VITONI, Ventura
– Figlio di Andrea di Vita Vitoni (sconosciuta risulta, invece, l’identità della madre), nacque nel 1442 a Pistoia, da una famiglia originaria di Lamporecchio, una località nella parte meridionale del contado.
Molto poco si conosce della sua giovinezza e della sua formazione. Numerose fonti, comunque, lo indicano come legnaiolo ed è molto probabile che abbia svolto attività di apprendistato in una delle grandi botteghe fiorentine dell’epoca: fu in quel periodo che cominciò a formarsi anche la sua figura di architetto. La sua prima prova come progettista, per quanto assai dibattuta dalla storiografia, risale all’ottavo decennio del Quattrocento, quando, congiuntamente, la famiglia Forteguerri e il Comune di Pistoia finanziarono la ricostruzione del piccolo santuario di S. Maria delle Grazie, detto della Madonna del Letto.
In quegli stessi anni, nella città toscana, era possibile sia vedere la chiesa michelozziana dello Spedale del Ceppo, distante solo pochi metri dal santuario che si stava ricostruendo, sia assistere al cantiere ricco e assai complesso della Madonna di Piazza, dove Domenico del Tasso, con la probabile consulenza di Giuliano da Maiano (Ceccanti, 2015b, pp. 46-48), stava portando avanti la costruzione del mausoleo del vescovo Donato de’ Medici.
Nella Madonna del Letto, per quanto in maniera embrionale, sono presenti già delle caratteristiche del modo di fare architettura di Vitoni che tornano, in maniera più definita, nelle opere della maturità: infatti convivono in questa fabbrica spunti tratti dalla tradizione michelozziana, uniti a suggestioni più aggiornate, forse provenienti dal vicino cantiere della Vergine di Piazza. I Forteguerri, finanziatori dell’edificio, erano in stretti rapporti sia con la Curia romana sia con i Panciatichi, famiglia che capeggiava una delle due fazioni in cui la città di Pistoia era divisa in quel periodo. Non conosciamo quali furono le motivazioni che portarono alla scelta di Vitoni come progettista di S. Maria delle Grazie, ma da quel momento fino alla morte diventò l’architetto di fiducia delle maggiori famiglie cittadine, essenzialmente di quelle di parte panciatica, ma anche delle maggiori istituzioni religiose pistoiesi.
La prima opera della maturità di Vitoni riguarda il convento francescano di S. Chiara, localizzato in una porzione periferica della città, a sud-ovest, lungo l’antica via Clodia. A tale complesso, che nel 1483 si trovava a essere retto da suor Lisa Baldovinetti, appartenente a una famiglia patrizia fiorentina, l’architetto conferì un nuovo assetto.
L’intervento era di grande rilevanza, poiché si trattava di ricostruire quasi totalmente l’edificio, al fine di trasformarlo in un moderno complesso conventuale. La posizione della fabbrica era estremamente significativa, dal momento che, a poche decine di metri, verso il centro della città, sorgeva S. Maria Forisportae, destinata a trasformarsi nel giro di pochi anni nella nuova chiesa della Madonna dell’Umiltà, il cui cantiere sarebbe stato, pur tra molte vicissitudini, il più importante cui pose mano Vitoni.
La nuova chiesa di S. Chiara divenne il punto focale dell’intero complesso e fu strategicamente posizionata sulla grande arteria di origine romana diretta verso Lucca. Il chiostro, intorno al quale si articolava il convento, aperto su un lato, era in posizione defilata.
Costruita nell’arco di pochi anni, con la consulenza di Antonio da Sangallo il Vecchio per la realizzazione della cupola (Bruschi, 2014, p. 182), la chiesa di S. Chiara è un chiaro esempio dell’eclettismo architettonico che contraddistinse tutta l’opera di Vitoni.
Se l’apparato decorativo, realizzato con eleganti membrature in pietra serena, è strettamente debitore verso la tradizione brunelleschiana, la pianta, piuttosto complessa, deriva direttamente dalla ricostruzione del tempio all’etrusca così come teorizzato da Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria. La crociera fu coperta da una cupola che, esternamente, venne nascosta, come già era accaduto alla Madonna del Letto, con un alto tiburio, la cui dimensione fu sorpassata, pochi anni dopo, da quello dell’edificio considerato più rappresentativo dell’opera di Vitoni, la vicina chiesa di S. Giovanni Battista.
Il chiostro di S. Chiara, per quanto parzialmente alterato nel Settecento, allorché l’intero complesso fu destinato a ospitare il seminario vescovile, può essere giudicato il primo e più illustre dei numerosi chiostri realizzati a Pistoia tra Quattrocento e Cinquecento: si contraddistingue per l’assenza dei muretti di determinazione dei corridoi e per l’impiego di un corinzio di fantasia, che deriva direttamente da quello del cortile grande del fiorentino Spedale degli Innocenti.
Nel 1492, quando ancora si lavorava a S. Chiara, ebbe inizio il lungo e tormentato cantiere della Madonna dell’Umiltà, nel quale Vitoni lavorò fino alla morte. La storiografia artistica più antica, a partire da Giorgio Vasari, ha indicato nell’architetto pistoiese il progettista dell’intero complesso; studi più recenti, realizzati a partire dagli anni Trenta del Novecento, hanno teso a ridimensionare in maniera progressiva il suo ruolo nel cantiere dell’Umiltà, tant’è che negli ultimi contributi lo si indica essenzialmente come il realizzatore materiale di un progetto dovuto a Giuliano da Sangallo.
Molto probabilmente, come aveva intuito già Paul Laspeyres nel 1882 (XIX), esistettero due fasi ben distinte nella costruzione del tempio, forse inizialmente pensato come un organismo longitudinale, parallelo alla via Clodia, e memore del tempio mariano della Madonna di Piè di Piazza a Pescia. È proprio questa porzione dell’edificio, che taluni documenti indicano significativamente come ‘chiesa vecchia’, che risente in maniera diretta della progettazione di Sangallo. Nei primi decenni del nuovo secolo, a causa della limitata dimensione della nuova costruzione, si decise di realizzare il grande vano ottagonale, la cui progettazione è da ascrivere in maniera pressoché totale alla mano di Vitoni, che qui realizzò un apparato decorativo consistente in tre livelli di lesene corinzie in pietra serena.
L’opera di Vitoni venne biasimata da Vasari, che, chiamato nel 1565 a completare il grandioso ottagono con una cupola, accusò il progettista pistoiese di imperizia, per aver realizzato delle fondamenta poco profonde. Tuttavia, nell’arco di pochi anni, fu proprio la cupola vasariana a essere interessata da dissesti statici di notevole importanza, che portarono all’intervento di Bartolomeo Ammannati prima e di Jacopo Lafri poi. Quest’ultimo, in una relazione stilata nel 1620, difese l’opera di Ventura e lanciò la provocatoria proposta di demolire parzialmente la cupola vasariana (Ceccanti, 2012, p. 144, nota 79).
Negli ultimissimi anni del XV secolo, ancora una volta suor Lisa Baldovinetti pensò di rivolgersi a Vitoni per realizzare un intervento analogo rispetto a quello di S. Chiara. La gentildonna fiorentina, infatti, era diventata badessa anche dell’altro convento femminile francescano della città, quello di S. Giovanni Battista. Posto lungo il Corso, la grande arteria che correva lungo il fossato dell’ormai scomparsa seconda cerchia di mura, il complesso era certamente più grande rispetto a S. Chiara, così come più imponenti e di maggiore rilevanza architettonica erano le preesistenze.
Anche in questo caso la chiesa costituiva il fulcro dell’intero convento; la sua pianta, a croce latina, era una semplificazione rispetto a quella di S. Chiara, ma nel sistema delle coperture Vitoni arrivò a un risultato di estrema complessità, riuscendo a combinare elegantemente le volte a vela della navata e della tribuna, le volte a botte dei due bracci del transetto e la cupola emisferica della crociera, ancora una volta nascosta all’esterno da un transetto di dimensioni e altezza ragguardevoli. L’apparato decorativo venne affidato nuovamente alla pietra serena, anche se, in questo caso, le citazioni antichizzanti e di architetture albertiane erano scoperte, dal momento che le basi erano una riproposizione di quelle del Pantheon a Roma e i capitelli corinzi una citazione puntuale di quelli del terzo registro della facciata del palazzo Rucellai a Firenze.
Il prospetto, parzialmente completato, richiamava nella sua semplicità quello michelozziano di S. Felice in Piazza: questa parte dell’edificio riscosse al termine del XIX secolo una fortuna notevole, dal momento che l’architetto inglese John Dando Sedding la replicò, assai fedelmente, nella chiesa londinese dell’Holy Redeemer, nel quartiere di Clerkenwell (Ceccanti, 2016, pp. 127 s.). Il portale era l’elemento più significativo dell’intera composizione: distrutto nel corso del bombardamento dell’ottobre 1943, era una versione ingigantita di quello di S. Felice in Piazza.
Ancora a Pistoia Vitoni mise mano ad altri tre complessi religiosi, quello di S. Lucia, attiguo a S. Giovanni Battista e oggi profondamente alterato, quello di S. Mercuriale, nel quale l’influenza dell’architettura di Michelozzo è preponderante, dal momento che i paramenti esterni sono una ripresa puntuale di quelli del convento di S. Marco a Firenze, e quello di S. Pier Maggiore.
In questo caso, l’architetto si trovò a doversi confrontare con l’ingombrante preesistenza di una delle grandi chiese del romanico pistoiese, appunto S. Pier Maggiore. Vitoni scelse di rifiutare ogni dialogo con il vecchio edificio per realizzare un convento organizzato intorno a un chiostro memore del cortile delle donne dello Spedale degli Innocenti, in cui però i capitelli e i peducci, entrambi ascrivibili a un corinzio di fantasia, derivavano direttamente da quelli del cortile del fiorentino palazzo Pazzi di Giuliano da Maiano; anche il portale di accesso all’edificio, contraddistinto dal nome del complesso e dalla data di fondazione, scritti a caratteri capitali, derivava da un precedente quattrocentesco, i portali interni di S. Maria delle Carceri a Prato.
Nel corso della sua carriera, Vitoni si occupò anche di edilizia civile: il palazzo cittadino dei Panciatichi venne ricostruito parzialmente dopo un incendio appiccato dai Cancellieri. S’intervenne sulla porzione superiore delle facciate esterne, realizzando una monumentale gronda in legno decorata a fioroni, di sapore fiorentino, e soprattutto sul cortile interno, nel quale la posizione della nuova scalinata evocava quella del palazzo Gondi a Firenze, mentre l’apparato decorativo si rifaceva, ancora una volta, a esempi maianeschi. Di nuovo per i Panciatichi, Vitoni prestò la sua opera alla villa Smilea, presso Montale, dimora tra le più grandi della Toscana quattrocentesca e debitrice dell’esempio della villa medicea del Trebbio nel Mugello. Nel cantiere del pistoiese palazzo degli Anziani egli si trovò nella particolare situazione di essere committente di sé stesso in quanto deputato del Consiglio del Popolo; i suoi interventi consistettero nella ricostruzione dello scalone e nella realizzazione del portale corinzio posto sulla ripa del Sale. Questo lavoro, che si concluse nel 1521, come risulta da una scritta a caratteri capitali posta su un pilastrino dello scalone, è quello nel quale l’influenza di Baccio d’Agnolo fu più marcata, forse perché negli stessi anni era presente a Pistoia, per la progettazione del palazzo del Commissario, Nanni Unghero, genero e collaboratore di Baccio.
Non si conosce la data esatta della morte di Vitoni, anche se la sua assenza da libri contabili del cantiere dell’Umiltà a partire dal dicembre del 1521 ci fa ipotizzare che debba risalire alla prima metà del 1522.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, II, parte 3, Firenze 1568, pp. 33 s.; L.B. Alberti, I dieci libri di Architettura, tradotti in italiano da Cosimo Bartoli, Roma 1784, p. 313; S. Ciampi, Memorie di Niccolò Forteguerri istitutore del Liceo e del Collegio Forteguerri di Pistoia nel secolo XV, Pisa 1813, pp. 6 s.; F. Tolomei, Guida di Pistoia, Pistoia 1821, pp. 80, 209; P. Laspeyres, Die Kirchen der Renaissance in Mittel-Italien, XIX, Berlin-Stuttgart 1882; P. Sanpaolesi, V. V. architetto pistoiese, in Palladio, III (1939), pp. 249-269; L. Gai, Interventi rinascimentali nello Spedale del Ceppo di Pistoia. Ridefinizione dell’attività pistoiese di Michelozzo architetto, in Contributi per la storia dello Spedale del Ceppo di Pistoia, Pistoia 1977, pp. 71-155; V. V. e il Rinascimento a Pistoia (catal.), a cura di M.C. Buscioni, Pistoia 1977; A. Belluzzi, Giuliano da Sangallo e la chiesa della Madonna a Pistoia, Firenze 1993, passim; C. Ceccanti, La vicenda architettonica di Jacopo Lafri nel Granducato di Toscana tra Vasari e Giambologna nei secoli XVI e XVII, in Bollettino d’arte, s. 7, 2012, n. 14, pp. 125-144; M. Bruschi, Lo Scalabrino, Sebastiano Vini e i Gimignani a Pistoia: opere d’arte alla Villa di Igno e al palazzo vescovile (1507-1621); V. V. a S. Chiara (1484-1508) e altri artefici (1494-1555), Pistoia 2014; S. Frommel, Giuliano da Sangallo, Firenze 2014, pp. 171-179; C. Ceccanti, Nanni Unghero, Antonio da Sangallo il Giovane..., in Bullettino storico pistoiese, s. 3, L (2015a), pp. 105-123; Id., Un’ipotesi per Domenico del Tasso e Giuliano da Maiano: la chiesina della Vergine di Piazza a Pistoia, sepolcro di Donato Medici, in Palladio, n.s., XXVIII (2015b), 56, pp. 41-54; L. Gai, Per Giuliano da Sangallo, Pistoia 2015, pp. 12 s.; C. Ceccanti, John Ruskin e il romanico pistoiese, in Romanico piemontese - Europa romanica. Atti del Convegno, Vercelli... 2014, a cura di S. Lomartire, Livorno 2016, pp. 123-129.