LAMBERTI, Ventura (Bonaventura)
Nacque a Carpi il 5 dic. 1652 da Tommaso e Chiara Agazzani, in una famiglia, discretamente agiata, che possedeva terreni nel contado della cittadina e alcuni edifici a Modena. La sua prima formazione pittorica avvenne nella città natale.
Ignota è l'identità del suo primo maestro, riconosciuto ipoteticamente nella figura di F. Stringa sulla base delle opere più antiche e di discussa cronologia attribuite al L., in primo luogo la tela con la Madonna col Bambino e i ss. Bernardino, Carlo Borromeo, Rocco e Filippo Neri (proveniente dalla chiesa di S. Maria delle Cappuccine, oggi conservata nel locale Museo civico). Certamente il L. conobbe Stringa, che allora ricopriva la carica di soprintendente alle Gallerie ducali di Modena, e ne assimilò i modi guercineschi di trattare la luce.
Documentata, come riferisce la biografia del L. tracciata da Tiraboschi, è invece la frequentazione della scuola di C. Cignani a Bologna tra il 1676 e il 1682.
In questo periodo si collocano opere carpigiane come la dibattuta Sacra Famiglia e s. Caterina (chiesa di S. Francesco) e i Ss. Carlo Borromeo, Girolamo e Filippo Neri (chiesa di S. Ignazio); il momento conclusivo dell'apprendistato presso Cignani è invece testimoniato dalla tela con S. Giovanni Battista che appare a s. Curio, eseguita per la Confraternita di S. Pietro Martire a Formigine, in cui il pittore dimostra di saper accogliere e rielaborare i modi del Guercino (G.F. Barbieri), relegando ai soli dettagli la lezione cignanesca.
Secondo Pascoli fu lo stesso Cignani a incoraggiare il suo giovane allievo a intraprendere un viaggio a Venezia, durante il quale ebbe l'opportunità di dedicarsi allo studio del colorismo veneto, mediato da artisti quali F. Maffei e S. Mazzoni. L'esperienza non si protrasse oltre la fine del nono decennio, quando il L., nuovamente a Carpi, eseguì per la chiesa di S. Ignazio il S. Francesco Saverio che battezza due re e, poco dopo, il Padre Eterno del Museo civico.
Databile al 1689 circa per la presenza di tale data nell'iscrizione dedicatoria sul fastigio, che riporta anche i nomi dei committenti, i fratelli Giuseppe Maria e Andrea Ferrari, la tela di S. Ignazio costituisce un punto nodale nella biografia del L.: accanto a un solido impianto emiliano, mostra una gamma cromatica ricca di contrasti e di effetti materici, appresi con tutta probabilità durante il viaggio in Veneto.
Benché Tiraboschi lo dati al 1687, occorre dunque posticipare il maturato proposito del L. di trasferirsi a Roma, spinto sia dagli scarsi successi ottenuti in patria, a Bologna e a Venezia, sia da alcune difficoltà economiche che, durante il periodo veneziano, lo avevano costretto a svendere almeno due sue opere a Eustachio Cabassi.
All'inizio del suo soggiorno romano, preceduto da una breve sosta a Firenze, il L. trascorse un periodo di alcuni mesi dedicandosi allo studio e alla frequentazione delle numerose collezioni d'arte romane; mentre non è possibile stabilire se all'inizio avesse frequentato botteghe di altri maestri.
Verso la fine del 1689, l'incontro con il marchese Pietro Gabrielli, che aveva da non molto acquistato dalla famiglia Orsini il palazzo di Montegiordano (oggi palazzo Taverna), permise al pittore di ottenere la prima, prestigiosa commissione romana, ricostruibile grazie alle notizie fornite da Pascoli e al ritrovamento del carteggio Gabrielli (Frascarelli-Testa, cui si fa riferimento, dove non altrimenti indicato per le questioni relative al rapporto tra il marchese e il pittore). Infatti, la completa ristrutturazione del piano nobile dell'edificio prevedeva anche una ricca decorazione con affreschi e tele, secondo un'impaginazione iconografica ideata dallo stesso marchese.
Per quest'incarico, grazie anche alla mediazione di Arcangelo Corelli, allora consulente del marchese per l'acquisto di quadri, il L. ottenne un consistente anticipo finanziario, la fornitura di quindici tele e l'opportunità di trasferire la propria dimora nel palazzo. Il L. lavorò ad affresco sulla volta della galleria dipingendovi l'Aurora, sul modello guercinesco (casino Ludovisi), e un ricco apparato architettonico-prospettico volto ad amplificare il volume dell'ambiente. Per la galleria e per la sala quadrata eseguì 15 tele. Ne restano otto: il Ratto d'Europa, il Trionfo di Sileno, l'Allegoria del Tempo, la Maledizione di Atteone, la Cacciata di Callisto, la Venere che piange Adone, un ovale con Narciso al fonte e una "favola curiosa", com'è definita da Pascoli (p. 769), che descriveva gli altri sei quadri, ancora di soggetto mitologico-allegorico, o "ciecha", secondo una lettera del 17 giugno 1695 del marchese Gabrielli, il cui soggetto è stato individuato nella rappresentazione del "gioco della gatta cieca", segretamente organizzato dalle ninfe per favorire l'incontro tra Amarilli e Mirtillo, i due protagonisti del Pastor fido di G.B. Guarini. In una lettera del 4 maggio 1694 del carteggio Gabrielli è inoltre citata un'altra tela eseguita per il palazzo: si tratta di un "quadro grande del re Mida", identificabile con la dispersa Calunnia, ch'introduce l'Innocenza al trono di Mida, descritta in una guida del 1725.
Intorno al 1693 il L. dipinse la prima opera per una chiesa romana, il Martirio di s. Pietro da Verona, realizzata per conto di Pietro Gabrielli, per la cappella di famiglia in S. Maria sopra Minerva.
Alla stessa data risale una tela non legata alla committenza Gabrielli e raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Carlo Borromeo e Liborio vescovo per la cappella Fani nella chiesa di S. Maria Nuova a Viterbo (ora presso la locale Cassa di risparmio), con caratteri stilistici molto diversi dalle opere dipinte per il marchese. Non restano tracce, invece, né della Pietà del 1694, non citata nelle fonti ma descritta nella corrispondenza Gabrielli, né della cappella, di cui faceva cenno Pascoli, dipinta dal L. in S. Maria in Campitelli nel 1695.
I rapporti tra il L. e Pietro Gabrielli si conclusero nell'aprile del 1695: le critiche del marchese per la lentezza esecutiva dell'artista e per la sua maniera, dominata dal copioso uso della vernice e dell'olio a detrimento del colore, nonché il peso di alcuni giudizi negativi espressi da "intenditori", tra i quali C. Ferri, indussero il pittore a congedarsi, anticipando il sicuro licenziamento da parte del suo mecenate, come emerge nella lettera del 31 maggio 1695 del carteggio Gabrielli.
Tuttavia, in quegli anni la presenza del L. nell'ambiente romano si fece più solida. Il 4 ott. 1697 fu ammesso all'Accademia di S. Luca, mentre andava stringendo una fitta maglia di rapporti con la colonia di artisti francesi a Roma.
Lo confermano, oltre all'incisione, firmata "Nicolaus Dorigny Gallus", dalla tela di S. Maria sopra Minerva, le parole di Pascoli (p. 769) riguardo al legame di amicizia con "Teodone scultore". Si tratta di J.-B. Théodon, con il quale il L. andò ad abitare in una casa in via della Lungara. Già professore dell'Accademia reale, Théodon lo introdusse nella comunità dei suoi connazionali, che si riuniva nella chiesa di S. Luigi dei Francesi. Con tutta probabilità, fu in tale ambiente che il L. rafforzò la sua amicizia con Corelli, all'epoca a capo dell'orchestra di S. Luigi: sarebbe stato proprio lui a redigere, alla morte del compositore nel 1713, l'inventario dei suoi beni. In questo contesto, e grazie ai buoni uffici di Théodon, si colloca l'Annunciazione dipinta per S. Ivo dei Bretoni, in cui si riscontrano, accanto a un solido impianto formale di ascendenza emiliana, residui accenni agli studi condotti sul luminismo veneto. L'incontro con i francesi e con il classicismo arcadico d'impronta poussiniana indusse il L. ad accogliere questa dimensione espressiva a lui tuttavia estranea, innestandola nella più solida matrice emiliana. Ne sono testimonianza le due storiette bibliche con Susanna e i vecchioni e il Ritrovamento di Mosè: rientrate a Carpi perché donate dal pittore all'amico e concittadino Cabassi, le tele passarono, per via ereditaria, dalla raccolta di casa Pozzuoli ad Alberto Pio di Savoia, i cui beni confluirono nel patrimonio civico (sono infatti attualmente conservate al Museo civico di Carpi). L'influenza del gruppo dei francesi si misura anche attraverso la vicenda dell'affresco con S. Giuseppe in gloria nella cappella Capocaccia in S. Maria della Vittoria: il L. ottenne la commissione, dopo la rinuncia di G.B. Gaulli, grazie alla mediazione di artisti già operanti per Giuseppe Capocaccia, il francese P.-É. Monnot e D. Guidi.
Ai primissimi anni del nuovo secolo si datano i due pannelli laterali della cappella Torre in S. Maria Maddalena con S. Nicola che risuscita tre fanciulli e S. Nicola e il miracolo del vaso prezioso (di quest'ultimo esiste uno schizzo preparatorio a sanguigna sul cui verso compaiono alcuni studi di nudo a penna e pennello: Roma, collezione privata, ripr. in Petraroia, 1981, fig. 36), opere che mostrano un L. alla ricerca di effetti drammatici ottenuti mediante il trattamento della luce. Entro il 1705 eseguì la tela col Miracolo di s. Francesco da Paola per la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, dipinta per atto devozionale (l'opera è firmata "Vent(ura) Lam(berti) p(inxit) sua devotione") in una gamma cromatica giocata su tonalità rosso-brune molto scure.
Tra il maggio 1705 e il marzo 1706 il pittore fu a Carpi per motivi familiari.
Nella città natale - concordi tutti gli storiografi - in collaborazione col fratello sacerdote Ippolito diede vita a una sorta di accademia a concorso pubblico, indirizzata ai giovani carpigiani desiderosi di apprendere l'arte della pittura, beneficiando di un lascito testamentario e dell'usufrutto di un podere di sua proprietà in Carpi, che si prolungò anche dopo la morte del Lamberti.
Tornato a Roma, diradò la sua produzione, chiudendosi alle novità del gusto rococò che stava diffondendosi: esemplare, in questo senso, è la Sacra Famiglia con s. Anna, eseguita a Roma, ma conservata nella chiesa di S. Filippo a Osimo. Il forzato allontanamento dall'Accademia di S. Luca nel settembre 1716 in ragione del suo pubblico schieramento a favore degli artisti non accademici attivi a Roma - erano, infatti, sorte gravi controversie tra questi e i professori di S. Luca in merito ai nuovi statuti emessi il 23 sett. 1715 - non gli impedì di ottenere commissioni di un certo rilievo.
Partecipò ai lavori per la decorazione della sala Riaria del palazzo della Cancelleria, eseguendo alcune figure e integrazioni pittoriche per adattare al piano le forme pensate per una superficie curva: l'impresa fu infatti condotta sulla base di un cartone di M.A. Franceschini del 1711-12, originariamente ideato per la volta della cappella del coro in S. Pietro. Ricevette l'incarico per realizzare i modelli per i mosaici da collocarsi nei sordini della cappella degli Angeli e di S. Petronilla in S. Pietro, come testimoniano i pagamenti versati a partire dall'antivigilia di Natale del 1719 (Petraroia, 1981). Ne portò a termine solo due, Elia e l'angelo e Tobia e l'angelo: il cartone per il S. Pietro che battezza s. Petronilla fu completato da L. Gramiccia, mentre il S. Nicodemo che comunica s. Petronilla fu interamente eseguito da M. Benefial, l'allievo a lui più legato. I cartoni sono oggi perduti.
Il L., chiamato nell'ambiente romano "il bolognese", morì in seguito a un attacco apoplettico il 19 sett. 1721 a Roma, nella casa in vicolo delle Grotte dove abitava con Gramiccia.
Fonti e Bibl.: Carpi, Arch. storico comunale, Archivio Guaitoli, f. 97/3: Famiglia Lamberti; Rogiti e scritture dal 1700 al 1769, f. 3/11: Perpetuo fidecommesso a favore di giovani che attendonoalla pittura; Ibid., P. Petraroia, Indagine su B. L. carpigiano (dattiloscritto), s.d.; Ibid., M. Cassoli, Bonaventura L. pittore 1652-1721 (raccolta in fotocopia di appunti, disegni e foto) s.d.; F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), ed. comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, Firenze 1987, ad indicem; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni (1732), a cura di A. Marabottini, Perugia 1992, ad indicem; E. Cabassi, Notizie degli artisti carpigiani con le aggiunte di tutto ciò che ritrovasi d'altri artisti dello Stato di Modena (1784), a cura di A. Garuti, Modena 1986, pp. 112 s., 215 s.; P. Petraroia, V. L., in Riv. dell'Istituto nazionale d'archeologia e storia dell'arte, s. 3, IV (1981), pp. 279-318; G. Sestieri, Repertorio della pittura romana della fine del Seicento e del Settecento, Torino 1994, nn. 569-577; L. Barroero, L'Accademia di S. Luca e l'Arcadia: da Maratti a Benefial, in Aequa potestas: le arti in gara a Roma nel Settecento, a cura di A. Cipriani, Roma 2000, pp. 11-13; D. Frascarelli - L. Testa, Il "vizio naturale di far sempre dipinger qualche tela": la collezione di Pietro Gabrielli nel palazzo di Montegiordano a Roma: arte, Arcadia ed erudizione alla fine del Seicento, in Storia dell'arte, s. 2, 2002, n. 102, pp. 55-59; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, pp. 255 s.