VENOSA ( Venusta)
Topografia. - La colonia latina del 291 a.C. venne fondata al confine tra l'Apulia e la Lucania in una zona con precedente insediativo (Strab., VI, 4,11) su un ampio pianoro intensamente urbanizzato fin dai primi anni di vita della città. Programmato secondo i criteri dell'urbanistica romana dell'età medio-repubblicana, il sistema ricostruibile per V. è confrontabile con quello di altre colonie (Atri nel Piceno, Cosa in Etruria, Benevento nel Sannio, ecc.), analoghe per statuto e non lontane per data di fondazione.
La stessa conformazione del terreno suggerisce il sistema di ripartizione usato in fase di pianificazione, con il pianoro scandito in tre fasce, sottolineate dalle viabilità principali e suddivise da serie di assi minori ortogonali,
disposti a creare isolati rettangolari con rapporto larghezza- lunghezza oscillante intorno all'1:3.
Le fasi edilizie del centro si collegano alla rideduzione dopo la guerra annibalica, alla ristrutturazione collegata agli effetti della guerra sociale - cui V. prese parte contro Roma - e alla deduzione triumvirale nel 43 a.C. A questi momenti si debbono attribuire edifici abitativi e pubblici individuati in alcune aree della città sotto la stratificazione imperiale.
È a partire dall'età giulio-claudia che si propongono gli episodi architettonici più impegnativi: in ambito pubblico sia le terme sia l'anfiteatro (del teatro non si ha notizia se non per l'eventuale attribuzione di un telamone), presentano fasi in opera reticolata, ascrivibili a diversi momenti dei primi decenni del principato, cui si associano interventi strutturali della prima metà del II e rifacimenti a partire dal IV sec. d.C.
Comincia con tale periodo un travaglio urbanistico che comporta, nel ristrutturarsi degli aspetti sociali ed economici connessi anche alla diffusione del cristianesimo, una ridistribuzione degli spazi urbani e una nuova concezione del riutilizzo architettonico dell'esistente con gli ambiti abitativi sempre più connessi con le attività del terziario e soprattutto artigianali. Queste ultime si conservano a lungo, se si considera che l'area urbana orientale fu caratterizzata fin dall'inizio della colonia dalla presenza di fornaci e dalla lavorazione della terracotta e che bolli laterizi riconducono all'età augustea la figlina rimasta legata alla gens Minatia per almeno due generazioni.
Il «consumo» della pianificazione repubblicana è percepibile in particolare nelle aree paraecclesiali, dove si creano nuovi quartieri che tendono a cancellare il sistema urbano erede dell'impianto classico, con un fenomeno da un lato di parcellizzazione e dall'altro di accorpamento. Quest'ultimo era già iniziato nella prima età imperiale con l'uso estensivo dell'esproprio del privato per la costruzione del pubblico: in tale ottica possono infatti leggersi casi di ridelineazione urbana, come l'unione di due isolati; originari e il declassamento della strada intermedia avvenuti per la costruzione dell'anfiteatro, o il livellamento di precedenti abitativi che si verifica in quest'area come in quelle coinvolte dal più tardo inserimento delle chiese e degli annessi edifici.
Nella zona più alta del pianoro a O della città, dove nel '500 Pirro del Balzo costruirà il castello, si individua il sistema di approvvigionamento idrico (acquedotto e castellum aquae) dell'età imperiale e dunque del periodo della massima utenza (ad altro impianto termale di II sec. d.C. è da riferire il complesso chiamato «Casa di Orazio»), Se in precedenza dovevano essere sufficienti i tracciati dei cunicoli, tradizionali in abitati costruiti su conglomerato, per il drenaggio delle acque, già in età tardo- repubblicana sappiamo di restauri a sistemi di adduzione con tubazioni in terracotta e comunque con il II sec. d.C. doveva essere funzionante la distribuzione in area urbana con diramazioni dal divisorium. Questo, in gran parte inglobato dalle strutture del castello, era servito da un acquedotto che provenendo dalla zona extraurbana SO fiancheggiava, con tracciato interrato, un importante asse viario, identificato da monumenti sepolcrali, tra cui tipici quelli con fregio dorico.
Da O doveva dirigersi verso il nodo stradale legato alla porta urbica che si apriva non lontano dal castello nelle mura in opera quadrata, la Via Appia, che sicuramente venne a collegare il caposaldo venosiano a Roma non molto tempo dopo la fondazione della colonia, e che già dopo la metà del III sec. a.C. proseguì fino a Brindisi.
Il riuso degli spazi insediativi secondo un'organizzazione che traspare nel tessuto della città moderna, fa avanzare l'ipotesi che riconosce in Piazza Orazio l'area del foro, dalla cui pavimentazione proverrebbero le lastre con iscrizione monumentale riutilizzate per la costruzione della SS. Trinità.
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(P. Sommella)
Scultura. - La produzione scultorea riferibile al centro romano di V. è rappresentata da materiali musealizzati e da altri reimpiegati in contesti edilizî di varia cronologia distribuiti nella città e nel suo territorio. Sulla base delle attuali conoscenze, i più antichi esempi di reimpiego possono essere considerati quelli del c.d. Ipogeo Lauridia (IV sec. d.C.?), sulla collina della Maddalena, e della fase paleocristiana della Chiesa Vecchia della SS. Trinità, a c.a 1 km dall'abitato. Fregi dorici rettilinei e un pulvino in pietra, assegnabili a una o più strutture funerarie di età augustea, furono scelti per ornare l'ingresso della tomba. Grazie ai riusi nella chiesa si conservano un fregio dorico rettilineo, anch'esso in calcare e collegabile con un sepolcro di più probabile età augustea, un ritratto in marmo di principe giulio-claudio di età caligoliana-claudia (ora nel museo di V.) forse dall'anfiteatro, due colonne in cipollino con basi e capitelli compositi, datati al ITI sec. d.C., senza dubbio provenienti dal medesimo edificio pubblico. La successiva riesposizione di spoglie romane nell'ambito della Trinità (Chiesa Vecchia e Incompiuta) si attuò tra l'XI e il XIII sec., interessando sia esempî di scultura funeraria, in pietra, databili tra la seconda metà del I sec. a.C. e i primi decenni del I sec. d.C., quali statue leonine, stele e rilievi figurati, fregi dorici, sia altri di diversa pertinenza come architravi marmorei di tarda età imperiale.
Anche all'arredo urbano, con ogni probabilità, fu dato inizio nel corso del Medioevo, se si tiene conto del fatto che la sistemazione delle fontane di Piazza Castello e «di Messer Oto» (in Largo Piazzetta), ornate da statue leonine analoghe a quelle della Trinità, seguì a due privilegi, di Carlo II d'Angiò nel 1298 e di Roberto d'Angiò nel 1313-1314. Del successivo incremento di recuperi e pubbliche riesibizioni nell'abitato di sculture romane - investite poi di una funzione segnaletica e talvolta apotropaica rispettivamente in rapporto col pubblico e col privato - si apprende dalla dettagliata descrizione di A. Cappellano (Discrittione della città di Venosa, 1584).
Di notevole interesse sono le sculture - esposte e non - nel Museo Archeologico Nazionale recentemente istituito a Venosa. A riguardo, tranne che in pochi casi, non si dispone di dati circa i tempi e le circostanze dei recuperi. Si sa soltanto che fino al 1975, anno di costituzione di un Lapidarium nel castello - fatto erigere da Pirro del Balzo nel 1470 - oggi sede del museo, gran parte dei materiali si trovava raccolta presso la Chiesa della SS. Trinità. Perduta risulta invece una testa marmorea di età imperiale, copia del Diadumeno policleteo, rinvenuta il 1956 nel corso di scavi nella città (zona dell'Annunziata) e documentata da foto (archivio della Soprintendenza Archeologica della Basilicata a Venosa).
Per quanto concerne la scultura in marmo, a parte il ritratto giulio-claudio già menzionato, sono da segnalare un grande capitello corinzio rilavorato dalla cattedrale e altri, dei quali uno composito, due corinzieggianti, dall'area delle terme venosine, di avanzata età imperiale. La locale scultura in calcare è invece esemplificata da un ritratto maschile funerario e da un telamone a figura silenica inginocchiata, entrambi a tutto tondo e databili alla seconda metà del I sec. a.C., alcuni togati, numerose statue leonine, stele e rilievi figurati, pulvini, fregi dorici rettilinei ed elementi architettonici vari, pertinenti a sepolcri databili tra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e la metà circa del I d.C.
Con V. possono essere inoltre connessi pregevoli monumenti marmorei d'importazione, quali il noto sarcofago a colonne, di produzione asiatica, da Rapolla al Museo Nazionale di Melfi (v. voi. vii, fig. 33) e l'altro, attico, con l'iscrizione METILIA TORQUATA, da Atella al Museo Nazionale di Napoli (inv. 124325), entrambi di II sec. d.C. e particolarmente rappresentativi della presenza senatoria nel territorio della colonia nel corso dell'età imperiale.
Nell'ambito della produzione funeraria complessivamente documentata a V., correnti distinzioni tipologiche diversificano le statue, le stele (a nicchia singola, rettangolare, arcuata, con acroteri) e i rilievi figurati (a nicchia singola rettangolare con o senza frontoncino, a nicchia doppia rettangolare) a una o più figure. I fregi dorici, insieme ad altri motivi del consueto repertorio decorativo, come quelli vegetali o dell'armamento militare, presentano teste bovine scarnificate e non. I leoni, tra i quali è stato possibile isolare alcune coppie speculari destinate a singoli monumenti, si differenziano per le dimensioni e gli schemi iconografici, costituiti dagli atteggiamenti di attacco, stante o disteso sulle quattro zampe. Sebbene di certo suddivisibile tra più botteghe, fiorite localmente per soddisfare la committenza della colonia, la produzione venosina esprime una notevole omogeneità sul piano tecnico-stilistico, data dal comune indirizzo semplificativo nell'interpretazione, sempre modesta, dei modelli relativi alle varie classi monumentali. La schematicità e la ridotta definizione plastica delle anatomie, la convenzionale stereometricità nella resa dei volti e delle protomi leonine, la ripetitiva rigidità negli atteggiamenti e nel grafismo dei panneggi ripropongono le abituali coordinate della scultura funeraria nota per municipi e colonie dell'Italia centro- meridionale tra tarda età repubblicana e prima età imperiale. Il materiale utilizzato è normalmente una pietra compatta di colorazione beige chiaro, il cui largo impiego anche nell'edilizia venosina di età moderna è agevolmente verificabile percorrendo le strade del centro storico della città. Della disponibilità sul posto di questa e altre qualità di calcare informava il Cappellano, sottolineando l'esistenza di «infinitissime petrere» lungo le pendici del Vulture: una fonte di approvvigionamento che certo favorì la monumentalità dell'edilizia pubblica della colonia ricostruibile per gli anni tra la fine dell'età repubblicana e l'avanzata età imperiale, quanto la grandiosità di edifici medioevali come il complesso della SS. Trinità.
La città con il territorio circostante dovette conservare in piedi una buona quantità di monumenti romani oltre il Mille, e almeno fino al sec. XVI numerosi esempî di architettura sepolcrale, secondo quanto testimoniato dal Cappellano. Da ricordare sono i resti in opus coementicium di un monumento funerario di fine I sec. a.C.- inizî I sec. d.C., tuttora visibili lungo il percorso del- l'Appia, all'esterno dell'antica area urbana e a NO dell'attuale centro abitato (c.d. Tomba di Marcello). Potrebbe essersi trattato di ;un sepolcro a struttura cubica con soprastante edicola cuspidata, considerato anche che per sepolcri del genere è attestato l'uso ornamentale di statue leonine (mausoleo di Aquileia), del tipo ancora così largamente documentato a Venosa. L'alto numero di esemplari (circa venti tra statue intere e frammenti) e la varietà iconografica che contraddistinguono la serie dei leoni nota per il centro suggeriscono, d'altra parte, l'esistenza a V. di numerose tombe monumentali anche ad ara o a tamburo cilindrico su base quadrata (caratterizzate da leoni custodi rispettivamente a Pompei, Sepolcro degli Stronnii, e a Sepino, Mausoleo di Q. Ennio Marso) databili tra la metà del I sec. a.C. e i primi decenni del I sec. d.C. Conferma in questo senso si ha, p.es., dal fregio dorico su lastra arcuata incassato all'esterno dell'abside dell'Incompiuta, che rimanda a un sepolcro a tamburo cilindrico, e dagli altri, rettilinei, assegnabili a recinti o a strutture tombali del tipo ad altare, ai quali possono essere attribuiti con uguale verosimiglianza alcuni ulteriori elementi decorativi nel museo venosino, come blocchi decorati con maschere teatrali e con lesena e capitello a sofà, o pulvini con aquila, fascio di fulmini e foglie lanceolate.
La cronologia proposta su base tipologica e stilistica per la suddetta produzione non contrasta con i dati emersi dalle indagini più recenti condotte nel territorio venosi- no, le quali hanno dato conferma, all'esterno del circuito murario della colonia, dell'esistenza di estese fasce di necropoli in uso almeno dal terzo venticinquennio del I sec. a.C. all'avanzata età imperiale (lungo l'antica Via Appia, lungo l'antica strada per Grumentum - attuale Via Appia - sulla collina della Maddalena). La sopravvivenza di sepolcri monumentali a V. fin oltre i tempi del Cappellano si spiega con il mancato sviluppo urbanistico del centro al di fuori delle mura della colonia ancora nello scorso secolo, con ogni evidenza anche all'origine della conservazione fino a oggi di una quantità tanto consistente di scultura funeraria.
Tale fioritura, in particolare quella collocabile tra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e l'arco dell'età augustea, è da riferire senz'altro alla deduzione coloniale del 41 a.C., in occasione della quale furono stanziati a V. dai secondi triumviri i veterani della legione XII, forse la stessa di Cesare in Gallia (cfr. a questo proposito un fregio funerario nel cortile di un'abitazione in Via Annunziata n. 27, con coppia di busti, dei quali il femminile di verosimile ascendenza celtica). Le profonde trasformazioni che interessarono in quegli anni la città dal punto di vista sociopolitico investirono sicuramente anche il suo aspetto monumentale. Nelle statue e nei rilievi funerarî conservatisi è possibile individuare il riscontro della varietà tipologica e decorativa dei sepolcri, spesso imponenti, cui a V. dovette affidare la propria memoria non soltanto il nuovo ceto dirigente aristocratico ma anche la classe dei ricchi liberti locali noti dalle iscrizioni. Per gli interventi di edilizia pubblica del periodo, a parte le epigrafi, non abbiamo che i probabili resti della pavimentazione della piazza forense, rappresentati da grandi lastre calcaree con lettere isolate incise, reimpiegate nei paramenti murari dell'Incompiuta, e un notevole frammento di epistilio, iscritto, nel museo di Venosa. Bisognerà aspettare l'inoltrata età giulio-claudia per ulteriori esemplificazioni di rilievo come l'anfiteatro e le terme. Particolare valore documentario riveste, pertanto, il telamone già reimpiegato in una fabbrica del centro storico e ora nel museo della città, iconologicamente accostabile a quelli di Pietrabbondante, Pompei, Benevento e verosimilmente riferibile a un edificio per riunioni realizzato a seguito dell'insediamento dei veterani nella colonia.
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