ventura
Nelle cinque occorrenze del poema e nell'unica delle Rime (l'esclusione dalla prosa ne significa il sapore poetico) sta, indifferentemente in buona e cattiva parte (al pari di ‛ fortuna ', almeno fino al Cinquecento), per " sorte ", " caso ", " fato ", " destino " . Tale senso, in qualche modo ‛ statico ', presenta tuttavia varie implicazioni con la serie da ‛ advenire ' (antico francese aventure, XI secolo), in cui prevale per contro l'idea del ‛ movimento ': così nel Novellino e in Francesco da Barberino sta per " avventura ", " accidente "; e viceversa ‛ avventura ' per " fortuna " in Giovanni Villani e nel volgarizzatore trecentesco di Livio; e l'interscambio poté essere agevolato da ‛ iuncturae ' quali ‛ (al)la ventura ' o ‛ (al)l'aventura ' (Plutarco volgare, Fiorita di Armannino, ecc.). Ciò vale, e forse in maggior misura (anche nel campo ecdotico, con mobili schieramenti di varianti), rispetto all'orbita assai più ampia di ‛ fortuna ' (v.), dove peraltro emerge l'idea provvidenziale (estranea a v.) e la conseguente personificazione della nuova dea cristiana accanto alla vecchia divinità pagana, alla stregua della dottrina esposta nel c. VII dell'Inferno. Ne conseguono, per v., diverse sfaccettature semantiche cui corrispondono delle nutrite serie sintagmatiche (in parallelo a quelle registrate per ‛ avventura '), soprattutto in virtù del Fiore; unico invece l'esempio nella Commedia, altrettanto nella prima canzone del Convivio.
In alcuni casi v. si prospetta (senza attributi) con un valore indifferenziato, tra " fortuna " e " caso ": così in Pg V 91 Qual forza o qual ventura, il Sapegno appunto sottolinea la polarità fra i due termini (" forza determinata, volontà umana o divina; ventura, caso fortuito "); dal canto nostro, ci limitiamo a sconsigliare qui la traduzione con l'anodino " sorte ", che vige comunemente e che semmai riserveremmo allo stilema (" qual grazia o ventura ") che nel Morgante ne continua pallidamente l'eco. In questo ambito, come ‛ per avventura ' (sul francese par aventure, in D. stesso, Boccaccio, fra Giordano), il sintagma avverbiale ‛ per v. ' equivale a " per caso ", " casualmente " (così pure in Boccaccio e Sacchetti, nel primo a volte col valore di " forse "): Cv II Voi che 'ntendendo 56 se per ventura elli addivene / che tu dinanzi da persone vadi, parafrasato nel commento in XI 8 Se per avventura incontra che tu vadi là dove persone siano, col prevedibile scambio v.- ‛ avventura '; Pg XX 19 per ventura udi', " mi accadde di udire " (Sapegno).
In tale ristretto arco semantico, necessita di una specificazione aggettivale per determinarsi al polo negativo: Rime LXXXIX 5 Vedete quanto è forte mia ventura, " quant'è crudele, avversa la mia sorte " (Barbi-Pernicone, con rinvio alla Leggenda di vergogna per la locuzione ‛ forte v. '). Esterno a ogni funzione avverbiale e analogo a ‛ mala derrata ', abbastanza diffuso in antico, il sintagma ‛ mala v. ' si conforma ai riscontri nel Novellino e in Boccaccio come " cattiva sorte ", " crudele ricompensa ", in Fiore CCXXVI 10 La Gelosia aggi'or mala ventura, / quando tenuta l'ha tanto serrata, la giusta punizione delle sue malefatte. Si avverta, qui, il parallelismo con l'espressione adiacente (v. 14) ‛ per disavventura ', " con suo danno ", " per sua sventura "; la quale a sua volta ne richiama un'altra, ‛ per mala v. ' (" con cattiva sorte ", " in trista parte "), attualizzata mediante l'aggettivo possessivo in Fiore XXV 10 quando tu per la tua mala ventura / tu vuogli intender or d'esser cortese, " per tua disgrazia e maledizione " .
Altrove sembra orientato verso il positivo (" evento propizio " o simili) senza bisogno di una qualsiasi determinazione: così in Pg XIII 111 de li altrui danni / più lieta assai che di ventura mia, della mia " buona fortuna ", del mio " bene o vantaggio " . Resta un caso a parte, per la sua sostanziale ambiguità, If II 61 l'amico mio, e non de la ventura, a seconda che vi si veda (col Casella) il contromodello degli abelardiani " fortunae potius... amici quam hominis ", con v. uguale a " vantaggi ", " beni mondani ", " bellezze esteriori "; ovvero l'amico autentico e non " di quelli che mutano secondo il caso " (Casini-Barbi, ecc.), o infine chi è " tanto amato da me e non dalla fortuna ", " sfortunato ", " sventurato " (Torraca, Grabher, ecc.), con v. per " buona sorte ". Su questa linea, la locuzione ‛ in mia v. ' (" per mia fortuna ") si differenzia da ‛ in avventura ' (" a rischio ", " alla ventura "), grazie anche al possessivo uscendo ormai fuori dall'orbita avverbiale: Fiore CCXXVIII 10 Tutto mi' arnese tal chent'i' portava, / s'è di condurl'al porto in mia ventura. Qui peraltro il contesto lubrico e i due successivi sonetti autorizzerebbero a sospettare (almeno in concomitanza) la stessa anfibologia del Decameron, del Trecentonovelle e della Nencia vulgata, al modo già concretatosi, forse, in una ballata dei Memoriali bolognesi (Mamma, lo temp'è venuto 35).
Con più energica connotazione in senso negativo, tra " fortuna ostile ", " destino avverso ", " fato contrario ", senz'ombra di qualificazione e piuttosto col rilievo della tradizionale ipotiposi, in Pd XVII 24 ben tetragono ai colpi di ventura. Il Sapegno cita qui le ascendenze tomistiche nei commenti a margine dei testi aristotelici, l'Etica meglio che la Retorica (" tetragonum nominat perfectum in virtute ad similitudinem corporis cubici... Et similiter virtuosus in qualibet fortuna bene se habet "); altri interpreti rinviano concordi (per il concetto) a If XV 91-93, richiamando nel contempo il colpo di fortuna di Cv I IV 10. Alla consueta oscillazione fra i due termini similari si aggiunga il fitto incrocio di linee e di prestiti fra i diversi autori impegnati nella secolare polemica sulla ‛ Fortuna '; per fare un esempio, il luogo del sonetto apocrifo (ciniano) Io maladico il di ch'io vidi imprima 14 " che credo tôr la rota a la ventura ", andrà probabilmente ricondotto allo svolgimento dantesco in If XV 93 ss. (a la Fortuna, come vuol, son presto / ... però giri Fortuna la sua rota / come le piace) piuttosto che all'archetipo del Tesoretto 2434-2435 (" come Ventura mena / la rot'a falsa parte "); e ad esso si potrà accostare, con qualche brivido di scoperta, Fiore XXXVIII 12 (Se Fortuna m'ha tolto or mia ventura, / ella torna la rota tuttavia, / e quell'è quel che molto m'assicura), così vicino alla temperie del canto di Brunetto Latini nonostante la speciosa distinzione fra i due termini, l'uno nome proprio e l'altro nome comune.