VERGANI, Vera
VERGANI, Vera. – Nacque il 19 febbraio 1894 a Milano, in via Vigna, primogenita di Rosa Maria Podrecca e di Francesco, che abbandonò la famiglia, scomparendo per sempre, dopo la nascita di Orio (v. la voce in questo Dizionario), probabilmente figlio naturale di Virgilio Talli.
Al sostentamento provvide con difficoltà la madre, con lezioni di piano e lavoretti di cucito e ricamo, venendo costretta a tornare periodicamente a Cividale del Friuli, nella famiglia d’origine, dove talora Vera restò. La situazione migliorò quando la madre contrasse un nuovo matrimonio con l’avvocato Giuseppe Stocchi, suo dirimpettaio. A Cividale del Friuli, al teatro Ristori, il 30 settembre 1905, Vera calcò le scene per la prima volta in Così va il mondo, bimba mia, di Giacinto Gallina, in una recita di beneficenza organizzata dal nonno Carlo Podrecca. Vergani non fu figlia d’arte, ma uscì dal ceppo di una famiglia di stravaganti nutriti di passioni artistiche, teatrali e musicali, alle quali spesso sacrificarono tutto.
Presa la licenza tecnica, nel 1909 Vera si trasferì con la madre e il patrigno a Roma, dove i Podrecca avevano seguito, dopo l’elezione a deputato, suo zio Guido. Nell’amministrazione delle attività editoriali dello zio Vera trovò un primo impiego. Nell’estate del 1912, l’anziano attore Ferruccio Benini, amico di famiglia, la scritturò nella sua compagnia ed ella debuttò, con il nome di Vera Podrecca, il 4 ottobre 1912 al teatro Ristori di Cividale, con una particina nello scherzo comico di Ermete Novelli Le distrazioni del signor Antenore. Il tirocinio scenico, accanto ad attrici come Italia Benini Sambo e Laura Zanon Paladini, proseguì sino alla quaresima del 1914; poi, grazie a Talli, Vergani entrò nell’importante compagnia da lui diretta e intitolata a lui, a Maria Melato e ad Alberto Giovannini. Dopo il debutto come semplice figurante (nel marzo del 1914 al Diana di Milano, nel secondo atto della Marcia nuziale di Henry Bataille), proseguì come generica, con particine modeste in cui tuttavia si fece notare, come in Un cappello di paglia di Firenze di Eugène Labiche. Nel febbraio del 1915, le attrici Jone Frigerio e Luisa Piacentini lasciarono la compagnia e Vergani acquisì i ruoli di prima attrice giovane e seconda donna. Interpretò Giana nel dannunziano Il ferro e al Diana di Milano, a giugno, con L’invasore di Annie Vivanti, ottenne un grande successo che spinse Ruggero Ruggeri a chiederle di far compagnia con lui con il ruolo di prima attrice.
Dalla quaresima del 1916, pertanto, l’appena ventiduenne Vera (che già dal precedente agosto aveva recuperato il cognome Vergani) si avviò a divenire una delle protagoniste del teatro italiano. E del cinema: durante il riposo della compagnia teatrale partecipò nel 1916 a La menzogna e a Il presagio, di Augusto Genina; dal 1918 al 1922, fu diretta da Roberto Roberti in Dora e le spie (1918) e La paura d’amare (1918) per la Caesar film, e poi, con sempre più redditizi contratti, con la Cines, realizzando un’altra decina di film con vari registi tra cui Mario Caserini (La modella, 1920; La buona figliuola, 1920; Caterina, 1921; Fior d’amore, 1921; Il filo d’Arianna, 1921).
Oltre alle commedie di un teatro leggero e di facile successo, Vergani affrontò un repertorio più impegnativo, pur se talora adattato in funzione del ruolo di primattore di Ruggeri: fu lady Macbeth, Ofelia nell’Amleto e fu tra le prime interpreti del teatro di Luigi Pirandello che allora si andava affermando. Pirandello stesso, scrivendo a Ruggeri, suo interprete prediletto, nell’agosto del 1917, caldeggiò Vergani (allora presentatagli da Dario Niccodemi) per il ruolo di Agata Renni in Il piacere dell’onestà che andò in scena al Carignano di Torino il 29 novembre 1917 (con una memorabile cronaca di Antonio Gramsci su L’Avanti!). Il 6 dicembre 1918, al Quirino di Roma, Vergani fu poi la prima Silia Gala in Il giuoco delle parti. Di lì a poco la sua piena maturità d’interprete sarebbe stata riconosciuta da Gramsci (il 22 febbraio 1919, in occasione di una sua serata) e da Silvio d’Amico (il 18 febbraio 1920), dopo un’analoga serata che, al Valle di Roma, segnò il distacco dell’attrice da Ruggeri.
Vergani si unì da allora a Luigi Almirante e Luigi Cimara in una compagnia di complesso costituita e diretta da Niccodemi, al quale fu anche sentimentalmente legata; la compagnia si contraddistinse per la qualità delle realizzazioni sceniche e per un repertorio ampio e vario. L’esordio della ditta avvenne al Valle di Roma il 1° marzo 1921 con Romeo e Giulietta: esito contrastato, ma con un vivo successo personale della protagonista, apprezzata dal pubblico, dalla critica e da una collega d’eccezione come Eleonora Duse che accompagnò un biglietto di auguri al dono di un mazzetto di violette che Vergani conservò come una reliquia. Seguirono altri classici, come Il ventaglio di Carlo Goldoni, alternati a opere di Niccodemi, come l’apprezzata L’alba, il giorno e la notte, a opere di autori italiani come Sabatino Lopez e Fausto Maria Martini, spettacoli leggeri e divertenti, nonché il rivoluzionario Sei personaggi in cerca d’autore, in prima al Valle di Roma, il 9 maggio 1921. Nonostante la contrastatissima accoglienza dell’opera, Niccodemi la rappresentò ancora, portandola al trionfale successo del Manzoni di Milano del successivo 27 settembre, di Torino e Genova e della ripresa romana del 22 marzo 1922; e poi ancora per quattro stagioni. Vergani, che impersonò la Figliastra, contribuì non poco a quel successo, identificandosi così con quella ventata di rinnovamento teatrale che, già percepita da Gramsci, venne allora sottolineata da Piero Gobetti che la definì insuperabile nel realizzare l’«inquietudine del fantasma vivente» del personaggio pirandelliano e la «perfetta figura drammatica» di «una speciale forma di intensità di vita» (in L’ordine nuovo, 31 dicembre 1921). Vergani fu poi ancora interprete pirandelliana nella prima della difficile messinscena di Ciascuno a suo modo (teatro Filodrammatici, Milano, 23 maggio 1924) e in una ripresa del maggio del 1927 dell’Amica delle mogli.
La parabola ascendente della carriera artistica di Vergani proseguì con la ripresa della Figlia di Iorio, il 15 aprile 1922 all’Argentina di Roma. D’Annunzio la seguì da vicino e le indirizzò una lunga lettera (letta da Niccodemi, dal proscenio, nell’intervallo tra due atti) sulla passione e il sacrificio della «rinata Mila dal collo di cigno». Vergani, che era già stata Mila di Codro con l’estatico Aligi di Ruggeri, primo e supremo interprete, ne diede un’interpretazione bellissima e mirabilissima nel terzo atto.
All’apice del successo, la compagnia iniziò una serie di trionfali tournées in Sudamerica (a partire dall’Argentina dove le sessantacinque rappresentazioni previste divennero centosessanta), affiancate, dal 1927, da rappresentazioni a Lisbona e a Madrid. Di ritorno dalla tournée del 1927, a Napoli, Niccodemi e Vergani incontrarono Salvatore Di Giacomo, convincendolo alla versione italiana di Assunta Spina, in scena nel 1928; lo stesso anno l’attrice interpretò Maya di Simon Gantillon, Bellamonte di Riccardo Bacchelli, Una partita a scacchi di Giuseppe Giacosa e La signora Rosa di Lopez.
Le precarie condizioni di salute di Niccodemi segnarono il destino della compagnia che proseguì ancora, nel 1929, sulle spalle di Vergani e in un clima d’incertezza (Pirandello, per questo motivo, ritirò il suo Lazzaro, suscitando il risentimento dell’attrice), sino al giorno in cui ella annunciò, a sorpresa, il proprio ritiro dalle scene per sposare il comandante di marina Leo Pescarolo, conosciuto a bordo del Conte rosso durante l’ultima traversata di ritorno dall’Argentina.
L’addio alle scene avvenne il 13 gennaio 1930 al Manzoni di Milano, con il ruolo preferito di Mila in La figlia di Iorio. La sobria cerimonia matrimoniale, celebrata il 22 febbraio a Roma, nella chiesa di San Gioacchino in Prati, alla presenza di pochissimi familiari e intimi amici, confermò la natura antidivistica, schietta e semplice di Vergani («Panfresco» l’aveva soprannominata Ruggeri, «Vera verace» D’Annunzio). Dal matrimonio nacquero due figli cui furono imposti gli stessi nomi dei genitori: Vera, in quello stesso 1930, e Leo, nel 1933. Quando questi divenne produttore cinematografico, Vergani tornò a recitare una breve parte in un suo film (Il morbidone, 1965, di Massimo Franciosa). Dopo i primi anni trascorsi in una villa del Lido di Albaro a Genova, Vergani si ritirò a Procida, isola natia del marito, dove ancora andavano a intervistarla negli anni Ottanta, a proposito della mostra a lei dedicata dalla Biblioteca-Museo dell’attore di Genova o del recupero di rari spezzoni dei suoi film (pressoché interamente distrutti).
A Procida morì il 22 settembre 1989.
Interprete vera e innovativa, grazie agli attori e capocomici che le furono maestri, Vergani seppe conquistare i critici più bravi ed esigenti. Attrice moderna, fuori delle strettoie del ‘guittismo’ (da ‘guitto’), del divismo mattatoriale e con una grande capacità di fondersi con i personaggi che rappresentava (come Gobetti notò, non a caso a proposito di Pirandello) e, dunque, attrice vera, sempre diversa e varia per il pubblico e per i critici, i quali la videro sia come l’«attrice ragionevole e pensierosa, che si giova moltissimo della nativa semplicità borghese» (Cecchi, 1943, p. 92), sia come la bella, seducente ed elegante aristocratica. Significativa, a tal riguardo, l’evoluzione del giudizio di d’Amico a partire dal 1918 quando, con una punta d’irrisione, la definì «uscita da un fascicolo della Vie parisienne» (il 24 marzo) o arrivò (il 25 novembre, per il Demi-monde) a recensirne non la recitazione, ma i lussuosi vestiti (Vergani, spazientita, reagì inviando alla moglie del critico l’indirizzo della sua sarta), sino alla già ricordata serata d’addio a Ruggeri e, poi, all’esplicito ripensamento in occasione della messa in scena della commedia L’ombra di Niccodemi in cui Vergani, nella parte di una povera malata, rinunciò alla propria bellezza. Quella recensione del 15 giugno 1921 confluì nelle belle e definitive pagine a lei dedicate, in cui d’Amico (1929), autoironizzando sull’incontentabilità dei critici, ricordò i pericoli da cui ella doveva difendersi: quello d’esser troppo bella e quello «di recitare troppo bene. [...] Tutto è eccellente in lei: voce, dizione, gesto. [...] Ella è l’attrice docile e brava per eccellenza» che pare, «per eccesso di dedizione e d’umiltà, abbia rinunciato a svelarci se stessa». Da «creatura sana e d’istinto, ella si ritrova specialmente nei personaggi semplici e istintivi: sia in certe ingenue e gioiose creature delle più casalinghe commedie di ieri, sia in certi “animali di lusso” di quell’ambiente plutocratico contemporaneo» portato in scena (pp. 143 s.).
Fonti e Bibl.: M. Praga, Cronache teatrali 1919-1928, I-X, Milano 1920-1929; O. Vergani, Confidenze a mia sorella Vera, in Comoedia, 5 giugno 1922, pp. 484-490; D. Buffoni, V. V., Milano 1923; S. d’Amico, Tramonto del grande attore, Milano 1929; G. Rocca, Teatro del mio tempo, Osimo 1935; A. Cecchi, La parete di cristallo, Milano 1943; N. Leonelli, Attori tragici e attori comici, II, Roma 1946; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Torino 1950; G. Vergani - L. Vergani, Cronache di una famiglia, in G. Vergani - L. Vergani - M. Signorelli, Podrecca e il Teatro dei piccoli. Cronache di una famiglia, Udine 1979, pp. 9-60; G. Corsinovi, V. V. e il fascino segreto del «non concluso», in Ariel, 1986, n. 2, pp. 5-7; Saga Vergani, in La Repubblica, 13 gennaio 1990; L. Jacob - C. Gaberscek, Il Friuli e il cinema, Udine 1996; S. d’Amico, Cronache 1914/1955, antologia a cura di A. d’Amico - L. Vito, I-III, Palermo 2001-2003; E. Montaldo, Posidonia, Genova 2014 (narrazione biografica in chiave romanzesca).