voi venite dal giacer sicuri; XXVII 136 mentre che vegnan lieti li occhi belli...; Fiore CCVII 4 quella sì venne molto umilmente; If XV 40 Però va oltre: i' ti verrò a' panni, " camminerò ", standoti di fianco, sebbene più in basso.
In un notevole numero di esempi, di cui si citano solo alcuni, si unisce a un complemento di compagnia (che in tutti i casi è espresso da un pronome personale), sicché sull'idea del " muoversi " prevale quella dell'" accompagnarsi ": Pg XI 43 questi che vien meco; XXXIII 135 Vien con lui; XVI 141 più non vegno vosco; ecc. In senso lievemente diverso: XI 50 A man destra per la riva / con noi venite, e troverete il passo, " procedete nella stessa direzione in cui ci muoviamo noi " . Vada qui anche Pd XXI 41 quello sfavillar che 'nsieme venne, che è esempio isolato.
5. Con soggetto rappresentato da una cosa, v. vale " giungere ", " arrivare ", con riferimento più o meno diretto al luogo dove si trova o si colloca idealmente la persona che parla o di cui si parla.
In senso concreto, il soggetto è una cosa " trasmessa ", " inviata " (Fiore LXII 12 se le fosse lettera venuta) o anche " portata ", " servita " (Cv II I 1 prima che vegna la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee).
È usato anche a proposito del " soffiare " del vento o dello " scorrere " dell'acqua piovana sul terreno: un fiato / di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi (Pg XI 101); la pioggia cadde, e a' fossati venne (V 119).
Più frequentemente ricorre in relazione a sensazioni auditive od olfattive percepite dal soggetto logico: If IX 64 venìa su per le torbide onde / un fracasso d'un suon; XXIX 51 tal puzzo n'usciva / qual suol venir de le marcite membre; Pg XXVIII 60 'l dolce suono veniva a me; Pd XIV 125 a me venìa [delle parole dell'inno giungevano a D. solo] " Resurgi " e " Vinci "; XVII 43 viene ad orecchia / dolce armonia da organo. Ha senso del tutto diverso in If XVII 92 volli dir, ma la voce non venne (quanto avrei voluto dire mi " rimase soffocato " in gola per lo spavento). Predicato a ‛ parole ' forma una perifrasi che, a seconda del contesto, corrisponde a " essere udite " (Vn III 2 le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi; XIV 10, Pd XXX 55) o a " essere pronunciate " (Pg XI 48 Le lor parole... non fur da cui venisser manifeste; XX 30).
In molti casi è riferito al fenomeno della diffusione di una radiazione luminosa: Cv II VI 9 li raggi non sono altro che uno lume che viene dal principio de la luce; Pg XXIX 19 'l balenar, come vien, resta; XV 69, Pd XXIX 26. E così, in contesti figurati, a proposito dello sguardo luminoso che ven dagli occhi di una donna (Rime CII 43), dei sapienti suggerimenti dati da persona sagace (Cv III XI 16 [da Ettore] venia loro la luce del consiglio), della grazia divina elargita agli uomini (Pd XIX 64 Lume non è, se non vien dal sereno / che non si turba mai); e così in XXV 70.
V. è piuttosto frequente anche quando devono essere affrontati temi connessi con il senso della vista. In due passi indica l'atto di seguire con lo sguardo per individuare una persona dall'altra in un gruppo a mano a mano che vengono indicate: Pd XXXII 115 Ma vieni omai con li occhi sì com' io / andrò parlando, e nota i gran patrici / di questo imperio; X 101. Nel Convivio ricorre più volte per chiarire come l'immagine pervenga all'occhio e ne sia percepita: II IX 4 avvegna che più cose ne l'occhio a un'ora possano venire, veramente quella che viene per retta linea ne la punta de la pupilla, quella veramente si vede; e così in III IX 7, 9, 10, 12 e 14. Si vedano inoltre Pd III 15 perla in bianca fronte / non vien men forte a le nostre pupille; Pg XIII 56.
Soggetto di v. può essere anche un sostantivo astratto come valore (Rime L 9), salute (v. 54), letizia (Cv I VIII 7), pace (Pg XI 7 e 9), conforto (Pd XXV 38), remedio (XXVI 14); in tutti questi casi il sintagma indica che il soggetto logico, spesso espresso da un complemento che determina v., " gode ", " ha ottenuto " (o " spera di ottenere ", " di godere ") del saluto, della pace, del conforto, e così via offertogli da altri. Diversa struttura sintattica si ha in Cv IV XIV 12 Pognamo che Gherardo da Cammino fosse stato nepote del più vile villano.., e la oblivione ancora non fosse del suo avolo venuta, dove tutta la perifrasi corrisponde a " il suo avo non fosse stato ancora dimenticato " (la stessa locuzione ricorre anche nei §§ 8, 13 e 14).
In due esempi l'accezione del verbo, pur essendo estensiva, è più vicina a quella propria, giacché allude a un processo, a uno sviluppo nell'ambito delle esperienze intellettuali o dei valori morali: Cv IV XIII 1 lo desiderio de la scienza non è sempre uno, ma è molti, e finito l'uno, viene l'altro; XXVII 4 appresso la propria perfezione... conviene venire quella che alluma non pur sé ma li altri.
La larga disponibilità di v. a esprimere rapporti propri della sfera intellettuale o comunque estranei al moto fisico è attestata anche da numerosi passi del Convivio, nei quali esso ricorre con riferimento a temi assai disparati, come l'influenza esercitata dai cieli (II XIV 16), in rapporto alla correlazione tra forma e materia (I 10), alla fruizione della filosofia da parte degli uomini (III XIII 3 discendo a mostrare come ne l'umana intelligenza essa [la Filosofia]... vegna), e alla possibilità per un testo di essere inteso (I VII 11 queste canzoni... vogliono essere esposte a tutti coloro a li quali puote venire... lo loro intelletto); e così in II I 9 (quattro volte) e 12, in rapporto all'esigenza di pervenire a una retta interpretazione di un testo secondo il senso letterale per poterne conseguire l'intelligenza secondo il senso allegorico.
6. Col significato di " presentarsi ", " manifestarsi " è frequente l'uso col dativo: mi venne in sogno una femmina balba (Pg XIX 7); Donna non ci ha ch'Amor le venga al volto (Rime XCVI 9).
Questa costruzione ricorre con particolare frequenza a proposito di pensieri e di sentimenti, specie nella Vita Nuova: VI 1 mi venne una volontade di volere ricordare lo nome di quella gentilissima; VII 5 16 di dir mi ven dottanza; XIV 9 molta pietade le ne verrebbe; XXII 14 6 fai di te pietà venire altrui (con ‛ fare ' causativo); XXXI 12 38 ven tristizia e voglia / di sospirare; XXXI 13 47 venemene un disio; 11 37 li ven di pianger doglia; XXXIV 3 mi venne uno penero di dire; Rime LXI 14 mi ven pesanza; Rime dubbie XX 1 mi vien pensare; If XXVI 5 mi ven vergogna; If XXXI 122 non ten vegna schifo; XXXII 71 mi vien riprezzo; Pg XXVII 121 Tanto voler sopra voler mi venne / de l'esser sù. Allo stesso ambito concettuale e semantico appartengono anche gli esempi seguenti, dove però la struttura sintattica è diversa: If XXIII 28 Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei; Pg XXVIII 46 vègnati in voglia di trarreti avanti; Pd X 36 se non com'uom s'accorge, / anzi 'l primo pensier, del suo venire (del suo " formarsi " nella mente).
Analogamente v. a la mente (Vn XVI 7 1, XXXVI 4 7), ne la mente (XXXIV 7 1 e 8 1), ne la... memoria (§ 6) e a mente (Pd XX 7) designano l'orientamento dell'animo o della memoria verso un oggetto. Vada qui anche Rime CXVI 16 Io non posso fuggir, ch'ella non vegna / ne l'imagine mia, non posso evitare che l'immagine della donna non s'insedi nella mia fantasia (imagine).
7. Come nell'uso odierno, anche nella lingua del tempo la locuzione ‛ v. al mondo ' (o anche il semplice ‛ venire '), riferita ad uomo, era nel Due-Trecento assai comune con il significato di " nascere " .
Quest'uso non è però mai attestato con sicurezza nel lessico dantesco. L'esempio più perspicuo è quello di Pd XII 78 dove a proposito di s. Domenico, che spesso era stato scorto dalla sua nutrice mentre, inginocchiato in terra, era immerso in preghiere, si aggiunge che sembrava volesse dire Io son venuto a questo (il fatto stesso che la frase riecheggi l'evangelico " ad hoc enim veni " [Marc. 1, 38] consente l'interpretazione " sono nato per questo ", " la mia missione è questa ").
Più dubbio l'esempio di Rime XVII 57 Lo giorno che costei nel mondo venne, per il quale sono state proposte varie interpretazioni: il giorno che costei nacque (che sembra la più plausibile), che costei apparve agli occhi miei (quasi a dire " che nacque per me, a me "), che per la prima volta fu ammessa in società (dando a mondo il significato del francese monde); persino quella " il giorno in cui io, D., fui battezzato e ricevetti la grazia santificante, cioè Beatrice, puro simbolo " (cfr. Barbi-Maggini e Contini).
Analogamente, sembra impossibile negare che in Rime LXIX 13 Credo che de lo ciel fosse soprana / e venne in terra per nostra salute, più che un'allusione alla nascita di madonna debba vedersi l'esaltazione della funzione beatifica di lei. Per l'identità formale fra i due passi vada qui Pg X 34 L'angel che venne in terra col decreto / de la molt'anni lagrimata pace, dove, ovviamente, venne in terra indica la discesa dell'arcangelo Gabriele al momento dell'annunciazione (l'episodio è ricordato anche in Cv II V 4 [Gabriele] venne a Maria).
Del resto, v. è piuttosto comune per alludere a eventi appartenenti alla sfera della dottrina teologica o dell'esperienza religiosa di Dante. Così, esso è usato a proposito dell'infusione dell'anima nel corpo (Cv IV XXI 9), dell'incarnazione di Cristo (III XI 3), della sua discesa nel Limbo (If IV 53, XII 38), dell'avvento di esseri messianici (I 102 infin che 'l veltro / verrà; Pg XX 15) e della comparsa di Cristo giudice alla fine del mondo: If VI 96 quando verrà la nimica podesta.
Riferito a piante, v. vale " attecchire ", " germogliare ", " crescere " . Questa accezione ha forse suggerito l'uso del verbo in due passi figurati ugualmente allusivi al rapido mutarsi della fama o delle abitudini umane (e la contrapposizione con ‛ andare ' sottolinea proprio questo aspetto): Pg XI 116 La vostra nominanza è color d'erba, / che viene e va; Pd XXVI 138 l'uso d'i mortali è come fronda / in ramo, che sen va e altra vene. Cade in una metafora anche l'esempio di XXVII 148 vero frutto verrà dopo 'l fiore, con cui si conclude l'annunzio ad opera di Beatrice di un prossimo rinnovamento del mondo.
8. Accompagnato da un complemento di origine indica la discendenza di qualcuno nell'ordine della parentela o il luogo di provenienza di una persona o di un popolo: Pd VIII 131 vien Quirino / da sì vil padre, che si rende a Marte; XV 137 mia donna venne a me di val di Pado; If XXXIV 45 [gli Etiopi] vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla. Vada qui anche il discusso passo di Rime dubbie XIX 13 Parmi che di battaglie di signore / veng' a ciascun cui d'Amor cheriraggio, mi sembra che il sonetto si rivolga a chiunque " provenga " dalle schiere dei nobili, al quale chiederò circa Amore (la lezione adottata dal Contini venga ciascun non modifica il valore del verbo).
Allude alla dottrina trinitaria della generazione del Figlio dal Padre nel passo del Convivio in cui si afferma che Cristo venne da quello (II V 2), cioè da Dio, come chiarisce la fonte evangelica (Ioann. 8, 42 " ego enim ex Deo processi et veni ").
Vale " provenire ", " derivare " anche in altri esempi in cui il soggetto è un nome di cosa: Cv III IV 3 quella orazione si può dir bene che vegna de la fabrica de lo rettorico, " che sia uscita dall'elaborazione di un maestro di rettorica " (Busnelli); IV XI 7 [le ricchezze] vegnono da pura fortuna... o vegnono da fortuna che è da ragione aiutata, l'acquisto delle ricchezze " è effetto " di eventi fortuiti, promossi o meno dall'industria intelligente dell'uomo (altri tre esempi nello stesso paragrafo).
Le numerosissime occorrenze nelle quali v. compare nelle accezioni ora illustrate si collegano anzi ad alcuni fra i temi più significativi dell'opera dantesca, quali l'origine della conoscenza (Pg XVIII 55 là onde vegna lo 'ntelletto / de le prime notizie, omo non sape), l'intervento provvidenziale di Dio nelle vicende umane (Cv IV XX 6 ogni dono perfetto di suso viene, discendendo dal Padre de' lumi), l'intervento della grazia nel favorire il viaggio di D. (Pg III 98 credete / che non sanza virtù che da ciel vegna / cerchi di soverchiar questa parete), la capacità dei beati di conoscere il pensiero di D. e il futuro leggendolo in Dio (Pd XXIV 9 voi bevete / sempre del fonte onde vieti quel ch'ei pensa; XVII 44 Da indi... mi viene / a vista il tempo che ti s'apparecchia), l'essere il pensiero d'amore per la Donna gentile effetto dell'influsso del cielo cui sono preposti i Troni e, più esattamente, del pianeta Venere (Cv II VI 9 non dico che vegna questo spirito, cioè questo pensiero, dal loro cielo in tutto, ma da la loro stella). E si vedano ancora, per analoghi motivi, Voi che 'ntendendo 13, III VII 12, IV XV 3, XXII 5 (seconda occorrenza) e 16; Rime LXXXVII 14; Pd XXI 88, XXIV 91, XXV 107, XXVI 135; ecc.
In un altro gruppo di occorrenze, anche queste molto frequenti, v. evidenzia il rapporto di causa e di effetto che lega due fatti. Così - e le indicazioni sono meramente esemplificative - in Cv I XI 1 la loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni; III XIV 14 Onde la nostra buona fede ha sua origine; da la quale viene la speranza, de lo proveduto desiderare; IV XXVII 6 da la prudenza vegnono li buoni consigli; Pg VII 111 quindi viene il duol che... li lancia; Pd XXII 9 ciò che ci [in cielo] si fa vieti da buon zelo; Fiore XCVI 9 'l salvamento vien del buon coraggio.
Questa costruzione è particolarmente frequente nel commento a Cv IV Le dolci rime 79 dicer voglio.../ che cosa è gentilezza, e da che vene; infatti, affrontando il problema dei rapporti fra nobiltà e virtù morale, che costituisce una premessa per arrivare alla definizione della nobiltà, D. deduce che, essendo ambedue concordi nel produrre il medesimo effetto, convien da l'altra vegna l'una, / o d'un terzo ciascuna (v. 96), e arriva alla conclusione che verrà... / ciascheduna vertute de costei, cioè dalla nobiltà (v. 109). Di qua le occorrenze di XVII 2, XVIII 1, 3 e 6, XIX 10, nel commento dei passi della canzone ora citati.
V. vale " derivare " anche quando è usato con riferimento all'etimologia di una parola: Cv IV XVI 6 è falsissimo che ‛ nobile ' vegna de ‛ cognoscere ', ma viene da ‛ non vile '; e così in un altro esempio dello stesso paragrafo e in VI 4 (seconda occorrenza) e 5.
9. Con il significato di " giungere ", " arrivare ", v. è disponibile per esprimere fatti che si riferiscono al procedere del tempo o nel tempo. Del primo senso si hanno esempi in Cv III XIV 7 nel secolo che dee venire; IV XXVIII 14 venne la senettute; Pg XXVII 61 vien la sera; Pd XXXII 82 poi che 'l tempo de la grazia venne; Fiore LXIV 9, CLIV 3 e 14; il secondo è attestato in If XXXIII 67 Poscia che fummo al quarto dì venuti, Rime C 1. Si noti la forma perifrastica è ancor a venire (Fiore CXLV 2), riferita a evento futuro. Allorquando si osserva che, se la nobiltà fosse generata dall'oblio della bassa condizione, molte volte verrebbe prima lo generato che lo generante (Cv IV XIV 12), la locuzione indica un'anteriorità che è contemporaneamente cronologica e logica, visto che l'ipotesi è dimostrata infondata con l'osservazione che in tal caso la causa efficiente (generante) sarebbe antecedente all'effetto prodotto (generato).
In particolare, è usato a proposito di parole pronunciate dopo altre (If IX 11 I' vidi ben sì com ei ricoperse / lo cominciar con l'altro che poi venne; Pg XXV 67) o per indicare il passaggio da un argomento all'altro nel corso di una trattazione (Vn XXX 1 la nuova matera che appresso vene).
10. È sintagma assai frequente quello formato da v. e da un infinito con valore finale o da un sostantivo retti dalla preposizione ‛ a '.
Nella maggioranza dei casi, dei quali si citano solo alcuni fra i più significativi, il sintagma esprime l'azione per cui si compie il movimento, l'azione alla quale si procede o anche lo stato di fatto che ci si appresta ad affrontare.
Con l'infinito: Vn XV 4 2 i' vegno a veder voi; XXIII 6 imaginai alcuno amico che mi venisse a dire...; XXVI 6 7 una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare; Rime LXXXVI 2 venute sono a ragionar d'amore; Rime dubbie X 14 ond'assalir lo ven (si noti la mancanza della preposizione); Cv IV V 15, If V 81 venite a noi parlar, e XXIII 132; Pg V 44 vegnonti a pregar; Pd XXVI 102 a compiacermi venìa; Fiore CCI 10 venne a salutarmi. Con un sostantivo: Rime dubbie X 1 una donna vene / al grande assedio della vita mia; If VII 55 In etterno verranno a li due cozzi; XXVIII 88 farà venirli a parlamento; XII 62 A qual martiro / venite voi...?; Fiore XII 11 i' sì son venuto... / a tua merzede (" a pormi a tua discrezione ").
Altre volte indica l'inizio di uno stato o di un fatto. Con l'infinito: Vn XXXVIII 8 2 sen vene a dimorar meco; Cv IV IV 11, Rime CI 16 Amor lì viene a stare a l'ombra; Pd X 135 a morir li parve venir tardo. Con un sostantivo, per indicare l'inizio di uno stato: v. a malo fine (Cv III XII 9); v. a l'abito filosofico (XIII 9), " conseguirlo "; v. a vita felice (IV IV 1); v. a debile stato (XXVIII 17); v. a dignitate (Fiore CXVI 6), " ottenere " una carica; v. a comandamento (CCXIX 8), " ridursi a fare la volontà altrui " . In particolare, con sostantivi deverbali: v. a la conoscenza (Cv II I 11), a perfezione (IV XIII 5), a perfezione e a maturitade (XXVII 3), a corruzione (Pd VII 126). E così: Cv III IX 1 io, prima che a la sua composizione venisse..., prima di " comporre " la canzone Amor che ne la mente; IV XIV 3 è impossibile per processo di tempo venire a la generazione di nobiltade, è impossibile che la nobiltà " si produca " con il passar del tempo.
Altre volte indica passaggio nella trattazione da un argomento all'altro: Cv IV X 1 verrò a quella parte ragionare che ciò ripruova, e XV 18; XXII 4 venire intendo... a la verace oppinione d'Aristotile (e s'intende " ad esporla "); I IV 1 mostrate quelle [ragioni], si verrà... al principale proposito; Vn II 10 verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria.
In qualche caso è meramente fraseologico: Cv IV XXVIII 2 venne ad intrare nel mare di questa vita, " entrò "; II 10 le nostre brighe, se bene veniamo a cercare li loro principii..., " se cerchiamo " . Raramente ha funzione enfatica: If XXX 40 [Mirra] a peccar con esso venne, " si spinse " fino a commettere incesto con il padre.
Altre locuzioni, tutte formate da v. e da un sostantivo, sono più difficilmente inquadrabili in uno schema unitario, pur contribuendo ad arricchire le possibilità espressive del verbo; se ne dà una spiegazione qui di seguito. Pd XXI 79 Né venni prima a l'ultima parola, / che..., " l'avevo appena pronunciata... "; XII 125 Acquasparta, / là onde vegnon tali a la scrittura, donde " provengono " alcuni " per dedicarsi " all'esame delle Scritture; Cv IV XV 13 mai a dottrina non vegnono, " non l'acquistano " . Così, per dire che, quando un agente agisce con la sua virtù sul soggetto, lo rende per quel che è possibile simile a sé: III XIV 2 ne li agenti naturali vedemo... che, discendendo la loro virtù ne le pazienti cose, recano quelle a loro similitudine tanto quanto possibili sono a venire; e ancora, per indicare il punto conclusivo di un processo mentale o psicologico, cfr. IV 12, IV XII 9, XIII 6 e 7.
In due casi il complemento è costituito da un pronome, e il verbo presenta una particolare pregnanza di significato: If VI 60 dimmi... a che verranno / li cittadin de la città partita, " a quali estremi si spingeranno " (Mattalia). In altro senso: Vn XLII 2 tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, " di ottenere questo risultato " .
Appartengono al lessico familiare le locuzioni v. a man di uno (If XXII 45), " cadere in suo potere "; v. al sangue (VI 65), " abbandonarsi a sanguinose lotte civili "; al millesmo del vero / non si verria (Pd XXIII 59), " non si riuscirebbe ad esprimerne " neppure una menoma parte; v. a' guanti (Fiore LXXX 8), " ottenere una ricompensa " (v. GUANTO); v. a buon capo di uno (CLXI 1), " aver la meglio su di lui " .
I sintagmi e i valori appena illustrati si hanno anche quando l'infinito o il sostantivo sono congiunti a v. mediante la preposizione ‛ per '; quest'uso è però assai raramente attestato: Cv IV XXVII 17 Cefalo... venne ad Eaco re per soccorso, " per chiederglielo "; If III 86 i' vegno per menarvi a l'altra riva; XIII 103 verrem per nostre spoglie, " per rivestirei nostri corpi "; XXVII 112 Francesco venne poi, com'io fu' morto, / per me, " per condurmi in cielo "; Rime LXXXVII 2, Fiore LXI 10, XXVI 5 colui... venne per lo fiore, " per impadronirsene "; CXXXI 8 sian venuti a voi per ostellaggio, " per ottenere ospitalità "; Detto 346 Se mai vien' per mi' agio, " per il piacere che io posso darti " . Un caso isolato si ha in Rime dubbie XXVIII 13 quello spirito... / vien con conforto, " viene a confortarmi " .
Con la preposizione ‛ in ' forma varie locuzioni che esprimono l'inizio di un sentimento o il raggiungimento di uno stato, di una condizione, ecc.: v. ‛ in grazia ' di uno (Vn XXVI 1), v. in grado a uno (Pd XV 141); leggendo in piuma, / in fama non si vien (If XXIV 48); Rime dubbie XXII 9 quel che viene in su la dilettanza, " che comincia a gustarla " (cfr. Contini).
‛ V. a tanto che ' vale " ridursi al punto che ": Vn XXXVII 1 Io venni a tanto per la vista di questa donna, che li miei occhi si cominciano a dilettare troppo di vederla; ha lo stesso valore venni a quello che (XXIII 5).
Nella maggior parte degli esempi ‛ v. meno ' indica il determinarsi più o meno improvviso di una deficienza e ha quindi il significato di " mancare ", " scomparire ", " cessare ": Vn XV 8 onne sicurtade mi viene meno; Cv III IV 11 la fantasia venia meno a lo 'ntelletto; Pg XIV 96 dentro a questi termini è ripieno / di venenosi sterpi, sì che tardi / per coltivare omai verrebber meno, " si riuscirebbe a eliminarli "; Pd XIII 9 [l'Orsa minore] al volger del tempo non vien meno, " continua a rimanere visibile "; e così altrove. In alcuni contesti assume accezioni più determinate: Rime L 14 Piacciavi, donna mia, non venir meno / ... al cor che tanto v'ama, " non privare della vostra benevolenza "; è " risultare manchevole ", " riuscire inadeguato ", in Cv IV XXIV 10 la buona natura... non viene meno ne le cose necessarie; If IV 147 sì mi caccia il lungo tema, / che molte volte al fatto il dir vien meno, e XXVIII 4; allude all'estinzione della dinastia dei Carolingi in Pg XX 53 li regi antichi venner meno / tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi; vale " svenire ", " perdere i sensi ", in If V 141 Mentre che l'uno spirto questo disse, / l'altro piangëa; sì che di pietade / io venni men così com'io morisse.
11. Per quanto sia frequente nell'uso del suo tempo, in D. si hanno solo scarsi esempi di v. impiegato impersonalmente con il significato di " avviene ", " accade ": Rime dubbie XXII 13 Ciò prova augel che più canta amoroso; / se vien che compia la sua disianza, / fi ' [" avviene " ] del cantar che sembra altrui noioso; XI 7 quando ven per avventura / vi miro, tutta mia vertù ruina (si noti l'omissione della congiunzione ‛ che '); Cv III II 8 però che ne le bontadi de la natura [e] de la ragione si mostra la divina, viene che naturalmente l'anima umana con quelle per via spirituale si unisce (qui vale piuttosto " ne deriva ", " ne scaturisce ").
Nel passo dedicato all'illustrazione dei rapidissimi mutamenti dei beni a causa della Fortuna, in If VII 90 il Petrocchi legge sì spesso vien chi vicenda consegue, da interpretarsi: spesso " si dà il caso " di chi goda o soffra dell'avvicendamento della fortuna; il Del Lungo (Dal secolo e dal poema di D., Bologna 1898, 463) difese la variante vien che vicenda, accolta anche dal Barbi (Problemi I 206); in questo caso si dovrebbe spiegare " avviene che " .
Più frequentemente è usato come verbo copulativo con il significato di " divenire " o di " essere " ed è quindi seguito da un aggettivo: Vn XXIII 27 77 Vedi che sì desideroso vegno / d'esser de' tuoi; Cv II II 3 non subitamente nasce amore e fasci grande e viene perfetto, e IV II 8; If XX 59 venne serva la città di Baco; XXVII 69 certo il creder mio venìa intero, " si sarebbe avverato "; Pd II 12, XXXIII 52 la mia vista, venendo sincera, / e più e più intrava per lo raggio / de l'altra luce; ecc.
Seguito da un participio passato sostituisce ‛ essere ' nella formazione dei tempi composti; nessuno fra gli esempi di quest'uso reperibili in D. è però del tutto perspicuo: Rime LVI 16 Ma per crescer disire / mia donna verrà / coronata da Amore (" sarà coronata ", Barbi-Maggini; ma potrebbe interpretarsi " verrà da me dopo aver ricevuto la corona da Amore "); LXVIII 23 per tal verrò morto (da interpretarsi: e così " sarò ucciso " o anche " morirò "); Pd XVII 50 Questo si vuole e questo già si cerca, / e tosto verrà fatto a chi ciò pensa, tale intento " sarà attuato "; Fiore CXLVII 7 le mie promesse gli venian fallate, " gli venivano meno ", " non erano rispettate "; e così in XLII 7.
In due esempi del Fiore, ‛ egli vien alcun (che) ' ha il senso anche più attenuato di " c'è qualcuno (che) ": CLXXI 1 E s'egli viene alcun che ti prometta...; XCII 6.
In molti casi v. è seguito da un gerundio. In qualche caso il sintagma è risolubile in due proposizioni e i due verbi conservano ognuno il significato loro proprio; così in Vn IX 10 7 [Amore] sospirando pensoso venia; If XVII 58 com'io riguardando tra lor vegno; XXV 18 vidi un centauro... / venir chiamando; ecc. Quest'uso è particolarmente evidente quando il gerundio appartiene a un verbo di moto: If XIV 125 tutto che tu sie venuto molto / ... giù calando al fondo; XVI 131 i' vidi per quell'aere... / venir notando una figura; XXI 30 vidi... un diavol nero / correndo... venire; ecc. Più frequentemente indica l'azione nel suo svolgimento, nella sua graduale attuazione: Vn XVIII 8 pensando a queste parole... venia dicendo fra me medesimo; Cv IV XXII 5 le biade... quando nascono, dal principio hanno quasi una similitudine... e poi si vengono per processo dissimigliando; Pd VIII 121 Sì venne deducendo infimo a quici; Fiore CCXXIX 8 po' venni la coverta sollevando; e così altrove.
L'infinito sostantivato ricorre come sinonimo di ‛ venuta ', in If II 34 se del venire io m'abbandono / temo che la venuta non sia folle, 137 (dove anche allude al " viaggio " di D. nell'aldilà) e 117, XV 115 (" l'accompagnarmi a te "), Pd XII 111; in Rime XC 28 perché nel suo venir li raggi tuoi [di Amore] / ... saliron tutti su ne gli occhi suoi, è riferito al momento in cui l'immagine della giovane donna " penetra " nell'animo del poeta.
Le occorrenze del gerundio sono due. In Cv IV XXII 15 L'angelo di Dio discese di cielo, e vegnendo volse la pietra e sedea sopra essa, rende il latino " accedens " del testo evangelico che D. traduce (Matt. 28, 2) e vale quindi " accostandosi ", " avvicinandosi "; ha funzione di participio riferito a color, in Pg XVIII 95 cotal per quel giron suo passo falca, / per quel ch'io vidi di color, venendo; le anime di quel girone, " all'idea che me ne potei fare guardando, arrivavano con poderose falcate " (Mattalia).
Circa l'uso del participio, è da notare il passo di Pd XXXII 24 e 27, dove i credenti in Cristo venturo, cioè gli Ebrei che ebbero fede nel futuro avvento del Messia, sono contrapposti a quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.
12. I passi discussi sono due o tre. In Vn XXXI 14 49 E quando 'l maginar mi ven ben fiso, / giugnemi tanta pena d'ogne parte, / ch'io mi riscuoto per dolor ch' i' sento, anche a non voler tenere conto della variante tien ben fiso (per cui v. Barbi), sono possibili due interpretazioni che coinvolgono il significato di ven: quando " sopraggiunge " intensa la rappresentazione fantastica di Beatrice morta, oppure: quando la rappresentazione " diventa " più intensa.
Poiché voglia può significare tanto il desiderio in sé quanto l'oggetto desiderato, ancor meno sicuramente interpretabile è l'esempio di Pd XXXIII 141 la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. Infatti, attribuendo a voglia la prima accezione, bisogna interpretare: " per mezzo del fulgore ‛ ciò che la mente voleva avvenne, si compì ' " (Sapegno), cioè il mio desiderio fu soddisfatto. Nell'altro caso, per il quale opta il Mattalia, si dovrà intendere che l'oggetto del desiderio di D., cioè la soluzione del mistero trinitario, " venne ", " apparve chiaro " in quel fulgore.
Tutti i commentatori recenti concordano nel ritenere che nella perifrasi il secondo vento di Soave usata in Pd III 119 per indicare Enrico VI, vento sia sostantivo. Solo il Torraca, sia pure dubitativamente, riprende l'ipotesi del Perticari che esso stia per " venuto " .