MAZZI, Ventura
MAZZI (Mazi, Mazza), Ventura. – Nacque a Cantiano, allora nel Ducato di Urbino, nel 1560 circa. Le fonti lo ricordano anche come Magi o Marzi.
Entrato nella cerchia di Federico Barocci, ne fu oltre che copista e aiutante, anche «agente» dello studio, ruolo che mantenne per più di un trentennio (Antaldi). L’8 marzo 1593 il nome del M., «Ventura Mazi», compare in una ricevuta sottoscritta per conto di Barocci relativa alla tela con la Presentazione della Vergine per la chiesa Nuova a Roma (Olsen). Pochi giorni dopo (16 marzo) con altri allievi di Barocci il M. risulta essere affittuario di una stanza sopra la chiesa di S. Antonio Abate a Urbino, che era già stata studio del maestro (Calzini, 1901, p. 131).
Tale doveva essere il rapporto di fiducia tra i due pittori che l’8 genn. 1598 il M. offrì un’elemosina alla chiesa di S. Antonio in vece di Barocci (ibid., p. 130). Nel Libro di spese della stessa chiesa il M. viene indicato addirittura come «M. Ventura Barocci» (Calzini, 1912, p. 114). Dalle lettere del duca Francesco Maria II Della Rovere emerge inoltre come fosse il M. a occuparsi delle mediazioni tra Barocci e i committenti, dei contratti e, finanche, delle indicazioni iconografiche. In una lettera del 1604 il duca chiedeva al segretario Giulio Giordano: «Potresti scrivere a Ventura che io desidero saper, come il Baroccio pensa d’intrometter nel quadro quei lumi che il Papa desidera» (Gronau, p. 183). Fu inoltre lo stesso M. ad accompagnare a Genova nel 1596 la Crocifissione eseguita dal maestro per la cappella del doge Matteo Senarega nel duomo, come risulta dalla corrispondenza tra lo stesso Senarega e Barocci (Bellori, p. 194).
Nel 1604 con altri allievi il M. ebbe il compito di restaurare e «rincolare» il modello in gesso della statua di Federico da Montefeltro realizzato da Girolamo Campagna su disegno di Barocci per il palazzo ducale. Sempre al M. furono affidati il ritratto di Federico e il rilievo dell’Ordine dell’Ermellino (Calzini, 1912, pp. 114 s.).
Esiste un quadro del M. nei depositi della Galleria nazionale delle Marche che raffigura S. Omobono, proveniente dalla sagrestia del duomo di Urbino e databile al 1620 circa.
La tela è offuscata, ma comunque lascia intravedere la lezione baroccesca e il colorismo attinto da Claudio Ridolfi che dal 1601 al 1612 era a Urbino. Tipicamente barocceschi sono alcuni dettagli «domestici», come il cestino con le forbici o il gomitolo. Dell’opera Lanzi diede un giudizio pesantemente negativo scrivendo: «Il suo stile è diverso e direi cattivo se ogni suo quadro fosse simile al sant’Uomobono che vidi nella sagrestia della metropolitana, ma egli ne fece de’ migliori: è antico dettato, non s’impara se non si erra».
Le richieste dei committenti imponevano al M. di attenersi allo stile di bottega: numerose furono infatti le richieste di copie, prodotte in serie a partire dai cartoni e dai disegni di Barocci: lo dimostrano l’Annunciazione della cattedrale di Cagli, tratta dalla tela per la cappella del duca Francesco Maria II a Loreto (Pinacoteca Vaticana), e le moltissime richieste di copie della Madonna della Gatta (Firenze, Galleria degli Uffizi), secondo quanto risulta dal Libro di spese del duca (Gronau, pp. 188 s. n. 45).
Per lo stesso Francesco Maria II fece copie di quadri di altri pittori: nel 1599 fu pagato 46 ducati per una copia da Tiziano (Calzini, 1913, pp. 124 s.). Agli anni 1604, 1605, 1611 risalgono poi le ricevute di pagamento per tre repliche di un Crocifisso vivo di Barocci (Gronau, p. 32). Presso la Compagnia dei Disciplinati della Croce di Urbino si trovava un Ecce Homo, oggi a Milano, Pinacoteca di Brera, eseguito da Barocci e dal Mazzi. Secondo Ligi fu il maestro a fornire il disegno: al M. spettò il compito di «colorirlo». Per il medesimo oratorio il M. avrebbe realizzato anche un Cristo dinanzi a Pilato (oggi non in loco) per il quale il 27 sett. 1615 ricevette un acconto di 2 scudi.
Nel 1605 gli fu commissionata La Vergine col Bambino e i ss. Ubaldo e Francesco per la chiesa del convento dei cappuccini di Pergola (ora nel locale Museo dei bronzi dorati). Un documento del 1609 testimonia il pagamento e il viaggio fatto dal M. per consegnare direttamente l’opera (Baldelli).
Nella chiesa collegiata di S. Giovanni Battista di Cantiano c’è una Ultima Cena, copia reinterpretata dello stendardo di Tiziano conservato a Urbino nella Galleria nazionale delle Marche.
Nel 1612 morì Barocci e il M. si impegnò a completare molte delle sue tele, tra le quali l’Annunciazione di Gubbio (chiesa di S. Maria dei Laici) e il Lamento su Cristo morto eseguito per il duomo di Milano (ora a Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio).
A proposito di quest’opera vi sono moltissimi documenti che permettono la ricostruzione della vicenda del suo completamento. Il quadro, richiesto dalla Fabbrica del duomo già dal 1600 per l’altare di S. Giovanni Buono, era incompiuto. Fra Francesco Maria Cappuccino in una lettera del 9 sett. 1629 indirizzata al cardinale Federico Borromeo indicava il M. per portarlo a termine, poiché è «suo primo discepolo e a’ la sua maniera» (Valsecchi, p. 230). In una lettera alla Fabbrica del duomo del 19 apr. 1635 il M. sosteneva che avrebbe potuto finire il quadro perché possedeva «la maniera del maestro, i disegni del medesimo per compire il quadro et il quadro piccolo che servirà per accomodare gli errori» e che avrebbe inviato un abbozzo dell’opera «conforme al grande, ma finito conforme al pensiero, et dissegni lasciati dal S.r. Baroccio» (Arslan, p. 35 n. 81; Sangiorgi, pp. 63 s.). La lettera dimostra il sistema adottato nella bottega di Barocci: i suoi allievi erano abituati a completare i suoi quadri o a realizzare delle copie o partendo da disegni originali del maestro che riproducevano i particolari o l’insieme, oppure utilizzando cartoni precedenti. Il M. ebbe così l’incarico di ultimare la tela. Il 10 sett. 1635 ricevette un rimborso spese per aver fatto visionare l’anno prima il quadro incompleto di Barocci alla Fabbrica del duomo: «Il Capitolo ha ordinato doverglisi dare per il viaggio di ritornare al suo paese essendo venuto l’anno passato ad accompagnare costì l’ancona principiata dal q. Federico Baroccio pittore per l’altare di S. Giovanni Bono» (Arslan, p. 107 n. 233).
Nel 1636 Pietro Linder scriveva alcune lettere a Muzio Oddi raccontandogli che il M. viveva in «miserabil statto» e che era malato (Sangiorgi, p. 65).
Morì a Urbino il 6 marzo 1638 e fu sepolto nella cattedrale (Negroni, p. 93).
Fonti e Bibl.: G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (1672), a cura di E. Borea, Torino 1976, pp. 191, 194; A. Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino… (1805), a cura di A. Cerboni Bajardi, Jesi 1996, p. 68; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 356; E. Calzini, Documenti, in Rass. bibliografica dell’arte italiana, IV (1901), pp. 129-136; Id., La scuola baroccesca. V. Mazza, ibid., XII (1909), pp. 12-17; Id., Per la biografia del Barocci, ibid., XV (1912), pp. 107-115; Id., Documenti. La scuola baroccesca, ibid., XVI (1913), pp. 123-126; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, pp. 32, 183, 188 s. n. 45; B. Ligi, Memorie ecclesiastiche di Urbino, I, Urbino 1938, p. 374; E. Arslan, Le pitture del duomo di Milano, Milano 1960, pp. 35, 107; H. Olsen, Federico Barocci, Copenhagen 1962, pp. 189 s., 194 s., 206, 214, 222; M. Valsecchi, Pittura, in Il duomo di Milano, II, Milano 1973, pp. 186, 234 n. 34; F. Sangiorgi, Committenze milanesi a F. Barocci e alla sua scuola nel carteggio Vincenzi della Biblioteca universitaria di Urbino, Urbino 1982, pp. 63-65; F. Negroni, Il duomo di Urbino, Urbino 1993, p. 93; M. Baldelli, L’orazione di Gesù nell’orto dipinta da Claudio Ridolfi, «avuta e ricevuta» da Girolamo Cervasi di Pergola, in Claudio Ridolfi. Un pittore veneto nelle Marche del Seicento. Atti del Convegno, Corinaldo… 1994, a cura di C. Costanzi - F. Mariano - M. Massa, Urbino 1997, p. 164 n. 22; Nel segno di Barocci: allievi e seguaci tra Marche, Umbria, Siena, a cura di A.M. Ambrosini Massari - M. Cellini, Milano-Jesi 2005, ad ind.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 308.